Italia e Ungheria
Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 27/02/1905
Italia e Ungheria
«Corriere della sera», 27 febbraio 1905
Signor Direttore.
Il tempo vuol dimostrare che gli articoli del progetto di legge ferroviario, i quali comminano alcune penalità contro lo sciopero sulle strade ferrate, sono il prodotto di un frettoloso impressionismo empiristico; e cita l’Ungheria dove nessuna legge sarebbe stata promulgata per togliere ai ferrovieri il diritto di abbandonare il lavoro anche dopo lo sciopero colossale dell’aprile 1904. Anche qui, come in tante altre materie, i socialisti italiani, veri discendenti e fratelli di spirito dei giacobini francesi, non sanno cosa veramente sia la libertà e scambiano la parvenza per la realtà. Ecco i fatti per l’Ungheria. Da lungo tempo i ferrovieri ungheresi reclamavano un aumento generale dei salari, facendo notare che da 35 anni circa il tasso dei loro stipendi non era stato accresciuto, mentre tutti gli altri impiegati dello Stato avevano visto migliorare la propria situazione. Le promozioni erano fatte a caso e capricciosamente. In un tempo in cui 5.600 agenti avrebbero dovuto ottenere la promozione, l’avevano ottenuta solo 1.600. Al principio del 1904 il Governo presentava un progetto di legge per aumentare gli stipendi di una somma complessiva di 7.044.750 lire. Disingannati, i ferrovieri, i quali pretendevano un aumento minimo di 10.529.250 lire, organizzarono delle riunioni che furono proibite.
Il Governo licenziò senz’altro alcuni fra i promotori: 7 impiegati e 1 meccanico. E lo poteva fare perché in Ungheria i ferrovieri non godono, benché funzionari governativi, nessuna stabilità. Tutti possono essere licenziati con un preavviso di tre mesi. Eccitati da questi atti del Governo, i ferrovieri nella notte dal 19 al 20 aprile proclamarono lo sciopero che in breve si estese a quasi tutta la Rete di Stato. Ma il Governo non perdette tempo e non tergiversò. Le stazioni e le linee furono occupate militarmente. Con i mandati giudiziali si arrestarono e cacciarono in prigione a Budapest parecchi membri del Comitato promotore dello sciopero ed un deputato che voleva intervenire. Finalmente si intimò agli scioperanti, che per il loro servizio erano dispensati dal servizio militare, di consegnarsi immediatamente ai loro reggimenti.
Intimoriti da questi energici provvedimenti, gli scioperanti ripresero il lavoro, senza imporre nessuna condizione, ed il 25 sera, il conflitto era terminato dopo che il ministro ebbe garantito l’amnistia per tutti gli scioperanti che sarebbero rientrati in servizio in un termine stabilito.
Questi i fatti. Se anche dopo l’Ungheria non ha elaborato una legge speciale relativa allo sciopero ferroviario – come ne fu manifestata l’intenzione in Parlamento – ciò è dovuto in parte al fatto che quel Governo ha dovuto ed ha tuttora altre quistioni assai più spinose da risolvere e sovratutto alla circostanza che il Governo in Ungheria crede d’avere già poteri ancora più lati di quelli che ora in Italia si vogliono attribuire per legge allo Stato. Il Tempo crede davvero che sia migliore lo stato legittimo di un paese dove si imprigionano membri di Comitati d’agitazione, deputati, dove si amnistiano (e per amnistiare bisogna che ci sia reato) i ferrovieri senza che una legge speciale contempli gli scioperi ferroviari, o quello di un paese dove, dopo aver concesso ai ferrovieri garanzie ignote ai loro colleghi ungheresi ed anzi ai loro colleghi di tutto il mondo, si stabiliscono nettamente alcune responsabilità penali specialmente a carico dei legislatori?
Un lettore.