Opera Omnia Luigi Einaudi

Il silenzio degli industriali

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 12/08/1924

Il silenzio degli industriali

«Corriere della Sera», 12 agosto 1924

Cronache economiche e politiche di un trentennio (1893-1925), vol.VII, Einaudi, Torino, 1963, pp. 780-783

 

 

 

Signor direttore,

 

 

Senza entrare nel merito di quanto il sen. Einaudi pubblica nell’articolo dal titolo Il silenzio degli industriali, la prego di darmi atto che il commercio e l’industria genovesi non hanno temuto di manifestare, in forma categorica e precisa, il loro pensiero sulla politica del governo, sull’uomo che lo dirige e sullo spirito che li anima.

 

 

Ne è prova l’ordine del giorno votato dall’assemblea del 9 luglio c. a. dell’associazione generale del commercio e industria di Genova, che mi onoro di presiedere. Debbo aggiungere che tale ordine del giorno, di cui omisero la pubblicazione i giornali avversari del governo, fu largamente riprodotto dalla stampa italiana; e che il «Popolo d’Italia», nel suo numero del 10 luglio, lo pubblica in neretto, su due colonne, nella sua prima pagina; così che meraviglia sia sfuggito all’attenzione del suo giornale e del sen. Einaudi.

 

 

Debbo infine osservare che il nostro ordine del giorno acquista particolare rilievo per il fatto che esso fu votato da un’assemblea imponente, alla quale parteciparono numerose le personalità rappresentative del commercio, dell’industria, dell’armamento, della banca, delle assicurazioni, ecc., e l’ente rappresentativo di tutte le energie produttrici della Liguria nella persona del regio commissario (ex Presidente) della camera di commercio, così che esso può dirsi l’espressione autorizzata di tutte le forze della produzione ligure.

 

 

E voglia infine notare che tale ordine del giorno era approvato dopo la lettura di una relazione che espone le ragioni ed i modi della fervida collaborazione che la nostra associazione generale – a cui aderiscono le quattordici associazioni di categoria che costituiscono la rappresentanza del complesso delle attività commerciali liguri – dà e mantiene al governo nazionale.

 

 

Ecco l’ordine del giorno:

 

 

«L’associazione generale del commercio e industria di Genova, riunita in assemblea ordinaria annuale;

 

 

«memore delle gravissime condizioni verso le quali l’Italia precipitava nell’ora non lontana della disgraziata depressione sociale, morale e materiale, e constatando, ad un anno di distanza dall’ultima assemblea, il sempre progressivo miglioramento delle condizioni del paese, esprime al capo del governo la sua fede incorrotta e la gratitudine delle classi commerciali liguri per l’opera benefica svolta a vantaggio della nazione, che dall’ordine ristabilito e dalle necessarie provvidenze legislative trasse nuove possibilità e rinnovata fiducia nel lavoro;

 

 

«rileva la speculazione che i partiti di opposizione, stretti in ibrida coalizione, hanno tentato di inscenare per fini particolaristici a proposito di fatti deplorevoli, che però non sono nuovi nella storia di altri paesi e per i quali il governo ha già energicamente provveduto;

 

 

«e rinnova al governo nazionale ed al suo capo la sua completa solidarietà, sicura che merce la loro energia l’impero della legge prevarrà integro contro tutti i faziosi sì, ma anche contro tutti i sediziosi di ogni colore politico».

 

 

Confido nella integrale pubblicazione della presente, e, ringraziandola, la prego di gradire i sensi del nostro ossequio.

 

Il presidente del consiglio direttivo

 

Cesare Alberti

 

 

Si legge in quest’ordine del giorno che l’assassinio Matteotti è un «fatto deplorevole» abbastanza ordinario nella storia dei popoli e di cui non occorre più parlare perché «il governo vi ha già energicamente provveduto». E non si legge, ma chiaramente si intuisce, che le associazioni economiche liguri ritengono che il decreto sulla stampa e quello anteriore sulle associazioni operaie siano normali e razionali provvedimenti legislativi contro i «sediziosi di ogni colore politico» stretti «in ibrida coalizione». Siccome poi l’ordine del giorno non contiene parola alcuna di riprovazione per le milizie di parte, pagate con i danari dei contribuenti, per le minacce di seconde ondate, per i propositi di mutazioni istituzionali, si desume che le associazioni liguri economiche reputano che «l’impero della legge» si riassuma, cominci e finisca nell’«ordine ristabilito» e nella «rinnovata fiducia nel lavoro». Sembra che le associazioni liguri, come purtroppo quelle nazionali, di cui avevo lamentato il silenzio, si siano dimenticate o forse non abbiano mai immaginato che di quella «sicurezza» che è ufficio di ogni governo rispettabile di mantenere ve ne siano diverse specie: vi è la sicurezza dei beni materiali, e vi è la sicurezza dei beni spirituali, vi è la sicurezza dell’industriale e dell’agricoltore e vi è quella del lavoratore. I governi dal 1919 al 1922 avevano creato un’atmosfera di insicurezza generale, in fondo a cui vi era l’abisso: la reazione fascista ridiede sicurezza nella conservazione dei beni materiali. Riconoscasi questo merito; ma siano gli industriali, i più direttamente favoriti, a riconoscere dal loro canto che essa non basta; che essa è una assai fragile cosa se non sia accompagnata dalla sicurezza del lavoratore di fare l’uso che si crede più opportuno dei proprii risparmi, anche l’uso di sostentarsi durante gli scioperi; se non sia accompagnata dalla sicurezza di ogni uomo nel possesso pieno e libero del proprio pensiero, della propria parola, del proprio diritto di comunicare altrui le proprie idee senza sottostare a nessun controllo di nessuna autorità politica. La proprietà delle proprie braccia da parte del lavoratore, delle proprie idee da parte dello scrittore sono proprietà altrettanto preziose quanto quella dei beni materiali. Messe in forse quelle, anche queste periclitano, anche queste sono alla mercé dell’arbitrio del più forte. Perciò si deve ristabilire l’impero della legge: legge chiara, applicata contro tutti dal magistrato indipendente, senza intromissione di nessuna forza che non sia quella dello stato.

 

 

Oggi che hanno conquistato nuova «fiducia nel lavoro», gli industriali dovrebbero essere i primi a non adagiarsi sulla tranquillità presente; a non chiudere gli occhi sui pericoli da cui sono circondati. Il pericolo non è creato da noi che lo denunciamo; il pericolo è nei fatti, è nella natura umana, è nella impossibilità di imporre silenzio alle forze sociali esistenti, le quali, perché esistenti, hanno diritto di farsi valere. Non sono quattro pubblicisti o uomini politici di opposizione che creano operai, contadini, professionisti, giovani avidi di sapere e di parlare. Queste sono forze sociali esistenti, la cui forza numerica va crescendo appunto coll’ingigantire della vita economica. Voialtri industriali e commercianti siete voi che, dando impulso al lavoro, ai commerci, alle industrie, create i fermenti di novità, mettete l’Italia in rapporto col mondo. Come potete credere alla possibilità di un’Italia progressiva in economia, la quale rimanga a lungo priva degli istituti fondamentali del vivere civile occidentale, che sono la libertà di stampa, la libertà di associazione, il libero cozzo delle parti politiche, l’alternarsi dei partiti al potere a seconda delle oscillazioni dell’opinione pubblica, l’ordine tutelato unicamente dallo stato imparziale, le pene dispensate dalla sola magistratura? Industriali e commercianti hanno diritto alla tranquillità ed al rispetto dei loro beni; non devono tornare mai più i foschi tempi delle occupazioni delle fabbriche e del disordine continuo nei servizi pubblici. Ma questo diritto al rispetto del loro lavoro e dei loro beni, gli industriali non devono chiederlo alla repressione delle altre forze sociali; devono conquistarselo giorno per giorno con una dura fatica di persuasione e di discussione, dimostrando ogni giorno di essere meritevoli di quella fortuna che è augurabile sempre li assista. Così e non altrimenti si reggono e progrediscono le società civili moderne. Sperare in altre possibilità di vivere tranquillo è pura utopia.

 

 

Ciò detto all’associazione dei commercianti e industriali di Genova, mi riserbo di occuparmi in un successivo scritto di altre risposte al mio articolo su Il silenzio degli industriali.

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