Opera Omnia Luigi Einaudi

La denuncia per la complementare

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 14/04/1925

La denuncia per la complementare

«Corriere della Sera», 14 aprile 1925

Cronache economiche e politiche di un trentennio (1893-1925), vol. VIII, Einaudi, Torino, 1965, pp. 222-225

 

 

 

In un bel volumetto (edito dalla «Libreria dello stato», col n. 207 d’ordine) sono stati pubblicati i decreti istitutivi e le istruzioni ministeriali per l’applicazione dell’imposta complementare progressiva sul reddito. Non è indicato sulla copertina il prezzo di vendita; ma suppongo che i principali librai di tutte le città d’Italia siano corrispondenti della «Libreria dello stato», istituzione la quale diverrà utilissima se assolverà bene al compito suo, che è quello di consentire ad ogni cittadino l’acquisto di una qualunque pubblicazione governativa. Fino a ieri, chi non avesse amici presso le amministrazioni pubbliche, ammattiva quando desiderava acquistare libri, rapporti, statistiche pubblicati dal governo. Non si conosceva il depositario, il prezzo; e quando lo si conosceva, talvolta si pretendeva ne fosse fatta richiesta in carta da bollo per via gerarchica. Adesso, finalmente, dovrebbe provvedere a tutto ciò la «Libreria dello stato».

 

 

Pochi tuttavia la conoscono; e non so se davvero sia agevolissimo riceverne i cataloghi, ed ordinarne le pubblicazioni a prezzi noti, tenuto anche calcolo delle eventuali spese postali. Non so neppure se tutte le amministrazioni dello stato mettano in vendita, come dovrebbero, le loro pubblicazioni attraverso la «Libreria dello stato». Auguro che presto questa, migliorando via via la sua organizzazione, riesca a gareggiare con le consorelle d’Inghilterra e degli Stati uniti, dalle quali è possibile, mandando l’importo e citando un numero d’ordine, farsi venire a casa qualunque pubblicazione ufficiale, purché non esaurita, anche se vecchia di un secolo e più.

 

 

Molti cittadini italiani, i quali non sanno se e come devono fare la dichiarazione per la nuova complementare sul reddito faranno bene ad ordinare al proprio libraio il numero 207 delle pubblicazioni della «Libreria dello stato». Tanti sono i contribuenti, che questo libro dovrebbe avere un successo straordinario; e la «Libreria» ne avrà in siffatta previsione, certamente curata una distribuzione eccezionale.

 

 

Delle istruzioni in esso contenute dirà qualcosa prossimamente. Frattanto, voglio rispondere ad un quesito o, meglio, ad una interrogazione beffarda, che mi è stata sussurrata da non pochi:

 

 

a che pro leggere il libro, anche se chiaro ed istruttivo, e riempire il foglio di dichiarazione, anche se obbligatoria, quando l’esperienza della patrimoniale insegna che hanno avuto ragione coloro i quali hanno fatto il morto? Ah! se ne avessi anch’io seguito l’esempio! Per spirito patriottico, per senso del dovere, io riempii il foglio con la massima esattezza. Tutto ci misi: persino i titoli al portatore, coi numeri e le serie. Mal me ne incolse. L’agente delle imposte non credette alle mie dichiarazioni; ed aumentò cespiti e valori cervelloticamente. Invece, Tizio e Caio e Sempronio e Mevio, che se ne stettero quatti quatti, non furono disturbati; e non hanno sinora pagato neppure un soldo. Questa volta farò anch’io il morto. Non metterò nero sul bianco e aspetterò che vengano i procuratori alle imposte a stuzzicarmi. C’è sempre tempo ad andarsi a mettere in bocca al lupo.

 

 

Non farò appello al senso del dovere, che nel 1920 ebbe così grande efficacia ad ottenere tante dichiarazioni per l’imposta patrimoniale quante nessuno tra i più ottimisti osava sperare. Parlo questa volta agli scettici, a quanti affermano di aver fatto l’esperienza dei risultati cattivi ottenuti dall’adempimento scrupoloso al proprio dovere; e per il momento adotto il loro stesso linguaggio. Sono davvero sicuri i buoni contribuenti che i taciturni sieno riusciti a farla alla finanza? Ho voluto andare alla fonte e mi sono procurato alcuni dati, che mi pare valga la pena di esporre.

 

 

Comincio dagli accertamenti definiti, il che vuol dire dai casi in cui la cifra del patrimonio tassabile è stata definitivamente fissata o per concordato tra contribuente e finanza o per decisione delle commissioni. Rispetto a questi, è vero che la finanza spesso non ha menato per buone le dichiarazioni dei contribuenti. Ha rettificato 154.190 dichiarazioni ed è riuscita a portare il valore del patrimonio da 24.711 milioni di lire dichiarati a 41.475 milioni accertati. È un bel salto, senza dubbio. Ma convien riflettere che le dichiarazioni erano per lo più provvisorie quanto ai valori, e che si sapeva fin da prima che i valori attribuiti ai terreni ed alle case sarebbero stati modificati in seguito e riportati ai valori reali, i quali erano, anche all’1 gennaio 1920, notevolmente superiori ai valori provvisori. Quelle cifre, che denunziano un aumento medio del 68% sui valori dichiarati, non testimoniano una ferocia eccessiva della finanza contro i contribuenti osservanti della legge. La imposta patrimoniale aveva difetti gravi; ma non parmi che il difetto consistesse in un accanimento in media esagerato contro i dichiaranti.

 

 

D’altro canto, fino al 31 dicembre 1924 la finanza aveva già segnato 109.259 persone che non avevano fatto dichiarazione alcuna ed a carico di costoro aveva già chiusa la procedura con l’accertamento definitivo di un patrimonio tassabile di 9.360 milioni di lire. Erano 109.000 contribuenti che speravano di farla franca, forse perché il loro patrimonio, risultato in media di 86.000 lire, non era troppo superiore al minimo esente di 50.000 lire. Ma non ci riuscirono, ché la finanza seppe scovarli ed obbligarli a pagare.

 

 

Passo agli accertamenti in contestazione, per i quali cioè la finanza ed i contribuenti non sono ancora caduti d’accordo sul valore del patrimonio tassabile.

 

 

In questa categoria cadono 32.792 contribuenti dichiaranti e 33.480 contribuenti scovati d’ufficio. Inutile indicare qui le cifre del patrimonio, perché sono contestate e quelle definitive risulteranno diverse da quelle su cui si disputa. Le cifre del numero dei contribuenti dimostrano però come la finanza non si sia limitata a tormentare i dichiaranti; ché altrettanti e più ne seppe scovare d’ufficio.

 

 

In conclusione, le cifre ora riportate sono lontane dal suffragare l’ottimismo di coloro i quali si illudono che, a non farsi vivi, ci sia tutto da guadagnare. È abbastanza forte, invece, la probabilità di lucrare una multa del 25% sull’importo dell’imposta che si tentasse di non pagare. Chi deve pagare 1.000 lire e non denuncia nulla, pagherà 1.250 lire. Chi dovendo pagar 1.000, tenta di combinare la denuncia in modo da pagar solo 600, pagherà in più il quarto delle 400 tentate frodare; ossia dovrà pagare 1.100. Dopo la quale esposizione di fatti e di probabilità, ho l’impressione che parecchi di coloro, i quali avevano fatto risoluto proponimento di non denunciar mille, riflettendo meglio, faranno acquisto presso l’agenzia delle imposte di un modulo di dichiarazione e, in caso di dubbio, ordineranno al proprio libraio il n. 207 (duecentosette) delle pubblicazioni della «Libreria di stato».

 

 

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