Opera Omnia Luigi Einaudi

Il pareggio raggiunto

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 01/04/1924

Il pareggio raggiunto

«Corriere della Sera», 1 aprile 1924

Cronache economiche e politiche di un trentennio (1893-1925), vol.VII, Einaudi, Torino, 1963, pp. 652-655

 

 

 

Il secondo discorso, denso di fatti e di cifre, tenuto dall’on. De Stefani alla Scala di Milano, si riassume per il pubblico italiano e straniero, nel glorioso annuncio del pareggio conquistato. L’annuncio era atteso da gran tempo da coloro che scrutavano di mese in mese i conti del tesoro e non si attentavano a rendere pubblica la convinzione attinta dallo studio dell’andamento della categoria delle entrate e spese effettive, e temevano, non che le loro convinzioni fossero troppo ottimiste, ma che a dar pubblicità al fatto avvenuto del pareggio contrastassero ragioni, interne ed estere, di prudenza, delle quali soli giudici dovevano rimanere i reggitori responsabili della cosa pubblica. Or che l’annuncio è stato dato, fa d’uopo ritenere che lo stato si ritenga abbastanza resistente da tenere a segno le forze le quali tendono a crescere le spese pubbliche ed a mettere nuovamente in pericolo il raggiunto pareggio. «Coloro cui è affidato il governo delle entrate e delle spese – ammonisce il ministro – hanno il compito di proteggerle contro le illusioni di possibili larghezze, contro le troppo frettolose impazienze dei contribuenti, contro la tattica astuta dei parassiti del tesoro, contro ogni particolare benché seducente disegno». Giustissimo; e si deve avere la certezza che il ministero saprà difendere il pareggio da queste minacce, e da un’altra ben maggiore che lo insidia: cioè dal pagamento dei debiti interalleati, pagamento che ci ripiomberebbe in un deficit spaventoso, pagamento anzi impossibile oltre il limite delle riparazioni in contanti, che potremo percepire.

 

 

L’annuncio non poteva essere dato senza ricordare i modi con cui si giunse al pareggio e il programma per l’avvenire che la raggiunta meta consente al governo di proporre a sé ed alla nazione.

 

 

Ripetute, disperate dichiarazioni di ministri e di pubblicisti d’antico regime, di cui l’on. De Stefani ricorda d’aver compilato una raccolta «per i dilettanti di storia e di psicologia politica» consentono a lui di rivendicare al nuovo regime il merito esclusivo della conquista dell’ardua vetta. Innanzi all’ottobre 1922 i controllori parlamentari della pubblica spesa stimavano il disavanzo del 1922-23 in 5 miliardi e lo reputavano permanente; e si stimavano variamente, da 8 a 13 miliardi i nuovi debiti da contrarsi nello stesso esercizio: vera marcia verso il fallimento, come dichiarava l’on. Giolitti. E quella mentalità disperante degli uomini di antico regime sopravvive ancora oggi e ancora nei pochi accenni finanziari contenuti nei discorsi d’opposizione della presente campagna elettorale si parla di un disavanzo di 3 miliardi per l’esercizio in corso. La persuasione dell’ineluttabilità e dell’immensità del disavanzo è fattore potentissimo di disavanzo; poiché scoraggia dal tentare le vie della salvezza, toglie vigore nel resistere alle richieste di nuove spese. Quando la marea monta, a che vale opporre fragili dighe di mal connesse pietre?

 

 

Il merito maggiore dell’on. De Stefani e di chi lo chiamò e lo serbò a posto di così grande responsabilità, contro le faziose grida dei «parassiti del tesoro», sta nella decisione fermamente mantenuta di non disperare. Son dovuti a questa volontà il riordinamento delle imprese industriali statali, il controllo contabile strettissimo sulle spese pubbliche, l’eliminazione degli impiegati superflui.

 

 

L’on. De Stefani che ha compiuto queste che sono grandi cose, è troppo severo scienziato per non rendere omaggio – pur affermando il netto contrasto verbale tra i due regimi – al principio della continuità della storia. Egli ricorda invero che l’aumento dell’indebitamento «interno» dello stato, il quale, meglio di ogni altra cifra dà una vera idea del disavanzo, era già disceso da 11.864 milioni nel 1920-21 a 6.283 milioni nel 1921-22 ed a 2.265 nel 1922-23, ultimo esercizio predisposto dal suoi predecessori. Si marciava a gran passi, si potrebbe dire capovolgendo la citata militare frase dell’on. Giolitti, verso il pareggio; ed i primi 8 mesi dell’esercizio 1923-24, di cui la responsabilità spetta tutta all’attuale ministro, coi loro scarsi 206 milioni di nuovo indebitamento, sono la gloriosa prosecuzione della via, forse inconsapevolmente segnata da coloro che temevano di affogare sotto il peso di fantastici ed immaginari residui passivi. Il fantasma si va dileguando, ma ancor annebbia la vista, se è vero che i pessimisti di oggi possono attingere argomenti da «situazioni di bilancio» in cui, appena un mese prima del secondo discorso alla Scala, ancora si favoleggia di disavanzi di 8.321 milioni e si iscrivono immaginarie accensioni di debiti per 2.001 milioni di lire nei soli sette mesi dall’1 luglio al 31 gennaio dell’esercizio in corso. Se il presente è figlio del passato anche in queste aberrazioni contabili, lo è ancor più e fortunatamente nella realtà consolante dell’aumento delle entrate tributarie, di cui l’on. De Stefani a ragione esalta il crescere della parte permanente. Il gran salto si fece dal 1919-20 al 1920-21, quando le imposte dirette passavano d’un colpo da 2.333 a 3.994 milioni, per arrivare nel 1923-24 a 4.433 milioni di lire e le entrate tributarie in genere passavano da 7.522 a 11.736 milioni di lire, per toccare i 14.207 milioni nel 192.223. Forse erano mutati gli uomini che di fatto reggevano, al disotto dei ministri troppo fuggevoli, la amministrazione finanziaria e si iniziava quell’opera di trasformazione degli espedienti di guerra in strumenti permanenti di pace che è merito del ministro attuale di avere grandemente rafforzato.

 

 

Sul programma finanziario per l’avvenire, l’on. De Stefani è stato assai parco. Non mi indugierò sulla concreta promessa, già preannunciata dall’on. Serpieri, fatta ai proprietari agricoli di non aumentare il carico delle imposte gravanti sulla terra. Tra le richieste delle diverse confederazioni dell’agricoltura, dell’industria e del commercio, egli ha dato le sue preferenze alla terra. A ragione, se si fa il paragone solo tra esse; ma non si sono dimenticate forse così le sofferenze maggiori delle classi non organizzate, che pagano in silenzio?

 

 

Di ben maggiore importanza, per l’avvenire, è l’annuncio dato di volere diminuire la circolazione bancaria per conto dello stato e di voler procedere ad un graduale rimborso dei debiti brevi in buoni del tesoro ordinari, triennali e quinquennali. Questo è, oggi, il vero problema vitale per la conservazione del pareggio. Tutto ciò che può essere fatto per distruggere la circolazione latente, ossia la possibilità che la quantità dei biglietti circolanti aumenti, deve farsi. Ho l’impressione che il disaggio della nostra moneta dipenda per una parte imprecisabile ma non spregevole, dalla massa troppo grande dei buoni brevi che, in un momento di crisi, potrebbero trasformarsi in biglietti. Questo disaggio, che si potrebbe chiamare di timore del peggio o di rischio dell’incertezza, deve essere fatto scomparire. Ne risentiranno vantaggio i consumatori in genere e i redditi fissi in specie, senza nocumento per la finanza statale. Non mi pare che l’on. De Stefani intenda di andare più in là; ossia intraprendere una politica vera e propria di riduzione della circolazione. Sarebbe necessario in tal caso un piano preciso di campagna per fronteggiare la inevitabile riduzione delle entrate tributarie. Poiché invece si prevedono aumenti, fa d’uopo concludere che non si voglia mutare a fondo l’attuale rapporto della lira con l’oro e più con le merci. Forse questa è, oggi, la soluzione più prudente. Certo è che pareggio, entrate, spese, programma di rimborso del debito pubblico sono parole di significato incertissimo, sinché non esista un programma concreto di politica monetaria.

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