Opera Omnia Luigi Einaudi

Intorno alla funzione della moneta imaginaria

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 01/12/1936

Intorno alla funzione della moneta imaginaria

«Rivista di storia economica», dicembre 1936, pp. 302-306

 

 

 

1. Quasi mezzo secolo fa io scrivevo (Analisi, primo, 173 nota): «A sentire alcuni economisti, parrebbe che la moneta fosse per sé stessa misura del valore ed escludesse la penosa necessità di ridurre i prodotti alla quantità di lavoro, effettivo o complesso; mentre invece questa riduzione dei prodotti all’unità di misura del valore si deve fare anche data la moneta, la quale esige anzi che a quella misura si riduca un prodotto di più».

 

 

2. Ciò che qui si dice della moneta – merce vale esattamente della moneta imaginaria. Si può certamente misurare il valore di un dato prodotto in moneta immaginaria, stabilendo che esso valga una quantità qualsiasi di questa moneta. Ma se poi si vuol determinare il valore di tutti gli altri prodotti in moneta imaginaria, occorre prima determinare il valore di ciascuno di quei prodotti rispetto al primo prodotto. Dunque la determinazione del valore dei prodotti in moneta imaginaria, ben lunge dal servire a determinare il valore relativo dei prodotti, non può stabilirsi che sulla base di codesto valore relativo.

 

 

3. Dato ciò, non parmi che la moneta imaginaria, adottata in altri tempi, potesse rendere quei servigi, che Einaudi designa, in uno scritto d’altronde ammirevole per dovizia d’acume e di dottrina. (Rivista di storia economica, primo, pag. 15).

 

 

Secondo l’autore la moneta imaginaria può servire a stabilizzare il bimetallismo facendo variare il pari legale fra le due monete, correlativamente alle variazioni del valore commerciale fra i due metalli. Pongasi infatti che fin qui il rapporto di valore fra i due metalli sia 1 oncia oro = 12 oncie argento.

 

 

Si stabilisce che 1 fiorino d’oro valga 24 lire imaginarie, e 1 scudo d’argento 2 lire imaginarie. Se ora il rapporto di valore fra i due metalli va a 1 = 11 e mezzo, basta che si accresca il corso dello scudo d’argento da 2 lire a L. 2. 11s. 9d. di moneta imaginaria; come, viceversa, se il valor commerciale dei due metalli muta a 1 = 12 e mezzo, basta che si riduca il corso dello scudo d’argento a L. 1. 18 s. 4 d. di moneta imaginaria, perché si assicuri la persistenza del sistema bimetallico, e si impedisca il suo tralignamento in un monometallismo deprezzato.

 

 

4. Ora a me sembra che in tutto questo la moneta imaginaria non giovi proprio a nulla. Infatti qui essa interviene, dopo che già si è determinato il valore commerciale fra i due metalli; ora basta la determinazione di questo valore, perché possano determinarsi il pari legale fra le due monete e le sue variazioni. Quando il valore commerciale è 1 = 12, bisogna che lo scudo d’argento valga legalmente un dodicesimo del fiorino d’oro; quando è 1 = 11 e mezzo, lo scudo d’argento deve valere un undicesimo e mezzo del fiorino d’oro; quando è 1 = 12 e mezzo , lo scudo d’argento deve valere un dodicesimo e mezzo del fiorino d’oro. In ogni caso, il bimetallismo sarà stabilizzato, senza bisogno di far ricorso alla moneta imaginaria.

 

 

5. Ma, secondo l’A. (pag. 26 e ss.) la moneta imaginaria può servire al fine più generale e più alto, di rendere invariabili i prezzi, e di eliminarne le variazioni dovute a cagioni monetarie. Qui, siccome la esistenza di due monete non cangia affatto alla cosa, mi permetto di semplificare l’esempio addotto dall’A., (pag. 28) supponendo una sola moneta.

 

 

Fin qui si beva 1 fiorino = 24 lire imaginarie; livello dei prezzi 100. Se ora il livello dei prezzi sale a 111,11 basta scemare di un decimo il valore del fiorino in moneta imaginaria, o ridurlo a 21 lire, 12 s. imaginarie. Ecco che allora ognuno ha un decimo di meno di lire imaginarie e quindi, di fronte ad un decimo di meno di moneta imaginaria disponibile, ribassano di nuovo i prezzi da 111,11 a 100.

 

 

6. Qui potrebbe osservarsi anzitutto che l’elevazione dei prezzi in moneta effettiva denota per se stessa un aumento correlativo della quantità di questa moneta; ed allora, per quanto ogni unità di questa moneta abbia ora di fronte a sé una minor quantità di lire imaginarie, pure la quantità totale della moneta effettiva, come quella posseduta in media da ciascuno, rimane necessariamente invariata.

 

 

7. Ma lasciamo di ciò. Siccome, nelle condizioni date, il valore fra i vari prodotti (esclusa la moneta effettiva) è invariato, così basta misurare il prezzo di quei prodotti in uno qualsiasi di essi, perché si ottenga la invariabilità assoluta ed irrevocabile dei prezzi misurati in esso prodotto.

 

 

Se ora si introduce la moneta imaginaria, di certo la invariabilità del valore relativo dei prodotti si traduce, o può tradursi, nella invariabilità dei loro prezzi, misurati in detta moneta. Ma con ciò però non si è aggiunto assolutamente nulla al processo della stabilizzazione dei prezzi, il quale si è già perfettamente compiuto, senza avere in alcun modo ricorso a quella superfetazione contabile.

 

 

8. E vi ha di peggio. Finché invero la variazione di valore della moneta effettiva in moneta imaginaria si compie successivamente alla variazione dei prezzi dei prodotti in moneta effettiva ed in misura inversamente proporzionale ad essa, la moneta imaginaria non fa che consacrare la invariabilità del valore relativo dei prodotti precedentemente determinata. Ma quando la variazione del valore fra la moneta effettiva e la moneta imaginaria non è preceduta da una variazione dei prezzi in moneta effettiva, o non è inversamente proporzionale ad essa, l’alterazione del valore fra la moneta effettiva e la moneta imaginaria importa una variazione dei prezzi, che altrimenti non sarebbesi avuta. Dunque la moneta imaginaria funziona come un’arma a due tagli: nel primo caso riesce ad una eliminazione della variazione di prezzi, eliminazione che si ottiene già precedentemente a quell’intervento; nel secondo caso crea essa stessa questa variazione, che altrimenti non si avrebbe; e ad ogni modo pone a disposizione del principe medievale uno strumento, che può sempre funzionare come fattore potentissimo di variazione dei prezzi.

 

 

9. Concludendo: se si tratta di stabilizzare il bimetallismo, la moneta imaginaria è inutile; se si tratta di stabilizzare i prezzi, essa è inutile del pari, ma inoltre è pericolosa, dacché, essendo esclusivamente affidata all’arbitrio governativo, può riuscire al risultato diametralmente opposto ed infliggere al livello dei prezzi mutazioni convulsionarie.

 

 

Achille Loria.

 

 

 

 

10. Che il pari monetario segua senz’altro il pari commerciale fra l’oro e l’argento – questa è, parmi la prima tesi del Loria (vedi sopra il par. 4) – avea già nitidamente affermato postillando Galiani, Alessandro Manzoni: «Io non so come andasse la faccenda a quei tempi, ma a’ nostri son certo che questa [nuova e migliore] moneta non isparirebbe, ma correrebbe quanto la vecchia; poiché accorgendosi gli uomini del suo miglior valore, la riceverebbero nei contratti per quel più ch’ella avrebbe d’intrinseco. Io non so neppure se questo rifacimento di mezza la moneta [M. si riferisce all’ipotesi di G. che il principe ritirasse mezza la vecchia moneta antica cattiva sostituendola con nuova migliore] sia mai accaduto; ma se è accaduto e la nuova migliore moneta è scomparsa, mi fa molta meraviglia, e se questo caso non è che una ipotesi dell’autore, mi fa più meraviglia ch’egli non abbia preveduto questo detto ch’io ho detto, egli che con tanto ingegno ragiona dei rimedi che in queste cose la sagacità degli uomini adopera contro le non savie leggi. Egli è certo che quando gli uomini possono spendere una moneta per quello ch’essa vale, non incontreranno l’inutile fatica di fonderla; e la potranno spendere ogni volta che chi la deve ricevere sappia ch’essa ha veramente quel valore» (in Opere inedite o rare, secondo, 119 – 20).

 

 

Il Manzoni aveva dichiarata così la condizione necessaria all’immediato uguagliarsi dal pari monetario a quello commerciale: quando gli uomini possono spendere una moneta per quello ch’essa vale. Ma in tal caso il problema del bimetallismo non è neppure posto. Se, come dice Loria, non appena il rapporto commerciale fra l’oro e l’argento si è modificato da 1 Kg. oro = 12 Kg. argento ad 1 = 11 e mezzo ovvero 1 = 12 e mezzo subito il fiorino d’oro, invece di cambiarsi con 12 scudi d’argento, si cambia con 11 e mezzo o 12 e mezzo scudi, o se, come dice il Manzoni, il fiorino si spende, secondo i casi, a parità con 12, 11 e mezzo o 12 e mezzo scudi, è certo che fiorini d’oro e scudi d’argento rimangono indefinitamente e contemporaneamente in circolazione. Ma nemmeno si può parlare in tal caso di bimetallismo, sibbene (cfr. il mio scritto, par. 14) di duo – metallismo. Il pane si venderebbe, a prezzi distinti e non legati, in fiorini d’oro e in scudi d’argento.

 

 

11. Il guaio nasce da ciò che i legislatori di ieri e d’oggi si sono ficcati in testa l’idea barocca di obbligare i contraenti a contrattare il pane e gli altri beni economici a prezzi espressi nella stessa unità sia che si paghi in fiorini d’oro o in scudi d’argento. Invece di lasciare che la quantità di pane, qualunque essa sia, negoziata in un dato luogo ed in un dato momento al prezzo di 1 fiorino d’oro, sia anche negoziata a scudi d’argento 12, 11 e mezzo ovvero 12 e mezzo, a seconda che il rapporto commerciale fra l’oro e l’argento sia 1 a 12, 11 ad 11 e mezzo ovvero 1 a 12 e mezzo, essi pretendono che se il prezzo in oro è 1 fiorino d’oro, il prezzo in argento debba essere sempre 12 scudi d’argento. è ovvio che Loria e Manzoni a ragione ritengano, implicitamente, barocca siffatta idea, ma sinché quello è il comando del legislatore, né v’ha dubbio che tale e non altro sia il significato del bimetallismo, esiste un problema da risolvere. Nessun privato si sogna di rimanere in tal caso indifferente rispetto alla scelta fra fiorini d’oro e scudi d’argento; anzi tutti unanimemente pagano in quella delle due monete la quale è svilita nel rapporto commerciale in confronto al rapporto legale. A volta a volta i fiorini d’oro ovvero gli scudi d’argento fuggono dalla circolazione.

 

 

12. Dissi che la moneta imaginaria è un mezzo tecnicamente comodo per risolvere il problema; bastando gridare un corso mutato dello scudo d’argento in lire imaginarie. è più facile e rapido gridare un corso di 2 lire 11 soldi e 9 denari ovvero di 1 lira 18 soldi e 4 denari in luogo di quello di 2 lire quando il rapporto tra oro od argento da 12 scende a 11 e mezzo o sale a 12 e mezzo, che non ritirare e riconiare le monete d’argento, come sarebbe stato necessario al tempo della lega latina buon anima. Manzoni aveva ragione di non capire perché la moneta dovesse scomparire dal mercato o fondersi perché egli, nato in tempi di moneta imaginaria, non sospettava neppure che non esistesse questo mezzo semplice di accomodare le cose senza d’uopo di fughe e fondite: «Ma io non so intendere» aggiunge in altra postilla a Galiani – «come non si alzasse nel corso il valore di queste monete…, e come con questo alzarsi non venisse tolto ogni utile nel rifonderle» (ivi, secondo, 120).

 

 

Voleva dire, come spiegai nel mio studio, che i popoli non davano di fatto la minima importanza ai corsi legali delle monete ed, anticipando le grida, sempre tarde a venire, variavano i corsi delle monete effettive in lire imaginarie a norma delle variazioni del rapporto commerciale fra oro ed argento. Avrebbero potuto, pare osservare Loria, fare a meno della moneta imaginaria e variare senz’altro i corsi delle merci in monete effettive. L’istinto persuadeva giustamente i popoli del vantaggio dell’intermediazione della moneta imaginaria, come della maggior parte delle intermediazioni che tanti economisti giudicano inutili. Si può ben gridare contro i negozianti come a parassiti inutili; ma conviene tollerarli perché il contatto diretto fra produttori e consumatori sarebbe quasi sempre più costoso del contatto indiretto.

 

 

Si può giudicare, come fa Loria, inutile l’intervento della moneta imaginaria; ma i popoli la tollerano per un millennio e forse potrebbero anche oggi sopportarla perché:

 

 

1)    in tempi di molte monete contemporaneamente correnti li liberava dal fastidio e dal costo di quotare i prezzi delle merci in altrettante unità monetarie;

 

2)    in tempi di barocche pretese dei principi di fissare ad arbitrio i rapporti legali fra l’oro e l’argento e non di rado i rapporti dell’unità monetaria con le unità di merci consentiva, con le variazioni anticipatrici «in abusivo» dei corsi delle monete effettive in moneta imaginaria, di fare gli opportuni sberleffi ai fulmini e saette delle grida di manzoniana fama.

 

 

13. Più sottile è il rilievo dell’amico Loria rispetto al compito che, secondo lo scrivente, avrebbe potuto essere, ma non fu mai, attribuito alla moneta imaginaria, di conseguire il fine della stabilità dei prezzi. Dicevo essere quel fine utopico ed ingenuo; e ne trattai solo per ricordare ai progettisti odierni che gli antichi avevano elaborato uno strumento a torto da essi dimenticato. Loria osserva: lo strumento «moneta imaginaria» è superfluo al raggiungimento del fine. Infatti, poiché «nelle condizioni date il valore fra i vari prodotti (esclusa la moneta effettiva) è invariato, così basta misurare il prezzo di quei prodotti in uno qualsiasi di essi perché si ottenga la invariabilità assoluta ed irrevocabile dei prezzi misurati in esso prodotto»[1].

 

 

14. Io dicevo: suppongasi che, ferma rimanendo la massa circolante dei beni economici ed invariati tutti gli altri dati del problema, cresca la massa coniata della moneta effettiva, ad ipotesi fiorini d’oro, ognuno uguale a 24 lire imaginarie. Se il principe non vuole, per sue fantasticate ragioni, che il livello dei prezzi in lire imaginarie cresca, ad es. da 100 a 111,11, altro non ha da fare se non gridare i fiorini ad un corso scemato di un decimo in lire imaginarie, ossia a lire 21 e 12 soldi invece che a 24. Il livello dei prezzi in lire imaginarie – non in fiorini effettivi – rimarrà invariato.

 

 

15. Perché, interrompe Loria, ricorrere al superfluo intermediario «lira imaginaria»? Nelle condizioni date, essendo invariato il rapporto fra le varie merci scambiate sul mercato, basta assumere come moneta una qualunque delle medesime merci. Se: b, c, d, f, g, a, o, n. sono le merci che si scambiano sul mercato; se per tutte esse l’unità di peso assunta nelle contrattazioni è il chilogramma; sicché dicendosi, ad, es., b = c/2 si intende dire che 1 chilogramma di b si scambia con mezzo chilogrammo di c; se le sole merci variate di quantità sono l’argento e l’oro. se l’oro e l’argento non siano più assunte come moneta; e se in lor luogo si assuma n; il rapporto fra b, c, d, f, g, n che era ad ipotesi: b = c/2 = 2d = 3f = 4n resta invariato; ed, essendo n la nuova merce moneta, è assicurata l’invariabilità dei prezzi misurati in n.

 

 

16. Osservo:

 

 

I patrocinatori della tesi della costanza dei prezzi, e l’obbligo mio di interpretare razionalmente il loro pensiero è tanto più grande quanto più io ritengo quella tesi ingenua utopica e residuo fossile di stati d’animo curiosamente medievalistici (cfr. par. 37 del mio studio), non affermano affatto che costanza del livello generale dei prezzi importi altresì costanza dei rapporti di scambio fra le singole merci portate sul mercato. Nessuno di coloro, i quali vorrebbero che, se 100 è il livello generale dei prezzi di n merci nel momento primo, tale debba rimanere nei momenti secondo, terzo… vuole altresì che i prezzi singoli di ognuna delle n merci rimangano fissi a 100. Tutti ammettono che i prezzi singoli mutino; e si desidera soltanto che la media, calcolata in un certo semplice o complicato modo, dei prezzi singoli variabili rimanga uguale a 100. Senza menomamente affermarne la possibilità, constatato che l’ideale voluto è la costanza del mito detto «livello generale dei prezzi» e non dei fatti concreti «prezzi singoli».

 

 

Come si potrebbe imaginare, del resto, che i prezzi singoli rimangano invariati? Sarebbe necessario non solo che rimanesse invariata la massa circolante dei beni economici b, c, d, f, g, ….; ossia la massa «totale» dei beni stessi, ma dovrebbero essere costanti tante altre cose, fra l’altro la massa di «ognuno» di essi e l’intensità del desiderio degli uomini per le loro successive dosi. Condizione evidentemente incompatibile con la variazione delle quantità di oro e di argento prodotto e coniato che è il punto di partenza dell’indagine. Se gli uomini hanno a loro disposizione maggiore quantità di oro e di argento, necessariamente faranno una domanda di pane di vino di casa di vestiti ecc. ecc. diversa da quella che facevano prima; ed i rapporti di scambio fra il pane il vino la casa i vestiti ecc. ecc. diventeranno diversi da quelli che erano prima. Quindi è vano supporre esista una merce qualunque la quale in qualunque condizione si, scambi in un rapporto invariabile contro le altre merci.

 

 

17. La lira imaginaria era uno spediente non per risolvere ma per girare il problema. I prezzi, fatalmente variabili se espressi in moneta effettiva, fosse questa d’oro o d’argento ovvero di pane o di pecore, si fingevano costanti in un numero astratto, detto lira di conto o lira imaginaria. Loria suppone che nella lira imaginaria io abbia voluto additare un metodo per rendere costanti sul serio i prezzi. Mai più. Dissi chiaramente e ripeto trattarsi di un trastullo offerto ai popoli per renderli persuasi di vivere nel paradiso dei prezzi invariabili. Sembra piccolo il valore del trastullo? Agli occhi dell’uomo razionale forse si; non a quelli dell’uomo reale.

 

 

Debbo sinceramente compiacermi, poiché la breve mia nota ha provocata una così istruttiva e suggestiva risposta; e tanto più dacché vedo che il dissenso fra me e l’amico Einaudi è in sostanza assai tenue.

 

 

Mi limiterò pertanto a due brevissime considerazioni.

 

 

1)    Stabilizzazione del bimetallismo. – Siamo tutti d’accordo che, se si vuole stabilizzare il bimetallismo, se si vuole che esso non traligni in un monometallismo a tipo deprezzato, e’ d’uopo aggiustare via via, il rapporto legale fra le due monete al loro valore commerciale, ossia (come dice Einaudi) surrogare effettivamente al bimetallismo un polimetallismo a rapporto variabile. Soltanto che Einaudi trova che codesta operazione è resa più spedita dallo strumento della moneta immaginaria. «È più facile e rapido gridare un corso di 2 lire 11 soldi e 9 denari, in luogo di quello di 2 lire, quando il rapporto fra oro ed argento da 12 scende ad 11 e mezzo, che non ritirare e riconiare la moneta d’argento». A me pare invece che il primo metodo sia più complicato del secondo, allo stesso modo che un’operazione con 3 cifre è sempre più complicata che un’operazione con 2, e che perciò la moneta imaginaria, sia una inutile complicazione. Ma sopratutto poi mi riesce difficile ammettere che, ove si faccia a meno della moneta imaginaria, sia necessario procedere al ritiro ed alla rifusione di una delle due monete. Quando Newton cercò di salvare il bimetallismo inglese, abbassando il valore della ghinea d’oro in scellini d’argento, non si fece altro che una operazione di conteggio, mutando il pari fra le due monete. E mi sembra che così debba avvenire in ogni caso somigliante[2].

 

2)    Stabilizzazione dei prezzi. – Nell’ipotesi, fatta da Einaudi, che cresca la quantità della moneta effettiva, «rimanendo costante la quantità dei beni economici e tutti gli altri[3] elementi del problema» – ed è questa l’ipotesi che occorre fare, se si vuole isolare l’influenza di aumento della quantità della moneta effettiva – è assolutamente inderogabile che i prezzi dei vari prodotti, misurati in moneta effettiva, debbano mutare proporzionalmente, ossia che il valore relativo dei vari prodotti debba rimanere invariato.



[1]Non tocco nel testo di due minori punti: 1) è pacifico che l’aumento dei prezzi in moneta effettiva denota, come dice Loria nel par. 6, un aumento correlativo dalla quantità di questa moneta ed, a corso correlativamente minore, una costanza della quantità della moneta imaginaria. L’avevo avvertito esplicitamente nel par. 39 del mio studio. 2) Il peggio che Loria descrive giustamente nel par. 8 come conseguente ad una variazione del corso della moneta effettiva in moneta immaginaria la quale non sia preceduta da una variazione dei prezzi delle merci o non sia inversamente proporzionale ad essa, non tocca la teoria della moneta immaginaria da me costruita, ma una sbagliata applicazione di essa. Ricalcando, con qualche variazione, note filippiche contro le alterazioni monetarie avevo anch’io già esposto (cfr. par. 43 a 50) taluni degli abusi che avevano screditato la moneta imaginaria. Due sono gli argomenti principi contro la odierna moneta manovrata. Il primo è la satanica superbia degli economisti persuasi di possedere gli strumenti tecnici opportuni a misurare esattamente variazioni delicatissime delle quantità economiche e di saperli manovrare così da produrre altre variazioni nel senso e nella misura volute. A poco tuttavia giova condannare, in ossequio ai comandamenti divini, siffatto peccato di superbia perché principi e popoli sono mossi da ugual vizio, e non si meritano, sebbene privi della loro cosidetta perizia, di fare a gara cogli economisti nel misurare e manovrare. Il secondo è l’esperienza degli abusi e degli errori che, nell’eseguire misure e manovre, sono commessi da economisti principi e popoli. L’argomento acquista tratto tratto qualche peso, quando, essendo abusi ed errori divenuti troppo calamitosi, i popoli esasperati impongono ad economisti e principi di porre tregua alle loro esperienze. La più lunga, sebbene non piena, di cotali tregue si ebbe dal 1814 al 1914; e fu avvenimento unico nella storia di millenni. Perciò sarà forse ricordata nei secoli come l’epoca nella quale gli uomini, senza saperlo, vissero felici.

[2]Sì, se la moneta d’oro si chiama ghinea e quella d’argento scellino, che è un principio di moneta immaginaria. Quid, se amendue sono chiamate scellini e su quella d’oro stanno coniate le parole 20 scellini?

[3] «Tutti gli altri», in quanto siano indipendenti dalla variazione della quantità della moneta effettiva. Si possono escludere le variazioni «conseguenti» al mutare della quantità monetaria? Forse che qualunque variazione nell’equilibrio economico, anche piombata improvvisamente dal cielo, non produce, essa medesima, altre variazioni, impossibili ad escludersi nello studiare il problema? Da Bodin in qua non si osservò forse che la maggior massa monetaria induceva variazioni nei gusti, nei rapporti fra classi, ecc.? L’oro e l’argento del Messico e del Perù potevano distribuirsi subito in tutto il mondo ad aumentare proporzionalmente tutti i prezzi, o non dovevano necessariamente arrivare prima in Spagna e quivi far aumentare i prezzi dei beni economici acquistati dal re e dai soldati di ventura o dai loro creditori clienti e familiari e poi via via, col trascorrere degli anni dei decenni e dei secoli, tutti gli altri? Si può, anche in via di astrazione, far a meno di prendere atto dei periodi di attrito? Così direi io; ma Loria potrebbe replicare: «Un fenomeno può avere 100 effetti e questi a loro volta 1.000 effetti e così all’infinito. Ma se si vuole isolare l’azione di quel primo fenomeno, occorre assolutamente fare completa astrazione da tutti i suoi derivati – del resto sempre eventuali – e lasciarlo agire nella sua perfetta purezza. Se no, non è più l’azione di quel fenomeno, che si studia, ma di questo e di tutti gli altri, che si vogliono e debbono escludere».

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