Opera Omnia Luigi Einaudi

La fine di un programma

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 28/06/1901

La fine di un programma

«La Stampa», 28 giugno 1901

 

 

 

Il programma finanziario del Ministero non si discuterà dunque più dalla Camera prima delle vacanze estive; e siccome durante l’estate verrà chiusa la sessione, così il programma stesso cadrà completamente, insieme con tutti gli altri progetti di legge.

 

 

Il fatto non è nuovo. Tutti gli altri disegni di riforme tributarie hanno avuto la medesima sorte: di cadere nel nulla al chiudersi della sessione, per essere ripresi sotto nuova forma in seguito e ricadere di nuovo. Ma questa volta si era sperato che la sorte dovesse sorridere più propizia alla riforma tributaria.

 

 

La speranza era confortata dalle parole con cui il presidente del Consiglio dei ministri annunciava i disegni di legge sulla finanza nel momento in cui il Gabinetto si presentava alla Camera dei deputati «Il campo in cui più imperiosa, più urgente presentasi una politica riformatrice – diceva l’on. Zanardelli – è quello della ripartizione delle pubbliche imposte, delle leggi di equità sociale. Al Ministero parve indispensabile a tale intento di porsi all’opera senza alcun indugio, e ciò non solo perché il diritto delle classi diseredate ad un miglioramento delle loro condizioni materiali e morali gli è sembrato improrogabile, ma perché, inoltre, anche dal lato politico è sommamente provvido il dare a queste classi immediatamente il pegno dell’interesse, delle simpatie, dell’affetto che il Governo ed il Parlamento nutrono per esse; la dimostrazione irrefragabile che le forze dello Stato si volgono con efficace predilezione a favore dei deboli e dei sofferenti.»

 

 

Ora, ciò che sembrava urgente ed improrogabile, tale da doversi mandare ad effetto immediatamente senza alcun indugio il 7 marzo, adesso viene rinviato a novembre per ragioni di opportunità parlamentare e perché la discussione non abbia ad essere strozzata e resa monca dall’impazienza dei deputati di andarsene in vacanza.

 

 

Tutto ciò non è atto a dare al pubblico un’idea molto elevata dell’abnegazione dei parlamentari. Che cosa sono venti giorni in più di dimora a Roma di fronte alla nobile soddisfazione di aver condotto in porto una riforma tributaria a cui da lunghi anni si aspira?

 

 

In realtà, però, a ragionar bene, e lasciando da parte la contraddizione fra i propositi e gli atti del Governo, la proroga della discussione finanziaria non viene per nuocere del tutto. Così, come era stata congegnata dal ministro Wollemborg, la riforma finanziaria prestava il fianco a molteplici critiche. A parecchie riprese noi abbiamo esposto su queste colonne quali erano a nostro avviso i difetti dell’omnibus finanziario; e la dimostrazione larga della relazione della maggioranza dei Nove aveva messo in chiaro come troppe fossero le incognite a cui si andava incontro con un programma simile a quello svolto dal ministro delle finanze.

 

 

Gli emendamenti presentati ultimamente dal Governo non avevano tolta l’impressione generale di trovarsi di fronte ad uno schema non ancora bene maturato. Volendo il bene, si rischiava di fare opera troppo frettolosa, la quale avrebbe dato origine a lagnanze e ad inconvenienti forse più gravi del regime antico. Perciò, in fondo, è stato buon consiglio quello del Governo di rinviare a novembre la discussione del programma finanziario, anche a costo di andare incontro all’accusa di contraddizione fra le promesse di ieri ed i fatti di oggi.

 

 

Nel frattempo, colla chiusura della sessione, si avrà agio a rifondere completamente il programma di riforma, tenendo conto delle critiche mosse al progetto Wollemborg in guisa da presentare proposte organiche, semplici e tali da soddisfare le giuste esigenze di coloro che vogliono fare qualcosa in pro delle classi lavoratrici senza scuotere la solidità del bilancio. Della necessità di non scuotere la solidità del bilancio sembra essere persuaso il Governo, il quale ha affermato recentemente per bocca del ministro di Broglio che gli sgravi di imposte debbono essere proporzionati agli avanzi accertati di bilancio ed al provento delle nuove imposte che la Camera vorrà consentire.

 

 

Quanto al primo punto, all’applicazione, cioè, degli avanzi di bilancio a sgravi tributari, è manifesto trattarsi di un concetto sostanzialmente giusto. Quando un avanzo è accertato, e non soltanto vagamente sperato, è bene che il Governo se ne giovi per diminuire la pressione delle imposte più gravose. Altrimenti sarà difficile resistere alle innumerevoli domande di nuove spese che sorgeranno da ogni lato e si renderà impossibile ogni alleviamento tributario per sempre. È mestiere però non farsi illusioni sulla rilevanza degli sgravi che si potranno concedere in base agli avanzi di bilancio: sono dieci milioni all’incirca, forse 15 al massimo.

 

 

A maggior ragione perciò il Governo deve fare in guisa che quel fondo disponibile per gli sgravi sia bene impiegato in alleviamenti di imposte che ridondino a reale vantaggio delle classi lavoratrici. Forse il miglior sistema al riguardo è quello di concentrare tutti i propri sforzi su un punto solo; scegliendo un’imposta specialmente grave e riducendola fortemente od anche abolendola del tutto. Così, ad una ad una, si potrà ridurre il peso delle imposte maggiormente sperequate; e si raggiungerà un risultato finale notevole più rapidamente che non quando si vogliano abbracciare troppe cose fin dall’inizio.

 

 

Al contrario il Governo potrà fare poco affidamento su nuove imposte come mezzo per poter compiere la riforma tributaria. Oramai l’opinione pubblica è divenuta scettica dinanzi ai rimaneggiamenti tributari ed è persuasa che essi nascondono un aumento di pesi per i contribuenti. Il che per il passato fu sempre purtroppo vero.

 

 

Perciò se è opportuno modificare l’organamento di talune imposte – per esempio delle tasse di successione – bisognerà farlo in guisa da togliere persino il sospetto che la modificazione valga ad accrescere il gettito dell’imposta. Solo suo intento deve essere quello di distribuirne diversamente il carico, diminuendo il peso sulle classi povere ed accrescendolo alquanto sulle classi ricche. Le quali non potranno rifiutarsi a questa opera di giustizia, e non potranno invocare l’interesse generale dal momento che il peso dell’imposta è destinato a rimanere identico e solo ad essere diversamente distribuito.

 

 

Dopo, se, per virtù dell’impulso dato alla accumulazione della ricchezza da questi primi sgravi e modificazioni tributarie si avranno nuovi avanzi di bilancio, si potrà procedere innanzi sulla via delle riforme, e forse con moto accelerato.

 

 

Ma per ora la prudenza ed il timore dei guai susseguenti ad una politica tributaria rilassata consigliano di essere prudenti: muoversi sì, ma con calma ed in guisa da arrecare dei benefizi durevoli ai contribuenti. Questi i concetti a cui il Governo dovrebbe ispirarsi nel nuovo programma che sarà suo compito di elaborare durante la calma estiva. Speriamo che il programma sia tale da meritare favorevole accoglienza e da iniziare finalmente quella politica riformatrice nel campo dei tributi di cui l’Italia sente tanto bisogno.

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