Opera Omnia Luigi Einaudi

Illusione o realtà?

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 30/12/1903

Illusione o realtà?

«Corriere della sera», 30 dicembre 1903

 

 

 

Incoraggiante è la novella divulgata di questi giorni su per i giornali italiani dal Ministero di agricoltura e che il Corriere della Sera ha pur reso di pubblica ragione: nell’anno corrente la produzione frumentaria italiana raggiunse la media, non mai prima vista di 13,40 ettolitri per ettaro e il totale di 65 milioni di ettolitri. Confortante media, codesta, in confronto ai 10 – 11 ettolitri del 1902 ed alle consimili cifre degli anni precedenti. Giova sperare che il fatto non sia eccezionale e dovuto ad una singolare combinazione di circostanze atmosferiche favorevoli allo sviluppo della cultura a grano. E giova non cullarsi, noncuranti, nella illusione che la terra d’Italia sia per ridiventare, senza sforzi diuturni, la frugifera provveditrice dei milioni di uomini che vanno su di essa moltiplicandosi. Mentre infatti si leggevano sui giornali le liete statistiche odierne, ci accadeva di svolgere le pagine ammonitrici di un libro scritte da un italiano che oggi dirige la stazione agraria di Roma e che ebbe campo di paragonare i fatti da lui per lungo tempo osservati in Italia colle osservazioni compiute, come giurato per l’agricoltura, alla grande Mostra di Parigi. (Malessere agrario ed alimentare in Italia, Portici, tip. Vesuviana). Triste e grave è il libro del Giglioli, e noi ameremmo fosse largamente letto, se non vi si opponesse la mole sua forse eccessiva per i costumi moderni, sebbene onusta di dati preziosi e di ricerche veramente interessanti. A distanza di vent’anni dal Jacini, l’autore ha voluto nuovamente rappresentare in un quadro le condizioni dell’Italia agricola. Ma il suo sguardo è più vasto; ed i paragoni copiosi e frequenti con le regioni straniere più diverse e più lontane e la conoscenza profonda della chimica e della tecnologia agraria rendono il suo libro stranamente suggestivo ed inquietante. Leggendolo, un dubbio angoscioso si impadronisce dell’animo nostro: sono una illusione od una realtà i progressi rigogliosi, di cui tanto vanto si mena, dell’economia industriale ed agricola d’Italia? Sono una illusione i campi feraci e le ricche culture le quali colpiscono lietamente lo sguardo del viaggiatore che reduce da terre straniere rivede d’un tratto la grande pianura Padana?

 

 

È vero – risponde il Giglioli – : le mie più dolorose constatazioni riguardano l’Italia meridionale; ma anche voi, italiani del nord, dovete sentirvi affratellati con gli italiani del sud quando pensiate ai 72 mila pellagrosi ed ai 3.835 morti di pellagra, orrenda malattia delle campagne venete e lombarde; quando riflettiate che 172 mila operai setaiuoli, 80 mila operai del cotone e 30 mila della lana sono ben poca cosa di fronte ai 9 milioni e mezzo di lavoratori agricoli che conducono una vita grama e stentata su una terra che non li nutre a sufficienza.

 

 

La bassa alimentazione granaria degl’italiani – appena 193 litri in media a testa – è la prova più sicura della loro depressione relativa di fronte all’alimentazione ben più ricca dell’estero e di fronte ai 445 litri che persino l’avaro Catone assegnava al nutrimento dello schiavo adulto e lavoratore. In Italia in media si è prodotto nel 1903 circa 13,40 ettolitri pari a circa 10,70 quintali di frumento per ettaro; ma a Svezzola, in un campo sperimentale posto in un paese del Mezzogiorno, la produzione del frumento su terreni concimati a stallatico, fu di 16,44 quintali, e su terreni concimati chimicamente da 17,40 a 19,08 quintali. Queste esperienze continuate da 15 anni, con meravigliosa costanza di risultati, provano che in Italia si può riuscire a produrre in quindici anni – tra frumento e granoturco – quanto se ne produrrebbe in quasi trent’anni di esperienze nelle famose tenute modello di Rothomsted in Inghilterra o in simili località nei climi settentrionali. Se l’Italia è ancora ben lungi dal toccare queste cifre, se ogni anno 500 mila suoi figli l’abbandonano per paesi stranieri, se nel 1901 abbiamo importato per ben 863 milioni di lire di derrate alimentari ed agrarie grezze producibili in paese e ne abbiamo esportato appena 668 milioni di lire, noi dobbiamo accagionarne noi stessi; la nostra incuria verso la istruzione agraria, l’irrisione sistematica verso i campi sperimentali, la sconoscenza dei servigi che la meteorologia potrebbe rendere all’agricoltura, l’altezza eccessiva delle spese in lavori pubblici, spesso puramente ornamentali, e la bassa quota di spese per l’agricoltura, a cui, insieme col commercio e coll’industria, si assegnano 15 milioni, mentre la Prussia spende 31 milioni. Dobbiamo accagionarne il caro dei trasporti, per cui un quintale di grano da Rieti a Torino paga 3 lire alle ferrovie, circa un ottavo del suo valore, mentre da Chicago a New York per un trasporto di 1.600 chilometri si pagano solo da 11 a 13 centesimi. Dobbiamo confessare di avere in 35 anni dal 1867 al 1902 rimboschiti appena 22.495 ettari; dobbiamo sovratutto confessare di aver negletta completamente la sistemazione idraulica di ogni parte del nostro paese. Qui è dove sono più vive le deficienze dell’iniziativa privata e dell’opera governativa. Quando si rifletta ai miracoli ottenuti dall’on. marchese de Asarta a Fraforeano nel Friuli e dal Prot nella Francia meridionale, mercé i profondi pozzi fatti colla lavorazione elettrica del suolo, quando si ricordi che nel bacino del Tevere, a monte di Roma, cadono ogni anno 10 milioni e 730 mila kg. di acqua per ettaro; e si aggiunga che per ottenere l’alta produzione di 29,50 ettolitri per ettaro basterebbero circa 2 milioni e 115 mila kg. di acqua per ettaro; si rimane atterriti a valutare l’enorme spreco di prodotti agrari che accade in Italia per colpa della imperfetta sistemazione dei corsi d’acqua e dei metodi ancora più imperfetti di raccogliere e conservare l’acqua di pioggia. A noi non manca né il sole, né l’acqua; e non manca sovratutto nell’Italia meridionale.

 

 

Ciò che manca è l’arte di utilizzare l’acqua per impedire che il sole dissecchi le piante ed inaridisca la terra. Di fronte ai lavori compiuti dall’antica Roma o dai Saraceni nel medio evo, l’opera nostra diventa miserabile e siamo costretti a coprirci il viso per la vergogna al pensiero dei lavori grandiosi che per opera degli Anglo – sassoni, i moderni romani, hanno trasformato le terre d’Egitto, le lande australiane o le sabbie delle Montagne Rocciose.

 

 

Questi alcuni dei fatti che si possono leggere nel libro del Giglioli. Forse egli è troppo pessimista, non tenendo conto abbastanza dei progressi notevoli compiutisi nel secolo scorso pur nell’Italia nostra: ma felice trascuranza la sua qualora ci dovesse spingere a nuovi sforzi per trasformare quella che in parte è l’illusione d’oggi nella realtà di domani!

 

 

Torna su