Opera Omnia Luigi Einaudi

Il paese salvato dal risparmio

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 16/04/1946

Il paese salvato dal risparmio

«La Libertà», 16 aprile 1946

 

 

 

Una delle tabelle più interessanti costruite dall’Ufficio Studi della Banca d’Italia per approntarmi il materiale necessario alla relazione annuale è quella intitolata: «Dimostrazione del ricorso del Tesoro al mercato monetario». Ne estraggo alcune cifre:

 

 

  1. Eccedenza dei pagamenti sugli incassi effettivi

 

  1. Incremento nella circolazione dei biglietti della Banca d’Italia

 

  1. Rapporto fra la colonna 1 e quella 2

 

 

 

1

2

3

 

(in miliardi di lire)

%

1939-40

20.3

7.7

38

1940-41

62.2

8.5

13

1941-42

73.7

19.3

26

1942-43

83.7

36.4

43

1943-44 e 1944-45

390.9

197.2

50

 

 

630.8

269,1

43

 

luglio-sett. 1945

35.1

-5.4

 

 

La circolazione di cui si parla è quella soltanto della Banca d’Italia, escluse le am-lire, escluse perché spese dagli Alleati e non dal Tesoro italiano.

 

 

Nei due esercizi 1943-44 e 1944-45 e questi due esercizi sono riuniti, perché data la divisione dell’Italia in due tronconi, continuamente semoventi, l’un bilancio si incastrò di fatto nell’altro – lo Stato italiano nell’insieme dei due Governi, legittimo e neo-fascista, spese 390.9 miliardi di lire in più di quelli incassati a titolo di imposte e tasse. Come se li procurò? Le cifre dette sopra ci dicono che i mezzi furono due: per il 50% funzionò il torchio dei biglietti e per il 50% il ricorso al mercato: buoni del Tesoro, depositi di banche presso il Tesoro e presso la Banca d’Italia, buoni del Tesoro pluriennali, tutti mezzi questi forniti dal risparmio e dalle giacenze di cassa del Paese. Nell’insieme dei sei anni dalla guerra europea e italiana il disavanzo fu di 630.8 miliardi, di cui 269.1 coperti con il torchio dei biglietti, in media il 43%.

 

 

La prima impressione è che poteva andar peggio. Se lo Stato, nei suoi tronconi, avesse dovuto, per far fronte al suo fabbisogno, ricorrere soltanto ai biglietti, sarebbe stato il diluvio universale cartaceo. I prezzi, invece di moltiplicarsi in media per 20-25 in confronto al 1938, si sarebbero moltiplicati per 50 o 60; e il crescere vertiginoso dei prezzi avrebbe cresciuto a sua volta le spese pubbliche, sicché il disavanzo non si sarebbe limitato a 631 miliardi, ma si sarebbe spinto a 1000, a 2000 e chissà fin dove. Sarebbe stato il finimondo e forse la lira avrebbe fatto la mala fine. Chi ci salvò fu il risparmio del Paese. Consapevolmente o inconsapevolmente, recando i proprii risparmi alle banche e alle casse di risparmio, le quali lo riversavano in massima parte alla Banca d’Italia, la quale a sua volta lo trasmetteva al Tesoro – e tutto ciò accadeva fatalmente, perché banche e casse non potevano pagare interessi ai depositanti se non impiegavano i depositi presso l’unico cliente, che in tutti i paesi del mondo in tempo di guerra è lo Stato – i risparmiatori salvarono il Paese dall’estrema rovina. Anche quando al nord versarono i risparmi alla banda neo-fascista evitarono il peggio, che sarebbe stato un aumento ancor maggiore della circolazione dei biglietti.

 

 

Se i versamenti al Tesoro per acquisto di buoni o in conto corrente fossero stati tutto risparmio nuovo, il discorso potrebbe finir qui. Il risparmio, una volta dato allo Stato, non viene per lo più chiesto in rimborso. Sarà forse, se era depositato in conto corrente, mutato in buoni o in titoli di prestito; ma resta acquisito allo Stato.

 

 

È improbabile però che gli italiani potessero nei sei anni di guerra risparmiar tanto da dare al Tesoro 361.7 miliardi (differenza fra 630.8 disavanzo e 269.1 emissione di biglietti), ossia 60 miliardi all’anno di vero risparmio. Se si pensa che non tutto il risparmio nazionale fu dato al Tesoro, che non pochi risparmiatori lo impiegarono direttamente, dobbiamo concludere che allo Stato dovette essere dato qualcos’altro oltre al risparmio nuovo propriamente detto. Questo qualcos’altro sono le giacenze di cassa. Un industriale, un commerciante, vendendo merci, incassa biglietti. Normalmente ritorna a spenderli per rifornirsi di combustibili, di materie prime, di macchinari, per pagare operai, ecc. ecc. Durante la guerra, molti non poterono rifornirsi e rimasero con un mucchio di denaro, che non era risparmio nuovo, ma semplice giacenza momentanea di cassa. Cosa farne se non depositarla presso la banca? di dove essa trovò la sua via sino al Tesoro.

 

 

Ne chiederanno i possessori il rimborso a mano a mano che l’attività riprenda ed essi possano nuovamente rifornirsi all’interno o all’estero? Probabilmente si. Tuttavia, non pare che il Tesoro si sia trovato sinora imbarazzato per questa ragione. È evidente che il deflusso dal Tesoro alle banche e dalle banche ai depositanti a causa del rimborso delle giacenze di cassa è stato sinora più che compensato dall’afflusso del nuovo risparmio dai risparmiatori alle banche e dalle banche al Tesoro. Migliaia e decine di migliaia di partite si incrociano nei due sensi; ma il risultato complessivo è che il risparmio nuovo è sinora bastato e al di là per compensare i ritiri di giacenze da parte degli industriali. Anzi, fa d’uopo osservare che il Tesoro oggi è al largo e non chiede più aiuto al torchio dei biglietti. Nel trimestre luglio-settembre 1945, primo dell’esercizio finanziario in corso, nonostante che il Tesoro abbia dovuto far fronte a un disavanzo (differenza tra i pagamenti e gli incassi effettivi) di 35.1 miliardi, esso ha potuto restituire alla Banca d’Italia 5.4 miliardi di biglietti; e tutto fa credere che anche nei sei mesi successivi la circolazione dei biglietti della Banca sia stata tenuta a freno. Auguriamoci che, come durante la guerra il risparmio italiano salvò il Paese dalle convulsioni spaventose che sarebbero state la conseguenza dell’annullamento della lira, così possa continuare ad assisterlo sulla faticosa via della ricostruzione. È un grande servizio al Paese che le giacenze di cassa rendono col frutto del 0.50% e renderebbero anche se il frutto fosse ridotto al zero per cento; e che il risparmio rende a saggi di frutto variabili dall’1 al 2 per cento. Il frutto del risparmio è caduto, a parer mio, al disotto dell’onesto, ossia del saggio «naturale» del mercato; ma certo è che il servizio chiesto ai risparmiatori continua a essere più che mai necessario e benefico.

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