Opera Omnia Luigi Einaudi

La preoccupazione del bilancio

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 01/10/1901

La preoccupazione del bilancio

«La Stampa», 1 ottobre 1901

 

 

 

Nel discorso pronunciato nella domenica scorsa a Dego dall’on. Cortese, sottosegretario di Stato all’istruzione, vi fu un punto in cui, dopo avere accennato al generale travaglio per l’eccessiva gravezza delle imposte ed alla loro ingiusta distribuzione, l’oratore affermò che al primo male, nato dalle soverchie spese, non si può rimediare che con l’economia ed al secondo con riforme nel sistema tributario presente, che è in contraddizione con lo Statuto, il quale esige che i cittadini paghino in ragione del loro avere. E qui, incidentalmente, l’on. Cortese osservò non essere lodevole «la esclusiva preoccupazione del bilancio, perché il pubblico malcontento è da considerarsi come una grave debolezza economica, ed i disordini, a parte le conseguenze disastrose per il commercio e per l’industria, costano milioni per la repressione».

 

 

L’osservazione considerata nella sua ultima parte è abbastanza esatta, essendo chiaro come non possa essere considerato come un bilancio in equilibrio quello il quale gravi talmente sulle classi meno fortunate da renderle malcontente e propense alla rivolta periodica. Val meglio sacrificare un’entrata di un milione all’anno per abolire un’imposta esosa piuttosto che spendere 10 milioni d’un tratto per reprimere i disordini che quell’imposta cagiona.

 

 

La perdita per l’erario deve in ogni caso essere subita; ed è preferibile subirla nel primo modo, perché essa è più lieve e può dare nascimento a più ricco e pacifico svolgersi delle attività produttive.

 

 

Ma siffatte considerazioni non giustificano punto una benevola condiscendenza verso i disavanzi, quasiché, per non rendere malcontente le plebi, fosse conveniente sopperire alle spese con accensione di debiti, meno sensibili per il momento.

 

 

Il malcontento sarebbe non tolto per sempre, ma ne sarebbe rimandata solo la manifestazione.

 

 

Il che ha compreso l’on. Cortese quando nell’inciso precedente affermò che «all’eccessiva gravezza dell’imposta non si può rimediare che con le economie», escludendo così nel modo più esplicito ogni riduzione d’imposta ottenuta col facile metodo di indebolire il bilancio e di provvedere alle maggiori spese con nuovi debiti.

 

 

Noi abbiamo voluto rilevare però la frase per mettere in luce ancora una volta la necessità di non prestare ascolto ai fautori di una politica finanziaria facile, la quale vorrebbe trovare i mezzi per compiere grandi riforme col far getto della stabilità assoluta del bilancio, col ricorrere a debiti nuovi, o col procrastinare il pagamento dei debiti vecchi.

 

 

I fautori della politica allegra della pubblica finanza non possono citare le parole dell’on. Cortese, considerate nel loro complesso, a sostegno della loro opinione; e tanto meno è possibile citarle, se si riflette che il Cortese ha fatto nel suo discorso piena adesione alla politica tributaria del Gabinetto di cui fa parte come sottosegretario di Stato.

 

 

Orbene, è doveroso notare come il Gabinetto attuale, in tutti i suoi disegni di riforma tributaria, comunque mutati e rimutati parecchie volte, ha sempre posto come caposaldo delle proposte sue la rigida conservazione della stabilità del bilancio. Della qual cosa gli devono dar lode tutti quelli i quali ritengono, come noi riteniamo, che nessuna riforma tributaria possa intraprendersi e condursi durevolmente a termine se non sulla base granitica del pareggio finanziario e che ritengono inoltre essere per se medesime il pareggio una fra le più grosse riforme tributarie che immaginar si possono: la scomparsa dell’aggio ed il rialzo della Rendita, precursore alla conversione libera in un futuro non lontano.

 

 

Coll’opera sua il Governo ha dimostrato di aver compreso adeguatamente l’importanza di questi concetti; e sarebbe parso inutile accennarli ancora se non fosse stato possibile, ai fautori di una diversa politica, trarre argomento dal discorso dell’on. Cortese per giungere a conclusioni che non erano quasi certamente nell’animo dell’oratore, come non sono certamente negli intendimenti, manifestati in modo esplicito e chiaro, del Governo attuale.

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