Opera Omnia Luigi Einaudi

La politica ferroviaria in Italia

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 01/06/1901

La politica ferroviaria in Italia

«Critica Sociale», 1 giugno 1901, pp. 183-186

 

 

 

II.

Fondi di riserva e Cassa degli aumenti patrimoniali

Come si è visto, il Governo non aveva mancato davvero nelle previsioni rosee, e aveva curato che le Società non facessero troppo larghi affari! Pei contratti, ma quota dei prodotti è assegnata alle Società a titolo di corrispettivi, un’altra quota, come vedemmo, ai fondi di riserva e alla Cassa degli aumenti patrimoniali. I corrispettivi rappresentano in realtà gli interessi che sono dovuti dal Governo sul prestito di 265 milioni fatto dalle tre Società sotto forma di cauzione alla sottoscrizione dei contratti di esercizio.

 

 

I fondi di riserva servono per i danni cagionati dai casi di forza maggiore e pel rinnovamento del materiale metallico dei binari e del materiale rotabile. Le Casse per gli aumenti patrimoniali servono specialmente per eseguire tutti i lavori atti ad aumentare il valore delle ferrovie (patrimonio dello Stato). Esse costituirono il perno delle Convenzioni del 1885; giova quindi ricordarne la definizione data nei capitolati d’appalto:

 

 

È costituita la Cassa per gli aumenti patrimoniali richiesti dall’aumento del traffico. Con essa si provvederà alle spese per gli ampliamenti dell’argine stradale, al raddoppiamento ed aggiunta dei binari e piani caricatori, impianti e ampliamenti di stazioni ed officine, applicazioni di apparecchi di sicurezza e di segnalamento lungo le linee e nelle stazioni ed in genere per tutte le costruzioni nuove, compresi i fabbricati e le chiusure di primo impianto, nonché all’aumento e alle sostituzioni per cambiamento di tipo di meccanismi fissi per servizio delle stazioni e di attrezzi e utensili delle officine, alla costruzione di nuove linee telegrafiche ed aggiunta di nuovi fili sulle linee esistenti. Saranno a carico di questa Cassa le spese straordinarie pel rifacimento in acciaio di binari tuttora in ferro, compresi i relativi scambi, e pel primo risanamento e completamento della massicciata, in quanto non siasi provveduto coll’art. 1 dell’annesso allegato B. Si provvederà pure con questa Cassa all’aumento del materiale rotabile e d’esercizio e a quei miglioramenti di esso che ne aumentano il valore e siano approvati dal Governo, addebitandone però il concessionario durante l’esecuzione delle opere e dei lavori indicati nell’allegato B: si provvederà con questa Cassa più specialmente all’aumento del materiale rotabile e d’esercizio.

 

 

Gli allegati B rappresentano l’elenco e la valutazione dei lavori e delle provviste che il Governo riconobbe necessarie (sui 6234 Km. di ferrovie di sua proprietà consegnati alle Società nel 1885) per assicurare l’esercizio.

 

 

Le somme necessarie per provvedere alle spese delle Casse patrimoniali saranno ottenute mediante la emissione di obbligazioni. La forma di queste obbligazioni e le modalità della emissione saranno uguali a quelle stabilite per le obbligazioni da emettersi per le nuove costruzioni. La Cassa sarà addebitata di quelle emesse a suo carico e ne pagherà l’interesse e l’ammortamento. Per fare tali pagamenti sarà versato annualmente nella Cassa medesima il 15% dell’aumento del prodotto lordo dell’esercizio, oltre il prodotto iniziale. Spetterà pure alla Cassa il prezzo che si ricaverà dalla vendita dei materiali messi fuori d’uso, nonché un terzo del saldo dei noli, di cui nell’art. 63 del presente capitolato.

 

 

Costi e proventi ferroviari

Come si vede dunque, questo congegno della Cassa per gli aumenti patrimoniali è tutto fondato sulla previsione di un aumento, progressivo nel tempo, del prodotto delle ferrovie: ad essa non spettava nessuna quota del prodotto lordo iniziale. Anticipando, si può quindi sin d’ora avvertire come il fallire delle previsioni dovesse senz’altro portar seco la morte di questo istituto e la rovina di tutti i calcoli finanziari. Quanto alla percentuale destinata ad alimentarlo, essa era calcolata nel modo che qui riportiamo, reputando che sia utile tenerlo presente per la riforma di prossimo avvenire.

 

 

L’esperienza ha dimostrato che, per ogni aumento di un milione di lire di prodotto lordo, occorrono: L. 1.226.000 per nuovo materiale rotabile, L. 660.000 per secondi binari e per binari di servizio, L. 110.000 per congegni fissi ed applicazioni di apparecchi di sicurezza e di segnalamento lungo le linee e nelle stazioni, e L. 1.000.000 per ampliamenti di fabbricati e officine, per piani caricatori e tettoie. Complessivamente è quindi necessaria la somma di circa L. 3.000.000, ossia il triplo dell’aumento del prodotto lordo per cui si dovrebbe provvedere. Ora, per ammortizzare la somma di 3 milioni in 90 anni occorrono L. 137.619 o L. 151.881, secondo che si valutano gli interessi al 4,5 o al 5%, e quindi una somma che sta appunto fra il 13,75 e il 13,15% del milione di aumento di prodotto lordo. Che se per la rete Sicula si calcolò il 20%, lo si deve alle peggiori condizioni stradali in cui per natura si trovano quelle linee.

 

 

Al 31 dicembre 1884 i prezzi di costo delle quattro reti, che si distribuirono poi nel 1885 fra le tre nuove Società esercenti, erano valutati così in cifre tonde:

 

 

Rete Alta Italia, in gran parte di proprietà assoluta dello Stato

L. 1.228.433.000

Rete Romana, in gran parte di proprietà assoluta dello Stato

” 528.614.000

Rete Calabro Sicula, di proprietà assoluta dello Stato

” 398.000.000

Rete Meridionali, di proprietà assoluta della Società anonima

” 511.031.000

Rete Alta Italia

” 40.339.000

” Romana

” 9.670.000

” Meridionali

” 6.819.000

da cui, detraendo le perdite per l’esercizio della Calabro Sicula

” 5.749.000

Rimangono

L. 51.079.000

 

 

Deducendo L. 32.058.955 per sovvenzioni pagate alla Società delle Meridionali, rimane per lo Stato, nel 1884, L. 19.021.000 di guadagno.

 

 

È nota la storia delle battaglie parlamentari, durate un anno, contro il progetto Genala. Tutta la materia ferroviaria fu ripresa in esame e sostenuta con passione. Trionfò la straordinaria costanza di Depretis e il progetto delle Convenzioni divenne legge il 14 aprile 1885.

 

 

I difetti tecnici delle Convenzioni

 

Sulle Convenzioni divenne legge, come già dicemmo, il 14 aprile 1885, non rifaremo più polemiche antiche; riassumeremo solo i principali difetti, che la pratica ha constatato in modo incontrovertibile, aggiungendo alcuni dati statistici riassuntivi di tale materia.

 

 

1. Innegabilmente, le Convenzioni del 1885 hanno il difetto capitale di una comproprietà fra Stato e Società, e più specialmente ancora di una gestione dei così detti fondi speciali, fatta promiscuamente dal Ministro dei lavori pubblici e dalle Compagnie esercenti, con interessi e intendimenti non sempre concordi.

 

 

2. Si affidò alle Casse per gli aumenti patrimoniali (ossia allo Stato proprietario) l’esecuzione delle opere complementari; ne derivò una serie di atti emulativi fra Stato e Società, non potendosi mai nettamente determinare se tali opere erano dirette unicamente a miglioramento l’esercizio, nel qual caso andavano realmente a carico dello Stato, o anche a diminuire le relative spese di gestione, nel qual caso avrebbe dovuto partecipare all’onere anche la Società esercente.

 

 

3. Il sistema della partecipazione al prodotto lordo era stato proposto sul sistema olandese; bisogna però notare che sin dal 1882 questo sistema dava cattiva prova nei Paesi Bassi. I difetti principali di questo sistema sono questi: di impedire alle Compagnie di spingere i ribassi fino al punto di accaparrare alla ferrovia nuovi trasporti; di impedire l’acceleramento dei viaggi e tutti quei perfezionamenti che importino maggiore spesa. – Nel regime di partecipanti al prodotto lordo, il limite delle tariffe è aumentato di tutta la quota governativa e lo Stato percepisce un guadagno che comprende di fatto anche le spese necessarie per far fruttare il patrimonio ferroviario. – Infine la partecipazione al prodotto lordo fa sì che lo Stato eserciti una soverchia ingerenza nell’azienda sociale, con danno manifesto della sua sveltezza e creando possibilità di liti. Difatti, nel 1890 l’Olanda stessa addivenne a nuove convenzioni, mutando radicalmente il precedente sistema. Alla partecipazione al prodotto lordo si sostituì il sistema di corrispondere al Governo un canone fisso, da aumentarsi di una somma determinata per ogni nuovo chilometro di ferrovia in esercizio, più una eventuale quota di utili netti.

 

 

4. Ne conseguì che le tariffe, sebbene unificate furono fissate in misura troppo alta, e non si pensò alla possibilità di diminuirle, malgrado l’esempio dell’estero, e specialmente della Francia. L’art. 44 dei capitolati veramente dà diritto allo Stato di abbassare le tariffe, rinunziando a una quota parte della sua compartecipazione. Questo articolo però non ebbe esecuzione che per sei voci, per la naturale titubanza di un Governo sempre stretto dalle necessità quotidiane di una finanza povera. Inoltre il difetto, di cui dopo parleremo, di costruire tutte le ferrovie su uno stesso sistema d’impianto, si è ripercorso anche sulle tariffe, aggravando eccessivamente le regioni povere, mentre l’onere veniva sopportato assai agevolmente da regioni più ricche. Sotto questo punto di vista le Società furono più audaci del Governo, ottenendo da esso ribassi di tariffe per 13 milioni, e sempre con risultato felice. Ed è per questo che le merci, se sono aumentate in tonnellaggio del 52% in quindici anni, dal 1883 al 1898, non hanno certamente offerto quello sviluppo che nel 1882 si prevedeva. Peggio ancora riguardo ai viaggiatori, il cui numero da milioni 45 nel 1885, diventò solo di milioni di 55 1/2 nel 1898, con un aumento del 26%, mentre la rete ferrovia si è accresciuta del 35 per cento: notisi che nello stesso periodo l’aumento del movimento viaggiatori sulle ferrovie francesi fu del 45% e sulle ferrovie dell’Impero germanico superò il 100 per cento.

 

 

5. La legge del 1885 istituì, come vedemmo, per la conservazione delle strade e del materiale, i seguenti fondi: 1. fondo di riserva per provvedere ai danni cagionati alle strade da forza maggiore; 2. fondo di riserva per la rinnovazione della parte metallica dell’armamento; 3. fondo di riserva per la rinnovazione del materiale rotabile reso inservibile dall’uso. Per la maggiore semplicità sarebbe stato desiderabile che i servizi e i bisogni qualificati nei tre fondi di riserva si fossero assunti senz’altro dalle Compagnie esercenti. Inoltre contro l’accollo dei servizi inerenti ai tre fondi stanno i fatti; per il primo fondo, dell’incertezza dei danni cagionabili da forza maggiore, trattandosi di linee con tutte consolidate; per il secondo fondo, che, dovendo esso provvedere soltanto alla rinnovazione della parte metallica dell’armamento, già formato con materiale in acciaio, e non al primo rifacimento, era difficile di commisurare nei primi anni la portata degli oneri, fino a che tutta quanta la rete non fosse così armata; per il terzo fondo, che si era in presenza di bisogni non costanti, ma da prima assai limitati per l’età assai giovane dei rotabili.

 

 

Megalomania e tripotages ferroviarii

 

A questi difetti, che diremo tecnici, dalle convenzioni del 1885, altri se ne aggiunsero, di indole varia e meno innocente:

 

 

1. L’Italia, rimasta molto in arretrato dalle altre nazioni nelle costruzioni ferroviarie, prese di tratto uno slancio sproporzionato alle forze del suo traffico, accrescendo le linee da Km. 10.291 a Km. 15.753, cioè del 35%, fra il 1883 e il 1898, mentre, ad es., la stessa rete francese, pure spinta dal Gran Programma di Freycinet, aumentò nello stesso periodo da Km. 31.531 a Km. 41.493, ossia appena del 24 per cento. Gran parte delle costruzioni furono dovute a indebite ingerenze parlamentari o a turpi contratti elettorali; le linee che rendono sono quelle che già erano costruite; gli ultimi 5000 Km. contribuiscono per ben misera cifra all’incremento del traffico.

 

 

2. Si costruì troppo in grande, respingendo il concetto delle reti secondarie, o ferrovie economiche.

 

 

3. Le spese d’amministrazione non furono equamente distribuite, il numero dei vagoni non venne utilizzato, ossia non si osservò il rapporto che passa tra i posti occupati e quelli offerti. Per tal modo sono uguali le spese d’amministrazioni per la linea Novi Genova, ad esempio, che rende circa 200 mila lire per Km., e quelle per le linea siciliane e calabresi, il cui prodotto annuo non raggiunge neppure le lire 3000.

 

 

4. La storia più dolorosa, e sfuggita quasi di proposito da quanti trattano questa materia, è quella del modo con cui si procedette alle costruzioni ferroviarie. Errori in simile materia sono stati compiuti da tutti i paesi, e noi ne vedremo un esempio nelle ferrovie francesi. In Italia però si è andati di là dal credibile, per vizi di leggi e per vizio di uomini.

 

 

Per la legge sulla contabilità dello Stato, tutti i contratti di opere, che superano le L. 40 mila, devono aver luogo per pubblico incanto; è questo però uno dei sistemi più dannosi nella pratica, poiché cela nel suo seno precisamente tutti quei vizi che teoricamente sembrerebbe dover evitare. Intanto, già, trattandosi di opere che esigono l’anticipazione di grossi capitali, la concorrenza è per sua natura ristretta. I pochi appaltatori, poi, che intervengono all’asta, offrono ribassi assolutamente inverosimili, che non verrebbero mai accolti da una prudente amministrazione, qualora essa non fosse legata dalla legge. Tali appaltatori sono perfettamente convinti di non poter eseguire l’opera al prezzo proposto; ma li incoraggia il

pensiero della frode, a cui offre largo margine, specie nelle costruzioni ferroviarie, la elasticità dei capitolati d’appalto, voluta dalla natura stessa dei contratti da eseguire.

 

 

È così che le nostre linee ferroviarie, dai prezzi di prima previsione, salirono a cifre assolutamente impreviste, dietro reiterate modificazioni del contratto primitivo d’appalto, imposte dagli imprenditori e timidamente accettate dallo Stato. È così che un’inchiesta, iniziata nel 1897 dall’on. Saracco e compiuta l’anno dopo sotto l’on. Prinetti, allora ministro dei lavori pubblici, pose in chiaro che gli otto tronchi ferroviari presi in esame dall’inchiesta costarono 3 1/2 volte la somma prevista.

 

 

Tralasciato la storia della galleria dei Giovi, preventivata in 20 milioni e costata 80, quella della Parma Spezia, preventivata in 28 milioni e costata 125; la ferrovia Firenze Faenza ci offre una storia ancor più istruttiva, con quella galleria di Bardolino, costata 4 mila lire al metro, ossia un prezzo di gran lunga superiore a quello di tutte le costruzioni ferroviarie, superiore a quello di tutte le costruzioni ferroviarie, più ardue per natura e sistemi, d’Europa e d’America.

 

 

E più gravi ancora sono i motivi di tanto danno finanziario; l’inchiesta li riassunse in due: assoluta deficienza di studi preparatorii – eccessiva pieghevolezza del Governo verso gli appaltatori. Tra le righe dell’inchiesta trapela continuo il dubbio della possibile collusione d’interessi fra gli appaltatori e alcuni alti funzionari dell’amministrazione pubblica[1].

 

 

Previsioni sbagliate. Redditi effettivi e ripartizione del prodotto

 

Eppure, malgrado tutto questo, ci troveremmo in ben migliori condizioni se non si fosse errato nel modo più radicale nelle previsioni, su cui si fondò tutto l’edificio delle nostre Convenzioni.

 

 

Di questo non ha colpa in modo speciale nessuno.

 

 

Bisogna risalire al periodo in cui queste previsioni furono fatte: a quel 1884 in cui l’Italia, sorta appena a vita guardata con occhio benevolo dal capitale forestiero, ancora sotto l’impulso meccanico della spinta che la mano prodigiosa di Cavour e dei suoi più prossimi successori le aveva dato tutto potersi permettere, tutto poter osare. Il risveglio dal sogno roseo fu rapido e duro: le illusione crollarono sotto le conseguenze di una politica pazzesca, i traffici rallentarono e i mezzi di trasporto risentirono le conseguenze.

 

 

Pochi dati ora sono sufficienti ad avvalorare quanto si è detto. Fino a tutto il 1892 l’aggravio annuo, che venne al mese dalla costruzione e dall’esercizio delle ferrovie, era già di circa 200 milioni, ossia di L. 14.300 per ognuno dei 14.000 Km. che già si trovavano allora in esercizio, pur tenendo conto degli introiti dovuti alle merci e ai viaggiatori trasportati. Questa spesa, s’intende, era quasi tutta sostenuta dallo Stato, ben poche essendo le ferrovie che dessero un reddito annuo sufficiente a coprire le spese e ad ammortizzare il capitale. Calcoli fatti dall’Ispettorato generale dimostrarono che, in media, il trasporto di un viaggiatore ad 1 Km. di distanza sulle nostre strade ferrate costa in tutto cent. 8,20, mentre il reddito effettivo chilometrico è il cent. 4,40: ne segue che l’azienda ferroviaria, per ogni viaggiatore chilometrico, perde cent. 3,80, che le debbono essere rifusi dallo Stato. Quanto alla ripartizione dei prodotti, ecco il quadro dei risultati dall’1 luglio 1885 al 30 giugno 1894:

 

 

Ripartizioni dei prodotti

Se si fossero verificate le previsioni del 1884

Quali si sono effettivamente realizzate

Differenze in meno

Quote dei prodotti lordi in lire

Allo Stato

598.132.119

522.417.620

75.714.499

A fondi speciali

243.514.432

200.093.613

43.420.819

Alle Società

1.402.703.449

1.238.212.481

164.490.968

Totali

2.244.350.000

1.960.723.714

283.626.286

 

 

Di queste differenze in meno, 43 e 1/2 milioni gravarono le casse patrimoniali[2].

 

 

Le previsioni del 1884 calcolavano un incremento medio annuale del 3 1/2 per cento per le reti continentali e del 2 1/2 per cento per la Sicula. Invece il prodotto iniziale fu sorpassato, e per poco, solo in alcuni anni di esercizio dalla Mediterranea, giammai dall’Adriatica e dalla Sicula: anzi negli ultimi esercizi si ebbe una vera diminuzione di prodotti, che solo ora ha cominciato ad arrestarsi. Così i bilanci di previsione relativi agli esercizi ferroviari, escluse le costruzioni, furono per lo Stato i seguenti:

 

 

 

1893-94 Milioni

1894-95 Milioni

1895-96 Milioni

1896-97 Milioni

Entrate

96.141

106.597

114.847

115.176

Spese

279.254

291.587

293.083

293.291

 

 

Quindi i risultati finanziari dell’azienda ferroviaria rispetto allo Stato sono ora di 178 milioni di passività all’anno, che andranno crescendo ad almeno 200 milioni, escluse sempre le costruzioni.

 

 

Ancora le Casse degli aumenti patrimoniali. Delusioni e perdite.

 

Di questo stato di cose risentirono naturalmente i fondi di riserva e specialmente le Casse per gli aumenti patrimoniali. Se si fossero verificate le ipotesi, le tre Casse sino al 1894 avrebbero dovuto avere 81,6 milioni, dedotte le spese, e nel periodo ’95/96 le risorse dovevano ammontare a circa 13 1/2 milioni. Invece, non solo i calcoli sono andati completamente falliti, ma dette Casse hanno dovuto torre a prestito dai fondi di riserva, e lo Stato dal 1893 al 1898 ha dovuto intervenire per 7 1/2 milioni annui. Difatti, ecco lo stato delle Casse dal 30 giugno 1885 al 30 giugno 1899:

 

 

 

Proventi

Spese

Rete Adriatica

28.155.021

92.448.047

” Mediterranea

35.710.618

108.481.008

” Sicula

3.197.104

5.886.711

 

62.062.743

206.815.766

 

 

E a questo deficit si devono aggiungere circa altri 30 milioni di spese, eseguiti solo per far fronte a opere indispensabili. Inoltre, con una legge del 25 febbraio 1900, si è dovuto provvedere allo stanziamento di altri 28 milioni e si è data facoltà al Governo di obbligare le Società ad anticipare i capitali necessari per l’acquisto di materiali in aumento di dotazione, il che importerà un altro onere di oltre 120 milioni.

 

 

Riepilogando: fallì completamente il progetto Magliani di far fronte alle spese ferroviarie mediante emissioni di obbligazioni ammortizzabili in 90 anni. Le costruzioni ferroviarie, che nei primi bilanci erano messe in conto di movimento di capitali, dopo formarono una voce a sé. Ora, nel conto patrimoniale dello Stato, la spesa, sostenuta dal Governo per costruzione delle ferrovie formati le grandi reti figura, per L. 4.645.770.000, ma nell’attivo il valore, che esse rappresentano, è valutato solo a un miliardo e 200 milioni.

 

 

Di – 3.445.700.000 lire quindi è diminuita la ricchezza nazionale.

 

 

Quali i rimedi possibili? Senza nutrire troppo illusioni per l’avvenire, qualcosa in meglio si può realmente fare.

 

 

Prima però, istruiamoci con l’esperienza dei popoli più ricchi, e vediamo quali risultati abbiano ottenuto essi dai loro sistemi. Dopo, il problema ci apparirà così chiaro, che le conclusioni verranno quasi a imporsi.

 

 

ATTILIO CABIATI, LUIGI EINAUDI

 

 



[1] Veggasi il primo articolo nel numero precedente.

[2] A quanto pare, l’esperienza del passato non fu molto istruttiva. Nella tornata del 9 maggio u. s. il ministro dei lavori pubblici, onorevole Giusso, rispondendo ad analoga interrogazione, avvertiva che, se si dovessero mantenere le promesse fatte con precedenti leggi, lo Stato dovrebbe ancora gravarsi di L. 417.000.000 per costruzione di 1032 Km. di nuove linee: e ciò mentre per quelle già in opera lo Stato rimette ogni anno già forti somme. Ad esempio, per la Nocera Cosenza, tracciata in 47 Km., si dovrebbero spendere 56 milioni, mentre le popolazioni ritrarrebbero gli stessi vantaggi dalla costruzione di una rete più fitta, e immensamente meno costosa, di ferrovie economiche. Concludendo, il ministro si rifiutò di far affrontare allo Stato sì enorme spesa, e avvertì doversi prima riprendere in esame anche tutti i particolari tecnici delle nuove opere, per non gettare centinaia di milioni in linee decretate senza studio e senza ponderazione!

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