Opera Omnia Luigi Einaudi

Il nuovo libro di Keynes

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 22/01/1926

«Corriere della Sera», 22 gennaio 1926
Invece di pubblicare una seconda edizione del volume diventato celebre The Economic Consequences of the Peace, il Keynes ha preferito dargli un seguito con un nuovo volume A revision of the Treaty (Londra, Macmillan). Sarebbe stato augurabile che, contemporaneamente alla edizione inglese fosse uscita anche quella italiana. Gli italiani discorrono molto di problemi economici e sociali e delle ingiustizie del Trattato di Versaglia; ma non hanno molta pazienza di leggere neanche questo che è sicuramente il più chiaro, perspicuo, ben ragionato libro che sia comparso sull’aspetto economico della pace. I pochi che hanno voglia di informarsi direttamente, di prima mano e non per sentito dire, faranno bene ad ogni modo a procurarsi questo secondo volume. Come del primo, la lettura ne è affascinante. Il Keynes è un economista che sa scrivere e sa presentare ragionamenti non facili con forma cristallina. Al suo libro converrà attingere forse parecchie volte e per dilucidare parecchi problemi. Oggi, mi limito ad estrarre i dati i quali sono necessari ad illustrare la sua proposta finale e pratica.

La tesi fondamentale del libro è che i due anni passati dopo la pubblicazione del primo volume hanno dimostrato la verità di ciò che egli allora affermava. Le successive conferenze: Sanremo (19-26 aprile 1920), Hythe (15 maggio e 19 giugno 1920), Boulogne (21-22 giugno 1920), Bruxelles (2-3 luglio 1920), Spa (5-16 luglio 1920) Bruxelles (16-22 dicembre 1920), Parigi (24-30 gennaio 1921), Londra (1-7 marzo 1921), Londra di nuovo (29 aprile e 5 maggio 1921) sono altrettante tappe verso il ricupero della sanità mentale in materia di riparazioni. Quanto cammino si è fatto dal giorno in cui, nell’autunno del 1918 il Signor Lloyd George conquistava una schiacciante maggioranza nelle elezioni generali alla Camera dei Comuni sventolando dinanzi al corpo elettorale il programma: la Germania deve pagarci tutte le spese e perdite di guerra!, ad oggi, in cui lo stesso Lloyd George si apparecchia ad ottenere dagli elettori una maggioranza ugualmente favorevole di deputati al grido: Via da noi il calice amaro delle riparazioni tedesche! Noi non vogliamo accettare dalla Germania neppure uno scellino! L’esame critico delle frasi e delle teorie grazie a cui si è operata una così stupefacente trasmutazione di idee, frasi e teorie inventate di volta in volta dagli uomini politici e dai giornalisti per acquetare le voglie di quella terribile tiranna che è la pubblica opinione, è un esame esilarante e mortificante, comico e tragico nel tempo stesso. Per ora riassumiamo, riproducendo uno schema del Keynes, le frasi successive del cambiamento. Le cifre segnate qui sotto sono quelle che la Germania avrebbe dovuto ogni anno pagare per trent’anni in miliardi di lire-oro:

Fase prima: Somma promessa nelle elezioni generali inglesi del 1918 …………………36,0

Fase seconda : Previsioni del ministro delle Finanze francese,

signor Klotz, nella seduta della Camera del 5 settembre 1919 ………………………….22,5

Fase terza: Somma fissata dalla Commissione delle Riparazioni

nell’aprile 1921 ……………………………………………………………………. 10,3

Fase quarta: Somma fissata nell’accordo di Londra del maggio

1921, nell’ipotesi che le esportazioni tedesche raggiungano i

10 miliardi di marchi, ossia il doppio del 1920 ……………………………………. 5,8

Eppure, anche questa cifra che è meno di un sesto di quella sbandierata nel fervore della vittoria e poco più della metà di quella fissata a Londra, è da relegare nel dominio delle utopie. Il Keynes adduce a prova della sua tesi molti fatti, di cui ne ricorderò solo due: il primo è che il bilancio in corso dell’impero tedesco, supponendo che 1 marco oro sia uguale a 20 marchi carta – ed una diversa ipotesi ingrosserebbe le cifre da una parte e dall’altra senza mutare la sostanza delle cose – reca un’entrata di 59 miliardi di marchi contro un’uscita di 93,5 miliardi di marchi, non comprese le riparazioni. Poiché queste oscillano, a seconda delle esportazioni, da 70 a 90 miliardi di marchi, è evidente che le entrate dovrebbero essere triplicate per poter far fronte alle spese correnti ed alle riparazioni. È ciò possibile? Il Keynes ne dubita assai ed adduce a conforto del suo dubbio quest’altra considerazione: il reddito medio di ogni tedesco, supponendo, sempre 1 marco oro uguale a 20 marchi carta, non può oggi calcolarsi superiore a 5.000 marchi carta. Il carico delle riparazioni, anche calcolate solo a 70 miliardi di marchi carta, risulta di 1.170 marchi a testa, maschi e femmine, vecchi e bambini compresi. Ove si riesca a ridurre le spese pubbliche da 93 a 60 miliardi all’anno, con uno sforzo difficilissimo a compiersi, sono 1.000 marchi di imposta, oltre ai 1.170 per le riparazioni che ogni tedesco dovrebbe pagare. A lui rimarrebbe un reddito netto di 2.830 marchi carta, qualcosa come 177 lire oro all’anno, aventi probabilmente la potenza d’acquisto che oggi avrebbero in Italia da 1 a 1,50 lire al giorno delle nostre attuali lirette carta. È possibile che per trenta anni di seguito un Paese di 60 milioni di abitanti si assoggetti alla dura esistenza che sarebbe richiesta per vivere con poco più di una delle nostre attuali lire al giorno a testa, allo scopo di potere pagare agli alleati le riparazioni, sia pure ridotte alla cifra fissata nel maggio a Londra?

Siccome la politica dovrebbe fondarsi su realtà e non su chimere, il Keynes propone di adattarsi alla realtà, cancellando in primo luogo dai 132 miliardi di marchi oro (in capitale) fissati dalla commissione delle riparazioni, i 74 miliardi corrispondenti al valore capitale attuale delle pensioni e sussidi dovuti ai superstiti della guerra ed alle loro famiglie. Bisogna cancellarli, sia perché non c’è la lontana probabilità di riscuoterli, sia perché essi sono stati richiesti, se non ingiustamente in senso astratto, in contrasto con la lettera e con lo spirito del patto d’armistizio, in seguito a cui la Germania abbassò le armi, patto che era debito d’onore degli alleati osservare.

I restanti 58 miliardi si debbono, a loro volta, ridurre, secondo il Keynes, a 30 miliardi, poiché gli alleati presentarono conti esagerati del valore dei danni arrecati dai tedeschi e dai loro alleati nelle terre invase. Il punto è disputabile; ma certo le osservazioni fatte dall’autore sulle esagerazione dei valori attribuiti alle case distrutte nella Francia e nel Belgio fanno riflettere. Ai 30 miliardi aggiungendo i 6 miliardi che pacificamente la Germania si è obbligata a pagare al Belgio, in rimborso dei prestiti fatti a questo dagli alleati, giungiamo ad una indennità totale di 36 miliardi di marchi oro. Questa è una cifra che il Keynes dichiara nel tempo stesso giusta e sopportabile dalla Germania; ed egli propone di attribuirne anzitutto 18 miliardi alla Francia e 3 miliardi al Belgio. Il resto, ossia 15 miliardi, andrebbe pro-forma ripartito così: 11 miliardi all’Impero britannico, 2 miliardi agli Stati Uniti, 1 miliardo all’Italia ed 1 miliardo agli altri Paesi riuniti insieme. In realtà, il piano delle indennità tedesche, dovrebbe essere congiunto ad una contemporanea rinuncia alla esazione dei propri crediti da parte almeno dell’Inghilterra e possibilmente dagli Stati Uniti, rinunciando in compenso gli altri Paesi, salvo la Francia ed il Belgio, alle indennità tedesche. Il piano, che il Keynes giudica ora il più vicino alle possibilità si svilupperebbe nel seguente modo:

Francia . – Oggi ha diritto sulla carta a riscuotere dalla Germania da 1,85 a 2,39 miliardi di marchi oro all’anno; ma deve all’Inghilterra ed agli Stati Uniti 1,48 miliardi per il servizio dei prestiti ricevuti. Incasso netto problematico da 0,37 a 0,91 miliardi all’anno. Con la proposta Keynes, la Francia rimarrebbe creditrice di soli 18 miliardi di marchi oro in capitale, equivalenti a 1,08 miliardi all’anno; ed in compenso non dovrebbe più nulla agli Stati Uniti ed alla Inghilterra. Il credito verso la Germania, essendo di tanto più piccolo, sarebbe molto più sicuro; e l’incasso netto sarebbe superiore.

Belgio . – Adesso legalmente ha diritto, ad una cifra incerta tra 280 e 368 milioni. Riceverebbe invece 3 miliardi in capitale, ossia 180 milioni quasi certi all’anno.

Inghilterra . – Oggi ha teoricamente diritto al 22 per cento dei 132 miliardi in capitale, ossia a 29 miliardi. Con le proposte Keynes essa avrebbe diritto ad 11 miliardi, a 10 dei quali dovrebbe senz’altro rinunciare a beneficio della Germania. Il miliardo residuo lo riscuoterebbe, mettendolo però a disposizione dell’Austria e della Polonia, affinché questi Paesi, aiutati molto moderatamente, possano mettere in ordine il loro meccanismo monetario e finanziario. Essa dovrebbe rinunciare altresì a tutti i propri crediti verso la Francia, l’Italia, il Belgio e gli altri Paesi alleati, a condizione che questi rinunciano alle indennità tedesche. Nonostante queste rinunce, l’Inghilterra dovrebbe rimborsare i suoi debiti verso gli Stati Uniti.

Italia. – Questa ha oggi il solito diritto teorico al 10 % delle indennità tedesche, ossia a 13,2 miliardi, più un diritto, ancor più problematico, ad una maggiore proporzione delle indennità austriache e bulgare. Dovrebbe darvi di frego, ricevendo in compenso il condono di 476 milioni di lire sterline di debiti verso l’Inghilterra e l’impossibilità morale per gli Stati Uniti di esigere i propri crediti, oggi valutati a 1.809 milioni di dollari. Anche astrazion fatta di questi ultimi, la cancellazione di un debito di 476 milioni di lire sterline equivale bene ad un credito incerto di 13,2 milioni di marchi oro.

Il congegno poggia tutto, come si vede, sulla buona volontà dell’Inghilterra e degli Stati Uniti di rinunciare ai propri crediti. Il Keynes dice che la buona volontà dell’Inghilterra è sicura; che nessuno dei suoi concittadini considera possibile o pensabile di far pagare gli alleati; ed afferma che, nonostante ogni apparenza in contrario, presto si vedrà che gli Stati Uniti sono della stessa opinione. L’Inghilterra, sopra tutto, ha interesse grandissimo a far bella figura, rinunciando alle indennità tedesche ed ai crediti verso gli alleati e pagando viceversa i suoi debiti verso gli Stati Uniti, perché ha interesse alla pacificazione dell’Europa. Questo risultato, se ottenuto, vale, e al di là, ogni sacrificio pecuniario. Gli altri paesi, Francia, Italia e Belgio, lucrano tutti dalla sistemazione proposta. Alla Germania viene consentito, con un debito ridotto a 18 miliardi verso la Francia e 3 verso il Belgio, di riprendere una nuova vita pacifica nel consorzio delle nazioni europee. Questo il piano del Keynes.

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