Opera Omnia Luigi Einaudi

Il nuovo redimibile

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 29/06/1924

Il nuovo redimibile

«Corriere della Sera», 29 giugno 1924

Cronache economiche e politiche di un trentennio (1893-1925), vol.VII, Einaudi, Torino, 1963, pp. 735-738

 

 

 

Il discorso dell’on. De Stefani, il quale a me, dopo un’attenta lettura, parve il migliore tra quelli da lui pronunciati perché più degli altri ha l’impronta di una resa dei conti fatta in sede di controllo parlamentare, darebbe occasione ad illustrare vari ed interessanti aspetti della vita economica e finanziaria italiana attuale. Su un punto solo, le parole pronunciate dal ministro lasciano esitanti: quelle relative alle previsioni dei disavanzi e del pareggio. La terminologia De Stefani, che era dapprima quella tradizionale, di fronte allo scatenarsi di polemiche vivaci divenne incerta. Oggi, egli non parla più di disavanzo «reale» e di disavanzo «effettivo»; che erano parole stravaganti, ma dal significato antico, preciso e noto. Dopo una breve parentesi, se non ricordo male, di un disavanzo «economico», oggi non si adoperano più aggettivi di nessuna specie. Il disavanzo è puramente «disavanzo»; il pareggio è «pareggio» puro e semplice. Tuttavia, se non aggettivi, ricorrono «incisi» qualificativi. Si parla di un «peggioramento patrimoniale» compensato «adeguatamente» nel corso dell’esercizio 1924-25; di un «pareggio» per il 1925-26 «potenzialmente stabile»; di un pareggio che comprende «un primo fondo per la riduzione del debito fluttuante». Immagino di aver capito quale sia il significato delle qualifiche; ma poiché ognuno è soggetto a fallare in così spinosa materia, mi auguro che in un prossimo fascicolo del conto del tesoro compaia un vocabolarietto di definizioni «autentiche» delle parole disavanzo, avanzo, pareggio; sicché, ricorrendo a quello, tutti gli studiosi della pubblica finanza sappiano orientarsi nel difficile compito di interpretazione. Assai più mi auguro: che nel prossimo gennaio i bilanci, per allora promessi, per l’esercizio 1925-26 siano ricapitolati abbandonando le quattro categorie delle spese ed entrate effettive, movimento di capitali, costruzioni di ferrovie, e partite di giro. Si continui pure ad usare questo metodo, se è necessario, per il controllo interno. Ma al pubblico bilanci e conti siano presentati nella forma ordinaria, che tutti comprendono, di un bilancio o conto di entrate e spese in conto esercizio, bilancio il quale si chiuda con un avanzo o con un disavanzo. Se c’è avanzo, esso sia portato ad un annesso conto del movimento capitale, a diminuzione del totale dei debiti dello stato; se c’è disavanzo, questo aumenti lo stesso totale debiti. Non è questione di sostanza; sibbene di pura forma; che, risoluta una buona volta, permetterebbe a tutti di comprendere ciò che oggi è accessibile solo agli iniziati.

 

 

Il pubblico, nell’esposizione del ministro, si è forse interessato sovratutto all’annuncio riguardante il prestito redimibile 4,75%. Se ne parlava da tempo; e la data del decreto-legge, 28 febbraio 1924, anteriore al giorno in cui il governo dichiarò di non volere più ricorrere ai decreti-legge, prova che le voci corse di un prestito imminente non erano prive di fondamento. Adesso che l’annuncio è ufficiale rallegriamoci che non avessero senso le voci corse di un inammissibile grosso prestito all’estero e che il nuovo titolo nazionale abbia uno scopo altamente lodevole.

 

 

Lo scopo è quello di trasformare i buoni del tesoro ordinari (al 31 maggio 22.466 milioni) e quelli triennali e quinquennali (alla stessa data 3.530 milioni). È una massa di circa 26 miliardi che, a poco a poco, potrà venire trasformata nel nuovo titolo. Quando i buoni giungeranno a scadenza, lo stato preferirà cioè non rinnovarli. Saranno rimborsati, ricavando i mezzi per il rimborso dal nuovo prestito. Naturalmente, i possessori dei buoni potranno darli in pagamento dei titoli del nuovo prestito, con modalità da stabilirsi. Per ora, l’emissione si limiterà a 5 miliardi; ma potrà, ove l’esperimento riesca, essere seguita da altre.

 

 

Perché rimborsare buoni ed emettere un titolo redimibile in 25 anni? La ragione è chiara: i buoni sono pericolosi. In un momento difficile, i portatori potrebbero pretenderne il rimborso; e il governo potrebbe essere costretto a stampar biglietti per far fronte alle domande. Fu detto che il buono è un biglietto in potenza; e, come tale, contribuisce a deprezzare la lira. La loro progressiva conversione in un titolo lungo, che dà respiro al governo, è perciò un passo importante verso quella rivalutazione della lira che il ministro si augura sia «lenta, sistematica, uniforme».

 

 

Poteva dubitarsi se, volendo trasformare i buoni del tesoro, fosse conveniente emettere un titolo nuovo. Perché un redimibile in 25 anni, e non consolidato 4,75? Una ragione fu certamente il desiderio di non ingrossare troppo la massa del consolidato, rendendola poco maneggiabile in caso di futura conversione. Contro il titolo nuovo può addursi che di titoli ne abbiamo fin troppi, di ogni specie, di ogni saggio di interesse, delle più diverse denominazioni e scadenze. Della moltiplicazione dei tipi di titoli di stato non si dirà mai abbastanza male. Giova notare tuttavia che i «nuovi» titoli sono deprecabili quando non abbiano mercato. Le nuove obbligazioni 4,75% avranno un mercato, perché cinque miliardi sono una cifra grossa, che crea il mercato. Ci saranno sempre compratori e venditori, prezzi fatti e quotati. Perché non consentire e facilitare la conversione nel nuovo titolo anche di quei piccoli titoli reietti, i quali vegetano nell’oscurità, che nessuno riesce a vendere e nessuno sa come comprare; eppure sono anch’essi a debito dello stato?

 

 

Un altro appunto si sarebbe potuto fare al nuovo titolo: quello della sua inconvertibilità. È noto che il consolidato 5% può, dopo il 1931, essere convertito. Il che vuol dire che lo stato potrà, allora, dire ai possessori: scegliete fra il rimborso delle vostre 100 lire ovvero la conservazione del titolo a un più mite saggio di interesse: 4,50 o 4%, a seconda delle circostanze monetarie del momento e del credito dello stato.

 

 

Questa facoltà di conversione è talmente preziosa per gli stati, che essi, dopo un periodo di interesse fisso, se la riservano sempre. A primo aspetto, un prestito redimibile non consente facoltà di conversione. Se lo stato si obbliga a pagare il 4,75% per 25 anni ed a rimborsare le obbligazioni per quote annuali con estrazioni a sorte od acquisti in borsa lungo i 25 anni, parrebbe che lo stato dovesse eseguire quel piano di estrazioni alla lettera, rimborsando ogni anno solo il numero di obbligazioni fissato nel piano e pagando, fino all’estrazione, il 4,75%. E se, nel frattempo, lo stato potesse trovare danaro a prestito al 4,50 od al 4 o forse al 3,50%? Dovrebbe seguitare a pagare sempre il 4,75%?

 

 

Il ministro ha risoluto il quesito con l’articolo 2 il quale dice: «L’ammortamento dei titoli potrà anche eccedere annualmente la relativa quota compresa nel piano di ammortamento; nel qual caso i titoli anticipatamente estinti andranno in deduzione delle quote più lontane». Se non interpreto male, non essendovi limite alla eccedenza, questa è la solita clausola della riserva della facoltà di conversione. Ove lo stato possa in avvenire procacciarsi danaro al 4%, esso potrà eccedere la quota d’ammortamento; potrà, ad esempio, rimborsare tutte le obbligazioni ancora in vita, quando i detentori non preferiscano, essi, di lasciare il loro danaro allo stato al 4%. L’eventualità non è prossima; anzi si può ritenere esclusa per qualche anno. Ma la facoltà di rimborsare anticipatamente il capitale, ossia di convertire se i creditori consentono, esiste.

 

 

Forse la ragione principale della scelta di un redimibile od ammortizzabile invece di una rendita consolidata, è il desiderio di estinguere il debito, con piccole rate annue, in 25 anni. È questo un principio morale e prudente. Nessuno stato può rimborsare i debiti in pochi anni; ma bisogna fare ogni sforzo per rimborsarli a poco a poco. Il valore dell’ammortamento non è tanto grande giuridicamente quanto moralmente. Giuridicamente moltissimi stati hanno girato la situazione, ammortizzando regolarmente i vecchi debiti, ma contraendone dei nuovi per cifre uguali o maggiori. Dopo il 1815, due soli grandi stati, Inghilterra e Stati uniti, diminuirono sul serio il totale del loro debito pubblico. Tutti gli altri ammortizzarono taluni debiti, ma imperturbabilmente aumentarono il totale. Auguriamoci che l’Italia emuli d’or innanzi l’Inghilterra e gli Stati uniti. L’emissione di un prestito ammortizzabile è un imperativo categorico in tal senso. È un ordine di sforzarci a conseguire il pareggio, pur provvedendo ad ammortizzare il debito. La volontà di fare può essere e dovrà essere la genitrice del fatto.

 

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