Opera Omnia Luigi Einaudi

La personalità giuridica delle leghe operaie

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 20/01/1907

La personalità giuridica delle leghe operaie

«Corriere della Sera», 20 gennaio 1907

Cronache economiche e politiche di un trentennio (1893-1925), vol. II, Einaudi, Torino, 1959, pp. 474-479

 

 

Il problema della personalità giuridica delle leghe operaie è uno fra i più complicati di quelli che la moderna legislazione del lavoro è chiamata a risolvere; poiché da un lato occorre evitare una eccessiva rigidezza di vincoli che distoglierebbe gli operai dal chiedere la personalità stessa, e dall’altra urge sempre più la necessità di istituire un ente che possa obbligarsi ad assumere responsabilità precise di fronte agli imprenditori. Una recente relazione presentata al consiglio superiore del lavoro dall’avv. Gino Murialdi, a nome di una commissione composta dei consiglieri Pisa, CappelIoni, Callegari, Maffi, Murialdi, Reina e Saldini ci dà modo di esporre i criteri informatori del disegno di legge che, dopo essere stato vagliato dal consiglio del lavoro, dovrà essere sottoposto alla discussione parlamentare.

 

 

Una lode dobbiamo anzitutto dare alla commissione di non aver voluto creare un sistema di norme dedotte da principî astratti di carattere obbligatorio, per cui tutte le forme di contrattazioni collettive di lavoro dovessero d’ora in avanti, a pena di nullità, essere costrette in determinate formule ed ispirate a prescrizioni fisse. L’organismo industriale muta di continuo; e nuovi rapporti, nuove forme giuridiche si palesano oggi opportune, che erano disadatte ieri e torneranno disadatte domani. La legislazione dovrebbe piuttosto dar modo agli operai ed imprenditori di accordarsi validamente, togliendo ostacoli e vincoli che oggi nascono dall’imperfezione dei vecchi istituti giuridici non più adatti ai bisogni nuovi. Senza creare per ora nuovi tipi obbligatori di contratto di lavoro – cosa che tornerebbe per un altro verso pernicioso ai progressi dell’industria – la legge dovrebbe limitarsi a fornire l’intelaiatura entro cui le parti tesseranno le fila del loro contratto e le norme procedurali che dovranno essere osservate affinché i contratti siano validi ed obblighino le parti. Opportunamente perciò «la commissione si è inspirata alla esperienza, allo studio accurato delle condizioni di fatto nelle quali in Italia si svolgono e avvengono le contrattazioni, ed ha creduto di studiare norme facoltative, a cui possano, volendo, ricorrere gli operai e gli imprenditori, quando di comune accordo vogliano stabilire i loro rapporti in forma legale, tale che obblighi ciascuna parte al rispetto, per il tempo fissato, delle norme concordate, colla comminatoria delle relative sanzioni in caso di inadempienza». È il sistema di larga libertà di cui si è giovata assai l’Inghilterra, e che le ha consentito di creare a poco a poco un sistema legislativo adatto ai bisogni dei tempi. L’esperienza proverà che frequentemente gli operai sceglieranno una data forma di associazione e che operai e proprietari di solito si atterranno ad uno o due tipi di contratto? La legge potrà aggiungere nuove norme che valgano a dare più efficace sanzione alle regole ed ai patti già entrati nelle consuetudini, già adottati alle necessità industriali da un lungo uso. Non dimentichiamo mai il motto della sapienza romana: ex facto oritur jus e non pretendiamo di codificare quello che è ancora oscillante ed incerto.

 

 

Noi perciò approviamo la commissione del consiglio del lavoro per aver saputo resistere alla tentazione di creare rappresentanze obbligatorie degli operai, sul tipo delle camere di commercio. La esperienza non in tutto felice di queste dovrebbe bastare a persuadere dell’inopportunità di creare ad esse un contraltare obbligatorio nelle camere di lavoro. Esse cadrebbero in mano facilmente ai soliti caporioni, soffocherebbero ogni velleità di resistenza dei gruppi isolati degli operai e finirebbero per diventare le tiranne delle masse operaie che, volenti o nolenti, non potrebbero più trovar lavoro se non per mezzo della loro rappresentanza obbligatoria. A che varrebbe il vantaggio della responsabilità delle camere del lavoro verso gli imprenditori, di fronte al danno gravissimo di essere costretti a reclutare la maestranza per mezzo loro?

 

 

Si lascino gli imprenditori liberi di scegliere i loro operai nel modo che credono, fra i lavoratori indipendenti o fra quelli associati; e si lascino gli operai liberi di scegliere fra le varie forme di associazione quella che essi riterranno più adatta al raggiungimento dei loro scopi: leghe, camere del lavoro, federazioni di mestiere, associazioni di resistenza e di previdenza, ecc. La legge si limiti a stabilire le condizioni alle quali questi istituti potranno ottenere il riconoscimento, ed essere investite della capacità di obbligarsi in un contratto di lavoro. Certamente lo stabilire queste condizioni è impresa non facile e può dar luogo a dispute vive; ma non è difficoltà insuperabile. La commissione ha proposto di dare il nome di associazione registrata alle leghe, federazioni, camere che osservassero le seguenti modalità principali:

 

 

  • Ottenere la registrazione presso l’ufficio del lavoro. La domanda dovrebbe essere accompagnata da due copie dello statuto sociale, dall’elenco autentico dei soci promotori e da copia delle deliberazioni già prese per costituire l’associazione. Ove questa fosse già costituita, basterebbe inviare copia del verbale dell’assemblea la quale deliberò di chiedere il riconoscimento giuridico, colle firme dei soci votanti e copia dello statuto. La registrazione fatta dall’ufficio del lavoro darà all’ente personalità giuridica. Statuto e certificato di registrazione dovranno essere pubblicati nel bollettino ufficiale della prefettura.
  • Lo statuto sociale dovrà contenere norme riguardo alla nomina, a maggioranza assoluta dei soci, di un consiglio d’amministrazione, di un presidente e dei revisori dei conti; alla durata ed all’esercizio delle loro funzioni, al controllo dei loro atti da parte di assemblee generali e sezionali.
  • Così pure lo statuto conterrà le norme relative alle attribuzioni del consiglio, del presidente e dell’assemblea in materia di stipulazione di contratti e di concordati collettivi di lavoro e di tariffe: e disciplinerà le attribuzioni del presidente nelle controversie del lavoro e per la rappresentanza dell’associazione o della classe interessata nei giudizi innanzi all’autorità giudiziaria od alle commissioni arbitrali.
  • Nello statuto saranno poste altresì le norme per l’amministrazione del patrimonio sociale e quelle riflettenti lo scioglimento e la liquidazione della società e si daranno disposizioni per il collocamento dei fondi, dei quali un quinto deve essere vincolato, con investimenti speciali, a garanzia degli impegni sociali.

 

 

È agevole vedere quale forma snodata e libera di associazione sia quella che sopra delineammo sulla scorta della relazione Murialdi. In fondo la legge non precisa se non i punti che dovranno essere contemplati nello statuto e le modalità procedurali richieste per ottenere la registrazione. Quei punti potranno essere risoluti in maniere diverse a seconda degli interessi locali o contingenti; e la associazione potrà proporsi molteplici scopi oltre quello di stipulare dei contratti di lavoro e di sorvegliare la stipulazione di questi contratti. Una sola restrizione è posta ai fini delle associazioni registrate: esse non potranno esercitare abitualmente atti di commercio. Il che facilmente si comprende riflettendo che esiste il codice di commercio il quale regola questi atti ed offre agli operai modo di costituire cooperative o altre forme di società quando vogliano essi medesimi diventare commercianti od industriali. Fuor di questa limitazione, le associazioni potranno proporsi scopi di resistenza, di previdenza, di semplice tutela, ecc. ecc.; distinguendosi dalle associazioni di fatto odierne solo perciò che esse avranno personalità giuridica e gli imprenditori sapranno con certezza con quale ente inizieranno rapporti.

 

 

Un solo vincolo positivo – oltre quello di non compiere atti di commercio – ha posto il disegno di legge alle future associazioni registrate: l’obbligo di vincolare un quinto dei loro fondi in garanzia degli impegni sociali. Si propone di risolvere in questa maniera una grossa questione. Sono note le controversie sorte in proposito nel paese classico delle Trade-unions, l’Inghilterra: dove dapprima si proclamarono le associazioni operaie libere da ogni responsabilità rispetto ai contratti di lavoro da esse stipulati od agli scioperi da esse provocati; e poi, con una sentenza famosa del comitato giudiziario della camera dei signori, si vollero assoggettare a vincolo tutti i fondi delle unioni; anche quelli destinati a soccorsi di malattia e di vecchiaia. Tra l’un estremo e l’altro c’è una via di mezzo; e la commissione italiana ha creduto di aver trovato una soluzione soddisfacente vincolando un quinto dei fondi a garanzia degli impegni sociali. La commissione pare sia stata assai peritante nello scegliere siffatto partito, per il timore di allontanare alcune associazioni operaie dal richiedere la personalità giuridica. Essa finì tuttavia per accoglierlo «dacché la disposizione ha carattere altamente educativo, abitua i lavoratori alla prudenza, al senso della responsabilità, impedisce sperperi tanto più dannosi in quanto riguardano somme raccolte a soldo a soldo, con sacrifici non comuni, crea infine in ciascuna società un nucleo di vita perenne». Nel che consentiamo, pur sembrandoci che la commissione, per la troppa timidezza, sia stata imprecisa nella fissazione del vincolo di un quinto dei fondi sociali. «Imprecisa perché il vincolo è – così si legge nella relazione Murialdi – per gli impegni sociali». Ora a noi sembra inutile vincolare genericamente i fondi sociali per un quinto a garanzia degli impegni sociali, non potendosi supporre che una associazione avente personalità giuridica possa essere responsabile degli impegni sociali solo per l’ammontare di un quinto dei suoi fondi. Supponiamo che una associazione registrata abbia vari scopi:

 

 

  • la stipulazione di contratti o concordati di lavoro con gli imprenditori;
  • il soccorso ai soci in caso di sciopero;
  • di disoccupazione;
  • di malattia;
  • di vecchiaia.

 

 

Nelle Trade-unions inglesi ed in parecchie leghe italiane tutti o parecchi di questi scopi coesistono. Quelli elencati dal n. 2 al n. 5 si differenziano profondamente dal primo, riferendosi a rapporti della società con i soci. Per questi scopi tutti i fondi della società devono essere vincolati ed il vincolo è inutile perché si può supporre che i soci pensino sovratutto a se stessi. Il primo scopo tocca invece rapporti della società con terzi, con gli imprenditori; ed è qui che il vincolo dei fondi sociali ha vera importanza. Gli imprenditori – se si vuole che essi diano peso al vincolo di un quinto dei fondi sociali, e se si vuole così trattare con la società e ad avere fiducia in essa – devono sapere quale parte dei fondi sociali è specialmente riservata a garanzia dei contratti che essi possono concludere con l’associazione. Sapere che è vincolato un quinto per tutti gli impegni sociali è sapere meno che niente. Ciò che importa è la costituzione di un fondo di garanzia, specialmente riservato ad assicurare l’osservanza dei patti conclusi dagli operai con gli imprenditori. A questo punto non ci pare provvedano a sufficienza le proposte della commissione, pur meritevoli di lode per la semplicità e libertà a cui si inspirano.

 

 

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