Opera Omnia Luigi Einaudi

La gran corte delle garanzie costituzionali

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 08/02/1947

La gran corte delle garanzie costituzionali

«Corriere della Sera», 8 febbraio 1947

 

 

 

La Commissione dei 75 ha approvato a grandissima maggioranza il principio della istituzione di una Corte Costituzionale, la quale, accanto ad alcuni minori compiti, dovrà giudicare della costituzionalità delle leggi. Come ebbi a dichiarare, senza successo, ai colleghi della Commissione, ritengo il principio approvato frutto di mero dottrinarismo e di imitazione pedissequa di esperienze non riuscite o di cui nessuno ha chiarito i frutti concreti. I giudici della corte saranno infatti nominati dall’Assemblea dei due rami del Parlamento una metà fra magistrati, un quarto fra avvocati e docenti di diritto su designazione della Magistratura, del Consiglio superiore forense e dei professori di legge e un quarto fra cittadini eleggibili a ufficio politico; e dureranno in carica nove anni.

 

 

Il vizio fondamentale di questa creazione sta in ciò che la Corte sarà:

 

 

– Un magistrato speciale, il quale dovrà solennemente occuparsi solo di dichiarare se una legge è, sì, o no, conforme alla Costituzione. Quando a un qualunque patrono, in una controversia civile o in una causa penale, salterà in mente di eccepire l’incostituzionalità della legge invocata dalla parte avversa e quando il giudice non ritenga che l’eccezione sia «manifestamente infondata o non rilevante», la causa dovrà essere rimessa per la decisione alla Corte Costituzionale. È manifesto il rischio che il corso della giustizia negli affari ordinari sia continuamente sospeso e turbato da ricorsi per incostituzionalità. Solo l’esperienza del rigetto di pressoché tutti i ricorsi potrà servire di remora alla loro valanga.

 

 

– Un magistrato politico di nomina parlamentare. Non so se avremo una Corte tri o quadripartita od esarchica. Certo avremo una Corte la quale sarà dotata di squisita sensibilità politica. Tale fu espressamente voluta da coloro che l’idearono. Le leggi non sono forse fatte dal Parlamento? Perciò coloro i quali giudicano della costituzionalità delle leggi devono essere la diretta emanazione della sovranità popolare.

 

 

È così data la dimostrazione che la Corte non sarà un magistrato, ma un organo politico. Il magistrato, se vuole essere tale, non può per definizione assiomatica, essere dipendente da alcun altro potere. Come, altrove, dichiara solennemente il testo del progetto della nuova Costituzione «i magistrati, nell’esercizio della loro funzione, dipendono soltanto dalla legge, che interpretano e applicano secondo coscienza». Ora come possono essere indipendenti e giudicare secondo coscienza uomini nominati a tempo dal Parlamento, ossia da partiti politici, uomini i quali dipendono per la loro rielezione – e tutti la desidereranno, per l’altissima portata del loro ufficio – dal Parlamento? Come potranno i partiti politici disinteressarsi del colore politico dei prescelti quando tra i compiti che ho detto minori, ma agli occhi dei mandatari appariranno massimi, c’è anche quello di giudicare il Presidente della Repubblica e i Ministri accusati a norma della Costituzione? Come potranno uomini chiamati dalla carta fondamentale dello Stato a dar giudizi politicamente così momentosi spogliarsi del loro necessario abito politico per ridiventare giudici puri e semplici? Invero il compito di giudicare se una legge sia o non conforme alla Costituzione è compito esclusivamente giuridico da assolversi secondo i criteri puramente giuridici e non opportunità politica e niente affatto soggiacendo a complessi di inferiorità detti di “sensibilità politica”. Se la norma contenuta in una legge “ordinaria” violi o non la norma superiore sancita nella Costituzione è giudizio che non può variare a seconda della sensibilità giuridica del giudice.

 

 

Fatalmente, la sorte, nel giudicare se una legge ordinaria sia valida o nulla, sarà influenzata dalla preoccupazione di recar danno o vantaggio alla parte politica la quale volle la legge; e sarà così aperta la via ad aggirare i limiti che la carta costituzionale volle apporre alle improvvisate o partigiane revisioni della Costituzione (voto della maggioranza assoluta dei membri delle due Camere con referendum popolare o della maggioranza di due terzi dei membri senza referendum. Basterà che una legge sia dichiarata valida da una Corte delle garanzie ossequente alla partigiana maggioranza semplice del Parlamento che la elesse perché essa, pur se palesemente anticostituzionale, ossia modificatrice della Costituzione, entri trionfalmente a far parte del corpo delle leggi dello Stato.

 

 

A queste argomentazioni, le quali distruggono il valore del nuovo organo solennemente chiamato delle “garanzie costituzionali”, non vale opporre che i giudici della Corte saranno certamente degnissime persone, le quali giudicheranno secondo coscienza. La coscienza non può essere lasciata al caso individuale. In questo nostro mondo imperfetto, occorre che essa sia tutelata dal presidio di istituzioni adatte. Solo il magistrato ordinario, nominato e promosso, trasferito e governato dal corpo medesimo di cui fa parte da garanzia di indipendenza dal potere politico. Certamente neppure il magistrato ordinario, anche se nominato a vita dal Presidente, come negli Stati Uniti, dà garanzia assoluta di indipendenza. Solo il costume consentì al mugnaio di Sans-Souci di rispondere a Federico II, il quale minacciava di portargli via il suo: vi son dei giudici a Berlino!; solo il costume ha fatto sì che il giudice della Corte Suprema americana, intrattenuto da Roosevelt intorno alla opportunità di dare opinione favorevole alla costituzionalità di una legge replicasse: signor Presidente, il giudice sono io! Solo il costume ha fatto sì che i giudici federali americani si arrogassero il diritto di giudicare della costituzionalità delle leggi. I nostri dottrinari ed i nostri politici non curarono di por mente ad un fatto: che esiste nel mondo un solo Paese nel quale il giudizio di costituzionalità delle leggi opera con risultati duraturi e stupendi da 160 anni: ed in quel Paese (Stati Uniti) la Costituzione non fa il minimo cenno né di Corti Costituzionali né di giudizi sulla costituzionalità delle leggi.

 

 

Ma la Costituzione affermava nell’articolo terzo che «il potere giudiziario degli Stati Uniti sarà attribuito ad una Corte Suprema ed a quelle Corti inferiori che il Congresso di tempo in tempo statuirà siano stabilite»; aggiungeva che «i giudici sia della Corte suprema come delle corti inferiori terranno il loro ufficio sino a che essi degnamente tengano il loro ufficio (ed in 160 anni un solo giudice fu esonerato dalla carica prima delle sue volontarie dimissioni) e riceveranno per i loro servizi un onorario il quale non potrà essere ridotto sinché essi continuino nell’ufficio».

 

 

Nient’altro: giudici nominati a vita, inamovibili, con salario invariabile per tutta la vita; ed un testo costituzionale, il quale diceva che la legge del Paese consisteva nella costituzione e nelle leggi ordinarie emanate in conformità ad essa. Su queste scarne dichiarazioni poggia il giudizio di incostituzionalità delle leggi negli Stati Uniti, il solo, ripeto, il quale operi sul serio a mondo da 160 anni. Su queste scarne fondamenta lo poggiò Marshall, che fu giudice capo della Corte Suprema degli Stati Uniti nel primo quarto del secolo scorso. Ai Presidenti, i quali, come Jackson, si indignavano, in nome della democrazia, del potere sovrano che Marshall si arrogava di dichiarar nulle le leggi, egli replicava: le nostre decisioni sono inappellabili. Tentate pure, Signor Presidente, di rovesciarle, se osate! e nessun Presidente osò. A chi gli opponeva che la Corte poteva solo giudicare caso per caso; e la legge, dichiarata nulla in quel caso singolo, rimaneva ciononostante valida, replicava: questa è una assurdità troppo grossolana perché possa essere per un istante accettata. I legulei italiani, schiavi delle formule, insistono ancora oggi sulla necessità astratta di dichiarar nulle le leggi per tutti, erga omnes; ma gli anglosassoni, i quali continuano a ricreare il diritto per bocca dei giudici, come già facevano i Romani, hanno dato ragione a Marshall; ed oggi i compilatori di raccolte legislative non includono nel corpo delle leggi vigenti quelle che furono, in un caso singolo, dichiarate incostituzionali dalla Corte Suprema.

 

 

Con la decisione dei 75 abbiamo perduto la occasione, forse unica nei secoli, di dichiarare che anche in Italia la giustizia si fa dai giudici, che solo questi, dal conciliatore al magistrato di Cassazione, hanno il diritto ed il dovere di dichiarare se la legge esista. All’ultimo momento, i politici hanno avuto paura della Costituzione che essi stessi avevano costruito; e, sotto lo schermo trasparente di una Corte scelta dai loro successori, si sono riservata la facoltà di mutare la Costituzione contro i dettami della Costituzione medesima. Sciagurato errore. Forse il maggiore che gli autori del grave documento, potevano, dopo tanta meritoria fatica commettere.

 

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