Opera Omnia Luigi Einaudi

La predica della domenica (XVIII)

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 21/05/1961

La predica della domenica (XVIII)

«Corriere della Sera», 21 maggio 1961

Le prediche della domenica, Einaudi, Torino 1987, pp. 63-67[1]

 

 

 

Cominciai a collaborare a «La Gazzetta piemontese», che già recava il sottotitolo «La Stampa», nel 1896, quando Frassati era divenuto da poco, nel 1895, condirettore del giornale, con Luigi Roux direttore. «La Gazzetta Piemontese» era un vecchio giornale, il più antico del Piemonte, che solo nel 1848 aveva cessato di essere la gazzetta ufficiale del regno di Sardegna ed era divenuto per qualche tempo proprietà della famiglia Favale. Il giornale andava avanti alla meglio, tra debiti ed espedienti; sicché le 80 mila lire fresche che furono l’apporto di Frassati giovarono assai a mettere in sesto l’impresa; la quale, per un’altra quota di 80 mila lire, apparteneva a Luigi Roux, laddove le restanti 80 mila erano divise fra il barone Augusto Ferrero, il Viarengo, il Marchisio e non so chi altri. Ma l’apporto principale non furono i denari freschi; bensì la fresca vigoria mentale, il lavoro infaticabile, la diligenza minuta posta dal nuovo socio nella amministrazione del giornale. Per quanto riguarda la redazione essa era ridotta a tanto pochi, che oggi, chi conosce la folta coorte la quale popola le redazioni odierne, pare incredibile. Eravamo in sette: il direttore Luigi Roux, allora deputato e poi senatore, il vice direttore Alfredo Frassati, il redattore capo Augusto Ferrero, assai fine letterato e poeta e genero di Roux, il sottoscritto (in seguito, per pochi mesi, ebbi a successore Emanuele Sella e più a lungo Attilio Cabiati), Gugliemo Ferrari, imparentato anch’egli con i Roux, anziano giornalista che faceva un po’ di tutto e, fuor di lì, lucrava cinquanta lire al mese per andare a far visita al Kossuth, il quale viveva in esilio a Torino, e telegrafare al «Pesti Hirlas» di Budapest notizie sulla salute del grande patriota ungherese, il Demaria, cronista di tutte le cronache ed Oscar Roux, segretario di redazione.

 

 

Capitavano saltuariamente, i collaboratori, fra i quali ricordo il Saragat, avvocato di professione, padre dell’attuale uomo politico, il quale, con lo pseudonimo di Toga Rasa pubblicava sul giornale brillanti cronache giudiziarie e racconti di gite alpinistiche.

 

 

Di sera, dalle 21 alle 2 antimeridiane facevo la guardia, il che voleva dire che dalle undici in poi, andati via tutti, facevo tutto: articolare (voleva dire mettere i punti e le virgole, aggiungere parole, ecc.) i telegrammi (il telefono non usava), aggiustare le corrispondenze in arrivo, mettere i titoli, compaginare, d’accordo col proto, le ultime notizie. Fu qui che, insieme con altre due o tre, ebbi la maggiore soddisfazione della mia vita; ché nel primo giorno di guardia mi era stato messo accanto Gugliemo Ferrari, incaricato di insegnarmi come si faceva la cucina del giornale e si supponeva che il tirocinio dovesse durare due o tre mesi. Poco prima di mezzanotte, capitarono, come sempre, Roux e Frassati e dopo pochi minuti licenziarono senz’altro il pedagogo Ferrari. Così finì, sin dal primo giorno, il mio tirocinio e da apprendista passai compagno di lavoro. «La Stampa» era giolittiana sin dal giorno che ne era divenuto direttore il Roux; e giolittiano fedele rimase il Roux, anche quando andato a Roma, assunse la direzione della «Tribuna». L’eredità fu raccolta dal Frassati, che anche lui rimase fedele sino all’ultimo al Giolitti. Forse chi scorresse la raccolta del giornale negli anni nei quali il Roux, direttore della «Tribuna», era rimasto comproprietario della «Stampa», potrebbe scoprire nel giornale qualche temporanea estrosa deviazione sonniniana; ma la parentesi si chiuse quando il Frassati divenne proprietario pieno delle carature di Roux e di quelle degli altri consoci.

 

 

La predica odierna non ha, tuttavia, lo scopo di raccontare cotali piccoli fatti; ma di dire della scoperta fatta dall’amico Frassati del segreto della prosperità economica di un giornale quotidiano. La scoperta era stata fatta prima di lui dal Torelli Viollier del «Corriere della Sera» e nel tempo suo stesso da Luigi Albertini, dal Bergamini e, probabilmente, da altri con cui non ho avuto contatti personali o scarsa domestichezza. Ma fu scoperta anche di Frassati, ché si tratta di verità la quale deve essere volta per volta veduta, sentita, meditata da chi aspira a diventare un grande giornalista. Definisco per grande giornalista colui che è di fatto il padrone del giornale, che lo indirizza e lo dirige a suo piacimento, con la mira di farlo vivere con i suoi mezzi, senza dover chiedere niente a nessuno, salvo alle banche quel credito ordinario, che le banche sono ben felici di dare a chi lo merita; credito per il quale il debitore non deve dir grazie, perché l’ha meritato rimborsando i prestiti passati, con gli interessi e le provvigioni di mora, al tempo dovuto. Se, invece di banche, i fornitori di credito od anche di carature sono amici, l’indipendenza del giornalista rimane se e finché l’amico nulla teme di più del non potere dare al giornalista tutti i denari per lui disponibili di cui il giornalista abbisogna, perché sa che il prestito è sicuro come fosse oro e per giunta è fruttifero di interesse.

 

 

C’è una sola regola per assicurare l’indipendenza di un giornale: ed è di limitare rigorosamente, senza tollerare alcuna eccezione, le sue entrate al soldo del lettore ed al provento della pubblicità. Dico soldo, perché nell’epoca nella quale si fece la scoperta ed è il principio del secolo, i giornali si vendevano ad un soldo ossia cinque centesimi la copia. Nel concetto di soldo è compreso l’abbonamento annuo; che era di quindici, recate poi a diciotto lire l’anno.

 

 

Il giornalista, il quale riceve denaro o sovvenzioni o contributi diversi del soldo o del prezzo degli annunci pubblicitari, non è certamente grande; e, se arricchirà, la sua fortuna non sarà venuta dal suo mestiere, che è quello di vendere notizie, e scrivere commenti alle notizie da lui reputate vere. Soldo e denari della pubblicità sono le sole fonti della prosperità economica. Dalla quale derivano poi la forza politica, la sua influenza su governi e su politici, la attitudine a far trionfare le sue idee anche contro un pubblico ostile. Il denaro del soldo ha un significato chiaro. Può darsi che i soldi vengano da un pubblico desideroso di notizie sensazionali, immorali, avido di annunci di delitti e di avventure. Ma se il giornale indulge troppo nel giallo, perde credito e pubblicità. Del resto, il lettore sa di comprare merce inferiore e non bada ai commenti del giornalista.

 

 

La pubblicità è un provento più sottilmente pericoloso. Ricordo un giorno tra il Natale e il Capodanno non so se del 1899 o del 1900 quando uno dei maggiori inserzionisti nella «Stampa», industriale apprezzato a Torino, andò a far visita di augurio al Frassati; e tra reciproci complimenti, il discorso cadde, molto vagamente e con grandi circonlocuzioni, sulla opportunità che il giornale si occupasse anche nel testo dei certamente legittimi interessi di una industria, la quale aveva dato, nella persona dell’inserzionista, circa centomila lire di pubblicità al giornale, cifra in quei tempi a giusta ragione reputata astronomica. Cortese, il Frassati ringraziò, come di ragione, l’inserzionista e lo assicurò che egli avrebbe sempre pubblicato, se ciò dall’interlocutore fosse ancora ritenuto conveniente, annunci anche per cifre superiori. Ma nulla più, ed amici come prima. Il prezzo della pubblicità, non è altresì il prezzo del commento nel testo del giornale.

 

 

Così, soldo per soldo, inserzione per inserzione, nascono – e nasceranno, salvo la differenza, non determinante, dei miliardi di lire necessari oggi per fondare un giornale nuovo, invece delle poche centinaia di migliaia della fine del secolo scorso – i giornali che sono forza e potenza; i giornali che creano l’opinione, che sono ascoltati nei parlamenti e di cui i ministri hanno ragionevole timore. Al cosidetto quarto stato non appartengono tutti i giornali; ma solo quelli che vivono di vita propria. Gli altri possono essere rispettabili organi di interessi o di partiti; ma non sono giornali.

 



[1] Col titolo Frassati e il giornalismo indipendente [ndr]

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