Opera Omnia Luigi Einaudi

Immigrazione di contadini settentrionali nella Basilicata?

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 29/09/1906

Immigrazione di contadini settentrionali nella Basilicata?

«Corriere della Sera», 29 settembre 1906

Cronache economiche e politiche di un trentennio (1893-1925), vol. II, Einaudi, Torino, 1959, pp. 423-429

 

 

La legge per la Basilicata comincia a dare i suoi frutti. Finora l’attività maggiore è stata spiegata dal commissariato civile e dagli uffici amministrativi della provincia; ed è stata, più che altro, rivolta a studiare ed a preparare il terreno per l’opera feconda ventura. Noi non sappiamo se nella Basilicata il capitale privato abbia accolto l’invito ed i favori della legge con quello slancio che fa invece sperare bene per l’avvenire della città di Napoli. Ne dubitiamo, perché in una provincia essenzialmente agricola, le iniziative sono più lente e le innovazioni più difficilmente vengono accolte. Inoltre, come a Napoli furono imprenditori stranieri e settentrionali i primi a giovarsi della legge e, con grandi impianti industriali, a dare il buon esempio ai capitalisti locali, così nella Basilicata l’impulso dovrebbe venire dal di fuori.

 

 

Noi abbiamo frequentemente invocato questa discesa nel mezzogiorno del capitale e dell’intelligenza tecnica del settentrione, non a fine di conquista economica, ma unicamente nell’intento di promuovere, con profitto proprio, il risorgimento economico di quelle regioni. Società potenti per capitali e per competenza tecnica sono state fondate per esercitare imprese agricole nel mezzogiorno e nella Sardegna; ed è fatto assai confortante che ci fa bene sperare per l’avvenire. Non consta che alcuna di queste società si sia costituita od abbia cominciato ad operare nella Basilicata, la quale pure si trova in condizioni peggiori di ogni altra provincia meridionale.

 

 

Forse è appunto perciò che il capitale si dimostra tanto restio ad avventurarsi nella Basilicata. Nella quale si verificano fatti che non trovano riscontro in nessun’altra regione, almeno nel loro insieme. Anzitutto la popolazione scema di anno in anno. Da 1.006 emigranti nel 1876, si sale a 14.500 negli ultimi anni, su una popolazione di 491.558 abitanti su 10.670 chilometri quadrati; meno della metà per chilometro quadrato della popolazione media relativa dell’Italia. L’uomo fugge dalla terra ingrata, che uccide colla malaria, che dà un frutto meschino ed alla quale è legato da patti agricoli non equi; e la sua fuga acuisce i mali da cui aveva avuto origine. Crescono ogni anno di superficie i terreni che i proprietari lasciano incolti per la deficienza di mano d’opera. L’emigrazione ha funzionato come un gigantesco silenzioso sciopero collettivo; ed ha fatto aumentare i salari al disopra della misura conveniente a proprietari attardati in antichi metodi poco produttivi di coltivazione. È rimasta in patria la mano d’opera più debole; ed essendo scarsa la capacità industriale delle classi proprietarie, l’aumento dei salari non ebbe per conseguenza l’intensificazione della cultura, bensì il ritorno a sistemi sempre più estensivi di sfruttamento del suolo.

 

 

Se noi aggiungiamo alle sfavorevoli condizioni demografiche, la mancanza di vie di comunicazione, il diboscamento spietato che ha rotto le antiche e proficue consuetudini pastorali ed ha mutato i pascoli feraci in rupi scoscese, il raggruppamento della popolazione in grossi borghi, la mancanza di case rurali nella campagna, l’imperfezione dei contratti agricoli, l’indebitamento eccessivo dei proprietari fondiari, si avranno elementi sufficienti di giudizio sui motivi che impediscono il progresso dell’agricoltura nella Basilicata e trattengono il capitalista del nord dal fare investimenti pure vantaggiosi sotto altri rispetti per il basso prezzo delle terre.

 

 

Quel fermento di progresso economico che finora non si è saputo trovare per la Basilicata, lo si vorrebbe da alcuni trarre dall’immigrazione di contadini settentrionali. Abbiamo sott’occhio un pregevole opuscolo scritto dal dott. Ilario Zannoni in seguito alla visita fatta dal 9 al 22 luglio 1906 nella Basilicata per conto del segretariato per la emigrazione interna istituita dalla Società umanitaria. La genesi dell’iniziativa dell’Umanitaria si può riassumere in poche parole. Esistono intiere regioni italiane, il Veneto, le Romagne, l’Emilia dove infierisce la disoccupazione; e ne esistono altre, dal Grossetano e dagli Abruzzi sino all’estremo limite della penisola nostra, dove l’agricoltura langue per la scarsezza della mano d’opera. Se le altre condizioni dell’ambiente economico fossero identiche sarebbe utilissimo e facile promuovere una corrente di emigrazione interna dalle regioni soprapopolate alle regioni in cui c’è bisogno di mano d’opera. La Società umanitaria, fondata da P. M. Loria coll’intento di combattere la disoccupazione, avrebbe qui un magnifico campo d’azione, poiché l’emigrare dai paesi in cui la mano d’opera sovrabbonda a quelli in cui scarseggia è certo uno dei più efficaci mezzi per combattere la disoccupazione.

 

 

Purtroppo il problema non può riassumersi in una formula così semplicista. Basta pensare che nella Basilicata la mano d’opera scarseggia perché la popolazione è fuggita e fugge in proporzioni allarmanti nella lontana America, per far sorgere il dubbio: dove non sono riusciti i contadini del luogo, affezionati alla terra, pratici delle culture locali, assuefatti al clima, cresciuti in quell’ambiente sociale, potranno riuscire i contadini settentrionali? Questo dubbio si è presentato anche alla mente del dott. Zannoni; e siccome egli se ne è preoccupato vivamente, le sue considerazioni e le sue proposte acquistano un valore pratico, che non avrebbero ove fossero partite soltanto dal puro confronto statistico fra le due densità diverse, eccessiva in un luogo e deficiente nell’altro, della popolazione agricola.

 

 

Due sono le direzioni in cui la mano d’opera settentrionale potrebbe trovare impiego: le opere pubbliche e l’agricoltura. Le opere pubbliche, le quali in base alla legge per la Basilicata dovranno essere eseguite ogni anno per parecchi milioni di lire, vanno assai a rilento, perché gli impresari non trovano sterratori e manovali a sufficienza e non sono o vogliono pagare salari elevati così da invitare gli operai a venire da lontano. Lo Zannoni ritiene che a risolvere il problema convenga aggiudicare i lavori per trattative private alle cooperative di lavoro della Romagna, ove vi è forte abbondanza di mano d’opera, ottenendosi così due vantaggi: quello di ottenere pronta esecuzione dei lavori, che, data la provenienza dei lavoratori, non potranno mancare di essere ben condotti, e l’altro di far meglio conoscere all’operaio le vere condizioni della Basilicata, ove, all’occorrenza, data la necessità di lavoratori per l’agricoltura, potrebbe fermarsi alle dipendenze dei proprietari. È il concetto che da altri fu messo innanzi per la costruzione delle opere pubbliche – strade, prosciugamenti, arginature e sistemazione di fiumi e di montagne, ecc. – in Sardegna; e può accogliersi ove si usi somma prudenza nell’applicarlo affinché la importazione delle squadre volanti di sterratori settentrionali nel sud non urti troppo di fronte gli operai del luogo e non intensifichi il movimento di emigrazione all’estero.

 

 

Più difficile è la emigrazione agricola propriamente detta. Qui la mano d’opera dovrebbe essere pratica nei metodi agricoli settentrionali, ed adatta quindi a servire di strumento efficace nelle mani di agricoltori intraprendenti nell’opera di trasformazione e valorizzazione del suolo. Non essendo ammissibile che i contadini sopportino i rischi del viaggio e della dimora in paese nuovo per trovarvisi in condizioni peggiori che nelle contrade native, la emigrazione non appare possibile se non a certi patti: – che, se il contratto sarà di mezzadria, per i primi due anni almeno il proprietario assicuri al colono un certo minimo di prodotto sufficiente per la sussistenza; ed anticipi, ad un interesse non superiore al 5 od al 6%, anche le scorte di parte colonica ed il vitto fino al primo raccolto. Se il contratto sarà a salariato – e sarebbe preferibile, per togliere ogni alea per il colono ed ogni contrasto di interessi col proprietario – il salario dovrebbe superare di alquanto quelli in uso nelle regioni dell’Italia settentrionale, ove vige la condizione dei fondi ad economia, trattandosi di località che, presentemente, sono meno progredite ed attraenti. Quindi il saggio corrente dei salari nella Basilicata, per quanto cresciuto negli ultimi anni, dovrebbe aumentare notevolmente per attirare i contadini del nord. Ai quali dovrà assicurarsi eziandio una buona casa, rispondente alle condizioni richieste per i sussidi governativi di costruzione, l’acqua sana e la salubrità relativa della regione, non attirando famiglie in zone malariche senza avvertirle. Le famiglie dovrebbero prima sapere la distanza dai migliori centri abitati, dalle scuole, dal medico, dalla farmacia, ecc. L’ufficio d’emigrazione dovrebbe andare assai a rilento nello stipulare contratti di lavoro con i proprietari basilischi, spesso troppo facili a promettere. Prima sarà bene appurare le cose e vedere se realmente tutto ciò che si promette esiste, se il richiedente presenta una certa garanzia morale e più che tutto se avrà la possibilità materiale di attenersi alle condizioni contrattuali. Dovrà evitarsi di collocare le famiglie isolatamente nella campagna; essendo preferibile costruire dei centri rurali vicini alle aziende da coltivarsi, ai quali l’articolo 83 della legge concederebbe per venti anni l’assoluta esenzione da qualunque imposta governativa e comunale.

 

 

Fin qui le condizioni che il relatore dell’Umanitaria ritiene necessarie perché si attui una corrente di emigrazione dal nord al sud: né sono esagerate, perché non si può dare ad alcuno il consiglio di emigrare per stare peggio che a casa propria. Senonché dove troveranno i proprietari della Basilicata l’iniziativa, la capacità tecnica ed i capitali necessari per osare una così radicale trasformazione delle loro aziende? Certo è desiderabile che si paghino salari alti; ma pagare non si possono senza un’agricoltura ad alti rendimenti e per ora tale non è l’agricoltura basilisca. Lo stesso Zannoni riconosce che la costruzione di case coloniche nuove, assai migliori delle «stalle» attuali, inabitabili per contadini del settentrione, incontrerà difficoltà grandi, malgrado i sussidi governativi. La cassa provinciale di credito della Basilicata potrà anticipare qualche capitale, le cattedre ambulanti di agricoltura potranno diffondere un po’ di istruzione. Ma i capitali saranno forzatamente scarsi e l’istruzione agraria si diffonde coll’esempio degli agricoltori vicini e fortunati più che con le prediche ed i campi sperimentali.

 

 

Il difetto principale della proposta dell’ufficio di emigrazione dell’Umanitaria è di non avere badato a sufficienza ai fattori «capitale» ed «intelligenza tecnica». Se i proprietari della Basilicata non posseggono questi fattori, temiamo forte che la emigrazione di contadini settentrionali non abbia a costituire un insuccesso. Non si troveranno proprietari che vogliano accettare ed osservare sul serio i patti sovraenunciati, che siano in grado di trarre partito da una mano d’opera cara e dopo qualche tempo le due parti si disgusteranno una dell’altra. Né si può ammettere che il contadino settentrionale da solo possegga l’intelligenza tecnica adatta a trasformare l’agricoltura del sud. Basti notare a tal proposito che anche nei loro paesi quei contadini sono semplice strumento, per quanto abile, in mano degli affittavoli e dei direttori dei fondi che essi coltivano. Né sappiamo vedere perché il contadino meridionale, se ben diretto, debba, nel suo paese, valere di meno del contadino del nord trasportato in un ambiente nuovo. Perciò noi non crediamo che nello studiare la possibilità della migrazione interna dal nord al sud si possa far a meno di considerare la contemporanea migrazione di capitali e di imprenditori agricoli pure dal settentrione al mezzogiorno. Un certo numero di acquisti di latifondi nella Basilicata da parte di capitalisti del nord, i quali portassero con sé abili tecnici pratici ed un buon numero di famiglie contadine settentrionali farebbe molto, con l’esempio proprio, per il progresso di quella regione. La colonizzazione, fatta con tutti gli elementi necessari, potrebbe riuscire. Gli altri proprietari, vedendo coi loro occhi il successo delle prime poche imprese, si metterebbero sulla via dell’imitazione né, dopo aver toccato con mano i fatti, avrebbero difficoltà a far venire qualche contadino dal nord, magari a portarlo via alle aziende settentrionali, perché servisse di guida alla mano d’opera locale.

 

 

In conclusione, se vi è bisogno di mano d’opera abile nel sud, vi è anche e forse più bisogno di capitale che voglia impiegarla e di intelligenza tecnica che sappia dirigerla. Diciamo forse più, perché abbiamo un forte dubbio che se si trovassero capitale e tecnicismo, la mano d’opera non sarebbe nel sud per fare difetto quanto si dice. È vero che nella Basilicata la popolazione relativa è di 49,26 abitanti per kmq mentre in due province del nord di estensione suppergiù eguale ed anch’esse con molte montagne, Cuneo e Torino, la popolazione è di 85,90 e di 109,83 abitanti per kmq. Quanto cammino tuttavia non deve ancor fare la Basilicata per giungere al livello di queste due province! Forse, date le attuali condizioni, che non potranno mutarsi se non lentamente, una popolazione di 49,26 è più densa di un’altra di 85,90 o di 109,83 per kmq. Forse più che scarsa, la mano d’opera è maI diretta e poco abile. O che non vi sono nel mondo regioni agricole in grande progresso con una popolazione relativa ancora minore che nella Basilicata?

 

 

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