Opera Omnia Luigi Einaudi

La campagna socialista contro le dottrine di Sant’Alfonso

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 17/08/1901

La campagna socialista contro le dottrine di Sant’Alfonso

«La Stampa», 17 agosto 1901

 

 

 

Non avevamo voluto parlarne prima, perché la cosa non ci pareva trascendere i limiti di una polemica bottegaia, iniziata allo scopo di attirare quei lettori i quali pur troppo corrono dietro ai pupazzetti pornografici ed ai racconti scurrili.

 

 

Credevamo, insieme con Claudio Treves, di cui abbiamo riassunto l’altro giorno un brillante articolo sui follaiuoli, che non fosse dignitoso «intrufolarsi con delizia nei letamai» contenuti nelle colonne di certi giornali umoristici del socialismo italiano; convinti che fosse grandemente opportuno «lasciare al trivio la trivialità» ed agli epilettoidi ed anarcoidi l’esprimersi «in un gergo sboccato e carico che riesce qualche volta artisticamente efficace, ma è quasi sempre un documento di inferiore sensibilità morale».

 

 

Molti giornali, però, non avevano creduto di condannare col silenzio l’opera dei pennaiuoli del socialismo umoristico; onde il dilagare nelle ultime settimane di una vivacissima polemica pro e contro gli insegnamenti morali contenuti nella Teologia di Sant’Alfonso dei Liguori.

 

 

Polemica disgustosa, perché condotta dagli avversari del dottore cattolico con una violenza di forma ed una scurrilità di linguaggio da impedire a tutti quei periodici i quali amino tenere un linguaggio decente e civile di imbrattarsi nel fango di cui le colonne di certi fogli erano insozzate. Ma appunto perché condotta senza quella temperanza che è necessaria in argomenti cotanto delicati, la polemica aveva impensierito molti, i quali desideravano sapere se veramente le opere morali di Sant’Alfonso dei Liguori, ossia di uno dei più grandi dottori della Chiesa cattolica, fossero deturpate da dottrine immorali e deleterie per la società famigliare e civile, come asserivano i giornali socialisti.

 

 

In buon punto perciò è venuto a sciogliere i dubbi il verdetto pronunciato da una Giuria nominata dal giornale cattolico Biella Cattolica – Vita Biellese e dal giornale socialista Il Corriere Biellese, per decidere se Sant’Alfonso dei Liguori veramente giustifichi il confessore che abusa della penitente e giustifichi e permetta il giuramento falso. Erano queste le accuse più gravi mosse dai socialisti contro le dottrine alfonsine; accuse tali da preoccupare a ragione tutti coloro che conoscono quanto grande sia l’autorità del Trattato di teologia morale presso il clero cattolico. Orbene, il Giurì, composto del presidente on. Corradino Sella, sindaco di Biella, e dei professori Carlo Placido Gariazzo, Fortunato Maglioli ed Edoardo Barbero e dell’avvocato Umberto Savio, ha pronunciato all’unanimità (compreso quindi anche il voto dei commissari socialisti), il seguente verdetto:

 

 

  1. a) Sant’Alfonso non giustifica il confessore che abusa della penitente; b) Le bolle pontificie di Gregorio XV e Benedetto XIV riguardanti i confessori sollecitanti ad turpia hanno carattere di legge penale per il penitente, e Sant’Alfonso, nell’esaminare l’applicabilità di esse, propende a non ravvisare nei casi che adduce gli estremi della sollecitazione.

 

  1. a) Sant’Alfonso non giustifica in termini generali il falso giuramento; b) Sant’Alfonso ritiene che non vi sia falso giuramento quando si è bensì fatto uso della parola «giuro», ma non si è invocata la divinità a testimonio o esplicitamente, o implicitamente per precedente interrogazione od ammonizione; c) Sant’Alfonso permette l’equivocazione confermata da giuramento quando vi sia una giusta causa; d) Le precedenti distinzioni e limitazioni costituiscono una dottrina pericolosa, e condannata dalla coscienza moderna; e) Nell’apprezzare la dottrina di Sant’Alfonso si deve tenere conto delle condizioni dei tempi in cui egli scrisse, e della natura dell’opera sua rivolta ad istruzione dei confessori; f) Vi possono essere casi, in cui alle soluzioni pratiche date da Sant’Alfonso si può giungere per ragioni filosofiche-morali diverse da quelle da lui adottate, ed essenzialmente fondate sullo stato di coazione e sulla teorica della collisione dei doveri.

 

 

Come si può desumere dal verdetto del Giurì biellese, le accuse di immoralità lanciate contro il moralista cattolico non sono fondate. Sant’Alfonso non giustifica e non approva né i reati dei confessori contro il buon costume, né il giuramento falso.

 

 

Si può unicamente osservare che coi criteri moderni non tutte le deduzioni alfonsine relative all’equivoco nel giurare sono accettabili. Dall’altra parte bisogna osservare che il libro di Sant’Alfonso non è indirizzato al pubblico, ma costituisce una specie di codice in base al quale i confessori devono concedere o rifiutare l’assoluzione ai penitenti.

 

 

È spiegabile quindi che in caso di dubbio Sant’Alfonso propenda piuttosto verso l’assoluzione che verso la condanna: norma questa che anche i codici penali di tutti i paesi moderni insegnano ai giudici.

 

 

La legge penale, sia religiosa che civile, deve sempre essere applicata strettamente; ossia, non si può condannare una persona se non quando il reato risulti chiaramente ed indubbiamente provato. Il dubbio va sempre a favore dell’imputato.

 

 

Sant’Alfonso nel suo trattato ha esposto e discusso molti di questi casi dubbii, come era suo compito di trattatista. Il che non vuol dire che egli giustifichi le male azioni commesse quando possa nascer dubbio intorno alla loro natura morale od immorale; vuol dire soltanto che i confessori devono tener conto di tutti gli elementi di giudizio e non condannare se non quando la colpa grave sia evidente.

 

 

Abbiamo voluto ricordare il verdetto di Biella, perché ci sembrava necessario che un’autorevole parola venisse a definire le ragioni del diritto e del torto in una controversia divenuta oramai troppo velenosa e sboccata.

 

 

Quei socialisti i quali hanno sperato di guadagnare proseliti attaccando gli insegnamenti della religione cattolica si sono grandemente illusi. Forse hanno guadagnato il favore di quelli che con la tenue spesa di un soldino vogliono divertirsi leggendo delle arguzie volterriane.

 

 

Ma la maggior parte delle persone assennate ha pensato che i socialisti si mettono dalla parte del torto quando, dopo avere predicato per anni ed anni che la religione è cosa privata (privat-sache), cercano di spargere il discredito ed il disprezzo sulle istituzioni religiose e sui luminari della Chiesa. Oramai questi metodi, che tanta fortuna ebbero con Voltaire prima della rivoluzione francese, sono discreditati e danneggiano più coloro che se ne servono che non quelli che ne sono offesi.

 

 

Come tutte le altre dottrine, gli insegnamenti religiosi debbono essere studiati e discussi serenamente e spassionatamente nel loro complesso ed in rapporto al tempo in cui furono esposti. Non basta, ad esempio, trarre dei brani staccati e dei periodi singoli dalle opere di Sant’Alfonso per avere sicuro fondamento di condanna.

 

 

È necessario che una dottrina sia giudicata nella sua integrità e rispetto agli scopi ed alle intenzioni di chi la propugnò.

 

 

Se i socialisti avessero seguito codesti criteri, forse non si sarebbero appigliati ad un’arma di combattimento destinata ad alienar l’animo di coloro che pregiano sovratutto la correttezza nella polemica ed il rispetto delle dottrine avversarie.

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