Opera Omnia Luigi Einaudi

La protezione sugli zuccheri

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 12/02/1925

La protezione sugli zuccheri

«Corriere della Sera», 12 febbraio 1925

Cronache economiche e politiche di un trentennio (1893-1925), vol. VIII, Einaudi, Torino, 1965, pp. 75-79

 

 

 

A proposito della dibattuta questione del ripristino della protezione sugli zuccheri deliberata parzialmente dal consiglio dei ministri di ieri, il dott. E. Risso, direttore dell’Unione zuccheri, ci scrive la seguente lettera:

 

 

Signor direttore,

 

 

L’on. Einaudi, nell’articolo sul dazio dello zucchero pubblicato nel pregiato suo giornale, fonda la sua tesi circa il «problema del presente» sulla premessa che tutti gli interessati hanno «coltivato, lavorato, prodotto ecc. ecc. sulla base della libertà di introduzione dello zucchero estero in franchigia».

 

 

Desiderando di mostrare che l’on. Einaudi è caduto in errore nel formulare tale premessa, dobbiamo pregarla di consentirci una risposta.

 

 

Il dazio doganale dello zucchero, di cui i produttori chiedono, da parecchi mesi, il ripristino, venne approvato dalla camera dei deputati nel giugno del 1923, vigente, da appena un mese, il decreto di sospensione temporanea del dazio doganale dello zucchero.

 

 

Perché venne stabilito tale dazio doganale? Evidentemente perché, come risulta, del resto, chiaramente dagli atti parlamentari, si riconobbe che la nostra industria saccarifera si svolge in condizioni di inferiorità in confronto di quella dei paesi concorrenti e perciò vi era la necessità di difenderla contro la concorrenza estera con un dazio doganale.

 

 

Perché, invece, tale dazio era stato sospeso temporaneamente un mese prima che venisse stabilito nell’attuale misura di 18 lire-oro e continuò ad essere sospeso temporaneamente anche dopo la sua approvazione? Lo dice molto chiaramente la relazione delle commissioni parlamentari sul disegno di legge riguardante la nuova tariffa generale dei dazi doganali, relazione in base alla quale il citato decreto di temporanea sospensione del dazio venne emanato. Non abbiamo perciò che da trascriverne fedelmente la parte che ci interessa (pagina 136 di detta relazione, presentata alla presidenza della camera dei deputati l’8 maggio 1923):

 

 

«Oggi lo zucchero (nazionale) viene venduto a lire 575 e cioè lire 275 più 300 di tassa di fabbrica.

 

 

Lo zucchero estero costa oggi in America dollari 16 ed in Inghilterra lire-sterline 34, con un rinvegno quindi, ai cambi odierni, di circa lire 300 al quintale cif porti italiani.

 

 

Se dobbiamo aggiungere il dazio doganale di lire-oro 18, coefficiente 0,7 e cioè lire-oro 30,60 e quindi lire italiane 120 per quintale, lo zucchero rinverrebbe lire 420 al quintale. Aggiungendo la tassa di fabbrica in lire 300, che il decreto per le tariffe doganali accolla anche alle provenienze estere, avremmo un prezzo all’ingrosso di lire 720 contro lire 575 odierne. E questo per due mesi, giacché in agosto, col nuovo raccolto, si ritornerebbe alle lire 575 se non al disotto come è probabile».

 

 

E dopo aver prospettato le varie soluzioni possibili la relazione suddetta conclude:

 

 

«Quindi unica soluzione: Sospendere l’applicazione del dazio limitatamente ai mesi suddetti».

 

 

E non basta! Prima di impegnare la superficie per la campagna 1924-25 (135.000 ettari) e cioè nel mese di gennaio 1924, i bieticultori e gli industriali dello zucchero chiesero al governo quale era il trattamento che si intendeva dare all’industria per la campagna suddetta nel caso in cui, come era probabile, fossero cambiate le condizioni del mercato dello zucchero estero che determinarono la sospensione temporanea del dazio doganale dello zucchero. Nessuno dei membri del governo interpellati disse allora che fosse intenzione del governo stesso di fare un esperimento liberista sull’industria saccarifera, conservando la sospensione del dazio almeno per tutta la campagna 1924-25. Anzi, avemmo l’assicurazione che, se si fossero verificate condizioni di mercato tali da giustificare l’applicazione della legge doganale costituita in difesa dell’industria, il dazio sarebbe stato ripristinato, questa essendo appunto la sua funzione; mentre la sospensione del dazio stesso era ed avrebbe continuato ad essere giustificata solo in quanto perdurassero quelle condizioni di mercato che l’avevano determinata. Questi concetti furono confermati in un documento ufficiale emesso in conseguenza del detto nostro passo e cioè in un comunicato del ministero dell’economia nazionale (attuale governo) diramato a mezzo dell’agenzia Stefani nel febbraio 1924, che qui trascriviamo:

 

 

«Avvicinandosi l’inizio della nuova campagna bietolifera è opportuno che così gli industriali dello zucchero come i coltivatori di bietole sappiano, fin d’ora, che il governo non intende, in alcun modo, di intervenire nei loro rapporti, né in alcun modo creare ad essi condizioni o trattamenti speciali. Il governo è perfettamente consapevole dell’importanza dell’industria zuccheriera nei riguardi così industriali come agricoli, né intende disinteressarsi del suo avvenire, ma ciò entro quegli stessi limiti e modi che sono normalmente usati per qualsiasi altro ramo dell’attività economica nazionale e, in ogni caso, ben tenendo presente che di una più o meno economica organizzazione dell’industria solo gli industriali debbono sentire gli effetti».

 

 

Ci sembra che quanto abbiamo sopra esposto basti a dimostrare non essere assolutamente vero che i produttori dovevano fare i loro conti preventivi della campagna 1924-25 tenendo presente che il dazio dello zucchero era sospeso. Perché, se essi avessero potuto prevedere che questa sospensione sarebbe durata anche quando le condizioni del mercato dello zucchero estero fossero tornate normali, non avrebbero potuto impegnare un solo ettaro di superficie per la campagna stessa. E, del resto, ciò è logico ed intuitivo, perché se bastasse variare l’impostazione dei conti all’inizio della campagna bietolifera per superare le condizioni di inferiorità della nostra industria in confronto di quella straniera, la questione doganale dello zucchero non esisterebbe.

 

 

Non abbiamo bisogno di aggiungere altro, perché, dimostrata errata la premessa, tutto il resto cade. Vogliamo però, anche qui, protestare contro il trattamento che è stato fatto alla nostra industria nella campagna in corso, trattamento che nessuna contraria argomentazione potrà mai dimostrare che non sia stato iniquo ed ingiusto sotto ogni rapporto.

 

 

All’on. Einaudi spiace, a quanto pare, che l’industria saccarifera indigena sia chiamata «grande industria nazionale». Gli abbiamo risparmiato questo dispiacere. Però osserviamo che non è nemmeno una quantità trascurabile nell’economia del paese e bastano queste poche cifre a dimostrarlo:

 

 

  • impianti: oltre un miliardo di lire al valore attuale;
  • salari e stipendi: lire 120 milioni;
  • maggiori salari pagati dall’agricoltura per la coltivazione della barbabietola in confronto delle altre colture che la possono sostituire: lire 200 milioni;
  • spese di trasporto pagate nell’ultima campagna per le sole materie prime: lire 150 milioni;
  • ettari coltivati 135.000; valore delle barbabietole prodotte: lire 650 milioni.

 

 

Unione Zuccheri – Il Direttore

E. RISSO

 

 

Si vede che il direttore dell’Unione zuccheri ha un’idea ben singolare del valore degli impegni governativi e delle modalità con cui tali impegni sorgono. Nella confusione del dopo-guerra i confini fra legge, decreto-legge, decreto, regolamento, circolare, lettera di un ministro e persino discorso scambiato in un corridoio del parlamento hanno finito per avere lo stesso valore. Ma siccome la guerra è finita da sei anni e più, dovrebbe esser finito per sempre il tempo in cui una lettera o qualcosa di meno di un ministro equivalevano ad una legge.

 

 

Ricordo ai lettori che nel mio articolo io non discutevo menomamente la questione della convenienza di ripristinare per l’avvenire (campagna 1925-26 e semine di bietole nella primavera 1925) la protezione doganale sullo zucchero. Discutevo esclusivamente la questione passata ed affermavo che lo zucchero della campagna in corso era stato prodotto da gente che ben sapeva di non poter fare assegnamento sul dazio.

 

 

L’Unione zuccheri nega ed a suffragio della sua negazione cita:

 

 

  • Un brano di una relazione parlamentare in cui si considera come temporanea la sospensione del dazio. Ognuno sa che le relazioni parlamentari non hanno alcun valore obbligatorio d’interpretazioni neppure per le leggi vigenti. Arrivederci per le leggi sperate, come qui sarebbe il caso.

 

  • Affidamenti verbali di singoli ministri di vedere, di riconsiderare, di ristudiare quando fossero mutate le condizioni, ecc. ecc. Sono le solite cose che tutti i ministri di tutti i paesi del mondo dicono alle solite deputazioni che invocano qualche provvedimento. Ci mancherebbe altro che affidamenti di tal genere dovessero reputarsi equivalenti a legge scritta!

 

  • Un comunicato del ministero dell’economia nazionale, il quale, a leggerlo spassionatamente, dice in sostanza che il governo non intende ristabilire il dazio ed espressamente avverte in tempo (febbraio 1924) gli interessati di badare essi ai fatti loro e di regolarsi a ragion veduta, ché il governo si riservava piena libertà di intervenire o non intervenire.

 

 

E questo è tutto. Su questo tutto che è niente, gli zuccherieri dicono ora di essersi fondati per pagare prezzi stravaganti per le bietole e per avanzare la pretesa ad essere indennizzati da terzi delle conseguenze dei proprii errori. Credo che sia calunniare gli zuccherieri l’attribuire loro tanta leggerezza quanta sarebbe occorsa se davvero si fossero avventurati a produrre, rischiando milioni, sul fondamento di così fragili assicurazioni del genere di quelle elencate sopra. Un industriale serio non si azzarda; o se si azzarda, sa che le conseguenze del suo errore devono giustamente ricadere su lui solo. è impossibile credere che gli zuccherieri si siano comportati così leggermente. Essi speravano di guadagnare; speravano forse anche di ottenere il ristabilimento del dazio se il mercato si fosse voltato loro contro. Ma non adoperino parole grosse di «iniquità» e di «ingiustizia» e non si abbia l’aria di avere ottenuto a mala pena ciò che il governo aveva il dovere di dare.

 

 

Nessun diritto e nessun dovere. Il governo ha concesso 9 lire-oro di dazio, senza maggiorazione, pari a lire-carta 41,76, ossia la metà di quanto gli zuccherieri chiedevano; e l’ha dato senza obbligo. I motivi e le condizioni del dono dovranno essere pubblicati a suo tempo sulla «Gazzetta Ufficiale» nella relazione al decreto di ristabilimento del dazio. Quei motivi potranno essere considerati buoni o cattivi; ed in ogni caso si riferiranno all’avvenire, non mai al passato. Sarebbe enorme che un qualsiasi governo riconoscesse di dover pagare – o far pagare ai contribuenti – una sola lira per un impegno non mai assunto. I motivi della concessione delle 9 lire si riferiscono evidentemente all’avvenire, alla possibilità che gli zuccherieri non stipulino in febbraio i contratti di semina e lascino 25.000 operai disoccupati, alla eventualità che lo zucchero vecchio indigeno non venga ribassato di prezzo e l’ostinazione nel non vendere provochi grosse compere di zucchero estero, alla lagnanza che riserve delle società vecchie e capitale delle nuove siano perduti e non possano più lavorare. Tutto ciò è discutibile. Occorrendo se ne discuterà. Ma è sempre avvenire; non passato. Non è riconoscimento inammissibile di un diritto, che sarebbe pericolosissimo ammettere mai anche solo per figura retorica. Chi salverebbe il paese ed il tesoro dalle postume richieste degli industriali negli anni in cui gli affari fossero, contrariamente alle previsioni, andati male ed alle predisposte prove di vaghi impegni?

 

 

Non dico nulla sulla allegata mia «dispiacenza» per il qualificativo di «grande» applicato alla industria zuccheriera. Il problema degli aggettivi adatti agli zuccherieri non fu da me posto; e non ha nulla a che fare col punto discusso. è tema proprio della convenienza della protezione zuccheriera. Non ne parlai perché non mi «piace» affastellare insieme argomenti disparati.

 

 

Torna su