Opera Omnia Luigi Einaudi

Il ritorno alla stabilità monetaria e la revisione dei rapporti creditizi

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 01/11/1927

Il ritorno alla stabilità monetaria e la revisione dei rapporti creditizi

«La Riforma Sociale», novembre-dicembre 1927, pp. 558-556

Saggi, La Riforma Sociale, Torino, 1933, parte II, pp. 81-91

 

 

 

E. L. Hargreaves: Restoring Currency Standards, with a preface by Edwing Cannan. (London, P. S. King and Sons, Orchard House, Great Smith Street, Westminster, 1926, un vol. di pag. IX-106. Prezzo 6 sc.).

 

 

1. – Il libro è stato scritto per suggerimento del prof. Cannan, stupito di non trovare nel Dizionario del Palgrave ed in altre fonti accessibili alcun ragguaglio preciso intorno alla sorte riserbata ai contratti stipulati prima e dopo il grande deprezzamento degli assegnati francesi e della cosidetta moneta continentale creata poco prima negli Stati Uniti, in conseguenza della guerra di indipendenza. Il problema più importante posto dal deprezzamento o dall’apprezzamento monetario non è invero quello del raggiustamento dei prezzi, dei salari, dei profitti, i quali alla lunga si muovono e si riequilibrano; bensì quello di condurre a giusta risoluzione le obbligazioni di pagamento di somme fisse in denaro. Nel momento nel quale accade il passaggio da una moneta cartacea svalutata ad una moneta aurea o permutabile in oro, sono in corso milioni di contratti non ancora intieramente eseguiti, di cui alcuni possono avere poche ore ed altri pochi o molti giorni od anni e persino secoli di vita. Dovranno essi essere eseguiti in carta o in oro? E quali regole di conversione dovranno essere adottate? Il dott. Hargreaves studia le esperienze compiute negli Stati Uniti del 1780-1783, nella Francia del 1795-1798 e nell’Austria del 1811-1813. Al Cannan i fatti raccolti e le osservazioni compiute dall’allievo parvero così simili ai fatti ed alle osservazioni d’oggi da fargli esclamare: Nihil sub sole novi. Il volume non grosso di mole e denso di esperienza storica sobriamente e chiaramente esposta, merita davvero di essere letto; e poiché sunteggiarlo non si potrebbe senza riprodurlo intieramente, qui di seguito si vuole soltanto accennare a taluno dei problemi posti in quelle epoche fortunose, che ci vedemmo rivivere dinnanzi agli occhi in recenti anni egualmente fortunosi.

 

 

2. – Nel marzo 1780 la carta moneta nord americana (Continental Currency) essendo deprezzata ad un quarantesimo del suo valore nominale, il congresso dichiarò che essa si cambiasse con l’argento appunto a quel rapporto. Nulla dicendosi intorno al modo di regolare le convenzioni pubbliche e private precedentemente stipulate, i debitori avrebbero potuto profittare pagando in una moneta talvolta, a seconda della data della stipulazione, assai inferiore per valore a quella ricevuta. Nel giugno il congresso, persuaso dell’ingiustizia che ne sarebbe derivata, compilò una tabella di ragguaglio tra la carta moneta e l’argento fissando i seguenti punti:

 

 

1° marzo 1728………………….. – 1 dollaro-argento =  1,75 dollari-carta
1° settembre 1728…………….. – 1 dollaro-argento =  4      dollari-carta
1° marzo 1729………………….. – 1 dollaro-argento = 10     dollari-carta
1° settembre 1729…………….. – 1 dollaro-argento = 18 –   dollari-carta
1° marzo 1780………………….. – 1 dollaro-argento = 40     dollari-carta

 

 

sulla qual base il tesoro redasse un mese dopo una più ampia tabella sulla quale si davano i saggi di deprezzamento per ogni giorno dal 1 settembre 1777 al 18 marzo 1780. I debiti avrebbero dovuto essere pagati sulla base della tabella; cosicché un debito di 40 mila dollari carta contratto il 1 settembre 1778 si intendeva ridotto a 10 mila dollari argento; ma lo stesso debito contratto il 1 marzo 1780 poteva solversi col pagamento di 1000 dollari argento.

 

 

3. – Nella Carolina del Sud, dove la carta-moneta americana non era stata riconosciuta dalle autorità inglesi, la tabella di ragguaglio fu invece compilata tenendo conto non soltanto del cambio sull’argento, ma anche delle variazioni sul potere di acquisto rispetto ai «prodotti del paese» e tra questi furono compresi il riso, l’indaco, la farina, il tabacco, il burro, il sego, il bestiame grosso, i vitelli, le pecore, i maiali, il granoturco e la legna da bruciare. È questo uno dei primi casi di uso legale dei numeri indici.

 

 

4. – In Francia, una legge del 23 giugno 1797, reputando che una scala uniforme per tutto lo Stato non fosse corretta, prescrisse che nei singoli dipartimenti si compilassero scale di deprezzamento degli assegnati dall’1 gennaio 1791 al 17 luglio 1796. I fattori della scala furono: 1) dati forniti dal tesoro centrale sul prezzo delle specie metalliche monetate pagando in occasione delle operazioni compiute dal governo; 2) dati analoghi sui prezzi pagati sulle specie metalliche nelle diverse città commerciali; 3) dati sui prezzi pagati nei contratti di compra – vendita di beni immobili; 4) e su quelli pagati per le derrate e per le merci non sottoposte a calmiere. È interessante notare che a far parte di questo complesso numero indice del deprezzamento della carta moneta non entrò il corso dei cambi propriamente detto. Sebbene i risultati ottenuti differissero notabilmente da un dipartimento all’altro – ad esempio nell’agosto 1793 il valore di 100 lire in assegnati era fatto uguale a 69 lire in argento nell’Alta Marna ed a 20 lire nelle Alpi Marittime – una commissione parlamentare di revisione si astenne, salvo in un caso di evidente violazione delle istruzioni governative, dal modificarle; e col rapporto del 30 agosto 1798 ne approvò l’adozione.

 

 

5. – L’errore di porre a fondamento delle tabelle di deprezzamento il semplice corso dei cambi della carta-moneta svalutata e la necessità di costruire un più complesso numero indice, furono sempre ed universalmente sentiti dai legislatori e sono efficacemente dimostrati nel proemio della legge 12 agosto 1800 (24 termidoro, anno VIII) della Consulta del Piemonte, laddove, esponendo concetti che l’Hargeaves ha letto nei documenti americani e francesi della stessa epoca, osservava «che i prezzi delle cose in comune commercio non essendosi né proporzionati né talvolta approssimati al corso dei cambi, e tanto meno in una maniera tra loro uniforme, il vario innalzamento o abbassamento dei cambi medesimi non può nei pagamenti somministrare da sé solo una regola né invariabile, né generale, né equitativa». Epperciò la Consulta, attenendosi a criteri di prudente arbitrio, cercò di evitare gli inconvenienti, i quali sarebbero derivati dall’applicazione di una unica regola desunta senz’altro dal criterio troppo semplice del corso dei cambi. O risorgono le stesse dispute; si riparla di divergenza tra potenza di acquisto interna ed estera e di scarsa capacità del corso dei cambi sull’oro a raffigurare il deprezzamento della moneta cartacea; e di nuovo si ricorre a numeri indici compositi per risolvere il problema. Ma non è stato ripetuto il tentativo francese di far entrare nel calcolo dei numeri indici i prezzi dei beni immobili ed in generale dei valori capitali, che pur sono tanta parte delle contrattazioni quotidiane.

 

 

6. – La compilazione di tabelle legali di deprezzamento significava che, di regola, i debiti convenuti nella carta moneta svalutata dovevano essere ridotti in moneta metallica nella ragione indicata nella tabella per il momento della stipulazione del contratto di mutuo. Ma se, durante il periodo di deprezzamento, si era stipulato un contratto in oro, in argento o in una moneta estera o se il contratto era anteriore al detto periodo, il contratto doveva essere eseguito nella moneta convenuta senza alcuna riduzione. Ciò affermarono le leggi americane e ripeterono le leggi francesi; le quali aggiunsero soltanto che le corti giudiziarie potessero in questi casi concedere ai debitori una mora al pagamento. E la legge citata dalla Consulta piemontese statuiva: «Tutti i pagamenti, che in qualunque atto o contratto… sieno stabili in una specie o valuta determinata in moneta sonante, si faranno in essa specie o valuta. Quei vecchi legislatori stimavano che, se due contraenti avevano inteso, contraendo in specie metallica o in valute forestiere, salvaguardarsi dal rischio delle oscillazioni della moneta cartacea legale, la loro volontà dovesse essere rispettata.

 

 

7. – Per lo più negli Stati americani si ritenne che se il debitore aveva già fatto pagamenti in acconto innanzi alla promulgazione delle tabelle di ragguaglio, su quei pagamenti non si dovesse più ritornare e solo il saldo fosse oggetto a riduzione. La revisione di contratti più eseguiti parve dovesse cagionare perturbazioni economiche più gravi delle ingiustizie a cui si sarebbe potuto riparare; i debitori avendo probabilmente assunto nuovi impegni, fiduciosi di essersi liberati di quelli anteriori. Tuttavia le corti giudiziarie reputarono che i crediti per merci vendute dal debitore al creditore durante il periodo di svalutazione non potessero conteggiarsi al valore nominale in conto pagamento di debiti contratti anteriormente all’1 settembre 1777, ossia all’inizio della svalutazione medesima. Il debitore, in conseguenza del rincaro delle merci, si sarebbe sdebitato a troppo buon mercato; epperciò le merci vendute dovettero, a norma della scala dei valori in argento della carta moneta, essere ridotte al loro valore metallico. Analogamente ogni volta che i pagamenti in conto non erano stati accettati come tali dal creditore, ma avevano dato semplicemente luogo a scritturazioni in conto corrente, ogni pagamento doveva essere ridotto in valuta metallica a norma della scala legale. Il principio che non dovesse farsi luogo a diminuzione dei crediti già soddisfatti «per la concorrente però solamente della somma che sarà stata in estinzione dei medesimi pagata» fu del pari adottato (art. 12) della citata legge piemontese.

 

 

8. – Non potendosi presumere che tutti i contratti stipulati durante il periodo di deprezzamento fossero stati intesi in carta moneta, quale doveva intendersi fosse la moneta convenuta? Se un creditore stipulò di non volere essere pagato prima della scadenza di dieci anni, ciò fece probabilmente perché egli aveva previsto di essere, scaduto il decennio, pagato in pieno in oro o in argento. Il punto venne negli Stati Uniti vivamente discusso sovrattutto in occasione delle vendite di terreni o di case. Anche se il pagamento era inteso in carta moneta, sembrava ingiusto che il prezzo dovesse ridursi secondo una scala di rapporti fra la carta e l’argento, la quale era stata costrutta senza riferimento alcuno (eccetto nella Carolina del Sud) all’effettivo rialzo nei prezzi della proprietà immobile. Spesso il pagamento che era stato stipulato, dovesse farsi «in moneta corrente». Corrente nel momento del contratto od in quello della scadenza? Le corti, pur non giungendo al segno di ricostruire, sostituendolo al prezzo stipulato in carta, il valore metallico del fondo al momento del contratto, agirono per lo più secondo criteri approssimativi di equità, senza tenersi stretti ad alcuna regola fissa. Anche in Francia le mutazioni avvenute nei prezzi della proprietà fondiaria durante la rivoluzione avevano messo i compratori, i quali non avevano ancora pagato od avevano pagato solo in parte il prezzo d’acquisto, in una situazione diversa da quella dei debitori ordinari, le cui obbligazioni erano ridotte secondo una scala fissa di deprezzamento. Il compratore poteva invero essere chiamato a pagare secondo una stima del valore delle proprietà vendute riferita da periti al momento della vendita. La legge del 5 gennaio 1798 formulò all’uopo quattro alternative: 1) il compratore poteva, volendo, pagare in moneta metallica senza alcuna riduzione; 2) se una riduzione era chiesta, si faceva una stima del valore della proprietà in moneta metallica al momento della vendita, avuto riguardo ai prezzi di proprietà analoghe nella località; 3) il venditore aveva diritto di rinunciare alla stima, qualora si fosse contentato di ricevere il prezzo ridotto secondo la scala generale di deprezzamento in vigore nel dipartimento; 4) in alcuni casi, per es., quando la proprietà fosse gravata di onere annuo di censo o rendita, il compratore poteva rinunciare al contratto, ottenendo il rimborso degli acconti pagati, ridotti in moneta metallica, a norma della scala di deprezzamento.

 

 

Se acconti erano stati pagati, ad es., per un quarto del prezzo convenuto e si era proceduto a stima, il compratore doveva pagare a saldo i tre quarti del valore di stima. Sistema diverso da quello adottato per lo più dagli Stati americani, dove gli acconti erano calcolati al valore nominale e spesso diminuivano perciò fortemente il valore del saldo ancora da versare.

 

 

9. – Come dovevano essere regolati i contratti sorti innanzi all’inizio del deprezzamento, ma rinnovati nel frattempo? La legge francese del 31 agosto 1797 stabilì che, se in un contratto posteriore all’1 gennaio 1791 si faceva richiamo ad un contratto originario anteriore a quella data o se era provato che il contratto era stato rinnovato senza mutazione, il debitore dovesse pagare in specie metallica senza alcuna riduzione. Fu osservato durante la discussione del disegno di legge che il debitore avrebbe potuto pagare in carta moneta svalutata e non doveva perciò subire danno per avere consentito alla rinnovazione del contratto a favore del creditore. Ma la legge dell’1 dicembre 1797 riaffermò il principio che si dovesse avere riguardo alla data originaria e non a quella della rinnovazione. La citata legge piemontese del 12 agosto 1800 escluse altresì dalla riduzione i crediti «che provengono bensì da un atto o contratto posteriore al dì 31 dicembre 1796, ma hanno relazione ad un titolo anteriore»; aggiungendo tuttavia la clausola: «sempre che non sia seguita una vera novazione».

 

 

10. – Più imbrogliata è la situazione nascente dalla cessione di debiti Tizio, prima dell’inizio del deprezzamento, prese a mutuo da Caio 100.000 lire in moneta metallica o piena; Caio durante il deprezzamento quando la lira-assegnati equivaleva a 50 centesimi-oro vendette il diritto di credito a Sempronio; e questi, quando la lira-assegnati cadde a 10 centesimi-oro, rivendette il diritto medesimo a Mevio. Dopo il ritorno alla moneta-oro Tizio dovrà pagare a Mevio 100.000 lire-oro, perché il contratto aveva avuto origine prima del deprezzamento ovvero 10.000 lire-oro perché Mevio sborsò a Sempronio 100.000 lire-assegnati del valore di soli 10 centesimi-oro l’una? Nel primo caso Tizio paga il dovuto; ma Mevio arricchisce indebitamente per la differenza fra le 10.000 lire-oro realmente sborsate per l’acquisto del credito e le 100.000 lire-oro ricevute. Nel secondo caso Tizio si locupleta senza danno di Mevio. Ovvero, rimborsando Tizio tutte le 100.000 lire-oro ricevute, queste saranno distribuite per 50.000 lire a Caio, 40.000 lire a Sempronio e 10.000 lire a Mevio? Sarebbe così osservata la norma del risarcire ognuno delle perdite sofferte, senza che alcuno indebitamente arricchisca. Ma come appurare le persone degli interessati ed i rispettivi diritti; come rimettere in discussioni contratti già definitivamente liquidati?

 

 

Il problema, che è senza forse il più aggrovigliato tra quelli nascenti tra i processi di svalutazione monetaria e successivo ritorno alla moneta buona, fu ignorato dalla legislazione americana post rivoluzionaria. Il legislatore francese affrontò il problema; ma la soluzione fu poco chiara. La legge dell’1 settembre 1797 statuì che nei casi di semplice trasferimento o cessione di debiti (transports de dettes) il cessionario del credito godesse di tutti i diritti dei cedenti; e si dovesse in ogni caso aver riguardo alla reale origine del contratto. Si poteva logicamente dedurre che il debitore dovesse pagare a norma del valore degli assegnati alla data del contratto originale e non di quello corrente alla data della cessione. Le corti opinarono invece che la legge, ben lungi dal volere che il creditore, il quale aveva comperato con assegnati o mandati un debito originariamente contratto in specie metallica, dovesse essere pagato in pieno in specie metallica, intendeva che le parti si riferissero al momento in cui l’ultimo creditore aveva effettivamente versata la somma da rimborsare. Ossia si ritenne che fosse intervenuta una novazione vera e propria e perciò si dovesse riferire alla data in cui il nuovo creditore aveva acquistato il diritto originario di credito.

 

 

Diverso era il caso in cui, invece di cessione di credito, trattavasi di incarico dato, in occasione della vendita di una proprietà, al compratore di pagare una certa somma dovuta dal venditore ad un terzo (délégation ou indication de paiement). Il compratore fu obbligato ad effettuare il pagamento in pieno, amenochè egli preferisse annullare l’acquisto della proprietà. Il diritto di annullamento del contratto esimeva il compratore dall’obbligo di pagare per intiero in moneta metallica un creditore il quale poteva forse avere consegnato carta-moneta.

 

 

11. – I fitti dei fondi rustici e delle case furono in Francia ripetutamente regolati dal legislatore. La legge del 7 settembre 1796 stabilì che i canoni di affitto di case dovessero rimanere invariati, ossia pagati in pieno in moneta metallica, se il contratto di affitto era anteriore al 21 dicembre 1795. Se il contratto era posteriore, in caso di disaccordo fra le parti, la questione doveva essere risoluta da periti, con diritto all’inquilino di risolvere la locazione. Per i fitti agrari, trattandosi di contratti stipulati fra il 24 dicembre 1795 (data dell’abolizione delle leggi sui calmieri) ed il 23 luglio 1796, i fitti dovevano essere ridotti a quelli fissati dal precedente contratto (ed in generale ci si riferiva ai contratti del 1790) ovvero, se non esisteva precedente contratto, alla misura indicata da periti e basata sui valori correnti nel 1790. Il proprietario poteva sempre chiedere una perizia ed in nessun caso poteva essere costretto ad accettare un canone minore di quello ottenuto applicando la scala legale di deprezzamento della moneta. In caso di riduzione aveva sempre diritto di chiedere lo scioglimento del contratto. Ove si fosse tuttavia trattato di lunghi affittamenti a vita, il proprietario, il quale non accettava i risultati della perizia, poteva sciogliere il contratto rimborsando al fittuario il valore delle migliorie apportate al fondo.

 

 

La legge piemontese distingue parecchi casi:

 

 

  • I fitti tanto decorrenti che decorsi e non pagati di beni, di molini, di acque e di piste a riso si pagheranno per intero in moneta corrente, ossia in moneta nuova, considerata buona.

 

  • I fitti di case, di fabbriche inservienti a manifatture e di altri edifizi per quelle rate, il pagamento delle quali secondo il contratto o secondo lo stile è scaduto prima della pubblicazione della legge delli 28 luglio 1800 si pagheranno in moneta colla diminuzione del terzo. I fitti decorrenti, ossia per le rate che scaderanno, si pagheranno per intiero in moneta corrente.

 

  • Poteva darsi che l’obbligo di pagare per intiero (o per due terzi) in moneta buona il canone stipulato in carta svilita fosse troppo grave per l’inquilino od affittuario; epperciò: «sarà lecito a qualsivoglia affittuale, ove così elegga, di risolvere per gli anni susseguenti l’affittamento, senza però indennizzare per l’intempestiva risoluzione, e finito l’anno di locazione incominciato, purché faccia intimare giudizialmente tal elezione al locatore fra il termine di giorni 15 dalla pubblicazione della legge».

 

  • Conformandosi ad una vecchia tradizione di privilegi a favore degli abitanti della capitale «trattandosi di affittamenti di case poste nel comune di Torino, potrà il conduttore quantunque la capitolazione sia ancor progressiva, ricorrere fra il termine di giorni 15 all’ufficio di polizia dello stesso comune, per far procedere per mezzo di un perito all’estimo dell’alloggio e conseguentemente ad un ribasso di fitto, ove ne possa essere luogo.

 

  • Ma poiché un contratto poteva essere sorto fuori del periodo di deprezzamento od essere stato stipulato in moneta buona: «la facoltà, sia di risolvere l’affittamento, sia di declinare dalla quantità del fitto stabilito non competerà peraltro qualora il contratto di affittamento sia anteriore al 1 gennaio 1797 o posteriore al 27 luglio 1800, ovvero l’annuo fitto sia stato convenuto in ispecie a valute determinate o derrate».

 

 

12. – Il Cannan nella prefazione e l’Hargreaves nella conclusione del libro opinano che le vecchie esperienze americane, francesi ed austriache, e si potrebbe aggiungere quelle degli altri paesi, dove, come in Piemonte, i medesimi problemi dovettero essere risoluti, possono essere ancora utili oggi nei luoghi in cui il processo di ritorno alla moneta buona è in corso. Forse lo studio della recente esperienza tedesca condotto dall’Hargreaves nella conclusione, quasi a guisa di appendice, dimostra sovrattutto che una soluzione semplice del problema non esiste. Il legislatore tedesco, partito dalla premessa illusoria che si potesse ideare uno schema semplice di aggiustamento dei rapporti guasti dalla svalutazione, dovette a poco a poco complicare le soluzioni; e ne risultò un tal groviglio che ad un certo punto fa d’uopo puntare i piedi e dichiarare che non s’intendeva più mutar nulla al già stabilito, anche se giuste apparissero le richieste di riforma. È vero che i crediti pubblici rimasero quasi intieramente separati e che disparità d’ogni fatta persistono tra creditori privati; ma è vero anche che una miglior soluzione è impossibile. Toccare i rapporti creditizi è come mettere le mani in un nido di vespe.

 

 

Si devono rivedere solo i rapporti di debito e credito privati e non anche quelli pubblici? I debiti estinti, in tutto o in parte, debbono essere oggetto di revisione? La revisione deve aver riguardato alla data dell’originaria creazione del rapporto di credito od a quella del trapasso all’ultimo creditore, ovvero ancora, come si avvertì sopra, si devono compiere tante separate revisioni quante furono le persone che successivamente ed a corsi diversi della moneta acquistarono il diritto di credito? Se il diritto di credito risulta da un titolo al portatore, come è il caso della più gran parte dei titoli pubblici e delle obbligazioni di società, in qual modo si potrà appurare la data di acquisto da parte dell’attuale e dei precedenti detentori? Essendo impossibile tale notizia, e non potendosi perciò compiere revisione giusta per i titoli al portatore, su qual fondamento si potrebbe compiere una revisione parziale per i soli titoli nominativi?

 

 

13. – Se a ragione il Cannan opina che qualcosa deve essere fatto, a pro’ dei creditori nei paesi nei quali la carta-moneta giunge a valore zero, lo stesso può dirsi dei paesi dove la corsa allo zero poté essere frenata lungo la china? Laddove, come nel Belgio, non si annullò il franco-carta, ma lo si stabilizzò ad un rapporto fisso con l’oro, invece di restituzione, nei casi possibili, dei debiti e canoni e prezzi alla nuova unità monetaria aurea, farebbe d’uopo parlare, ad es., di ingrossamento nominale dei debiti ante-bellici, pubblici e privati (i debiti di 100 franchi ante-bellici dovrebbero essere cresciuti a 700 franchi attuali) e di eventuale diminuzione dei debiti contratti nel periodo di massima svalutazione del franco (per es., un debito di 100 franchi contratto quando la sterlina valeva 250 franchi dovrebbe essere ridotto a 70 franchi con la sterlina stabilizzata a 115 franchi). Nel Belgio nessuno pensò a rivedere in tal modo i rapporti creditizi, perché tutti furono persuasi che, accanto al raggiungimento di alcuni disputabili ed eventuali vantaggi di giustizia distributiva fra debitori e creditori, bilanciati da sicuri danni per la locupletazione di intermediari fra creditori originari e creditori finali, si sarebbe pronunciata una siffatta caotica sarabanda di cifre nei bilanci dello Stato, degli enti pubblici, delle casse di risparmio, delle banche, delle società industriali e dei privati da scatenare una crisi mai più veduta. Il costo del ritorno alla stabilità monetaria è già per sé stesso così elevato da non potere essere complicato col costo aggiuntivo di un ritorno all’equilibrio precedente al periodo di instabilità. Il quale ultimo ritorno, essendo storicamente un assurdo, non può essere tentato con successo. Laddove invece il ritorno alla stabilità monetaria, guardando all’avvenire, è necessario ed è fecondo.

 

 

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