Opera Omnia Luigi Einaudi

Il prestito forzoso è mai esistito?

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 27/12/1919

Il prestito forzoso è mai esistito?

«Corriere della Sera», 27 dicembre 1919

Cronache economiche e politiche di un trentennio (1893-1925), vol. V, Einaudi, Torino, 1961, pp. 541-545

 

 

 

Una obiezione frequentemente fatta al nuovo prestito consolidato 5% è questa: avremmo dovuto preferire il primitivo piano di prestito forzoso all’1% con restituzione del capitale di 100 lire in 80 anni. Lo stato avrebbe ottenuto le somme di cui ha bisogno a condizioni di gran lunga meno onerose, e tutti i ricchi e gli arricchiti e anche i semplicemente agiati sarebbero stati chiamati a contribuire, e non soltanto coloro che per interesse o per devozione al paese sottoscriveranno volontariamente al nuovo prestito.

 

 

La obiezione, naturalmente, è fatta da critici, da coloro che non vogliono sottoscrivere al prestito volontario, da coloro i quali amano denunciare ogni operazione finanziaria come mossa dallo scopo di arricchire i capitalisti. Parecchie osservazioni si dovrebbero fare in proposito, a cominciare da quella che il prestito forzoso non dava e non poteva dare quel gettito immediato di cui il tesoro ha bisogno nel momento presente. La differenza essenziale, dal punto di vista finanziario, fra il prestito forzoso (e l’imposta straordinaria) ed il prestito volontario sta invero in ciò, che col primo si chiedono somme a prestito a tutti i possessori di un patrimonio, mentre col secondo si chiedono ai soli possessori di somme liquide o in qualunque modo disponibili. Se il prestito è volontario, colui che ha per tutto suo patrimonio una casa od un fondo rustico probabilmente non sottoscrive, perché non ha denaro liquido. Se il prestito è forzoso, anch’egli deve sottoscrivere, perché lo stato può obbligare i cittadini a versargli un tributo ed il prestito forzoso è un vero tributo proporzionale ai loro patrimoni. Chi ha 100.000 lire in terre deve pagare alla stessa stregua di chi ha 100.000 lire in contanti. Il patrimonio è identico e non c’è nessuna ragione perché l’uno sia chiamato a pagare un’imposta od a sottoscrivere un prestito all’1% e l’altro no. Amendue pagheranno, ad esempio, il 5 od il 10 per cento. Di qui viene che il prestito forzoso non dà proventi immediati. Come obbligare il proprietario di terre, il quale non ha altro che terre, a pagar subito 10.000 lire sul valore di 100.000 lire del suo patrimonio? Egli non le ha; e per procurarsele subito dovrebbe vendere le terre od ipotecarle; tutte cose le quali produrrebbero scompigli e danni gravissimi. Perciò occorre dar tempo al proprietario di pagare: otto anni, secondo il progetto di prestito forzoso, e persino dodici anni, in casi particolarmente pietosi di impossibilità a pagar subito. Non tutti avranno bisogno degli 8 e dei 12 anni di mora; moltissimi sì e la maggioranza richiederà ad ogni modo una mora. Non v’è alcuno, il quale ragioni, che possa negare la ineluttabilità di un più o meno lungo periodo di tempo per incassare i proventi di un prestito forzoso e di una imposta straordinaria sul patrimonio.

 

 

Invece il prestito volontario è pronto, immediato nel suo rendimento. Chi ha 100.000 lire in terre, non sottoscrive nulla, quando non possa a condizioni tollerabili ottenere all’uopo un mutuo. Ma chi ha 100.000 lire in contanti, sottoscrive forsanco per tutte le 100.000 lire. Egli fa un impiego di capitale ed, ove non preveda di averne bisogno per una sua impresa industriale o commerciale, ha interesse a mutuarle tutte allo stato per assicurarsi un buon frutto. E così lo stato incassa subito 100.000 lire. Il prestito forzoso è lento, perché chiede a chi ha ed a chi non ha il contante disponibile; il volontario è rapido, perché chiede solo a chi possiede il contante ed ha interesse a darlo.

 

 

È vero che col prestito forzoso lo stato avrebbe pagato solo l’1% e col volontario paga il 5,70%: ma quella differenza è più apparente che sostanziale. Invero che cosa importa allo stato pagare il 5,70%, quando contemporaneamente istituisce una imposta patrimoniale annua, la quale darà ogni anno i mezzi di pagare quegli interessi del 5,70%? È chiaro che lo stato, ossia i contribuenti in generale non avranno da sopportare alcun sacrificio. Saranno i soli contribuenti provveduti di patrimonio coloro i quali dovranno pagare gli interessi del prestito volontario. Insomma, il prestito volontario accompagnato da un’imposta patrimoniale annua, è la stessa cosa di un prestito forzoso o di un’imposta straordinaria sul patrimonio. Esso grava sui soli proprietari di patrimonio; ed è preferibile perché il suo gettito è immediato.

 

 

Dico di più il prestito forzoso, di cui tanto si parla, per lodarlo, oggi che è tramontato, da coloro i quali dapprima lo criticavano, non è mai esistito. Don Giuseppe Manno, se fosse ancor vivo, potrebbe aggiungere uno spunto felice al suo libro sulla fortuna delle parole, narrando come in Italia si sia discorso per mesi intorno ad una parola, la quale nascondeva un fatto insussistente.

 

 

È di ragion pubblica invero che nel progetto di prestito forzoso, ogni contribuente, chiamato a pagare dal 5 al 40% del suo patrimonio, poteva ridurre di un terzo il suo contributo rinunciando a ritirare i titoli del prestito forzoso. Chiunque sapeva analizzare il contenuto di questa norma facilmente si persuadeva che il cosidetto prestito forzoso, in realtà si componeva di due operazioni nettamente distinte:

 

 

  1. Con la prima, il contribuente era chiamato a pagare una imposta straordinaria sul patrimonio, a fondo perduto, senza restituzione, uguale ai due terzi delle aliquote stabilite nella misura dal 5 al 40 per cento. Per esempio, il proprietario di un patrimonio imponibile di 100.000 lire doveva pagare l’aliquota totale del 10% ossia 10.000 lire, di cui 6.666,66 a fondo perduto. Queste 6.666 lire erano una vera imposta patrimoniale, non un prestito, né volontario, né forzoso. Parlare di prestito forzoso a proposito di queste 6.666 lire è pura illusione; perché il contribuente, il quale pagava solo questa somma, non riceveva alcun titolo in cambio. Il pagamento era fatto a fondo perduto; ed era perciò una vera imposta, senza neppure l’ombra dei caratteri del prestito.

 

 

Questa prima parte è rimasta, con la sola differenza che le 6.666 lire invece di essere pagabili in 4-8 anni, sono pagabili in 30 anni; il che ne rende il peso alquanto minore. Ma se si riflette che invece di 30 anni, la imposta in pratica durerà in perpetuo, e se si aggiunge che le aliquote potranno essere aumentate, quando si siano superate le prime difficoltà di accertamento, si può concludere che in sostanza la imposta è rimasta, dopo aver subito, per questa parte, un notevole miglioramento.

 

 

  1. È invece scomparsa la seconda operazione componente il cosidetto prestito forzoso: la facoltà data al contribuente di aggiungere di sua iniziativa ai primi due terzi obbligatori un ultimo terzo duramente volontario. Il contribuente, dopo aver pagato per forza 6.666 lire poteva dichiarare di voler pagare altre 3.333 lire. In tal caso egli ritirava un titolo del valore nominale di 10.000 lire e del frutto dell’1% ossia di 100 lire annue. Se a lui questa seconda operazione non piaceva, dichiarava di non voler versare 3.333 lire e di non voler ritirare il titolo. E tutto finiva lì.

 

 

Per chi non voglia pascersi di vento è chiarissimo che questa seconda operazione non era prestito forzoso, ma un prestito volontario puro e semplice. Forzoso è l’atto che si deve compiere; non l’atto che se si vuole si fa e se non si vuole non si fa. I contribuenti avrebbero tutti fatto i loro conti: conviene a me sottoscrivere un titolo che io pago 33,33 lire e che mi viene bensì rimborsato in 100 lire, ma in 80 anni e nel frattempo mi frutta solo 1 lira? In buona sostanza, lo stato, pagando 1 lira di interesse per ogni 33,33 ricevute e rimborsando 100 lire invece di 33,33 avrebbe finito, tutto compreso ed a conti fatti, per pagare per 80 anni il 5% d’interesse. A parer mio, era un magnifico titolo per le persone previdenti, desiderose di assicurarsi un buon reddito per molti anni. Era dubbio però se di queste persone lungimiranti ce ne sarebbero state molte in Italia. I più desiderano il buon reddito subito; e molti sarebbero stati nei loro calcoli imbarazzati da quell’1%, da quel rimborso in 80 anni e dal connubio coll’imposta straordinaria forzosa. Epperciò questo tipo di prestito fu abbandonato.

 

 

Fu abbandonato un tipo di prestito volontario a favore di un altro tipo di prestito volontario più attraente per i risparmiatori e forse meno gravoso per l’erario, il quale dopo il 1940 conserva il diritto alla conversione. Non si abbandonò il prestito forzoso, semplicemente perché questo non esistette mai. Il nome di prestito forzoso era un semplice accorgimento fiscale, il cui scopo era quello di incutere prima un certo timore ai contribuenti con la prospettiva di pagare dal 5 al 40%, che erano aliquote enormi e per i patrimoni non bellici ingiustamente oppressive; e di rallegrarli in un secondo momento col dir loro: se non volete pagare dal 5 al 40%, pagherete solo dal 3,33 al 26,66%, ma rinuncierete ai titoli del prestito. Erano, anche queste, aliquote formidabili; ma forse sarebbero parse meno gravi, sotto l’impressione dello scampato pericolo di dover soggiacere ad un peso tanto più forte.

 

 

Comunque si voglia giudicare questa astuzia fiscale, resta incontroverso il fatto che il prestito forzoso non è mai esistito; e che da esso perciò non si può trarre argomento per criticare il prestito volontario 5%, sotto i rispetti del pubblico erario e dei risparmiatori, preferibile al prestito forzoso.

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