Opera Omnia Luigi Einaudi

La predica della domenica (II)

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 29/01/1961

La predica della domenica (II)

«Corriere della Sera», 29 gennaio 1961

Le prediche della domenica, Einaudi, Torino 1987, pp. 6-8[1]

 

 

 

Mi sono avveduto che lo scrivere prediche è cosa complicata. Anche se fossero spropositatamente lunghe, e nessuno le leggerebbe, non raggiungerebbero lo scopo, che è quello di esporre un’idea, una sola, in modo chiaro e persuasivo. Ci si avvede subito che nessun principio politico o sociale, nessuna idea è così semplice, da non consentire contraddizioni, sfaccettature, punti di vista, chiarimenti, eccezioni. Vi sono, ad esempio, parole che godono mala fama e sono usate in senso spregiativo da quasi tutti coloro che le usano, salvo siano studiosi in libri letti solo dagli iniziati. Come si fa, non dico a dimostrare, che è cosa lunga, ad esporre in modo chiaro che quella parola merita lode invece che riprovazione? Malfamatissima fra tutte è la parola speculazione. I prezzi delle cose necessarie alla vita vanno su un po’ troppo e troppo in fretta? È la speculazione che li fa andar su. Sono gli speculatori che ne hanno fatto incetta; e li fanno rincarare. Nessuno si lamenta quando i prezzi vanno giù; e nessuno se ne ricorda in seguito, quasi i bottegai profittassero sempre degli aumenti dei prezzi all’ingrosso o degli aumenti delle imposte per spingere all’insù i prezzi al minuto; ma non facessero mai attenzione alle diminuzioni delle imposte od ai ribassi all’ingrosso per farne godere anche un po’ ai consumatori al minuto.

 

 

Nell’estate del 1960 i prezzi delle azioni in Italia salirono in modo spropositato; ed altrettanto rapidamente persero poi in una ventina di giorni tutto il guadagnato, fermandosi all’incirca al punto di partenza del giugno.

 

 

 

Quando i corsi di borsa salivano nessuno se ne lagnava. Quando ribassarono e la piramide fu decapitata, ritornando al livello di prima, altissime furono le strida, le quali accusavano gli speculatori di avere distrutto il risparmio nazionale, perché avevano tolto, a coloro i quali avevano acquistato i titoli al massimo, l’illusione di avere scoperto il modo di arricchire senza fatica acquistando e rivendendo valori in borsa.

 

 

Come si fa a dimostrare in poche parole che gli speculatori hanno compiti ben diversi da quello invalso nella letteratura volgare? L’aveva in verità già dimostrato Alessandro Manzoni nel celebre capitolo dodicesimo dei Promessi Sposi; ma ho l’impressione che quel capitolo, come l’altro sulla peste sia saltato di piè pari dagli scolari nel ginnasio e che il dialogo – sulla abbondanza e sulla scarsità del pane, sulla vanità delle grida che ne fissavano il prezzo, sulla necessità delle tessere per la sua equa ripartizione in tempo di carestia – fra Renzo Tramaglino ed Ambrogio Fusella, spadaio e poliziotto, sia spesso stato dimenticato durante le due ultime guerre.

 

 

Eppure speculare vuol dire semplicemente prevedere, antivedere, anticipare gli avvenimenti futuri ed operare in relazione a quel che accadrà e non a ciò che sta accadendo.

 

 

Se oggi le scorte di cereali sono sufficienti e perciò il prezzo del frumento estero posto sulle banchine del porto di Genova e di Napoli è di 3500 lire al quintale; ma, se qualche speculatore, il quale, essendo o credendo di essere bene informato, prevede un raccolto scarso, a suo rischio acquista, ossia accaparra il grano futuro e per ripercussione ne fa salire il prezzo presente, Forseché egli non agisce in conformità al pubblico interesse? Avverte produttori e consumatori di fare oggi uso prudente del grano, ad evitare così, grazie ad un moderato rialzo presente, ben più forti rialzi futuri, quando tutti si saranno accorti che le scorte erano state mangiate prima che il nuovo grano fosse maturo per la mietitura. Se lo speculatore, il quale sa che una società industriale è male amministrata o che un governo malversa il denaro pubblico, ne vende le azioni o le cartelle di debito pubblico, non è egli forse benemerito della cosa pubblica, perché ha avvertito i detentori delle azioni di disfarsene per tempo o di cambiare gli amministratori inetti ed ha contribuito ad aprire gli occhi ai cittadini, aiutandoli a cacciar via i cattivi governanti? Eppure a lui, per avere avuto una opinione diversa dall’universale e per averla manifestata col fatto di rischiare i propri denari, il clamore pubblico decreta la galera. La galera, spettando a coloro i quali hanno commesso un reato contemplato dal codice penale, ben può darsi ne sia meritevole anche il cosidetto speculatore. Ma l’antivedere, il prevedere, che è il tratto caratteristico dello speculatore, non ha niente a vedere col reato comune. L’imbroglione profitta di tutte le occasioni a lui propizie; anche delle vicende nei prezzi del frumento, delle azioni e dei titoli di debito pubblico. Il suo nome proprio è tuttavia quello di imbroglione non di speculatore.

 


[1] Col titolo Speculare e prevedere [ndr]

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