Opera Omnia Luigi Einaudi

Il peccato originale e la teoria della classe eletta in Federico Le Play

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 01/01/1936

«Rivista di storia economica», I, 1936, pp. 85-118

1. – Federico Le Play scienziato ha avuto la disgrazia di cadere in mano di due qualità di specialisti: gli statistici ed i riformatori sociali. Colpa di lui, che tanto insisté sul «metodo» da far credere che quello fosse la sostanza del suo pensiero e tanto predicò contro gli art. 826 e 832 del codice civile napoleonico da diventare il capo riconosciuto di tutta la brava gente la quale reputa essere la libertà testamentaria una delle riforme od addirittura “la” riforma essenziale per la soluzione dei massimi problemi sociali. Considero perciò disgraziata la sorte del Le Play, sebbene io tenga in assai conto il metodo del bilancio di famiglia che va col suo nome e non sia favorevole alla disponibile di appena un quarto dell’asse ereditario ed alla divisione forzosa degli immobili fra i coeredi volute dal codice napoleonico.

2. – Su tutti i due punti approvo pienamente i suoi insegnamenti. Togliere ai genitori il diritto di disporre, come essi credono meglio, della propria fortuna, premiando i figli buoni e laboriosi e punendo gli scioperati e sconoscenti od almeno rinviando alla generazione seguente di nipoti il godimento della quota che sarebbe spettata al figlio reprobo; peggio, negare al genitore il diritto di assegnare in natura i propri beni, specie la casa e i fondi aviti, è causa di dissoluzione famigliare. Quasi sempre i genitori non hanno ragione di fare e non fanno parzialità tra i figli e preferiscono lasciare a questi la cura di spartirsi amichevolmente i beni ereditati; ma in quella rarissima occasione nella quale essi reputano doveroso dar la preferenza all’uno sugli altri od assegnare in natura i proprii beni, essi devono potere assolvere la propria missione. Napoleone ed i suoi consiglieri non vollero, perché ad essi premeva distruggere le vecchie classi dirigenti e perciò frantumare la proprietà terriera. Ma Le Play ricorda che, quando volle ricostruire una nuova classe dirigente, Napoleone ricreò i maggioraschi. In Italia, la questione non è viva, perché essendo[1] la disponibile uguale alla metà dell’asse ereditario, è consentita ai genitori una libertà di azione bastevolmente grande, mentre al tempo stesso si difendono i figli contro ingiuste antipatie dei genitori; né è vietato a questi di assegnare, osservata la regola della legittima, i singoli beni cadenti in successione a questo od a quel figlio. Le Play lodava la legislazione ereditaria vigente in Savoia, che era quella piemontese, divenuta poi italiana; ed al legislatore italiano probabilmente non avrebbe chiesto nulla. Ma sarebbe stato il primo a protestare contro quella riduzione al minimo della sua dottrina, la quale farebbe credere a chi legge i sunti correnti nei manuali di storia delle dottrine economiche che il suo nome possa identificarsi unicamente con le consuete critiche alla polverizzazione della proprietà e con le proposte in favore di beni di famiglia, del diritto del testatore, della conservazione legislativa delle famiglie-ceppo ecc. ecc. Le Play pregiava le leggi buone; ma soprattutto esaltava le buone tradizioni, le sane usanze, le consuetudini stabili; ed a lui sarebbe bastato, in fatto di leggi, che queste non distruggessero tradizioni usanze consuetudini buone sane e stabili. Il vero problema che egli studiò fu l’origine delle tradizioni usanze consuetudini buone e stabili e le cause del prevalere di quelle contrarie; ed in questo studio sta il suo vero apporto alla costruzione della scienza sociale.

3. – Sono anche ammiratore del “metodo” inventato dal Le Play dei bilanci di famiglia. Tanto lo ammiro che da più di un quarto di secolo mia moglie ed io compiliamo[2] – a parlar propriamente mia moglie compila ogni anno il conto consuntivo della spesa e forse io potrò da sparsi taccuini ricostruire quello delle entrate – un bilancio della nostra famiglia secondo il preciso schema Le Play, alquanto differenziato nella sezione quarta (sezione prima: nutrimento; seconda: abitazione; terza: vestiti) delle spese relative ai bisogni morali, alle ricreazioni ed alla salute. Poiché i bilanci Le Play sono minutissimi ed ogni cosa acquistata deve essere indicata per specie e non per categoria, con le quantità in peso o volume o numero, i prezzi unitari e gli importi complessivi, così, se un giorno a noi due verrà in mente e potremo utilizzare quel materiale, forse ne verrà fuori un non inutile contributo alla storia del modo di vivere di una famiglia del medio ceto italiano nel tempo corso dal primo decennio del secolo all’anno in cui il ciclo sarà chiuso. Questa possibilità di ricordare attraverso le cifre dei bilanci famigliari le nostre piccole vicende intime la debbo al Le Play; e poiché non tengo diarii, quella filza di quaderni è in pratica il solo ricordo delle cose compiute quotidianamente che noi potremo trasmettere ai nostri figli. I quali lo dovranno perciò all’insegnamento del Le Play.

4. – Detto ciò per attestare a lui la mia riconoscenza ed ai lettori la mia opinione che il suo modello di bilancio di famiglia sia superiore a quanti furono dappoi proposti, debbo aggiungere che gli statistici, col fare rientrare il bilancio di famiglia Le Play entro lo schema dei metodi statistici gli hanno reso un pessimo servizio. Il suo discepolo Cheysson volle nel 1890 collocare, l’uno accanto all’altro, 100 bilanci di Le Play e della sua scuola ( Les budgets comparés des cent monographies de familles publiés d’aprés un cadre uniforme dans “Les ouvriers européens” et “Les ouvriers des deux mondes” avec une introduction par E. Cheysson, en collaboration avec M. Alfred Toqué, in «Bulletin de l’Institut international de statistique», tome V 1er livr., pagg. 1-157), contentandosi saggiamente di pubblicare i valori assoluti e percentuali di ogni bilancio in sé considerato, senza tentare somme e medie. Naturalmente, gli statistici cominciarono a dire che quello era un materiale infido, ché si trattava di numeri troppo piccoli; che non vi era omogeneità di tempo e di luogo; che i dati medesimi erano soggetti a dubbio per la esattezza dei pesi e dei valori sino al centesimo. Di fronte a contadini diffidenti per istinto, come pretendeva Le Play di apprezzare per filo e per segno fatti che nemmeno gli interessati solitamente conoscono? Non dunque osservazioni di fatti veri, anche se pochi; ma ricostruzioni arbitrarie di un osservatore, sia pure acutissimo e genialissimo. Quindi materiale inutilizzabile col metodo statistico, il quale suppone fenomeni di massa, osservati in grande numero, con procedimenti uniformi e con certezza di rilevazione.

Credo anch’io che il metodo Le Play sia inutilizzabile dal punto di vista statistico. Aggiungo che non è affatto uno sminuire il valore dei bilanci di famiglia, quali sono oggi compilati dagli uffici di statistica, sulla base di questionari distribuiti o di inchieste eseguite fra migliaia di famiglie, il dire che i bilanci Le Play sono e devono rimanere (i suoi e quelli riveduti da lui) un’altra cosa. Essi sono un documento storico, dunque non statistico. Non contengono osservazioni su masse, sibbene su individui singoli. Anche nell’ipotesi estrema, chiaramente esageratissima, che neppure uno dei bilanci Le Play fotografi la realtà esatta del bilancio di quella data famiglia nel luogo e nel periodo di tempo dichiarato, ed i dati di essi debbano perciò essere dichiarati inservibili ai fini della indagine statistica, non ne sarebbe affatto sminuito il valore storico. Storia è ricostruzione di fatti individui, compiuta da chi vede gli avvenimenti col “suo” occhio, sceglie con la “sua” logica i fatti da narrare in mezzo agli altri innumerevoli fatti a lui indifferenti, e li colora secondo la visione delle cose umane che è “sua”. Lo statistico non ha diritto di scelta fra i 100 od i 1000 bilanci di famiglia a lui offerti entro i limiti del gruppo che egli deve studiare. Può essere, dalla limitazione dei mezzi e del tempo, costretto a studiare solo 10 su 100 o su 1000 bilanci; ma la scelta deve essere fatta quanto più egli possa, a caso, senza uso del suo arbitrio o di un giudizio da lui preordinato. Può, nella scelta, essere guidato dalla opportunità di tener conto di quei bilanci, i quali mettono in luce certe caratteristiche: ad es. esercizio di un dato mestiere, numero dei figli, possesso della casa ecc., ecc.; ma i casi in cui quella caratteristica esiste non possono essere oggetto, entro i limiti in cui l’indagine è tecnicamente e finanziariamente possibile, di scelta arbitraria da parte sua.

Invece lo storico sceglie secondo l’arbitrio suo. Fra le tante famiglie, osserva quella che a lui sembra la più rappresentativa o tipica. Perché a lui sembri tale, forse neppure egli è in grado di dire. Un’impressione, una sentenza, un modo di vivere, l’opinione di persone stimabili del luogo hanno contribuito alla scelta. Allo storico può accadere altresì di combinare insieme le osservazioni relative a due o tre famiglie in un quadro che a lui sembri veramente tipico. Celeberrimi dipinti di grandi maestri non sono forse un’astrazione? Eppure essi fanno rivivere un’epoca meglio di fotografie fedelissime. Le Play immaginava di fare opera di statistico ed invece scrisse storie. Le sue monografie russe dipingono i rapporti sociali fra grandi proprietari e contadini, carbonai, pastori, del tempo della servitù della gleba (1844 e 1853) meglio di tanti dotti volumi accademici e di tanti celebri romanzi; la figura del mezzadro della vecchia Castiglia (1840-47) balza viva sullo sfondo di una società nella quale il grande di Spagna è assai più vicino al lavoratore di quanto non si possa dedurre dai racconti di maniera di guerriglie sociali. L’antica Francia prima della rivoluzione è stata da lui fotografata nel 1856 nella monografia sul contadino a famiglia-ceppo del Lavedan nel Bearn. Sainte-Beuve e Taine, quali avevano una qualche dimestichezza con le fonti storiche, facevano gran conto di Le Play. Egli aveva l’occhio dello storico.

5. – La differenza fra gli storici dicasi storici dell’economia, poiché qui si discorre di cose economiche, ma il discorso vale per tutte le specie di storici – i quali scrivono libri, che leggendoli si sente che sono falsi dalla prima all’ultima parola, nonostante narrino o raccontino fatti tutti veri e storici i quali danno una visione vera del tempo investigato, nonostante raccolgano solo alcuni fatti, scelti ad arbitrio, essendo dunque tutta posta nell’occhio, dobbiamo chiederci: quale era la specie di occhio posseduto da Le Play?

Tanti anni fa, ad occasione di certi miei studi di economia mineraria (1900), mi accadde di far passare la raccolta degli Annales des mines del secolo scorso; e vidi allora per la prima volta la firma di Federico Le Play in calce ad informatissimi studi di arte ed economia mineraria. Suppongo che nessuno legga più quegli studi, i quali all’ingegnere moderno probabilmente non dicono nulla che sia oggi praticamente utilizzabile. A me, che cercavo e cercherei ancora legami fra prezzo e costi di produzione, fra salari e interessi e profitti di intrapresa, e variazione di questi legami nel tempo, di quegli studi di Le Play rimase il ricordo come di capolavori. Le Play era maestro nell’arte dell’ingegnere; maestro compiuto, epperciò, senza che egli ne fosse consapevole, maestro nell’arte economica. Come economista teorico, egli era e più si reputava un eretico. Non aveva simpatia per gli economisti e, quando poteva, parlava svantaggiosamente di Adamo Smith e degli economisti liberali, ai quali oltreché agli enciclopedisti ed agli utilitaristi del secolo XVIII, imputava la responsabilità dei mali della società moderna. Ciò gli accadeva, perché non aveva penetrato lo spirito della scienza economica, la quale non è liberale né socialistica, né altra cosa, ma è scienza di costi e di prezzi, di scelte tra mezzi limitati per raggiungere i fini voluti dagli uomini; ma forzato dall’arte sua di ingegnere, in cui era sommo, giungeva, nello studio dei problemi concreti, alle conclusioni medesime degli economisti, attraverso il medesimo metodo, e colle stesse forme di ragionamento. Chi legga la sua monografia sul calmiere del pane (cfr. sotto n. 13) e quella sulla lotta fra legna e carbone (cfr. n. 11) non può fare a meno di collocarlo, nonostante le sue proteste, nella schiera degli economisti classici.

L’abito mentale dell’ingegnere, il quale si pone il problema tecnico, in quanto esso aiuti a conseguire un fine di minimo costo, entro lo schema della massima convenienza economica, lo portava dunque a vedere la realtà. Voleva vederla attraverso la meditazione teorica; ma non scompagnava questa dalla osservazione. Ripetutamente egli insiste sul vantaggio tratto, anche in indagini tecniche, dalla osservazione del modo tenuto nel lavorare dai pratici artigiani, minatori e fonditori. Ascriveva allo studio dell’arte praticata per tradizione almeno tanta importanza come allo studio dei libri; epperciò fino all’ultimo rimase scettico intorno alla utilità delle scuole professionali ed a queste preferì il tirocinio cominciato in età giovanile nelle officine.

6. – Fin qui avremmo avuto soltanto un Le Play eminente scrittore di monografie industriali, emulo e probabilmente maggiore del nostro Giulio, di cui altra volta tentai tracciare il ritratto (in La riforma sociale, gennaio/febbraio 1935 e, in questo volume, pagg. 203-212). L’indagatore tecnico economico divenne il costruttore di una teoria del mondo sociale per circostanze accidentali. Nei suoi libri (O. E. L., 17-34) si legge il racconto delle prime osservazioni fatte da giovinetto in libere corse sulla riva della Senna vicino ad Honfleur, in compagnia di pescatori e contadini, dell’influenza esercitata da amici di famiglia che gli facevano rivivere gli uomini dell’antico regime, dai negatori razionalisti, che avevano fatto la rivoluzione, ai tradizionalisti, i quali avevano fatto la forza della vecchia Francia. Un infortunio gravissimo di laboratorio (inverno 1829/830), che lo costringe per 18 mesi all’inazione ed alla meditazione, pone dinanzi alla sua mente il problema del perché della vita e dei fini di essa (O. E. L., 40). Da quel momento comincia una nuova fase nella sua attività intellettuale. I lunghi viaggi intrapresi grazie, dapprima, alle conseguite borse di studio e poscia ad incarichi dei governi del suo paese e forestieri lo portano a percorrere, spesso a piedi, quasi tutta l’Europa fino agli Urali, alla Scandinavia ed alle Sierre spagnuole. L’ufficio di studio e di riorganizzazione di grandi imprese minerarie è per lui occasione a studiare l’uomo che in quelle imprese lavora. Egli si chiede: perché l’uomo, ed egli intende l’uomo del popolo, il contadino, l’operaio, il minatore, il fonditore, è contento o malcontento? Perché vuole uscire dal suo stato o rimanervi? Perché una società è prospera e stabile ed un’altra èinstabile o disorganizzata o corrotta?

7. – In apparenza, il problema di Le Play è quello del predicatore, dell’evangelista, del profeta, il quale intende combattere il male e propugnare il bene; ed in verità a tal fine di bene egli ha fondato società, unioni per la pace sociale, raggruppato intorno a sé uomini ansiosi di fare il bene sociale. Ma la sostanza profonda è diversa. Il suo problema era puramente scientifico: cercare le leggi delle uniformità sociali. Egli intese a risolverlo con strumenti rigorosamente scientifici. Se guardiamo sotto e dentro la veste esteriore, la quale fa sorridere lo studioso abituato al linguaggio degli economisti professionali[3], Le Play (11 aprile 1806/5 aprile 1882) appartiene alla schiera dei grandi scrittori del secolo XIX che hanno ficcato lo sguardo in fondo alle ragioni di vita delle società politiche, i quali si chiamano – sia lecito citare anche, insieme con i teorici, i nomi di taluni grandi giornalisti – Burke, Mallet du Pan, De Maistre, Gentz, Tocqueville, Taine, Mosca, Pareto. Quest’ultimo si inquieterebbe a vedersi messo insieme con uomini i quali profetizzavano, evangelizzavano o combattevano; ma la verità comanda di guardar sotto alle formule religiose o politiche la sostanza scientifica. Con maggiore o minore vigoria e consapevolezza, gli scrittori ora citati reagiscono tutti contro l’idea che gli uomini siano guidati nell’agire dalla ragione ragionante, e che una società viva possa essere creata dal raziocinio. Si chiami istinto, o caso, o tradizione o classe e formula politica o elite e residuo, esistono forze potenti, talvolta misteriose le quali spiegano la grandezza e la decadenza, la permanenza e il disfacimento delle società. Che Le Play distingua le popolazioni (società) in «modèles» o «soumises à la tradition, stables, ebranlée et désorganisées», che egli, per riconoscerle ed analizzarle, si giovi dello strumento “bilancio di famiglia” in fondo non ha alcuna importanza decisiva per caratterizzare la sua visione del mondo; per definire la ricostruzione che questo singolare ingegnere, economista per intuito spontaneo e scrittore politico autodidatta, compie delle ragioni di variazione delle società umane.

La sua “scuola” in fondo è morta; e solo la devozione di pochi discepoli ne serba viva la scintilla. Dalla guerra in poi non si sono più pubblicati bilanci di famiglia nella grande collezione da lui iniziata. Dalle riforme inspirate al principio della libertà testamentaria (aumento della disponibile, assegnazione in natura dei beni ereditari, criteri restrittivi per la constatazione della lesione enorme, diritto di pagare saldi in denaro nelle divisioni ereditarie, riduzione delle imposte di successione nella cerchia famigliare), al dovere di patronato dei datori di lavoro verso gli operai, alla diffusione della proprietà della casa, al riposo domenicale, alla difesa delle autonomie regionali o locali, il mezzo secolo trascorso dopo la morte di Le Play ha eliminato quel che in esse era di caduco ed ha fatto diventare le altre patrimonio comune di grandi correnti dell’opinione pubblica o scopo dell’azione dei legislatori e degli uomini di governo. Resta la sua dottrina; viva per quel che essa ha fornito alla costruzione sempre incompiuta della scienza che egli chiamava sociale ed in lingua italiana meglio si dice politica. Nella schiera illustre sopra ricordata sarebbe ingiusto tacere il nome di Le Play.

8. – Una delle fatiche sue più singolari fu il “vocabolario sociale”, nel quale egli volle definire con precisione le trecento parole costitutive del linguaggio proprio della scienza sociale (cfr. qui sotto n. 2; O. E. I., 441-49). Il profeta, l’apostolo usa un linguaggio mistico, atto a colpire sentimento ed immaginazione. Le Play vuol costruire una scienza e comincia col definire le parole usate. Il succo della dottrina è dato da quelle parole con le quali egli fissò i connotati dei ceti dirigenti della società. Quel che altri chiamò poi “classe politica”, od “élite”, egli disse “autorités naturelles”; e sono «coloro il cui potere deriva nella vita privata dalla natura degli uomini e delle cose». Essi sono «nella famiglia, il padre; nell’opificio, il principale; nella vicinanza, il saggio designato dall’affezione e dall’interesse della popolazione». È dunque fornito di autorità naturale ed, elevandosi sovra gli altri, li dirige e comanda, astrazion fatta dall’ordinamento legale del paese, colui il quale a comandare è designato dal sangue, dalla posizione sociale e dalla sapienza del consiglio. L’autorità derivata dall’essere riconosciuto atto a dar consiglio altrui è la più alta e Le Play la chiama autorità sociale. Ne sono rivestiti «coloro i quali sono divenuti, grazie alla loro virtù, i modelli della vita privata, i quali dimostrano una forte tendenza verso il bene, presso tutte le razze, in tutte le condizioni e in tutti i regimi sociali; e, coll’esempio della loro famiglia e del loro opificio, con la scrupolosa pratica del decalogo e delle consuetudini della pace sociale, acquistano l’affetto ed il rispetto di tutti coloro che li circondano e così fanno regnare il benessere e la pace nel vicinato». Chi di noi non ha conosciuto qualcuno di questi uomini? Spesso non hanno alcuna carica ufficiale, non furono mai ministri, né senatori, né deputati; non brigarono cariche di sindaci, consiglieri, non ebbero offerte o non accettarono quelle di podestà o fiduciari politici o sindacali. Furono talvolta conciliatori; poiché il loro ufficio naturale è di star seduti sotto l’albero del villaggio a comporre liti, ammonire i malcreati e dar consiglio ascoltato agli umili. Essi sono dappiù dei potenti della terra, ché i potenti passano e la parola del saggio rimane. Non conosce il suo mestiere l’inquirente sociale il quale, giunto in un villaggio, non cerca, attraverso la voce spontanea del popolo, l’uomo saggio, il notabile, ricco o mediocre di fortuna, al quale gli abitanti si volgono per consiglio. Le autorità legali gli parleranno di gravezza di imposte, di desideri di aiuti o di interventi governativi, di iniziative a prò della economia locale. L’uomo saggio non dirà nulla di ciò, poiché nel villaggio a ciò nessuno pensa; ma informerà sui costumi, sui vecchi, sui bambini, sulle famiglie e sulle ragioni eterne della loro prosperità o decadenza.

Le Play si compiaceva a trarre da Platone (Le leggi, lib. XII) la definizione degli uomini che sono guida ai popoli: «Si trovano sempre, mescolati nella folla, uomini divini, in verità poco numerosi, di cui il commercio ha pregio inestimabile, i quali non nascono più frequenti negli stati civili che negli altri. I cittadini, i quali vivono sotto un buon governo, devono andare alla cerca di questi uomini, i quali hanno saputo serbarsi puri da corruzione; debbono cercarli per terra e per mare, in parte per rafforzare quel che v’é di saggio nelle leggi del loro paese, ed in parte per correggere quel che può essere in quelle di difettoso. Non è possibile la perfezione nella repubblica, se non si osservano e non si cercano questi uomini o se ciò si fa male».

9. – Le autorità naturali ricevono forza dalla virtù morale e dal costume. Nelle società semplici il padre è onnipotente e, fra i padri, taluno acquista autorità particolare; e diventa capostipite di genti nobili. Nobili sono «coloro i quali per virtù o servizi eminenti o per la pratica delle grandi tradizioni dei loro antenati sono divenuti i modelli della vita pubblica». La nobiltà è «il fiore delle classi superiori e dirigenti in una società modello. La vera nobiltà non consiste nella trasmissione del sangue, del nome e dei titoli, ma nella pratica della legge morale e nella devozione al pubblico interesse». Come non ricordare la definizione della nobiltà che nel 1793 il marchese Henry Costa de Beauregard dava alla sposa all’annuncio che le sue armi scolpite nella pietra del castello di Beauregard erano state spezzate e le sue pergamene di famiglia erano state bruciate ai Villard? «Ben sono sciocchi coloro i quali immaginano di averla fatta finita con noi perché hanno spezzato le nostre armi o disperso i nostri archivi. Finché non ci avranno strappato il cuore, non potranno impedirgli di battere per tutto ciò che è virtuoso e grande, non potranno impedirgli di preferire la verità alla menzogna e l’onore a tutto il resto; finché non ci avranno strappato il cuore, non potranno vietare che esso sia riscaldato da un sangue che non venne mai meno; finché non ci avranno strappata la lingua, non potranno vietarci di ridire ai nostri figli che la nobiltà consiste esclusivamente nel sentimento raffinato del dovere, nel coraggio posto nell’adempirlo e nella fedeltà sino all’estremo alle tradizioni della famiglia» [4].

L’élite di Le Play non si confonde dunque con la classe dirigente nel senso comunemente oggi invalso. Pareto dà il nome di classe eletta od élite a coloro i quali hanno gli indici più elevati nel ramo della loro attività e chiama perciò a far parte della “classe eletta di governo” tutti coloro i quali sono riusciti ad entrare nel ceto governante: il senatore che è stato nominato per il censo ricevuto in eredità, il deputato che «in certi paesi si fa eleggere pagando gli elettori e lusingandoli, se occorre, col dimostrarsi democratico sbracciato, socialista, anarchico»; l’Aspasia di Pericle, la Maintenon di Luigi XIV, la Pompadour di Luigi XV, la quale «ha saputo cattivarsi un uomo potente ed ha parte nel governo che egli fa della cosa pubblica» (Trattato, §§ 2027 a 2036). Nulla di più repugnante allo spirito di Le Play di questa mescolanza; per lui l’elite è il meglio – perciò tradussi con fiore – delle classi dirigenti e superiori in una società prospera; è quella piccola e rarissima parte delle classi dirigenti la quale compie opera intesa ad ottenere certi risultati, che egli qualifica di “prosperità” per la nazione o lo stato o il gruppo. Una classe la quale conduce la società alla rovina, alla disorganizzazione ed alla decadenza può essere dirigente, non è elite.

La terminologia di Le Play è preferibile, dal punto di vista della proprietà del linguaggio, a quella di Pareto. Repugna collocare una grande favorita come la Pompadour nella classe eletta, mentre pare ovvio dichiararla importante parte della classe dirigente. Dirigere è ufficio proprio anche del capo di una banda di contrabbandieri di alcool, divenuto potentissimo nella vita politica americana; ad essere “eletto” occorrono qualità morali, le quali sono assenti nei capi contrabbandieri e nelle mantenute.

10. – Le Play era mosso da ragioni più profonde di questa terminologica ad attribuire la qualità di classe scelta ad una parte soltanto della classe dirigente. Dal 1661 in poi la Francia è certamente stata governata da una classe dirigente; ma dal 1661 al 1762 re e cortigiani si fecero coll’esempio predicatori di corruzione, dal 1762 al 1789 filosofi e letterati propagarono l’«errore fondamentale»; dal 1789 in poi letterati, violenti e predatori, si associarono per distruggere le costumanze del bene. Le Play non chiama a far parte della “classe eletta” coloro che ebbero allora la direzione politica e spirituale della società francese. Il fiore della classe dirigente poté nelle epoche ora dette, essere negletto, perseguitato, cacciato di Francia dopo la revoca dell’editto di Nantes, decimato dalla ghigliottina; ma rimase “la” classe eletta e, salvando la verità fondamentale e la tradizione di bene, salvò la Francia. Rare volte accade, secondo il Le Play, che la classe dirigente sia anche la classe eletta; ma in quelle rare occasioni in cui le due classi diventano una sola si pongono per secoli le fondamenta della grandezza duratura di un paese. Una di quelle rare occasioni fu il regno di Enrico IV, continuato da Luigi XIII (1582/1643), quando, all’ombra dell’editto di Nantes (1598), cattolici e protestanti gareggiarono nel servire lo stato; e santi come S. Francesco di Sales e Giovanna di Chantal, filosofi e teologi come Descartes e Bossuet, Nicole e Pascal, statisti come Pasquier, Du Harlay e Sully, fecero veramente grandeggiare il nome della Francia nel mondo e alcuni di essi collo splendore della loro fama consentirono a Luigi XIV di attribuire a sé il vanto del secolo d’oro, in verità dovuto all’opera dei suoi predecessori.

11. – La distinzione fra classe dirigente e classe eletta è fondamentale per l’intelligenza della visione della storia propria del nostro autore. Criterio di essa non è la formula adoperata per governare, bensì l’osservazione dei risultati a cui conduce l’opera compiuta dalla classe dirigente. È malagevole riassumere le osservazioni disperse nelle migliaia di pagine scritte dal Le Play; e dovrò contentarmi forzatamente di accenni utili ad illuminare di scorcio il pensiero di lui. Criterio sufficiente ad escludere una data classe dirigente dal novero di quelle elette è il versare di essa nell’«errore fondamentale», ossia nella «credenza alla perfezione originale» dell’uomo. Fu questa, riassume Le Play nel vocabolario, «un’opinione introdotta in Francia nel XVIII secolo da scrittori inglesi e tedeschi; professata in seguito da J.-J. Rousseau; propagata dai salotti parigini: adottata, come principio essenziale, dai riformatori novatori del 1789, del 1830, del 1848 e del 1870; ammessa, più o meno apertamente, dalle moderne teorie ostili allo spirito di tradizione… Secondo gli adepti dell’errore, il bambino nasce con la tendenza innata verso il bene. Perciò il male, il quale esiste dappertutto, è il risultato di un’azione corruttrice, intesa, fin dalle prime età, a corrompere la natura umana. Da questa opinione, la cui falsità è universalmente conosciuta dalle madri, dai medici, dai maestri di scuola derivano logicamente i tre falsi dogmi della libertà sistematica, dell’uguaglianza provvidenziale e del diritto di rivolta. L’osservazione delle società le quali applicano siffatti dogmi ne dimostra la incompatibilità con la pace e la stabilità sociale».

12. – Il lettore affrettato può credere che Le Play tragga dall’ossequio ad un dogma di fede le sue opinioni intorno alla verità ed all’errore, intorno al bene ed al male; e forse Pareto lo classificherebbe tra i metafisici. Colui che novera tra le maggiori felicità della sua esperienza intellettuale la lettura di quasi tutto ciò che scrisse Le Play facilmente si persuase che altra è la verità. Non una delle affermazioni sue ha origine diversa dall’osservazione dei fatti, osservazione sua o di altri. A differenza farò di chi ricorre alla rinfusa a testimonianze di pensatori e di pennaioli senz’arte né parte, di santi e di romanzatori quotidiani gialli, Le Play non ammette alla dignità di testimonio se non chi egli sa avere le qualità necessarie per osservare bene. Chi è il giudice delle qualità proprie dell’uomo? Non Rousseau, il quale opinava in relazione alla dottrina che soleva costruire; ma la madre, il medico, il maestro, il sacerdote, i quali hanno visto il bambino appena nato, lo hanno seguito nei primi anni coll’ansia di chi generò e di chi deve educare e non hanno ragione di veder male o di mentire. Ha ragione Gian Giacomo di scrivere nella Lettre à Christophe de Beaumont, archevéque de Paris che «il principio fondamentale di tutta la morale, in base al quale ho ragionato in tutti i miei scritti… è che l’uomo è un essere naturalmente buono, il quale ama la giustizia e l’ordine; né esiste perversità originale nel cuore umano ed i movimenti spontanei della natura sono sempre giusti»; od ha ragione Le Play di opporgli il brano di sant’Agostino nelle Confessioni (I, VII, XIX)? Il brano ricorre troppe volte nelle opere del Le Play per non riprodurlo interamente: «La debolezza degli organi è innocente nei bambini; ma non è innocente il loro animo. Ho visto, ho visto io stesso un bambinetto divorato dalla gelosia. Egli non parlava ancora; ma, pallidissimo, guardava con occhio torvo il suo fratello di latte… è innocenza, in un bambino, non voler dividere una fontana di latte così abbondante e persino troppo abbondante, con un bambino debole come lui ?… Questa è, Dio mio, l’innocenza dei bambini? No, non esiste l’innocenza. Quel che essi sono coi loro maestri e precettori per ottenere noci, palle ed uccelli, più tardi sono coi re ed i magistrati per ottenere oro, terre, schiavi. Cogli anni muta l’oggetto della passione; ed i supplizi più atroci prendono il posto dei castighi della fanciullezza. Ma in fondo, è sempre la stessa cosa. Voi, Gesù, avete certo pensato solo di darci una lezione di umiltà nella piccola statura dei fanciulli, quando avete detto: Il reame dei cieli è di quelli che rassomigliano ai fanciulli». Così opinando, Le Play poteva cadere in errore; ma nel modo tenuto dagli uomini di scienza. Il suo metodo era rigorosamente scientifico, se si reputa tale quello fondato sulla osservazione della realtà compiuta da persone capaci di contemplarla.

13. – Dall’erronea credenza nella perfezione originale dell’uomo nascono i tre falsi dogmi: 1) della libertà sistematica; ed invero «l’uomo, nato perfetto, creerebbe dappertutto il regno del bene, se gli fosse permesso di seguire le sue inclinazioni naturali. Il male universale non può dunque derivare che dalle istituzioni coercitive le quali finora sono state il fondamento di tutta la società; e che bisogna perciò distruggere sistematicamente per restituire agli uomini la libertà originaria»; 2) della uguaglianza provvidenziale; poiché «gli uomini nascendo ugualmente perfetti, dovrebbero esercitare il medesimo potere e godere dei medesimi vantaggi se la società fosse fondata sulla giustizia»; 3) del diritto di rivolta: «gli uomini nascono invero perfetti; e creerebbero dappertutto il regno del bene, se essi potessero collaborare tutti in condizioni di piena libertà ed uguaglianza. Tutti i governi hanno finora mantenuto gli uomini nelle condizioni opposte, e di qui il dominio universale del male. Fa d’uopo perciò rovesciare con la forza tutti i governi che tollerano i regimi di coazione e di disuguaglianza».

14. – Dimostrato l’errore fondamentale, cadono i tre falsi dogmi che ne derivano. Classe eletta è quella che meglio interpreta ed attua la costituzione propria degli uomini, la quale d’altra parte non è riassunta nei dogmi opposti a quelli che derivano dalla credenza nella «perfezione originale». Colui il quale dall’osservazione dell’indole degli uomini è portato a credere nella verità del “peccato originale” non perciò ne deduce i dogmi della coazione legale, della disuguaglianza e della ubbidienza assoluta. I legisti, tipici teorici della coazione e dell’autorità legale, sono agli occhi di Le Play fattori secondari e spesso negativi della classe eletta. Nelle società prospere si ricorre alle leggi coattive solo laddove non basta l’esempio morale delle autorità naturali e sociali; ed il moltiplicarsi delle leggi coattive è indice del trascorrere delle società dal tipo prospero e stabile al tipo instabile e disorganizzato.

15. – Se criterio negativo dell’attitudine a far parte della classe eletta è il versare nell’errore fondamentale, criterio positivo della prosperità di una società ad opera della classe eletta governante è il grado di osservanza del decalogo: adorare un solo dio e reprimere gli idoli, non pronunciare invano il nome di Dio, rispettare il padre e la madre, non ammazzare, non rubare, non testimoniare il falso, non commettere adulterio, non desiderare la roba d’altri. Ecco le regole che, osservate nelle cose private e pubbliche, conducono i popoli alla prosperità e, violate, alla rovina. Le Play studiò ad una ad una centinaia di famiglie, nei climi fisici, storici e politici più diversi; ne analizzò minutamente le condizioni di vita materiale ed intellettuale; e, quando volle andare in fondo alle ragioni della felicità o del malcontento, del prosperare o dell’impoverire, sempre si rifece al decalogo e studiò il modo come gli uomini si comportavano dinanzi ai suoi comandamenti. Questa è la chiave magica, la quale ci rivela i segreti della storia dei popoli. Come egli distinse la classe eletta da quella governante e chiamò “eletta” quella che non solo regge, come fanno tutte le classi governanti, i destini dei popoli, ma li conduce alla prosperità, così egli distinse nella storia dei popoli differenti alternanti stati o modi di essere; e disse di “prosperità” uno di essi, definendolo così: «Risultato che l’azione ripetuta del bene produce sulla condizione fisica e morale delle società. La prosperità si manifesta soprattutto attraverso la pace e la stabilità. Essa offre, secondo i luoghi, le razze ed i tempi, due termini estremi di semplicità e di complicazione, segnalati dalla natura dei mezzi di sussistenza. Nella “prosperitò semplice” la sussistenza dipende quasi esclusivamente dalla raccolta regolare delle produzioni spontanee del suolo e delle acque. Nella “prosperità complicata” la sussistenza proviene in gran parte dai prodotti del lavoro umano. Quando la natura dei luoghi lo consente, essa genera ricchezza accumulata, cultura intellettuale e potenza politica” (in n. 2, O. E. I., 471).

L’ordine degli accadimenti è dunque il seguente: 1) esistenza di una classe eletta, tale perché conosce ed applica il decalogo; 2) capacità della classe eletta ad insegnare ai popoli la pratica del decalogo; 3) pace e stabilità sociali che per conseguenza esistono nella società ed in cui consiste la “prosperità”; e dalla quale derivano ricchezza cultura e potenza, in grado maggiore o minore a norma delle condizioni di luogo, di razza e di tempo. Ricchezza, cultura e potenza possono esistere anche laddove non esiste “prosperità” definita come sinonimo di pace e stabilità sociale e come conseguenza della pratica del decalogo da parte della classe eletta e dei popoli da essa guidati. Avremo il secolo di Luigi XIV minato alla base dai vizi della classe dirigente; non i tempi di Enrico IV e di Luigi XIII, nei quali fu costrutta la Francia. Il teorico politico non può non distinguere fatti diversi; e non può contentarsi di spiegare l’accaduto sol perché accaduto. Vi è un accaduto, i cui connotati sono pace e stabilità sociale; e diremo questo tipo di “accaduto” conseguenza dell’osservanza della legge morale e qualificheremo “eletta” quella classe dirigente la quale è capace di produrre tali specie di “accaduti”. Vi sono altri “accaduti” i cui connotati sono la discordia, l’irrequietudine, il malessere sociale, e la rivolta; e li diremo connessi con l’esistenza di una classe dirigente, la quale non conforma la sua azione all’osservanza del decalogo. Tutti “accaduti” e tutte classi “dirigenti” che lo storico analizza e spiega. Ma quale differenza fra gli uni e gli altri! E quale infimo luogo hanno nella spiegazione dello storico la ricchezza, la razza, il clima e il tempo e gli schemi astratti imperniati in questi concetti!

16. – Dalla “prosperità” le nazioni possono trascorrere alla “sofferenza”, che è momentanea, quando deriva solo dai disordini atmosferici ed è facilmente guaribile, ovvero duratura, se deriva dalla discordia e dalla instabilità e può condurre alla rovina sociale. Questa non è mai irreparabile per una società. Gli uomini di pace possono ricondurre alla prosperità una società sofferente o rovinata; non lo possono i letterati ed i legisti. Né lo possono, insiste ripetutamente il Le Play, i giovani, presso i quali dominano le tendenze al male. Una società la quale non sia retta dagli, uomini maturi e dai vecchi non può prosperare. Solo gli uomini maturi possono, se sono spiriti eletti, acquistare la “scienza del mondo”; poiché essa si ottiene assai più grazie all’esperienza ed all’educazione che all’insegnamento scolastico. San Francesco Saverio consegnava a Goa nel 1549 le seguenti istruzioni al padre Gaspard Barzée il quale partiva per la missione di Ormuz: «Dovunque vi troviate, anche di passaggio, cercate di conoscere, per mezzo degli abitanti più rispettabili, le inclinazioni del popolo, gli usi del paese, la forma del governo, le missioni e tutto quel che riguarda la vita civile. Voi maneggerete più facilmente gli uomini, quando voi possediate siffatte nozioni, voi avrete su di essi maggiore autorità, voi saprete su quali punti dovete maggiormente appoggiarvi nella vostra predicazione. Si hanno spesso in poco pregio i consigli dei religiosi, perché essi non conoscono il mondo… Ma quando se ne incontra uno il quale sa vivere ed ha l’esperienza delle cose umane, lo si ammira come un uomo straordinario… La scienza del mondo non si apprende però nei manoscritti e nei libri stampati; bensì nei libri viventi, nelle relazioni con uomini sicuri ed intelligenti. Grazie a questa scienza voi farete più bene che con tutti i ragionamenti dei dottori e tutte le sottigliezze della scuola» (O. E. I., 474). Il vero maestro degli uomini, la guida dei popoli non è chi scrive, ma chi parla. Le Play cita Platone in Fedro: «Colui, il quale spera di insegnare altrui un’arte mettendola per iscritto e colui il quale spera di attingerla ivi… sono veramente troppo ingenui… se pensano che uno scritto possa servire a qualcosa di più che a risvegliare i ricordi di colui il quale conosce già il soggetto che vi è trattato» (O. E. I., 108). E ricorda il comandamento di Cristo ai discepoli: «Vi mando come pecore in mezzo ai lupi; siate dunque prudenti come serpenti e semplici come colombe… Voi sarete presentati, a causa mia, ai governanti ed ai re per rendermi testimonianza… Quando sarete portati dinanzi ad essi, non preoccupatevi punto del modo come parlerete cioè di quello che direte. Ciò che dovrete dire vi sarà detto in quel momento, perché non voi parlerete, ma lo spirito del padre vostro che è in voi» (San Marco, X, 16 a 20 in O. E. I., 573). Il che vuol dire essere i popoli guidati al bene non da coloro i quali insegnano la legge scritta o la scienza dei libri, ma dagli uomini i quali dicono la parola della verità, quella che essi sono forzati di dire dal comandamento della coscienza.

17. – Uomo di poche scelte letture, egli cita soprattutto la Bibbia (antico e nuovo testamento), Confucio, il Corano, s. Agostino, s. Bernardo, s. Tommaso, Aristotile, Platone, Erodoto, Senofonte, Cicerone, Tacito, Seneca, Marco Aurelio, Bacone, Bossuet, Locke, Vico, Burke, Montesquieu, De Maistre, Montalembert, Tocqueville, De Bonald, l’abate Huc. Combatteva contro Voltaire, Rousseau, Adamo Smith, Napoleone I, Buechner. Teneva vicino al capezzale e meditava i Saggi di Montaigne. Ma il libro è per lui l’uomo. Per tutta la vita egli seguì il metodo tenuto durante i 200 giorni del primo viaggio quando nell’estate del 1829, percorrendo 6800 chilometri a piedi, visitò le regioni comprese fra la Mosella, la Mosa, il Reno, il mare del Nord, il Baltico e le montagne dell’Erzgebirge della Turingia e dell’Hundsruck: «mettersi in rapporto intimo con le popolazioni ed i luoghi, allo scopo di stabilire una distinzione netta fra i fatti essenzialmente locali e quelli che hanno un carattere di interesse generale. Cercare ansiosamente di conoscere le “autorità sociali” di ogni località; osservare le loro pratiche; ascoltare con rispetto i giudizi da esse recati su uomini e su cose». Da questa preparazione sono venute fuori le centinaia di saggi che altri ed egli stesso disse «monografie di famiglia» e sono invece pagine di un veggente intorno alle ragioni per le quali i popoli vivono contenti o soffrono, prosperano od avanzano, o regrediscono e decadono e poi riprendono e riconquistano la stabilità e la pace sociale.

18. – Coloro che, leggendo libri, sentono il bisogno di collocare l’autore dentro le categorie che essi per comodità di intelligenza e di insegnamento hanno stabilito, e veggono che Le Play comincia colla descrizione dei luoghi ed insiste sulla influenza che la steppa, il bosco, il mare, la miniera, l’agricoltura, il mestiere esercitano sulla vita di coloro che vi sono addetti, sono indotti ad accomunarlo ai molti che spiegano la storia del mondo con le caratteristiche geografiche metereologiche telluriche tecniche dei luoghi abitati e del lavoro compiuto. Altri che lo scorge descrittore minuzioso dei costumi, investigatore delle ragioni per le quali in dati tempi prevalsero schiavitù, servitù della gleba, ed altre specie di contratti di lavoro, ammiratore dei vincoli consuetudinari fra padroni ed operai, delle tradizioni famigliari, promotore di riforme legislative atte a conservare la famiglia-ceppo, il bene di famiglia, se per rispetto alla decenza del linguaggio, si astiene dal dirlo reazionario, lo chiama però conservatore alla De Bonald od alla De Maistre. Altri ancora, ricordando i suoi costanti richiami all’importanza della religione, la sua abbominazione verso gli economisti e gli enciclopedisti lo dirà un precursore del socialismo cristiano, del corporativismo cattolico. Chi ascolta la predicazione calda degli scritti minori, gli appelli accorati agli uomini da bene, l’eccitamento ad unirsi in leghe per la pace sociale lo colloca fra i tanti invasati i quali credono di aver trovato la soluzione del problema sociale.

Tutte queste classificazioni e collocazioni, forse utili all’uso mnemonico, sono in fondo nettamente false. Sebbene la sua descrizione della steppa russa e della influenza che essa ha esercitato nella vita dei popoli che l’abitarono o la traversarono sia una delle rappresentazioni artistiche della vita pastorale primitiva più stupende che io conosca, Le Play non è un determinista geografo[5] . Sebbene egli abbia fissato nel bronzo i tratti essenziali della famiglia rurale dell’antico regime di prima della rivoluzione, e sebbene abbia descritto come nessun altro le caratteristiche dei rapporti di patronato e dei vincoli corporativi, egli non è un tradizionalista reazionario. Sebbene egli abbia trascorso la seconda metà della vita a predicare la «riforma sociale», egli non è un agitatore ed un riformista. Od, almeno, queste sue doti potenti di osservatore del mondo fisico e di rievocatore di società passate non sono quelle sue essenziali. È tempo si riconosca essere stato egli uno dei creatori della moderna scienza politica. Certamente egli non ha scritto col proposito voluto di costruire un libro scientifico. Né ha eccitato, come altri fece, il disprezzo contro tutti coloro che, studiando l’uomo, non affettarono di spogliarsi di tutte le qualità umane, di ogni interesse per la materia indagata e non misero alla stessa stregua, quasi si trattasse di sezionare e studiare un minerale o un cadavere, tutti i sentimenti ed i ragionamenti dell’uomo. Il che è un piccolo giochetto vocabolaristico, facile e comodo il quale non aggiunge però niente alla conoscenza della verità. A che pro irridere a coloro che scrissero per dichiarare i mezzi con i quali gli uomini possono procurare a sé la beatitudine eterna del paradiso, quando l’irrisore ripete le stesse idee, traducendole in gergo cosidetto scientifico di ricerca delle leggi secondo le quali vivono gli uomini in determinate società le quali hanno i connotati alfa e beta e gamma? Questo è un trucco ridicolo. Le Play non immaginò che gli scienziati potessero perdere tempo in siffatte delicatezze di linguaggio e parlò di classi dirigenti, di classi elette, di società prospere o decadenti, di formule atte a tenere salde od a disgregare le società nel linguaggio eterno di Mosè e di Cristo. Cercò le formule sulla bocca dei pastori degli Urali, dei contadini della steppa russa, dei nomadi della Siria, dei pescatori della Norvegia, dei minatori della Germania, dei contadini della Sierra spagnuola e dei Pirenei baschi e trovò che dappertutto erano uguali le formule le quali fanno prosperare e quelle che fanno decadere. Non confuse la prosperità con la ricchezza, né la decadenza con la povertà. Analizzò tutti questi concetti ed in fondo alla prosperità ed alla ricchezza, alla decadenza ed alla povertà, trovò la presenza o la mancanza del rispetto alla legge morale.

19. – Se tutta l’opera del Le Play è una battaglia contro l’errore fondamentale della credenza nella perfezione originale degli uomini, essa non è però una battaglia contro la ragione. Chi adula l’uomo, dichiarandolo nato nell’innocenza e pronto a conoscere il vero ed a fare l’onesto, può essere demagogo, tiranno, o sofista ragionante; non è certo uomo di scienza. Questi parte dal concetto opposto, di osservazione comune, del peccato originale e indaga le forze che talvolta sono riuscite a trasformare la belva primitiva nell’immagine di Dio. Siffatte forze non sono la ricchezza e la potenza, né la scienza tecnica ed economica dell’acquistarle; non sono le leggi scritte, né i comandamenti dei generali che fondarono o rovesciarono i grandi imperi. Quelle forze nascono dal lento cumularsi della esperienza dei frutti del bene e del male e dall’ascendente acquistato dai saggi i quali avevano osservato le maniere con le quali gli uomini, nati tutti peccatori, possono diventar migliori o bere sino in fondo la coppa dell’abbominazione. La ragione dei credenti nel dogma della perfezione originale dell’uomo è frutto di superbia. La ragione di coloro che guardano al vero è fatta di umiltà.

20. – Sainte-Beuve e Montalembert ascrissero a gloria di Le Play la “grande scoperta” del principio primo della scienza sociale: «in questa materia non v’ha nulla da scoprire» (cfr. sotto n. 2, O. E. I., XII). Forse sentenza più profonda non fu mai detta. In una delle sue opere meno note (cfr. sotto n. 13, pag. 94) Le Play osserva che «i perfezionamenti più fecondi sono quelli i quali si compiono in qualche maniera spontaneamente nella costituzione sociale, per il fiorire delle idee e dei costumi, coll’accordo tacito dei governi e dei popoli». Gaetano Mosca, condusse ad alto grado di perfezione la teoria della formula politica, come strumento di governo usato dalla classe politica. Il contributo proprio di Le Play fu la segnalazione del criterio di scelta fra le tante formule politiche le quali hanno governato il mondo. Il ceto eletto governa il mondo, applicando la formula che i saggi hanno elaborato nei secoli in ubbidienza alla legge morale. Tra le tante classi dirigenti e le tante formule da esse usate, si può chiamare classe eletta quella soltanto la quale assicura la persistenza e la risurrezione dei popoli grazie alla formula eterna del decalogo. I sei volumi degli ouvriers européens sono sovratutto una stupenda storia delle vicende delle società umane a partire dal momento in che la classe eletta osservatrice della formula eterna è sopraffatta da altri tipi di classi dirigenti. Fa d’uopo non lasciarci vincere dalle apparenze e reputare libro di storia quello solo che è scritto secondo le regole tradizionali. Chi pigli a leggere uno dei grandi libri sulla grandezza e decadenza di Roma o sul cominciare crescere corrompersi e rivoltarsi della rivoluzione francese è costretto a commuoversi, a gridare, ad entusiasmarsi, a tremare, con gioia o con ansia quasi si trattasse della vita di persona amata. Orbene, Le Play ha compiuto per l’umanità intiera il miracolo a cui giungevano pochi grandi storici per i due avvenimenti la cui narrazione ad ogni volta colpisce con novità di aspetti la fantasia umana e fa pensare con angoscia o speranza alle sorti della società presente. La via scelta da lui era insolita ed egli la scelse senza voler far storia.

Nell’Europa dal 1829 al 1879 egli osservò taluni fossili viventi, da lui detti «famiglie», rappresentanti tipici di stati differenti della storia umana. Egli ordinò quei fossili, secondo il criterio della osservanza del decalogo eterno. Scoperse che le aggregazioni umane si avvicinano o si allontanano dalla prosperità, che vuol dire contentezza e stabilità sociale, a seconda che esse ascoltano o dispregiano la parola dei veri eletti, dei saggi i quali, senza uopo di leggere libri o leggendone uno solo, insegnano la legge morale. Quei fossili non appartengono allo stesso paese; tuttavia raffigurano, grazie alla potenza di visione di chi li scelse e descrisse, la successione delle epoche storiche nello stesso paese. Messi in ordine, dal tipo più felice a quello più malcontento e disorganizzato, essi ci narrano la storia degli uomini nel tempo della loro progrediente decadenza. È una storia tragica, la quale non turba meno di quel che facciano le pagine potenti di Gibbon e di Rostovtzev su Roma. Di pagina in pagina, con ansia crescente, noi ci chiediamo: dove vanno gli uomini? Ma l’ordine dei fossili viventi può essere rovesciato. Fu un giorno di grande gioia per Le Play, quando un giovane amico (cfr. sotto n. 23, pag. 209) gli pose sott’occhio un brano di Vico nella traduzione di Michelet: «Quivi, in esso nascere dell’Iconomica, la compierono nella loro idea ottima, la quale è: ch’i padri col travaglio e con l’industria lascino a’ figliuoli patrimonio, ov’abbiano e facile e comoda e sicura la sossistenza, anco mancassero esse città, acciocché in tali casi ultimi almeno si conservino le famiglie, dalle quali sia speranza di risurger le nazioni» (Oeuvres choisies, Paris, 1835, t. II, pagg. 107-108; ma qui si citò dall’ed. Nicolini, Bari, Laterza, 1913, parte seconda, pag. 407). Dunque, tradusse nel suo linguaggio il Le Play, uno dei maggiori filosofi della storia che mai sieno vissuti confermava la conclusione delle sue diuturne osservazioni sulla famiglia nucleo della società. Se sopravvivono alla rovina Vico pensava alla rovina da insulti bellici, Le Play a quelle da dissoluzione interna morale – talune famiglie sane, non esiste un fato invincibile, il quale conduca necessariamente la società alla morte. Le formule usate da classi dirigenti, le quali non si ispirano alla legge morale, non sono fatalmente destinate a prevalere. La classe eletta, la sola veramente dirigente nei millennii, non è in esse. Sopravvivano operanti ed insegnanti alcuni saggi, alcune famiglie ed alcuni gruppi sociali inspirino tuttora la loro azione all’insegnamento dei saggi, e le epoche di prosperità possono ritornare. Come in un decennio Enrico IV rialza la Francia dalle rovine materiali e dalla corruttela morale dei tempi delle guerre civili e dei Valois e pose le fondamenta della grandezza della Francia del secolo XVII, così un altro sapiente e forte potrà risuscitare la Francia dalla rovina della guerra del 1870 e dalla intossicazione della grande guerra del 1914-1918. Coloro che affettano di parlare solo scienza, non trovano la legge morale tra gli ingredienti delle loro leggi sociologiche. Sia perdonato ad essi e sia consentito di affermare che Le Play vide più lungi nelle ragioni vere le quali spiegano le alterne vicende dei popoli.

Il saggio, che precede, intorno al contenuto scientifico della dottrina di Le Play è una specie di introduzione alla descrizione bibliografica delle opere di lui e di quelle di talun suo allievo e di poche fonti di esse. La descrizione continua il viaggio che altrove (in La riforma sociale del marzo/aprile 1935, e in questo volume, pagg. 3-26) avevo iniziato tra i miei libri, discorrendo, nella prima tappa di esso, di Francesco Ferrara. Per le ragioni allora dette – necessità di elencare solo i libri effettivamente visti dal bibliografo, divisamento di compilare, ad imitazione di quel che Morellet, Mac Culloch e Papadopoli avevano fatto per i proprii libri, Bonar per i libri di Adamo Smith e la vedova per quelli di Alfredo Marshall, il catalogo dei libri da me raccolti in tanti anni, di proposito o per accidente, intorno a taluni economisti o a taluni problemi economici, catalogo per molti rispetti monco in confronto a quello di pubbliche biblioteche e per talun rispetto istruttivo, e desiderio di dare qualche aiuto forse non spregevole ai giovani desiderosi di formarsi una biblioteca economica scelta senza troppi errori per contenuto e per costi di acquisto – anche la presente bibliografia comprenderà esclusivamente libri in mio possesso.

1. LES OUVRIERS EUROPÉENS: Études sur les travaux, la vie domestique et la conduite morale des populations ouvrières de l’Europe précédées d’un exposé de la méthode d’observation , Paris, à l’imprimerie impériale, 1855. Un vol. in folio, pagg. 301. La copia reca la dedica dell’a. a Michel Chevalier, e l’ex-libris di questi. Lo Chevalier aveva dato la figlia in sposa al figlio di Le Play. Dalla biblioteca dello Chevalier era passata a quella del genero Paul Leroy-Beaulieu.

Il formato, incomodissimo, del volume fu determinato dal proposito di far stare per intero in due sole pagine, a sinistra per le entrate e a destra per le spese, ciascuno dei 36 bilanci di famiglie operaie qui raccolti. Precede una introduzione generale e segue una appendice, amendue sul metodo e sullo scopo della ricerca, che egli dice di inchiesta diretta e preferibile alle ricerche statistiche, da lui tenute in poco conto perché:

1) «fanno astrazione da tutte le considerazioni collegate solo accessoriamente ai fatti interessanti l’autorità pubblica»; 2) «non tengono conto né della natura particolare degli individui, né del carattere proprio all’ambiente in cui vivono»; 3) non rispondono all’«osservazione diretta dei fatti», e si riducono alla «compilazione ed interpretazione più o meno plausibile di fatti raccolti da punti differentissimi di vista e per lo più estranei all’interesse scientifico». Perciò, «nonostante la loro apparente generalità e la loro seducente regolarità, i documenti statistici hanno scarsamente contribuito al progresso della scienza sociale. Gli uomini di stato ne hanno tratto talvolta vantaggio allo scopo di sostenere una data tesi, ma gli uomini sperimentati negli affari raramente li mettono a fondamento della loro politica e della loro amministrazione». Il detto, posto in epigrafe, tratto dall’Eloge de Vauban di Fontenelle: «S’informava con cura del valore delle terre, del loro frutto, del modo di coltivarle, delle masserizie dei contadini, del loro vitto ordinario, del prodotto giornaliero delle loro fatiche; particolari in apparenza spregevoli ed abbietti, i quali tuttavia appartengono alla grande arte del governare» chiarisce la ragione e lo scopo dell’opera. Forse, se l’avesse conosciuto, Le Play avrebbe aggiunto quest’altra notizia di Mirabeau sul modo di informarsi di Cantillon: «Viaggiando, egli voleva precisare ogni cosa: scendeva dalla vettura per interrogare il contadino nel campo, saggiava le qualità della terra, ne provava il gusto, prendeva note ed un calcolatore, che egli conduceva sempre con lui, metteva tutto in pulito la sera all’albergo».

L’edizione del 1855 non aveva soddisfatto pienamente il Le Play, il quale, cedendo al consiglio degli amici, aveva consentito a sopprimere le conclusioni di teoria e di riforma sociale – «un mezzo volume di verità che i miei concittadini non potevano tollerare» – ristringendole a poche frasi conclusive: «il luogo che una società occupa dipende sicuramente dalle sue condizioni materiali e dalle sue, istituzioni politiche; ma i fattori essenziali di preminenza sono di ordine morale». Perciò non ristette sinché non poté pubblicare una seconda edizione del suo opus magnum.

2. LES OUVRIERS EUROPEENS: Études sur les travaux, la vie domestique et la condition morale des populations ouvrières de l’Europe d’aprés les faits observés de 1829 à 1855, avec des épilogues indiquant les changements survenus depuis 1855 , 2e ed. en 6 tomes. Tours, Alfred Mame et fils, in ottavo.

Tome 1er: La méthode d’observation appliquée, de 1829 à 1879, à l’étude des familles ouvrières en trois livres ou précis sommaire touchant les origines, la description et l’histoire de la methode avec une carte geographique des 57 familles décrites, 1879, pagg. XII, 1 c. s. n., pagg. 648.

Tome 2e: Les ouvriers de l’orient et leurs essaims de la Mediterranée; populations, soumises à la tradition, dont le bien-être se conserve sous trois influences dominantes: le décalogue eternel, la famille patriarcale et les productions spontanee du sol , 1877, pagg. XXXIV, 1 c. s. n., pagg. 560.

Tome 3e: Les ouvriers du nord et leurs essaims de la Baltique et de la Manche; popolations guidées par un juste mélange de tradition et de nouveau dont le bien- ê tre provient de trois influences principales: le décalogue eternel, la famille-souche et les productions spontanées du sol ou des eaux , 1877, pagg. XLII, 1 c. s. n., pagg. 513.

Tome 4e: Les ouvriers de l’occident. 1re série: Populations stables, fidéles à la tradition, devant les envahissements de la nouveauté, soumises au décalogue et à l’autorité paternelle, suppléant à la rareté croissante des productions spontanees par la communauté, la proprieté individuelle et le patronage , 1877, pagg. XLII, 1 c. s. n., pagg. 575.

Tome 5e: Id., IIme série: Populations ébraulées, envahies par la nouveauté, oublieuses de la tradition, peu fidéles au décalogue et à l’auzorité paternelle, suppléant mal à la rareté croissante des productions spontanées par la communauté, la proprieté individuelle et le patronage , 1878, pagg. L, 1 c. s. n., pagg. 535.

Tome 6e: Id., IIIme série: Populations desorganisées égarées par la nouveauté, méprisant la tradition, révoltées contre le décalogue et l’autorité paternelle, empêchées par la désorganisation du travail et de la proprieté de supleer à la suppression des productions spontanées, 1878, pagg. L, 1 c. s. n., pagg. 568.

In questa edizione, di formato più maneggevole, le famiglie tipiche osservate crescono da 36 a 57, ed i volumi dal secondo al sesto si distinguono sistematicamente in quattro parti: un’introduzione sulla struttura sociale dei paesi abitati dalle famiglie considerate; le monografie, redatte tutte secondo un unico modello (luogo, organizzazione industriale, composizione della famiglia, mezzi e modi di esistenza, storia, costumi ed istituzioni – bilanci delle entrate e delle spese e conti annessi – elementi diversi proprii alla costituzione sociale del luogo); un riassunto alfabetico e metodico delle parole, idee e particolari essenziali ed un epilogo sulle variazioni sopravvenute dopo il 1855 nello stato sociale delle popolazioni. Il primo volume contiene la sintesi delle indagini: origine, descrizione e storia del “metodo”. Il Le Play non parla della sua “dottrina”, ma del suo ” metodo”; che era quello della ricerca delle essenziali verità sociali.

Nella compilazione delle monografie di famiglia, il Le Play si giovò spesso dell’opera altrui; «d’apres les renseignements recueillis sur les lieux» è la locuzione adoperata da lui per segnalare la collaborazione di A. de Saint-Leger, A. Paux, Ad. Focillon, A. Saglio, A. Cochin ed E. Landsberg, Courteille ed J. Gautier o la paternita` esclusiva di E. Pelbet, A. de Saint-Leger ed E. Pelbet, Ad. Focillon, E. Landsberg, Narcisse Cotte, Ubaldino Peruzzi (monografia del mezzadro toscano, nel IV volume), S Coronel ed F. Allan, T. Smith, Ratier, A. Paillette e Sergio Suarez, A. Duchatellier, A. Dauby, De Barive, P. A. Toussaint e T. Chale. La formula adoperata fa ritenere che la collaborazione o la paternità riguardasse la raccolta e prima elaborazione dei materiali e la discussione dei risultati. La redazione definitiva e le conclusioni recano l’impronta uniforme del Le Play.

Il sottotitolo di ogni volume riassume i tratti caratteristici della situazione di ogni famiglia nella scala dei valori sociali.

3. LES OUVRIERS DES DEUX MONDES. Études sur les travaux, la vie domestique et la condition morale des populations ouvrières des diverses contrees et sur les rapports qui les unissent aux autres classes, publiées sous forme de monographies par la Société internationale des études pratiques d’economie sociale.

Nel 1856 Le Play fondava la Società internazionale di studi pratici di economia sociale, uno dei cui scopi era quello di promuovere la redazione e la stampa di monografie di famiglie sul modello di quelle contenute negli Ouvriers Européens. Editrice la medesima società. Una prima serie di 5 volumi reca le seguenti date: I, 1857, pagg. 464; II, 1858, pagg. 504; III, 1861, pagg. 470; IV, 1862, pagg. 500; V, 1885, pagg. III-536. La pubblicazione seguì rapidamente nei primi anni con le 37 monografie contenute nei volumi dal primo al quarto. La prima puntata del quinto volume con tre monografie, comparve nel 1875; le ultime tra il 1883 ed il 1885. Il volume intiero è datato dal 15 aprile 1885. Dalle monografie contenute nei primi quattro volumi furono tratte, in gran parte, le ventuno le quali accrebbero la seconda edizione (1877-79) degli Ouvriers

Européens ; cosicché vi ha un certo accavallamento tra le due pubblicazioni; tutte due pubblicate, sino al primo terzo del quinto volume, sotto gli occhi del fondatore della società.

Morto il Le Play nel 1882 e compiuto il quinto volume, la Società inizia nel l887 una seconda serie, la quale reca la firma degli editori Firmin Didot et C.ie: I, 1887, pagg. VlII-532; II, 1890, pagg. X-560; III, 1892, pagg. XVI-483; IV, 1895, pagg. VIII-535; V, 1899, pagg. XII-590. Una terza serie comprende due volumi chiusi: I, 1904, pagg. VIII-578 con un fascicolo supplementare di pagg. 48 ed una carta geografica; II, 1908, pagg. VIII-519 con un fascicolo supplementare di pagg. 32. I fascicoli supplementari furono dedicati a monografie di officina.

Fra i collaboratori delle tre serie degli Ouvriers des deux mondes, oltre il nome di Le Play e quelli, già ricordati, di A. Focillon, E. Delbert, A. de Saint-Leger, U. Peruzzi, Narcisse Gotte, A. Dauby, T. Chale, P. A.

Toussaint, Courteille ed J. Gautier, S. Coronel ed F. Alan, incontriamo, accanto a quelli di industriali, operai, agricoltori, sacerdoti raccomandati per la loro attitudine a conoscere bene i fatti investigati, i nomi di studiosi che poi acquistarono bella rinomanza: Pierre du Maroussem contribuisce nove monografie di famiglia e le due di opificio sopra ricordate. Urbain Guerin pure nove, Armand Julin due, Claudio Jannet una, Victor Brants due, A. Delaire tre, Augustin Cochin una, Ippolito Santangelo Spoto tre, delle quali notabile quella su una fase recente delle vicende del curioso esperimento sociale iniziato da Ferdinando IV di Borbone nella colonia di S. Leucio vicino a Caserta, la contessa Maria Pasolini quella sul mezzadro romagnolo.

4. LA RÉFORME SOCIALE EN FRANCE, déduite de l’observation comparée des peuples européens, Paris, Plon, 1864, in ottavo; tome 1er, pagg. XII-440; tome 2e, pagg. 4 s. n. – 480.

A questa, che è la prima edizione, fecero seguito parecchie altre, di cui l’ultima pubblicata durante la vita dell’autore è la sesta «corrigée et refondue», presso Alfred Mame et fils, Tours, 1878, in 4 volumi in sedicesimo: I, pagg. XC-2 s. n., 371; II, pagg. 4 s. n., 460; III, pagg. 4 s. n., 529; IV, pagg. 4 s. n., 468. Nel 1901 uscì una ottava edizione, che gli editori Mame, in un avis au lecteur dichiarano essere una semplice ristampa della sesta con l’unica variante del ritorno alla divisione in tre volumi, usata nelle precedenti (terza, quarta e quinta) edizioni. I rimaneggiamenti e mutamenti fra la prima e la sesta edizione sono parecchi ed attestano la cura con la quale il Le Play rivedeva ogni volta questo suo libro, fra tutti, nonostante la non piccola mole, il più divulgato. Avvertenze, introduzioni, appendici, rinvii chiariscono metodicamente lo

scopo e il contenuto del libro. I capitoli diventano libri ed i paragrafi capitoli. Nella prima edizione, oltre ad una introduzione su «Les idées préconcues et les faits» ed una conclusione su «Les conditions de la réforme» sette capitoli riguardano: la religione, la prosperità, la famiglia, il lavoro, l’associazione, i rapporti privati, il governo. Nella sesta edizione, la materia dei libri è quella medesima dei vecchi capitoli; ma il libro quinto dell’associazione, si divide in due parti: “communautés” (comunanze, cooperative, società per azioni) e “corporazioni”; ed il settimo, del governo, si divide in due parti: la scelta dei modelli e la corruzione e le riforme in Francia. Alla conclusione del 1864 è aggiunto un epilogo dettato nel 1878. Le appendici da 5 diventano 11. Il copioso indice alfabetico ed analitico della prima edizione si trasforma nell’ultima in due indici delle parole usate in un significato particolare e degli autori citati.

5. L’ORGANISATION DU TRAVAIL, selon la coutume des ateliers e la loi du décalogue, avec un précis d’observations comparées sur la distribution du bien et du mal dans le régime du travail, les causes du mal actuel et les moyens de réforme, les objections et les réponses, les difficultés et les solutions.

La seconda edizione, che ho sott’occhio, è dei Mame di Tours, 1870, pagg. XII-564. In epigrafe, dal Testament politique di Richelieu (1, II, 10): «Les politiques veulent, en un État bien réglé, plus de maîtres és arts mécaniques que de maîtres és arts libéraux». Importante documentazione sul diritto di testare in Francia, sulla ferocia dei contadini verso i genitori vecchi, sulla aberrante opinione della superiorità dei giovani sui vecchi.

6. L’ORGANISATION DE LA FAMILLE selon le vrai modèle signalé par l’histoire de toutes les races et de tous les temps, avec trois appendices par M M. E. Cheysson, F. Le Play et C. Jannet, Paris, Tequi, 1871, pagg. XXVII-318.

La prima appendice, ad opera dell’ing. E. Cheysson, è un documento storico d’importanza eccezionale: la narrazione della rovina incombente a causa del codice civile nel 1869 sulla famiglia Melouga, che il Le Play nel 1856 aveva assunto a modello di ottima organizzazione sociale. Un conto redatto dal Le Play del modo con cui le piccole sostanze sono divorate dai legisti, uomini di preda (app. II), dà modo allo Jannet di esporre la tesi giuridica propria dei paesi a famiglia ceppo (app. III).

7. LA PAIX SOCIALE APRES LE DESASTRE, selon la pratique des peuples prospères. Réponse du 1er Juin 1871 aux questions recues par l’auteur entre le 4 septembre 1870 et le 31 mai 1871. 2de éd. complétée par un épilogue de 1875, Tours, Mame, 1876, pagg. 167.

Libretto, a domande e risposte, di popolarizzazione delle idee dell’a., che egli vede confermate dal disastro della guerra del 1870.

8. LA CONSTITUTION DE L’ANGLETERRE, considérée dans ses rapports avec la loi de Dieu et les coutumes de la paix sociale, précédée d’aperçus sommaires sur la nature du sol el l’histoire de la race, avec la collaboration de M. A. Delaire , Tours, Mame, 1875; tome I, pagg. LXIII-340; II, pagg. 4 s. n. – 437.

Quadro dell’Inghilterra di due terzi di secolo addietro, la cui prosperità (Le Play non adopera il termine “grandezza”, estraneo alla sua concezione dei popoli veramente grandi e spesso incompatibile con la prosperità concepita come morale, assai più che materiale) egli poggia sui quattro fattori dell’autorità dei genitori, sanzionata dal testamento e fortificata dal giurì, della gerarchia derivata dalle famiglie-ceppo e immedesimata colla terra, della monarchia nazionale, e della subordinazione della vita pubblica alla legge di Dio.

9. LA RÉFORME EN EUROPE ET LE SALUT EN FRANCE. Le programme des unions de la paix sociale, avec une introduction de M. H.- A. Munro Butler Johnstone, Tours, Mame, (1876), pagg. 300

Coi n. 7 ed 8, è il contributo dato dal Le Play al movimento di ricostruzione sociale sorto dalla rovina del 1870. Quando bonapartisti, legittimisti e orleanisti perdavano in vane dispute la battaglia per il ritorno alla monarchia ereditaria, il Le Play insisteva nell’insegnare che il vero problema non stava nel restaurare una qualsiasi forma di governo, ma nel creare le idee, i costumi e le istituzioni di pace e di stabilità sociale. Tra le istituzioni atte ad impedire le convulsioni sociali egli elenca il consiglio privato, il parlamento, il ministero e la corte suprema di giustizia, di cui il primo e l’ultimo composti di membri a vita responsabili legalmente dei propri atti e forniti del diritto di porre il veto alle leggi violatrici della legge di Dio e del diritto delle genti. L’elasticità dei poteri componenti la sovranità non deriva tuttavia dalla legge scritta, ma dal costume.

10. LA CONSTITUTION ESSENTIELLE DE L’HUMANITÉ, exposé des principes et des coutumes qui créent la prosperité ou la souffrance des nations, Tours, Mame, 1a ed. 1881, 2a ed., 1893, pagg. XVI-360.

Una nota della seconda edizione avverte che questo libro è l’espressione definitiva del pensiero del Le Play, morto pochi mesi dopo avervi dato l’ultima mano. Da segnalare l’appendice sull’opera di propaganda libraria delle diverse associazioni create da Le Play ed in questa il sunto della storia della casa tipografica Alfred Mame di Tours.

11. De la methode nouvelle employée dans les forêts de la Carinthie pour la fabrications du fer et des principes que doivent suivre les propriétaires de forêts et d’usines au bois pour soutenir la lutte engagée dans l’occident de l’Europe, entre le bois et le charbon de terre , Paris, Carilian-Goeury et V.or Dalmont, 1853. Extrait des “Annales des mines”, 5e serie, tome III, in ottavo, pagg. 205 e 6 tavole.

Tipico esempio degli scritti disseminati negli «Annales des mines». Analisi precisa dei costi di produzione e dei prezzi del ferro fabbricato con i due metodi opposti e della dimostrazione dei legami esistenti fra proprietà fondiaria, suo frazionamento e regime successorio, metodi di sfruttamento dei boschi e prezzi del ferro.

12. Enquête sur la boulangerie du département de la Seine, ou recueil de dépositions concernant le commerce du blé, de la farine e du pain, faites en 1859, devant une commission présidée par M. Boinvilliers, president de la section de l’interieur, recueillies par la sténographie, revues par M. Le Ptay, conseilleur d’état rapporteur, puis par les déposants, coordonnées et complétées par une table alphabétique et analytique des matieres, Paris, Imprimerie nationale , in quarto, pagg. 8 s. n. XI-834.

13. Question de la boulangerie du departement de la Seine. Deuxième rapport aux sections réunies du commerce et de l’intérieur, du Conseil d’État, sur le commerce du blé, de la farine et du pain, par M. F. Le Play, conseiller d’État, rapporteur , Paris, Imprimerie imperiale, 1860, in quarto, pagg. 299.

Dovrebbe precedere al n. 12 un Premier rapport, distribuito il 23 gennaio 1858, redatto anch’esso dal Le Play, sulla base del quale il Consiglio di Stato deliberò il 22 giugno 1858 di procedere all’inchiesta, di cui i resultati sono contenuti nel n. 12 e di far redigere dal Le Play il secondo rapporto (n. 13). Caratteristici della cura meticolosa con la quale il L. P. elaborava ogni suo scritto sono, anche nel volume delle deposizioni, gli indici metodici e alfabetici minutissimi ed i rinvii. Caratteristiche le conclusioni, rigorosamente ed esclusivamente dedotte, come è costume dell’autore, dalle osservazioni di fatto compiute a Parigi, nei dipartimenti e, per confronto, a Londra ed a Bruxelles, favorevoli alla abolizione graduale del sistema di regolamentazione del commercio del frumento, della farina e del pane. Caratteristiche perché Le Play, ingegnere, osservatore e tradizionalista, ragiona e conclude nello stesso modo come quell’Adamo Smith, che egli faceva responsabile di tanta parte dei mali sociali del suo tempo. La verità è che non esistono scuole economiche; ma si può distinguere solo, come diceva Pantaleoni, fra coloro che sanno e quelli che non sanno l’economia; o, come io correggerei, fra coloro che sanno e quelli che non sanno ragionare entro i limiti del loro sapere. Le Play, che sapeva ragionare ed aveva visto, con occhio profondo, molte cose, ragionava come un perfetto economista nelle questioni prettamente economiche, con questo di più, che egli sapeva, con la stessa bontà di ragionamento, collegare l’esame del lato economico con quello degli altri aspetti della vita. Come al n. 11 per i legami fra regime dei boschi e regime successorio, così al n. 13 sono illuminati i legami fra la regolamentazione ufficiale delle panatterie e la difficoltà dei garzoni ad elevarsi nella gerarchia sociale. Con quello del Giulio, altrove ricordato (in La riforma sociale, gennaio/febbraio 1935, pag. 100 e segg. e in questo volume, pagg. 203-212), i rapporti del Le Play sono modello, sinora non superato e sempre degno di studio di metodo nella condotta di indagini economiche concrete.

14. Voyages en Europe 1829/1854, extraits de sa correspondance, publiés par M. Albert Le Play, senateur, Paris, Plon Nourrit et C.ie, 1899, in sedicesimo, pagg. 4 s.n.- 345.

Alle lettere sono fatte precedere una breve prefazione del figlio, una notizia biografica di Lefebure de Fourcy, ispettore generale delle miniere ed una bibliografia interessante per le pubblicazioni diverse da quelle di economia sociale.

 


[1] Nel 1936, ché in seguito la disponibile fu malauguratamente scemata [nota del 1952].

[2] O, meglio, compilavamo sino a venti anni addietro, usanza buona che le vicende di tempi tumultuosi ci costrinsero a dimenticare [Nota aggiunta nel 1952].

[3] G.H. BOUSQUET nel suggestivo studio Le douar Aghbal, in «Revue d’economie politique» del gennaio/febbraio 1935, pag. 99, dopo aver detto di lui: «c’est un auteur dont les buts n’ont rien de scientifique» gli rende testimonianza di gran debito e lo raccomanda sovratutto «aux gens epris d’abstractions comme antidote». Il presente saggio ha per iscopo di mettere in luce gli elementi scientifici della teoria Leplayana. Ma poiché questa è una teoria storica, non può servire di antidoto se non alla teoria astratta di coloro i quali vorrebbero giovarsi di una certa astrazione per interpretare la realtà anche là dove all’uopo gioverebbe un’altra astrazione.

[4] COSTA DE BEAUREGARD, Un homme d’autrefois, Paris, 1900, pag. 146.

[5] Come non è tale Taine, nonostante il bello e sciagurato capitolo introduttivo della Storia della letteratura inglese, il quale in sostanza ha ben poco a fare col testo susseguente. Eppure tutti si fermano lì e di lì giudicano di lui. Tutti i pappagalli sputano su Taine ripetendo in coro: race, milieu e moment; che sarebbero i tre fattori da cui nell’introduzione è fatto discendere l’état moral di un popolo, dal quale état moral discenderebbero alla loro volta la sua letteratura, la sua filosofia, la sua società e la sua arte. Che è certo cosa da ridere; ma perché non andare avanti e leggere: «Tout vient du dedans chez lui, je veux dire de son âme et de son génie; les circonstances et les dehors n’ont contribué que médiocrement à le développer» (Histoire ecc., II, 164). Naturalmente, qui si parla di Shakespeare; e per lui Taine butta dalla finestra i tre fattori, buoni per descrivere gli scrittori qualunque, di cui non si saprebbe cosa dire se non si inquadrassero nella race, nel milieu e nel moment. Ma oramai a Taine è appiccicato il cartellino della race ecc. ecc e guai a dimenticarsi la finca!

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