Opera Omnia Luigi Einaudi

La crisi agraria nell’Inghilterra (parte III)

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 01/01/1896

La crisi agraria nell’Inghilterra (parte III)

«Giornale degli economisti», gennaio 1896, pp.54-74

 

 

 

La crisi agraria ad il bimetallismo

 

Ed eccoci ora ad esaminare un’altra fra le cause che possono aver condotto alla depressione economica attuale: la scarsità del medio legale circolante. Il deprezzamento delle merci troverebbe, secondo i bimetallisti, la sua ragione unica non nelle mutate condizioni produttive dell’industria moderna, ma nel rivolgimento avvenuto nella circolazione monetaria dei paesi inciviliti.

 

 

Il Sauerbeck ha compilato un magnifico diagramma sul prezzo delle principali merci dal 1820 al 1894. Attraverso alle momentanee fluttuazioni dovute alla scarsità od all’abbondanza dei raccolti, alle speculazioni commerciali, alle guerre si scorge un triplice movimento accentuato; di ribasso dal 1820 al 1850; di rialzo dal 1851 al 1873, di ribasso nuovamente dal 1874 al 1894; questo grande movimento si accompagna a mutazioni corrispondenti nella legislazione e nelle correnti monetarie dell’Inghilterra. Naturale quindi che anche nel paese classico del monometallismo oro sorgesse una scuola la quale proclamasse il ritorno alla doppia valuta circolante, come la provvidenziale panacea di tutti i mali onde soffrono la agricoltura e la industria. Si verifica così un ritorno alle viete teoriche mercantiliste che facevano dipendere la prosperità di una nazione dalla quantità di metalli preziosi che essa riusciva ad assicurarsi.

 

 

Il grido more money che di là dall’Atlantico ha trovato seguaci fervidi e che è riuscito ad acquistarsi l’appoggio non solo dei produttori di argento, ma anche delle masse operaie illuse dalla credenza che le causa della disoccupazione e del ribasso dei salari si debba ritrovare nella mancanza di denaro[1], ha anche partigiani illustri nella Inghilterra come il Chaplin, il Balfour, l’Everett ed il Foxwell. Non è nuova l’insurrezione contro il tipo monetario aureo che da circa un secolo impera in quel paese.

 

 

Il periodo dal 1793 al 1819 era stato molto prospero per i proprietari fondiari i quali erano riusciti a vendere ad alti prezzi i loro grani; a 127 scellini al quarter nel 1800; a 112 nel 1810, a 116 ed a 98 rispettivamente nel 1817 e nel 1818. Il fatto era dovuto per gran parte, come è stato ammirevolmente provato dal Tooke nella sua History of prices (vol. II, cap. XI, p. 346), alla prevalenza di stagioni sfavorevoli nelle quali il prodotto dei cereali e specialmente del grano, era stato deficiente, alla proibita esportazione delle derrate alimentari dal continente europeo, al rialzo del saggio del cambio e dell’interesse e non era l’effetto del privilegio di emissione goduto dalla Banca d’Inghilterra senza il corrispondente obbligo del cambio a vista in valuta metallica.

 

 

Dopo il 1818 i prezzi mostrano una continua tendenza al ribasso; l’index number secondo i calcoli del Sauerbeck da 120 nel 1820 cadde a 89 nel 1832, e dopo un momentaneo rialzo a 103 nel 1839-40, ascritto ad un deficiente raccolto nel 1838, cadde nuovamente fino a 74 nel 1849. Le cause di questa tendenza al ribasso dei prezzi riassunte dal Tooke nel carattere maggiormente favorevole delle stagioni, nella rimozione degli ostacoli alla concorrenza estera, nella scoperta di nuovi centri produttivi, nella riduzione delle spese di nolo, di assicurazione, nell’estendersi rapido delle vie di comunicazione, nelle migliorie realizzate nei processi produttivi e nel ribasso generale del saggio dell’interesse, sono tutt’altre però, secondo la spiegazione dei fautori della espansione della circolazione. Nel 1819, anno appunto in cui si inizia il movimento di ribasso nel prezzo delle merci, la Banca d’Inghilterra riassumeva i pagamenti in oro a vista dei suoi biglietti; e dopo alcuni anni venivano anche ritirati dalla circolazione i biglietti a piccolo taglio di 1 lira sterlina[2].

 

 

Il conte di Stanhope diceva a questo proposito nel 1830 alla Camera dei lordi: A che cosa è dovuta la crisi generale? alle basi erronee su cui riposa la nostra circolazione dopo il 1819. I prezzi non sono caduti in basso solamente per i prodotti agricoli; la depressione è stata continua ed universale dopo l’approvazione dell’atto del 1819, e specialmente dopo il ritiro avvenuto l’anno scorso dei biglietti di piccolo taglio. Una crisi così forte e duratura può essere solamente attribuita ad una causa unica generale per tutti i rami dell’industria, voglio dire, alla enorme contrazione effettuatasi nel medio circolante. In una discussione sulle leggi sui cereali nel 1843 Lord John Russell affermò che sebbene nel 1815 nuove disposizioni protettive avessero fissato ad 80 scellini il prezzo minimo, al di sotto del quale l’importazione del grano era proibita, esse rimasero inefficaci perché Roberto Peel nel 1859 introdusse un cambio nella circolazione, riponendola sulle sole basi del monometallismo aureo. Quale ne fu l’effetto? questo, che mentre nei cinque anni anteriori al 1820 il grano valse in media 80 s. 9 d. nei cinque anni seguenti esso non superò in media 5 s. 3 d.

 

 

Non furono le rimutate leggi sui cereali che del ribasso sono la causa prima; ma il cambiamento nei sistemi monetari. Ancora più violento nella disapprovazione dell’Atto del 1819 fu Daniel O’Connell dichiarandola la legge più iniqua e più perniciosa di ogni altra stata presentata prima all’approvazione del Parlamento. Essa fu concepita malamente e per nessun altro scopo che quello di fare un insano sperimento alle spese della popolazione; per riconoscere fino a qual punto essa potesse sopportare i malanni che la affliggono. I banchieri ed i capitalisti hanno con questo mezzo trovato modo di arricchirsi rovinando l’agricoltura[3]. Dopo il 1851 i clamori dei bimetallisti tacquero in causa del periodo di prosperità grande che l’agricoltura e l’industria attraversarono nel ventennio successivo a quella data.

 

 

L’index number del Sauerbeck da 78 nel 1852 salì d’un subito l’anno dopo a 95, elevandosi nel 1857 a 105 per raggiungere il punto più alto nel 1873 con 111. A suffragare le teorie di quelli che il movimento dei prezzi ricollegano alle variazioni nella offerta dei metalli preziosi, vennero appunto le grandi scoperte di oro nella California e nell’Australia, le quali parvero per un momento condurre ad un deprezzamento del metallo giallo e spinsero le fantasie degli economisti paurosi dell’innalzamento indefinito dei prezzi delle derrate di consumo a chiedere la sostituzione dell’argento rincarato all’oro deprezzato. La quantità media di oro prodotto nel mondo aumentò d’un tratto straordinariamente.

 

Ecco le cifre:

 

 

Periodi quinquennali

Quantità di oro prodotti in chilogr.

Valore in lire dell’oro

1851-55

199,388

687,000,000

1856-60

201,750

695,000,000

1861-65

185,057

637,600,000

1866-70

195,026

671,900,000

1881-75

173,904

599,200,000

 

 

La sovraproduzione aurea ebbe anche il suo contraccolpo nell’Inghilterra dove l’importazione dell’oro eccedette in media dal 1858 al 1871 la esportazione di circa 100 milioni di lire all’anno. Un così enorme afflusso di metallo nobile, non mancò, di produrre un risveglio immenso nell’operosità e nella industria inglese; ed anche l’agricoltura ne risentì i benefici effetti.

 

 

E sebbene questo rialzo della prosperità generale di un paese sia poco esattamente[4], rappresentato delle fluttuazioni degli index number i quali devono per necessità restringersi a pochi generi all’ingrosso e non possono seguire le variazioni sempre più lente dei prezzi al minuto, è certo in ogni modo che in quel ventennio si verificò un rialzo inopinato non solo nelle rendite dei proprietari, ma anche nei salari dei lavoranti agricoli, i quali giunsero nel 1873 a guadagnare un salario in moneta, che dopo più non poterono quasi mai ottenere. Che però questo rimutamento dei prezzi dei prodotti sia dovuto unicamente alla espansione della circolazione ed alla scoperta delle miniere aurifere, si deve mettere in dubbio quando si considerino le cifre seguenti che ci rappresentano da un canto l’ammontare del medio circolante e dall’altro il reddito sottoposto alla income tax a due date differenti in Inghilterra:

 

 

Circolazione Reddito sottoposto ad income tax
1871 L. sterline 95 milioni 1868 L. sterline 365,366,000
1850 L. sterline 60 id. 1848 L. sterline 229,868,000
Aumento 35 id. Aumento 135,498,000

 

 

L’aumento è nei due casi di circa il 3 per cento all’anno, il che ci dimostra come la circolazione abbia acquistato una espansione maggiore solo in corrispondenza delle maggiori transazioni commerciali e della accresciuta ricchezza[5].

 

 

Dopo il 1873 si osserva una continua e non interrotta tendenza al ribasso; l’index number del Sauerbeck che segnava, come già si è detto 111 nel 1873, scese nel 1879 ad 83 (è notevole la coincidenza di questo basso indice col raccolto più cattivo che si sia avuto in tutto il secolo nell’Inghilterra) a 68 nel 1887, e dopo un breve e momentaneo rialzo nel 1889-91 scese ancor più basso nel 1894 a 64.

 

 

A dar ragione di questo movimento non bastano più le spiegazioni solite; non si tratta certamente delle fluttuazioni che avvengono nei vari mercati e che devono ascriversi all’eccesso od alla scarsità delle offerte in paragone della domanda; e nemmeno puossi parlare di un movimento ritmico dovuto alle vicende di espansione e di ristagno nelle crisi industriali, e che secondo i calcoli geniali del prof. Jevons doveano avere una durata media di 10 anni e mezzo. Le crisi sorgono, diceva il Giffen nel 1877, perché si commisero sbagli, perché si produssero troppe merci e queste di cattiva qualità; ma quando si pone riparo agli sbagli e nuovi fattori favorevoli cominciano ad operare, come un buon raccolto, allora gli affari ritornano ad essere prosperi, e si ha un rifiorimento dell’industria e del commercio[6].

 

 

Una argomentazione simile a questa coi suoi cicli ricorrenti delle crisi e delle espansioni periodiche non vale a darci la causa di una depressione continua come quella che dura dal 1873 al 1894 senza alcun accenno a diminuire di intensità. Un commerciante di Sheffield diceva un giorno al Foxwell (question N. 23,573): Noi non riusciamo a capir nulla dello stato presente di cose; eravamo accostumati ad avere quattro o cinque anni buoni, e poi altri quattro o cinque cattivi; ed accomodavamo a queste continue alternative i nostri affari. Ora tutto ciò è cambiato e noi ci troviamo di fronte ad una tendenza persistente al ribasso. La causa, nota subito il Foxwell, si trova nella circolazione monetaria. La produzione dell’oro la quale era andata crescendo dal 1851 al 1870 subì dopo d’allora una forte diminuzione.

 

 

Ecco le cifre posteriori a quelle date più su:

 

 

Periodi quinquennali

Quantità d’oro in chilogrammi

Valore in lire

1876-80

172,414

594,000,060

1881-85

149,137

513,700,000

1886-90

174,472

599,648,000

 

 

Il fatto basterebbe già per sé solo a farci supporre che il motore nascosto della odierna depressione industriale ed agricola risieda nella scarsità del metallo aureo; ed a questa causa sola debbano ricondursi, come pretendono quasi tutti gli agricoltori interrogati dalla Commissione inglese, i ribassi continui, persistenti ed incredibili nel valore delle derrate agricole. Non sono queste che sono diventate più abbondanti e sorpassando di gran lunga i bisogni normali del mondo incivilito con tutta la pressione esercitata dalle merci invendute, tendono a diminuirne il valore; ma invece la scarsezza del denaro col quale esse devono scambiarsi fa sì che la stessa quantità di oro che prima comperava merci ora valga ad acquistarne due o tre volte tanto.

 

 

È avvenuto, in altre parole, non un deprezzamento delle merci per cagioni naturali e per il diminuito costo di produzione, ma un rincarimento nel valore del denaro, una appreciation of gold, come dicono gli inglesi. Le loro argomentazioni sono poi singolarmente suffragate da un’altra serie di fenomeni verificatesi dopo il 1870. Di fronte ad una produzione aurea oscillante dai 500 ai 600 milioni di lire, il consumo normale ne assorbe più della metà, all’incirca 300 milioni, necessari per gli usi monetari nei paesi inciviliti a cagione del logoro delle monete vecchie e dei nuovi bisogni nascenti dalle più complicate e numerose transazioni commerciali, a scopo di ornamento ed altri ancora. Rimane un sovrappiù medio di 200/300 milioni all’anno.

 

 

Di fronte a questa offerta si elevarono nel ventennio passato varie domande in causa del passaggio di parecchie grandi nazioni dal regime a tipo argento od a circolazione cartacea deprezzata, al monometallismo aureo. Così gli Stati Uniti da soli che nel decennio 1866/75aveano assorbito un valore di 11,196,000 lire sterline, ne richiesero invece nel decennio successivo 1876/85 un valore totale di 112,589,600 lire sterline, a causa della riassunzione dei pagamenti in contanti avvenuta l’1 gennaio 1879. Anche l’esportazione dell’oro verso l’India aumentò in qualche proporzione nel quinquennio 1881/85 raggiungendo la media di 4,712,899 rupie all’anno. Il ritorno della Germania nel 1871 al tipo aureo operò un largo drenaggio sulla quantità del metallo giallo esistente nel mondo, essendo salita a 2 miliardi circa la quantità di oro monetata da quella nazione. Anche la Olanda e gli Stati Scandinavi adottarono il regime monetario a tipo aureo nel 1872 e nel 1875 assorbendo in tutto circa 325 milioni di metallo. Tralasciando l’Italia, il cui ritorno ad una circolazione metallica sana fu una momentanea illusione, noteremo solo come recentemente l’Austria e l’India abbiano adottato il sistema monetario a base oro. D’altro canto l’accrescersi dell’uso dei metalli preziosi per scopi industriali, il sistema rinnovellato da parte di parecchi governi dei tesori di guerra, cospirano a produrre una specie di rarefazione nel medio circolante esistente nelle principali nazioni incivilite, onde una tendenza dei prezzi delle derrate ad equilibrarsi con la quantità di moneta usata per gli scambi.

 

 

Che le cose stieno proprio come pretendono i fautori del doppio tipo monetario, è dubbio; non è esatto dire che la quantità di metallo aureo circolante sia sensibilmente diminuita nelle nazioni incivilite; le enormi quantità di oro gettate sul mercato monetario negli ultimi quarant’anni continuano a riempire per tal modo i canali della circolazione, che una grande quantità se ne ritrae per restare inoperosa nelle casse delle banche di emissione. Ed invero mai come negli ultimi anni le situazioni delle casse delle grandi banche furono migliori, fenomeno questo che si riattacca al periodo di liquidazione che ora l’economia commerciale attraversa, ma che ad ogni modo destituisce di serio fondamento la teoria della mancanza del medio circolante.

 

 

E bisogna ancora notare un altro fatto importante, ed è che la moneta rappresentata dai metalli preziosi ha una importanza oggi ben minore di quel che non avesse prima, quando tutte le operazioni commerciali si conchiudevano a contanti; ora per mezzo delle Clearings Houses tutte le transazioni si operano per mezzo di semplici compensazioni, e l’oro rientra in scena solo quando si tratta di saldare le differenze risultanti dalla chiusura dei conti, o di fare dei pagamenti all’estero in seguito a straordinarie e non prevedute importazioni di derrate da paesi coi quali le relazioni commerciali non sono così vive da potervi direttamente o per via di arbitraggio far fronte con cambiali[7].

 

 

Ma questi fatti sono troppo noti perché sia necessario discorrerne qui più a lungo e d’altra parte le controversie sono così accanite su questo argomento che si rischierebbe volendo mantenersi brevi a trascurare con facilità e per la natura stessa dell’argomento smisurato e vasto, una gran parte della letteratura scientifica al riguardo.

 

 

È più interessante fermarsi alquanto a riguardare un altro aspetto del fenomeno monetario il quale secondo le opinioni dei coltivatori inglesi ha un peso maggiore nel determinare il ribasso dei prezzi e nell’acuire la intensità della concorrenza dei paesi nuovi. In generale questi hanno una circolazione monetaria a tipo inferiore od una circolazione cartacea deprezzata rispetto alle nazioni consumatrici; ad esempio la Russia, l’Argentina, l’India le quali concorrono largamente ad approvvigionare di grano l’Inghilterra. Ora la esistenza di un forte dislivello nel valore rispettivo della moneta in corso nei paesi esportatori, agisce come un premio a favore dei produttori indigeni e diminuendo il prezzo in oro che essi sono costretti a ricavare dalla vendita delle loro derrate, ne deprime il valore commerciale nelle nazioni esportatrici.

 

 

Così nell’Argentina benché i produttori che hanno ridotto a coltivazione una gran parte del territorio prima deserto (in massima parte italiani frugali ed aventi pochi bisogni a cui soddisfano colla propria industria casalinga) ricevano solo per ogni quintale di grano 5 lire in oro, trovandosi il cambio a 350 per cento li permutano con 17.50 in carta, il quale per loro rappresenta un prezzo abbastanza rimuneratore. Lo stesso dicasi della Russia per il ribasso del valore espresso in oro del rublo. Dove il fenomeno acquista maggiore importanza e può essere con maggiore accuratezza studiato è nell’India[8].

 

 

Il dipartimento indiano delle finanze e del commercio pubblica annualmente un rapporto sui prezzi e sui salari; per mezzo del quale si possono seguire le variazioni annue dal 1861 al 1893 dei prezzi dei principali generi alimentari e dei salari agricoli. Prima del 1880 la mancanza delle comunicazioni fra le varie provincie rendeva il prezzo del grano, del riso e del mais dipendente dalle locali vicende delle offerte e delle domande. Una raccolta abbondante in un distretto rendeva affatto superflua quella parte che non era richiesta dal consumo locale.

 

 

Da ciò un deprezzamento delle derrate rese in tal modo inutili; così, come nota l’O’Connor, nelle provincie centrali gli sbalzi dei prezzi medi erano enormi, andando da un minimo di 44.33 sers ad un massimo di 12 sers per rupia[9].

 

 

Si verificava colà un fenomeno analogo a quelli che accadevano nell’Europa alla fine del secolo scorso ed al principio di questo, quando l’economia rurale riposava sul consumo locale o meglio famigliare, e non tendeva allo scambio delle merci.

 

 

Nell’India, sino ad una ventina di anni fa, il contadino o ryot produceva sui propri campi quella quantità di grano, o di riso che era necessario al pagamento delle decime in natura al governo ed al soddisfacimento dei proprii bisogni. I prezzi in genere non variavano molto se non negli anni di straordinaria carestia o di grande abbondanza, essendo fissati dalla consuetudine, la quale regolava pure in modo invariabile le prestazioni da farsi in natura a quegli artigiani che risiedevano nei villaggi[10].

 

 

Gli scambi fra le varie classi sociali avvenivano in natura, per modo che i secoli di lotte sanguinose che aveano dilacerata l’India non aveano tolta dalla immobilità l’economia agraria di quel paese, la quale si regolava non a seconda delle norme dettate dal tornaconto, ma a seconda delle tradizionali costumanze modellanti la economia rurale dei villaggi su uno stesso tipo uniforme e rigido. La sostituzione degli scambi in moneta e l’agevolarsi delle comunicazioni produsse una trasformazione nella economia indiana paragonabile solamente a quella che avvenne nell’Europa dopo la scoperta dell’America. L’aprirsi di nuovi mercati e specialmente del commercio di esportazione ha contribuito al rialzo dei prezzi dei cereali ed al suo equilibrarsi nelle varie regioni. Nelle campagne aperte da poco alla colonizzazione i prezzi sono saliti a seconda delle domande nuove venute dall’Europa, ed a questo rialzo corrispose un corrispondente inacerbirsi della concorrenza dei contadini bramosi di coltivare un po’ di terra, cooperando in tal modo al rialzo della rendita fondiaria[11].

 

 

Ma se le mutate condizioni economiche possono in parte spiegarci le rimutazioni avvenute nel prezzo dei cereali, esse non riescono poi a farci del tutto comprendere bene la cagione della antinomia e della profonda contraddizione fra la storia economica indiana ed europea negli ultimi tempi. Che una contraddizione stridente vi sia, lo si può scorgere da poche cifrespigolate dal Return on prices and wages in India pel 1894.

 

 

Abbiamo già visto quale precipitosa caduta segni il prezzo del grano sul mercato di Londra dopo il 1873 da 56 scellini ad una media di 20 nel 1894. Nell’India ci si appalesa invece un fenomeno affatto contrario. Nel Bengal (Eastern) il numero indice sale da 100 nel periodo 1871-75 a 107 nel 1886-90, a 120 nel 1891, 137 nel 1892, 133 nel 1893. Nell’India Centrale il rialzo è minore, da 100 nel 1871-76 a 103 nel 1893. Nel Deccan passiamo da 100 nel 1871-75 a 153 nel 1876-89 per ridiscendere a 107 nel 1891, a 157 nel 1892, ed a 122 nel 1893.

 

 

Il fatto si ripete in quasi tutte le provincie indiane prendendo qualche volta delle proporzioni eccessive come nelle provincie centrali dell’est dove da un minimo di 100 nel 1871/75 si è passati a 168 nel 1886/90, e 284 nel 1892 per calare poi nel 1893 a 211[12]. Il fenomeno generale per tutta l’India può essere ricondotto, come gli agrari inglesi pretendono, ad un deprezzamento nel valore dell’argento? L’O’Connor non nega la influenza di questo nuovo fattore del prezzo dei cereali notando però come essa sia più oscura e meno facilmente valutabile di quello che non sieno le altre cause le quali hanno cooperato a produrre ed a mantenere un maggiore livello nei prezzi[13].

 

 

La osservazione sua era però fatta nel 1886 e dopo d’allora il movimento al rialzo non ha cessato di accentuarsi sempre più, mentre d’altra parte il valore della rupia in oro non cessava di diminuire, scendendo da 1 s. 11 19/32 d. a 1 s. 3 7/16 d. È indubitato perciò il fatto sostenuto dagli agricoltori inglesi, che cioè i coltivatori indiani ricevono ora, in virtù specialmente, se non esclusivamente, dello scemato valore della rupia in oro una quantità maggiore di moneta argentea che non ricevessero venti anni fa. I documenti ufficiali vengono per tal modo a suffragare le affermazioni dei bimetallisti che contrappongono alla impossibilità gravante sul coltivatore inglese di ottenere un prezzo rimuneratore in oro pel grano da lui venduto, la facilità colla quale i produttori indiani riescono a fare lauti guadagni e maggiori di quelli che facessero prima. Pur dato ciò, perché si possa ascrivere unicamente al deprezzamento dell’argento ed al rincarimento della valuta aurea tutta l’enorme depressione agraria verificatasi nell’Europa negli ultimi anni bisognerebbe che il potere acquisitivo dell’argento fosse rimasto nell’India uguale da circa 20 anni. In altre parole perché il produttore indiano si trovi spinto dal ribasso della rupia ad estendere la sua coltivazione pur mettendosi in grado di fornire il grano al consumatore europeo ad un prezzo minore in oro, perché si possa riconoscere esatto il rigido ed esclusivo collegamento della crisi agraria ai fenomeni della circolazione, è necessario anzitutto provare che i prezzi degli altri generi di consumo nell’India, i salari degli operai agricoli, le tasse non sono cresciute nella stessa proporzione in cui è ribassato il valore della rupia.

 

 

Ora gli elementi per un calcolo simile a quello che sarebbe necessario istituire qui sono troppo deficienti per rivestire un carattere di assoluta certezza[14].

 

 

È naturale che un paese, dove solo da poco tempo furono introdotti i sistemi commerciali europei, provi un po’ di riluttanza a rimutare sensibilmente le basi antiche della rimunerazione e dei prezzi. Ma a poco a poco anche nell’India col ribasso della rupia i prezzi aumenteranno sempre maggiormente[15] facendo per tal modo scomparire quel vantaggio che oggi ritrae il produttore di grano dalla disparità nel valore dei metalli preziosi. Se adunque è vero che in piccola parte il ribasso dei prezzi attuale trae la sua origine dalle condizioni della circolazione nei paesi a tipo argento od a valuta cartacea deprezzata, non è però meno certo che il fenomeno è ben lungi dall’avere quella esclusiva

importanza che gli si è voluto attribuire.

 

 

L’India non ha del resto gran parte nella importazione del grano nell’Inghilterra; il seguente specchietto tolto dal lavoro citato dal Crawford (pag. 81) lo dimostra:

 

 

Periodo

Consumo totale

Grano prodotto in

Importato da Altri paesi

Stati Uniti

Inghilterra

Russia

India

1869-73

100

54.97

16.37

13.29

0.24

15.13

74-78

100

46.89

25.42

8.60

2.60

16.49

79-83

100

34.16

40.20

6.99

5.69

12.96

84-88

100

35.38

34.50

8.57

8.42

13.13

89-93

100

29.41

36.90

11.00

8.13

14.56

 

 

I produttori più formidabili nel mercato del grano sono ancora sempre gli Stati Uniti d’America, i quali hanno un sistema monetario ibrido sì, ma in realtà nelle relazioni internazionali a base di monometallismo oro; dopo viene la Russia sforzantesi ognora più ad uscire dal corso forzoso; l’India concorre solo per circa un tredicesimo a provvedere l’Inghilterra del suo fabbisogno in grano; ed è appunto l’India che i bimetallisti ed il Thery con essi accusano di essere la causa prima del ribasso dei prezzi![16]

 

 

La differenza nel regime monetario non riesce a spiegarci le ragioni della depressione agraria; noi abbiamo visto più su quale grande influenza abbiano avute nel determinare le variazioni nel valor monetario del grano le accresciute comunicazioni ed il diminuito costo di produzione, sì che a ben poca cosa si riduce il tanto decantato dualismo fra i paesi a tipo oro ed i paesi a tipo argento. I quali ultimi è del resto probabile che vorranno adottare un sistema monetario acconcio a salvarli dalle continue e violente fluttuazioni che essi ora subiscono nelle transazioni commerciali coi paesi inciviliti.

 

 

Ne è una prova il decreto 25 agosto 1893 col quale l’India sospendeva la libera coniazione dell’argento, l’abrogazione avvenuta negli Stati Uniti del Sherman Act ed il prestito contratto dal governo di questo paese per rimediare alle conseguenze del variopinto e scorretto sistema monetario che lo inquina. Il passaggio degli Stati al sistema monetario oro è agevolato ora dalle sempre maggiori scoperte di metallo giallo avvenute negli ultimi anni.

 

 

La maggior parte dei bimetallisti interrogati dalla Commissione d’inchiesta agraria inglese si sforzava di diminuire l’importanza di questo fatto il quale viene a confutare compiutamente tutte le predizioni di un progressivo rincarimento dell’oro. In una serie di articoli pubblicati nell’Economiste francais il Leroy Beaulieu ha dimostrato che noi ci dobbiamo preparare ad un aumento grande della produzione aurifera. Egli nota che la produzione dell’oro, la quale dal principio del secolo fino al 1840, si aggirava fra i 40 e 70 o 75 milioni di lire all’anno, era salita in seguito allo sfruttamento delle miniere dell’Oural ad una media annua di 190 milioni di lire nel periodo fra il 1840 ed il 1850 per montare ancora più in su ad una media annua di 680 milioni dal 1850 al 1855 e di 707 milioni dal 1856 al 1860. Fu questa la grande età dell’oro del nostro secolo.

 

 

Dopo il 1861 essa era gradualmente ma lentamente diminuita fino a cadere a poco più di 500 milioni di lire nel 1883 o 1884. Ma a cominciare dal 1885, prima della scoperta delle miniere sud americane, si è verificato un sensibile aumento ogni anno sempre più accentuato, sopratutto nel 1892 e nel 1893, permodoché in quest’ultimo anno, secondo il calcolo del direttore della Zecca degli Stati Uniti, la produzione dell’oro sarebbe salita ad 805 milioni di lire. Questa cifra sorpassa del 16% o di un centinaio di milioni di lire, la media annua della produzione della grande età dell’oro della metà del secolo, voglio dire dal 1850 al 1860. Tutto ci fa prevedere che la produzione dell’oro aumenterà ancora sensibilmente e per lungo tempo; ed è certo che nel 1894 si ebbe un aumento di 61 o 70 milioni a rispetto al 1893. Per il solo distretto di Wittwaterstand, l’aumento sarà stato di circa 45 milioni di lire nel 1894. Fra tre o quattro anni si raggiungerà la cifra di 1 miliardo e non è impossibile che nel prossimo quarto di secolo la produzione si aggiri ogni anno fra i 1100 ed i 1200 milioni di lire[17].

 

 

Questo grande fatto che va compiendosi sotto i nostri occhi segnerà forse la sconfitta definitiva dei bimetallisti. Non è in questo momento, in cui tutte le maggiori nazioni del mondo sono riuscite o cercano di assicurarsi una sana circolazione monetaria, valevole anche negli scambi internazionali, che si potrà indurre l’Inghilterra ad abbandonare il vecchio e solido sistema che essa ha adottato da più di tre quarti di secolo e che ha agevolato ad essa di mantenersi signora del mercato finanziario mondiale. Di questa ripugnanza degli uomini di stato inglesi a toccare sia pur lievemente il regime monetario del loro paese, ne abbiamo avuto una riprova nelle dichiarazioni del Cancelliere dello Scacchiere sir William Harcourt durante la discussione della mozione dell’Everett chiedente «la riunione di una conferenza internazionale per far scomparire la differenza crescente che si manifesta nel valor relativo dell’oro e dell’argento».

 

 

Si potrà bensì aderire da parte dell’Inghilterra o della Germania ad una conferenza per trattare accademicamente la questione; ma nessuna delle nazioni che con grande sacrificio si sono assicurate una circolazione metallica sana vorrà, per aderire alle richieste degli agrari, adottare una politica monetaria che la faccia tornare ad avere un medio circolante deprezzato, quasi questo si dovesse accompagnare necessariamente ad una condizione economica prospera. Non è col fare luccicare davanti agli occhi sbalorditi degli operai il miraggio di un’elevazione dei salari in causa del rifiorimento delle industrie e dell’agricoltura che i signori Balfour e Chaplin riusciranno a fare adottare dall’Inghilterra il doppio tipo.

 

 

Una riprova del fatto noto che i salari degli operai seguono assai lentamente il rialzo dei generi di consumo ci è dato appunto dall’India dove l’aumento dei salari, non generale, è troppo lieve in confronto del rincarimento delle derrate che formano la base dell’alimentazione dell’operaio rurale e industriale. Una misura artificiale e violenta come quella invocata dai grandi proprietari fondiari, carichi di debiti e degli inflationists, desiderosi di godere di una larvata protezione anche nel paese classico del libero scambio, se porterebbe loro qualche beneficio, sarebbe pregiudizievole alla grande maggioranza dei consumatori e sarebbe causa di perturbazioni economiche così grandi, che i danni soverchierebbero di gran lunga i benefici[18].

 

 

È meglio aspettare che le naturali vicende economiche facciano in modo che all’attenuarsi irresistibile e continuo delle spese di produzione si opponga una forza contraria tale da fare rialzare i prezzi delle derrate agrarie. Forse un rincaro dei prodotti di consumo ed anche agricoli potrà aversi in conseguenza delle grandi scoperte recentissime di miniere d’oro; aumento non maggiore del 15 o del 20 per cento, per le forti spese di estrazione; ma contro quest’aumento che non avrà per causa una trasformazione della legislazione monetaria ma invece sarà prodotto dall’equilibrarsi spontaneo delle quantità esistenti di metalli preziosi e delle derrate, non si potrà elevare nessuna di quelle argomentazioni[19]che fin qui hanno impedito ed impediranno per lungo tempo ancora all’Inghilterra di seguire le traccie dei bimetallisti e degli agrari.



[1] Nel volume secondo dei Minutes of evidence taken before the Royal Commission on Agriculture a pag. 639 se ne trova la riproduzione.

[2] Il famoso Coxey chiedeva l’emissione di 500 mila certificati di greenbacks alla Camera dei rappresentanti. Vedi nel fascicolo della Revue des deux Mondes dell’1 febbraio il Mouvement economique del Moireau pag. 551-78.

[3] Le citazioni sono tolte dalla deposizione del signor R.L. Everett (question 18,845). Su questo argomento e sulla storia in genere della controversia bimetallista vedi il rapporto di R.H. Inglis Palgrave, Currency and Standard of value in England, France and India, and the rates of exchange between these countries nel Third Report of the Royal Commission on the Depression of trade and industry; pag. 312-90.

[4] Cfr. l’ampia dimostrazione datane dal Nitti nei suoi studi su La Misura delle Variazioni del valore della moneta, in Riforma Sociale, Vol. III.

[5] Giffen, Essays in Finance, First series. The depreciation of gold since 1848, pag. 95 e 97.

[6] Id. pag. 129.

[7] Una prova della poca influenza della quantità della circolazione sui prezzi in genere la troviamo nella tabella seguente compilata sui dati desunti dal rapporto presentato dal Prof. Roland P. Falkner al Senato degli Stati Uniti (Wholesale Prices, Wages and Trasportation 1893) e dalla relazione del segretario del Tesoro pel 1893.

 

 

Numero indice della Clearing

Numero indice circolazione

Aumento percentuale delle transazioni

Volume dei prezzi della House di Nuova York

1860

100

100

100

1861-70

140

159

316

1871-80

176

120

382

1881-90

294

97

486

1891

343

92

470

1892

367

501

 

 

Lasciando da parte il rialzo verificatosi nei prezzi nel periodo 1861/70, dovuto più che altro alla guerra di secessione ed al conseguente discredito della carta monetata le due colonne della circolazione e dei prezzi hanno un movimento all’atto opposto. Resta così sgominata la teoria quantitativa secondo la quale ad ogni espansione del medio circolante dovrebbe corrispondere un rialzo nei prezzi delle derrate. Né vale il dire che l’aumento della circolazione pur così grande sia però insufficiente se si ha riguardo alle accresciute ricchezze ed all’aumentato numero delle transazioni commerciali (Vedi Colonna 4). Le Clearing Houses invece, come è detto nel testo, togliendo di mezzo i pagamenti a contanti, rendono inutile una parte della circolazione metallica, e meglio adatta per il suo eccesso, se davvero ne avesse il potere, ad influire sul corso dei prezzi. Cfr. Prof. S. Mc. Lean Hardy, The quantity of Money and Prices 1860-91, nel Banker’s Magazine, May 1895, pag. 790-99.

[8] Vedi i rapporti della Commissione reale nominata per studiare i Recent changes in the relative values of the precious metals London 1887 ed i Minutes of evidence col relativo rapporto dell’Indian currency committee London 1893.

[9] I.E. O’Connor, Prices and wages in India. Calcutta, 1886, pag. 7.

[10] Vedi la descrizione della organizzazione comunale nell’India fatta dal Baden Powell nel Landed Systems of British India, vol. I.

[11] Statement exhibiting the moral and material progress and condition of India during the year 1891-92 and the nine preceding years, pag. 428-30. Cfr. anche Administration Report on the Railways in India for 1893-4 by W. Bisset London 1894. W.W. Hunter, The imperialGazetteer of India, seconda ed. Trubner. London, 1885, e dello stesso Bengal ecc.with an historical dissertation, London, Allen 1894. Macgeorge G., Ways and Works in India. Being an account of the Public Works in that Country from the Earliest Times up to the Present Day. Westminster 1894. Vol. XII, Serie seconda.

[12] Prices and Wages in India. Calcutta 1894, pag. 128-31.

[13] O’Connor, op. cit. pag. 20.

[14] La insufficienza dei dati si manifesta anche in una contraddizione esistente fra il prezzo dei cereali nei mercati di produzione e nei porti addetti alla esportazione. Così di fronte al rialzo generale avvenuto in tutta l’India del prezzo del grano, si verifica invece in Calcutta un ribasso non meno accentuato. Eguagliando a 100 il prezzo del grano nel 1873 ecco i numeri indici del periodo 1870-93.

 

 

1870

93

1876

74

1882

85

1888

81

1871

67

1877

95

1883

79

1889

83

1872

80

1878

106

1884

70

1890

81

1873

100

1879

107

1885

69

1891

92

1874

100

1880

91

1886

73

1892

95

1875

78

1881

86

1887

79

1893

86

 

 

Il Levasseur scrivendo su questa sconcordanza dei dati ufficiali nella sua Agriculture aux Etats Unis a pag. 389 non riesce a spiegarsele. Del resto la contraddizione si attenua se si fa la media quinquennale degli indici prendendo per base quello del periodo 1871-75.

 

 

Eccone i risultati:

 

 

1871-75

100

1886-90

93

1876-80

111

1891-93

107

1881-85

91

 

 

Esposte in questo modo le cifre vengono nuovamente a collimare con quelle dei paesi di produzione offrendoci la prova nell’ultimo periodo 1881-93 della tendenza al rialzo del prezzo del grano espresso in rupie. Che la cosa stia veramente così ne abbiamo la riprova nel quadretto seguente, dove sono riportati i dati relativi al prezzo pagato pel grano dal Commissariato inglese per le truppe stabilendo a 100 il numero indice pel 1875-6.

 

 

1880-1

1885-6

1890-1

1892-3

Calcutta

112

90

100

113

Benares

114

118

151

165

Allahebad

123

114

163

181

Lucknow

144

130

182

199

Bareilly

144

103

166

176

Cawnpore

159

126

158

179

Meerut

122

105

142

166

Agra

126

112

156

167

Umballa

135

120

158

176

Lahore

124

102

120

151

Rawalpindi

316

155

182

259

Moottan

153

109

113

170

Peshawar

209

95

126

197

 

 

Le mercedi degli operai agricoli aumentarono nella maggior parte dei casi del 20 per cento, come si può scorgere dalle seguenti tabelle dove sono riprodotti gli index number per diversi periodi rispetto al 1873 considerato come 100.

 

 

1876-80

1881-85

1886-90

1893

Patna

100

107

130

129

Rangpur

123

136

133

127

Backergunge

100

100

103

53

Cawnpore

102

101

110

120

Fyzabad

78

70

70

70

Meerut

111

113

122

122

Delhi

89

91

103

100

Amritzar

100

100

110

117

Rawalpindi

123

145

116

127

Karachi

88

90

121

112

Belgaum

91

88

86

91

Allmednagar

112

141

160

160

Bombay

106

117

122

122

Jubbulpore

125

115

90

87

Nagpur

80

88

84

100

Raipur

133

136

138

187

Bellary

110

102

126

156

Madras

88

83

92

100

Salem

104

92

141

150

Rongoon

166

143

127

125

Toongoo

73

75

92

93

 

 

Come si vede, salvo poche eccezioni, benché lento, si nota anche nell’India un movimento al rialzo dei salari degli operai agricoli. Il fenomeno, che qui si presenta per l’immobilità peculiare delle campagne meno accentuato, trova poi una espressione più rigorosa nei salari degli operai manifatturieri e degli impiegati nelle officine governative. Nella stessa guisa che si verifica un lento rialzo nelle mercedi operaie, così pure in tutti gli altri campi dell’attività industriale si va operando un adattamento sempre maggiore alle rimutate condizioni della circolazione.

[15] Nei Prices and wages in India vi sono ampie prove di questo rincarimento dei generi di consumo, specialmente nella parte prima ed a pag. 242-3.

[16] Cfr. a questo proposito il Bamberger, Le metal argent a la fin du XIX siecle, pag. 263; Crawford cit. pag. 81, l’Economiste francais dell’11 maggio 1895, pag. 601; T.B. Moxon, The merits of Monometallism nel Journal of the Institute of Bankers, Vol. XVI, pag. 197-240. Per una confutazione teorica della Crise des changes di Edmond Thery vedi R. Zagnoni, Una teoria protezionista dei cambi esteri, in Giornale degli Economisti, Dic. 94, pag. 518.

[17] Paul Leroy Beaulieu, Une nouvelle age de l’or nell’Economiste francais del 5 e del 12 gennaio 1895.

[18] Sull’importanza del movimento a favore del bimetallismo e sulla contraddizione degli intenti dei fabbricanti di cotone del Lancashire, desiderosi solamente di una maggiore stabilità nel valore rispettivo dell’oro e dell’argento e degli agricoltori, auguranti il ritorno degli alti prezzi in virtù del doppio tipo; cfr. Dr. Robert Zuckerkandl, Die bimetallistische Bewegung in England nei Jahrbucher fur Nationalokonomie und Statistik, III Folge, VI Band, pagg. 705-19.

[19] Nell’Economista di Firenze del 6 Gennaio 1895 in un articolo sulla Questione monetaria ed i socialisti tedeschi, si trovano spiegate le ragioni per le quali il partito socialista rifiuta di fare causa comune coi bimetallisti e crede che la sicurezza monetaria così necessaria nei tempi moderni non si possa ottenere con gli artifici tanto cari ai fautori del doppio tipo e del rapporto fisso. Il direttore della zecca negli Stati Uniti, R.E. Preston conchiude così un suo studio sul The future of gold pubblicato nella North American Review del Gennaio 1895: The fact is that the production of gold was never so rapid as it is today. When the yield of the Californian and Australian gold mines was at its highest, 1856-60, Michel Chevalier and other economists began to inquire what measures government should take to prevent the depreciation of the jellow metal, and some even proposed its demonetization. Yet now when the production of even 1850/60 is exceeded, and when the value of the annual product of gold alone is almost equal to that of the product of both precious metals before the depreciation of silver began, all the economic evils from which the commercial agricultural and industrial world is suffering are ascribed to the scarcity of gold! What better refutation can there be of such a fallacy than the figures adduced in the foregoing pages? They are more convincing than words; for if there is a scarcity of gold now, when whas there plenty of it? Vedi anche il lungo rapporto su Die gegenwartige Lage der Edelmetallgewinnung der Erde presentato dal Dr. Hauchecorne alla Commissione germanica nominata l’anno scorso per studiare la questione dell’argento. Nel secondo volume delle Verhandlungen der Kommission behufs Erorterung von Massregeln zur Hebung und Befestigung des Silberwerths. Zweiter Band. N. 12. Berlin 1891.

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