Opera Omnia Luigi Einaudi

La scomunica di Colajanni

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 20/08/1901

La scomunica di Colajanni

«La Stampa», 20 agosto 1901

 

 

 

Ci telegrafano da Roma, 19, ore 9,35:

 

 

Il Consiglio direttivo dell’Associazione democratica Felice Cavallotti, considerato che le idee espresse dal deputato Napoleone Colajanni nel discorso per la morte dell’onorevole Crispi contraddicono a quanto egli scrisse nel suo libro sugli avvenimenti in Sicilia nel 1894 e sulle loro cause; ritenuto che con tale discorso l’on. Colajanni sconfessò completamente le idee politiche fin qui professate, emise un voto di biasimo per tale condotta, invitando il Comitato centrale del partito repubblicano ad espellere Colajanni dal gruppo parlamentare repubblicano.

 

 

Col bando inflitto all’on. Colajanni – il quale è certamente uno dei più vigorosi scrittori e uomini politici dell’Estrema Sinistra, ed a cui non si può dai suoi avversari fare certo il rimprovero della mancanza di sincerità – i repubblicani dimostrano di essere animati esclusivamente da spirito settario. Essi avrebbero voluto che il Colajanni, fiero avversario del Crispi e fieramente avversato dal Crispi, scrivesse e dicesse, anche dopo la morte di questi, delle contumelie al suo indirizzo. Il che egli non fece, onde i repubblicani lo espellono dal partito, non curandosi nemmeno di leggere l’articolo (uguale al discorso di Caltanissetta) che il Colajanni ha pubblicato sulla sua Rivista Popolare intorno a Francesco Crispi.

 

 

In questo articolo l’on. Colajanni, pur riconoscendo i meriti politici, patriottici e legislativi dell’on. Crispi, non manca di porre in luce i suoi difetti, i suoi errori e le sue colpe.

 

 

Lo accusa di giacobinismo, di orgoglio, di megalomania; dice non lodevole la parte presa da Crispi negli affari Lobbia. Proclama disastrosa per il Paese, specialmente dal punto di vista economico, l’opera sua di presidente del Consiglio dei ministri; dice inane la sua politica estera, lo accusa di avere da ministro accettato la politica coloniale e militare combattuta come deputato, ecc., ecc..

 

 

Ben lungi dal rinnegare, come dice il nuovo sinedrio dell’Associazione «Felice Cavallotti», quanto egli aveva scritto nel libro sugli avvenimenti di Sicilia nel 1894, il Colajanni ricorda come all’avvento del secondo Ministero Crispi si sperasse molto nell’autorità del ministro siciliano per ristabilire l’ordine senza menomare le pubbliche libertà in Sicilia. «Invece egli, dopo quindici giorni, abbandonavasi pazzamente nelle braccia della più sfrenata reazione, che divenne sistematica dopo l’assassinio di Carnet e l’attentato Lega, colla legge cosidetta antianarchica, applicata coi criteri più decisamente liberticidi, e più tardi colla famosa epurazione delle liste elettorali».

 

 

Se il Colajanni riconosce e tributa lode all’amore intensissimo di Crispi per una Italia grande e gloriosa, si affretta però a soggiungere: «Ma la sua ignoranza dell’economia e delle scienze sociali rese vano in gran parte questo suo grande amore alla patria, di cui non seppe e non poté mai valutare al giusto le condizioni reali e metterle in esatto rapporto con quello degli altri paesi. Egli credeva in una Italia prodigiosamente ricca, e la cui ricchezza poteva aumentarsi smisuratamente con una politica ardita ed inframmettente. Credeva doveroso ed utile pel nostro Paese ciò che non era sicuro che lo fosse per altre nazioni, che della nostra erano assai più ricche per risorse naturali e per evoluzione industriale avanzata. Donde la sua megalomania vera; altrimenti non potrebbe qualificarsi la sua passione per la grandezza d’Italia che doveva riuscire disastrosa pel Paese, perché condusse ad una politica nella quale era esiziale la immensa sproporzione fra i mezzi ed il fine, che doveva produrre sacrifizi grandi e sforzi economici superiori alle forze reali, non seguiti da risultati adeguati e producenti in ultimo un senso penoso di sconforto, contrario alle intenzioni di chi voleva produrre una tonizzazione della energia nazionale».

 

 

Questo non è certo il linguaggio di un adulatore, ma di uno che si sforza ad essere storicamente imparziale.

 

 

Che si voleva di più dai repubblicani? Forse che il Colajanni, mentre apertamente biasimava i difetti del Crispi, nascondesse quello che agli occhi suoi apparivano i meriti del morto statista? Facendo così, avrebbe operato da settario velenoso. Egli non volle degradarsi in tal modo; ed ora noi assistiamo ad una nuova scissura nel partito repubblicano. Né sarà l’ultima, poiché agli animi onesti deve ripugnare vivere insieme con chi quotidianamente si pasce di odio e di veleno partigiano.

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