Opera Omnia Luigi Einaudi

Il prelievo dei 125 milioni

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 02/12/1912

Il prelievo dei 125 milioni

«Corriere della Sera», 2 dicembre 1912

Cronache economiche e politiche di un trentennio (1893-1925), vol.III, Einaudi, Torino, 1960, pp. 455-459

 

 

 

 

Il prelievo di una somma non superiore a 125 milioni dal fondo in oro depositato presso la Cassa depositi e prestiti in rappresentanza dei biglietti di stato ha dato luogo a vivaci polemiche sui giornali quotidiani, sicché sembra forse non inopportuno esporre oggettivamente i dati fondamentali del problema.

 

 

Sfrondato di tutti gli elementi accessori, il problema si riduce al seguente: oggi esiste in circolazione una massa di biglietti di stato di 499.875.805 lire in rappresentanza e garanzia dei quali biglietti il tesoro ha depositato presso la cassa depositi e prestiti la somma di lire 241.829.720 in oro, di cui però 16.875.805 sono a garanzia speciale di altrettanti biglietti emessi per conto del Banco di Napoli, compresi a quanto si legge, nei 499 milioni precedenti. Il governo ha deliberato di ridurre gradatamente la riserva aurea dei biglietti di stato di 125 milioni; cosicché essa finirà di essere solo di 116.827.720 lire. I 125 milioni in oro saranno versati nella tesoreria dello stato ed in rappresentanza di essi saranno emessi 125 milioni di biglietti della Banca d’Italia, i quali accresceranno il fondo di cassa del tesoro. In sostanza il provvedimento ha per effetto di crescere di 125 milioni di lire la circolazione dei biglietti della Banca d’Italia, lasciando immutata la riserva metallica complessiva. Riassumendo in uno specchietto le cose ora dette, si avrebbero le seguenti variazioni nelle cifre della circolazione (in milioni di lire):

 

 

 

Biglietti di stato

Biglietti degli istituti di emissione

Totale

Ammontare dei biglietti

Prima

499,8

2.254,8

2.754,6

Dopo

499,8

2.379,8

2.879,6

 

=

+ 125

+ 125

 

Riserva

Prima

241.8

1.506,7

1.748,5

Dopo

116,8

1.631,7

1.748,5

 

– 125

+ 125

=

 

 

Si vede che la riserva rimane nel complesso immutata, diminuendo di 125 milioni la riserva dei biglietti di stato, e crescendo di altrettanto la riserva dei tre istituti di emissione (Banca d’Italia, di Napoli e di Sicilia). Mentre invece la circolazione aumenta di 125 milioni, poiché, rimanendo immutata la somma dei biglietti di stato il quantitativo dei biglietti degli istituti (e nel caso presente della Banca d’Italia, la quale è incaricata del servizio di tesoreria dello stato) può crescere di 125 milioni di lire, tutti coperti da un uguale aumento della riserva propria, accresciutasi per il passaggio dei 125 milioni dal fondo dei biglietti di stato al fondo dei biglietti degli istituti.

 

 

Il provvedimento, come è stato esposto in cifre in due maniere, rispetto ai biglietti e rispetto alle riserve, così può essere guardato separatamente rispetto alla consistenza delle riserve e rispetto al decretato aumento di circolazione. Se in Italia esistesse il cambio a vista dei biglietti, i due fatti non potrebbero essere giudicati l’uno separatamente dall’altro; perché la circolazione in biglietti non potrebbe mai diventare esuberante, ogni biglietto eccedente essendo portato al cambio e permutato con moneta metallica, la quale potrebbe essere esportata all’estero e cesserebbe quindi di contare nella circolazione interna. In Italia invece esiste di fatto il corso forzoso; ed i biglietti non sono permutabili a vista ed al portatore in oro. Quindi il legislatore può benissimo ordinare che diminuisca la riserva metallica, rimanendo immutata la quantità dei biglietti, o far crescere i biglietti, senza aumentare la riserva metallica. Le due quantità sono indipendenti l’una dall’altra, almeno nei limiti segnati dalla legge.

 

 

Premesso questo, osservo che il fatto della diminuzione delle riserve metalliche dei biglietti di stato non ha, per se stesso considerato, una importanza apprezzabile. È un errore dire, in regime di corso forzoso, che le riserve sono la garanzia della circolazione. I portatori di biglietti di stato e di banca non sono garantiti da riserve auree che non si possono toccare e che essi non hanno diritto di chiedere in cambio dei biglietti inconvertibili. Credo che tutti i trattatisti siano d’accordo nel ritenere che una riserva aurea la quale è seppellita per legge nelle cantine dei tesori pubblici non funziona come vera garanzia dei biglietti. Garanzia è quella riserva di cui i portatori possono disporre, portando i biglietti al cambio; così come garanzia di un creditore è la casa ipotecata, che si può far vendere all’incanto, quando il debitore non paghi, e non la casa che per legge sia dichiarata inalienabile. Anche se non ci fosse un soldo di garanzia aurea dietro ai biglietti di stato da 5 e 10 lire non perciò i biglietti di stato cesserebbero di aver corso per 5 e 10 lire e cesserebbero di dovere essere accettati nei pagamenti per 5 e 10 lire. Dico di più: sembra a me incontrovertibile che, se anche non esistesse un soldo della cosidetta garanzia aurea dei biglietti di banca e di stato, insieme considerati, i biglietti stessi seguiterebbero a circolare alla pari con l’oro, supponendo, e questa è l’essenziale ed in fondo unica condizione, che la quantità dei biglietti in circolazione non sia eccessiva, ossia non sia superiore a quella quantità di moneta aurea che correrebbe in paese naturalmente, se non esistesse il corso forzoso. Un paese in cui la quantità dei biglietti a corso forzoso non sia esuberante, può conservare modeste riserve metalliche ed essere ciononostante pronto a riprendere in qualsiasi momento i pagamenti a vista. L’oro va da sé nei paesi da cui non lo respinge la troppa carta a corso forzoso; e la paura di rimanere privi d’oro, sempre, s’intende, quando la circolazione di carta non sia sovrabbondante, è un’ubbia grottesca. Per se stessa, dunque, la riserva attuale aurea di 1.748,5 milioni è altissima; e si potrebbe fare a meno di una parte di essa senza nessun inconveniente. Anche come preparazione ad una ripresa futura del cambio a vista dei biglietti, quella riserva mi pare superiore alle più larghe esigenze calcolate con la massima prudenza. Siccome l’impiegare capitali sotto forma di riserve auree è, per la società, una perdita secca, così non mi sembra che alcun inconveniente si potrebbe immaginare derivante dal fatto che lo stato impiegasse 125 milioni della sua riserva a comprare all’estero cannoni, armamenti diversi, aeroplani, grano, ecc. ecc. L’oro non serve per se stesso a nulla; ed è quindi opportuno tenerne la minore quantità possibile; mentre i cannoni, le armi, il grano, ecc. servono alla difesa nazionale.

 

 

I dubbi nascono soltanto dall’annuncio che il governo sembra abbia deliberato non di spendere i 125 milioni in oro per le occorrenze sue, il che, ripeto, non avrebbe potuto recare alcun inconveniente, ma di tenerli depositati in tesoreria, emettendo, in rappresentanza di essi, altri 125 milioni di carta. Se la riserva metallica fosse diminuita di 125 milioni, da 1.748,5 a 1.623,5 milioni, nessun male ci sarebbe stato, perché si sarebbe diminuito solo un peso morto, che tutti i paesi si trascinano dietro, per forza, data l’abitudine dei popoli di servirsi dell’oro negli usi monetari, ma che è compito dei dirigenti la politica monetaria del paese di ridurre al minimo possibile. I dubbi sorgono per il fatto che, rimanendo invece immutata la riserva, la circolazione cartacea cresce i 125 milioni.

 

 

Il dubbio maggiore è naturalmente relativo alla possibilità di un aumento del cambio o meglio aggio. Alcuni hanno voluto attribuire all’aumento di 125 milioni nella circolazione l’aumento recente del cambio da 100,80 a 101,30 circa. Certo il cambio a 101,30 è fatto non lieto; ma prima di dare un giudizio positivo, occorre vedere se il fatto sia duraturo, se non sia dovuto a cagioni transitorie (è forse attiva attualmente la importazione del frumento a compensare lo scarso raccolto interno del 1912?) ecc. ecc. Epperciò non pare consentito, senza indizi più sicuri, di attribuire l’aumento avvenuto ai nuovi 125 milioni di biglietti, che, per giunta, sono ancora da emettere. Neppure si può senz’altro dar la colpa dell’inasprirsi del cambio alla speculazione, la cui efficacia nel provocare artificiosi e duraturi aumenti o ribassi nei cambi è incerta.

 

 

Certo è però che la tendenza del cambio ad inasprirsi negli ultimi anni deve essere seriamente meditata. Dopo di essere discesi da una media annua del cambio per Parigi di 105,81 nel 1900-901 a, 99,93 nel 1907-908 siamo risaliti a 100,25 nel 1908-909, a 100,49 nel 1909-10, a 100,44 nel 1910-11, a 100,68 nel secondo semestre 1911. È probabile che nel 1912 la media non abbia gran fatto a scostarsi da 101. Se occorre pagare 101 lira di biglietti italiani per avere 100 lire d’oro, la carta italiana è svilita dell’1 percento. Sembra pure certo che nessun’altra causa permanente possa immaginarsi di un fatto così persistente come l’aumento, per fortuna tenue, nel corso del cambio dopo il 1907-908, fuorché la sovrabbondanza relativa della carta. Ogni merce deprezza quando cresce in quantità in confronto ai bisogni; ed a questa legge non si sottrae neppure la carta-moneta. Non sarebbe dunque meglio spendere in oro i 125 milioni, evitando di mettere 125 milioni di più di carta già sovrabbondante in circolazione? A tutta prima sembra meglio spendere carta che oro, perché l’oro ha l’aria di essere cosa più preziosa e degna di essere meglio conservata. Ma se si riflette che quella dell’oro è una semplice illusione, che l’oro non serve a niente per sé e gli sforzi di tutti devono essere diretti a negoziare la più vasta massa di ricchezze col minimo uso di moneta costosa, che di oro ne abbiamo oggi, in regime di corso forzoso, 1.748,5 milioni di troppo, e ne avremo sempre ad esuberanza nel giorno della ripresa dei pagamenti aurei; mentre l’aumento nel corso dei cambi da 5 anni a questa parte sembra additare ai meditanti una certa iniziale sovrabbondanza di carta monetata, il dubbio si rafforza; od, almeno, si raccomanda all’attenzione di quanti riflettono su questi difficili e complessi problemi della circolazione.

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