Opera Omnia Luigi Einaudi

La scuola elementare nei maggiori comuni italiani

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 07/08/1910

La scuola elementare nei maggiori comuni italiani

«Corriere della sera», 7 agosto 1910

 

 

L’Unione statistica delle città italiane pubblica per la terza volta, a cura del benemerito prof. Ugo Giusti, capo dell’ufficio di statistica del Comune di Firenze, l’Annuario delle città italiane, che già negli anni decorsi ottenne l’unanime plauso degli studiosi e degli amministratori, italiani e stranieri. Cresce pregio al terzo Annuario la pubblicazione di una estesa bibliografia municipale e di una statistica comparata, in cifre assolute e proporzionali, dei grandi Comuni italiani. In una serie di tabelle sistematicamente ordinate si leggono dati sul movimento demografico (matrimoni, nati, vivi, morti, immigrati, emigrati, eccedenza migratoria), sulle finanze (entrate e spese effettive, debiti, impiegati, pensionati, ecc.), sulla coltura pubblica (sposi analfabeti, insegnanti elementari, alunni delle scuole, periodici politici, teatri, cinematografi, sull’assistenza pubblica (ospedali, patrimonio e spese delle Congregazioni di carità), sui servizi pubblici (strade, passeggi, illuminazione, licenze di abitabilità, incendi, ecc.). È un vero quadro in cifre della vita pubblica di 282 grandi Comuni italiani; quadro che ha le sue luci e le sue ombre, che ammaestra e fa pensare.

 

 

Oggi che la questione della scuola elementare è vivamente discussa non sarà inutile estrarre dall’Annuario alcuni dati che valgano a dare un’idea dello stato dell’istruzione elementare nei Comuni maggiori. Le cifre si riferiscono all’anno scolastico 1907-908, che è l’ultimo per cui si poterono raccogliere notizie generali e riguardano solo i maggiori Comuni, cosicché non se ne potrebbero trarre conclusioni valide per i piccoli Comuni rurali. Il numero più elevato di aule scolastiche, di insegnanti e di alunni è dato dalla città di Milano con 1104 aule, 1424 maestri e 50.096 alunni; seguono: Roma con 964 aule, 993 maestri e quasi 38 mila alunni; Napoli con 800 aule, altrettanti maestri e quasi 32 mila alunni.

 

 

Torino aveva 672 aule, 669 insegnanti e 28.566 alunni; Genova 502 aule, 538 insegnanti e 21.080 alunni iscritti. Nel confronto delle cifre proporzionali della frequenza degli alunni delle scuole elementari in relazione alla popolazione, bisogna tener conto che in tali cifre hanno influenza, insieme alla quantità maggiore o minore di fanciulli che si sottraggono all’obbligo, la maggiore o minore quantità di scuole private confessionali e laiche in ogni singola città e la composizione della popolazione nel suo complesso (abbondanza o scarsità di bambini). Per tali cause le percentuali di alunni iscritti nei Comuni maggiori (ove più numerose sono le scuole private) non differiscono molto e rimangono anzi talvolta al disotto delle medie per compartimenti rilevate dalla direzione generale della statistica.

 

 

Così Torino con una percentuale di frequenza di 7.6 per mille abitanti resta assai al disotto della media del Piemonte, che è di 11.8; ma bisogna notare che oltre ai 28.566 iscritti nelle scuole comunali, oltre 7000 fanciulli frequentano in quella città scuole serali o festive ed altri 4500 circa le scuole private. Fatta tale osservazione sulla confrontabilità delle cifre, è interessante rilevare che le cifre di frequenza più elevate e superiori al 10 per cento degli abitanti, sono date dalle città di Alessandria, Belluno, Busto Arsizio (massimo di 13.5 per cento), di Cuneo, Imola, Monza, Pavia, Reggio Emilia, Rovigo, Sestri Ponente, Treviso, Udine.

 

 

Le spese per la istruzione elementare variano notevolmente da un massimo di lire 268.88 per alunno e di lire 17.76 per abitante a Grosseto, a un minimo di lire 19.79 per alunno a Prato e di lire 1.21 per abitante a Chioggia. Tra i grandi Comuni Bologna spendeva lire 64.47 per alunno e lire 5.54 per abitante, Catania lire 55.16 e lire 3.65 rispettivamente, Firenze lire 147.69 per alunno lire 9.94 per abitante, Genova lire 152.50 e lire 11.56, Milano lire 137.83 e lire 11.68, Napoli lire 68.32 e lire 3.63, Roma lire 110.60 e lire 7.64, Torino lire 129.01 e lire 9.82, Venezia lire 73 e lire 5.13. Nelle 11 maggiori città italiane la spesa assoluta per l’istruzione pubblica è cresciuta dal 1879 al 1909 nelle seguenti proporzioni (in migliaia di lire):

 

 

 

1879

1909

Incremento

Napoli

1.203

4.998

286%

Milano

1.544

8.577

455%

Roma

1.341

13.169

882%

Torino

1.762

4.564

159%

Palermo

608

1.682

176%

Genova

897

4.793

434%

Firenze

780

1.767

124%

Bologna

514

1.774

167%

Catania

239

870

222%

Venezia

248

1.707

583%

Livorno

269

1.323

392%

Totale delle 11 città

9.504

45.224

375%

 

 

Certo, vi sono differenze notevoli fra Comune e Comune; e talvolta la progressione fu più lenta dove si era già arrivati, come a Torino, ad un grado notevole di progresso. In tutte le grandi città si nota però uno sforzo non piccolo per migliorare le sorti dell’istruzione elementare; onde si comprende come il legislatore abbia rivolto le sue provvidenze in ispecie a favore dei piccoli Comuni.

 

 

Per valutare la efficacia della scuola nel miglioramento della coltura pubblica non basta considerare il numero degli iscritti: importa assai sapere quanti di questi fanciulli frequentino regolarmente ed assiduamente le scuole stesse, vengano promossi da classe a classe e conseguano il certificato di proscioglimento o di licenza elementare. Orbene, su 100 alunni iscritti in complesso, ne rimanevano a fine d’anno oltre 90 nelle città di Bologna, Como, Faenza, Imola, Lecco, Lucca, Milano, Monza, Novara, Ragusa; la minore assiduità si aveva a Belluno ove soltanto il 58% degli alunni iscritti si presentò agli esami finali. Le più alte percentuali di promozioni si avevano a Novara e Torino con oltre 90% degli alunni promossi a fine d’anno; le più basse ad Andria col 51.3% ed a Caltagirone col 45.4%. Molto grande è purtroppo il numero degli alunni che, iscritti alla 1 classe elementare abbandonano la scuola anche prima della fine del corso inferiore: soltanto in alcune città il numero degli iscritti alla 3 classe supera il 90 % degli iscritti alla 1 e cioè per i maschi: ad Alessandria, Biella, Bologna, Brescia, Civitavecchia, Como, Lodi, Milano, Monza, Novara, Pavia, Roma, Salerno, Terni, Verona; per le femmine ad Alessandria, Bologna, Lecco, Lodi, Monza, Novara, Pavia, Salerno.

 

 

Addirittura straordinaria è la diminuzione degli alunni quando si giunge alla 5 classe: in alcune città non rimase nella 5 classe neppure il 5% degli iscritti alla 1. Così per i maschi a Belluno, a Chioggia, a Perugia, a Ragusa; per le femmine ad Andria, a Bari, a Belluno, a Biella, a Brindisi, a Caltagirone, a Cesena, a Chioggia, a Livorno, a Lucca, a Marsala, a Prato, a Ragusa, a Reggio Emilia ed a Treviso. Le più alte percentuali di frequenza in 5 classe di fronte alla 1 si ebbero per i maschi: ad Alessandria, a Biella, a Bologna, a Lecco, a Milano, a Novara, a Salerno ed a Terni con oltre il 30 %; per le femmine tale percentuale fu superata solo a Bologna, Lecco, Milano e Salerno.

 

 

Fra le città nelle quali appaiono ampiamente sviluppate le istituzioni di beneficienza scolastica, tiene il primo posto Milano, con un servizio di refezione scolastica, pel quale furono spese nel 1908 oltre 300 mila lire.

 

 

Seguono: Roma con L. 125 mila, Firenze con L. 121 mila, Bologna, Genova e Torino con cifre vicine alle 100 mila lire. Le spese di altri Comuni per tale titolo si mantennero in limiti molto più bassi: nelle città meridionali ed in Sicilia la refezione scolastica mancava quasi totalmente.

 

 

 

Per alcune città si poterono avere notizie particolareggiate intorno alla condizione sociale dei genitori ed alla statistica dei soggetti all’obbligo dell’istruzione.

 

 

A Firenze, ad es., su 15.051 alunni, 71 erano figli di genitori viventi di reddito, 91 di pensionati, 80 di militari superiori, 147 di militari inferiori, 571 di industriali e commercianti, 1144 di esercenti, 481 di professionisti ed artisti, 1039 di impiegati pubblici, 487 di impiegati privati, 252 di commessi di negozio, 190 di inservienti di pubblici uffici, 349 di ferrovieri, 134 di tramvieri, 121 di agenti postali e telegrafici, 217 di lavoranti oggetti di lusso, 884 di lavoranti legno e paglia, 118 di lavoranti prodotti chimici, 273 di lavoranti carte e tipolitografici, 862 di lavoranti nell’industria del vestiario ed acconciatura della persona, 725 di meccanici e metallurgici, 924 di muratori ed affini, 210 di tessitori e tintori, 96 di lavoranti nelle industrie alimentari, 571 di coloni e lavoratori della terra, 2513 di persone di servizio e fatica, 782 di girovaghi, 188 di operai in genere e 1501 di genitori con professione ignota.

 

 

A Milano, secondo il censimento scolastico del 1907-908, il numero totale dei soggetti all’obbligo dell’istruzione elementare era di 54.001, uguale al 91% della popolazione. Di questi, 48.780, ossia il 90%, ottemperarono all’obbligo: 44.260 in iscuole pubbliche, 3289 in iscuole private, 799 in iscuole secondarie e 432 in casa. Dei 5221 ragazzi che si sottrassero all’obbligo, 375 lo fecero per malattia e condizioni speciali di famiglia, 185 per negligenza dei genitori, 2825 per trasferimento in altri Comuni e 1836 rimasero irreperibili.

 

 

Perché queste notizie, che gittano tanta luce sulle condizioni della scuola elementare nei maggiori Comuni italiani? Perché quello che fa l’iniziativa intelligente dell’Unione statistica delle città italiane, non fa lo Stato per tutti i Comuni? Urge rinnovare, insieme con la scuola, la notizia dei frutti che la scuola dà. Non sarà questo uno dei minori frutti della riorganizzazione della direzione generale di statistica, che fu promessa in una legge dello Stato e che sarebbe grave torto del Governo ritardare.

 

 

Operare sta bene; ma importa non operare all’oscuro.

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