Opera Omnia Luigi Einaudi

La tempesta monetaria

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 22/08/1943

La tempesta monetaria

«Corriere della Sera», 22 agosto 1943

Il buongoverno. Saggi di economia e politica (1897-1954), Laterza, Bari, 1954, pp. 295-299

 

 

 

 

Heri dicebamus… Un mese prima del giorno nel quale Luigi Albertini era forzato ad abbandonare il governo ed Alberto Albertini la direzione di questo giornale, avevo cercato, il 29 ottobre 1925, di dimostrare che talune tacite simpatie dei ceti industriali ed agricoli verso una politica inflazionistica urtavano contro la vanità delle emissioni cartacee. Sembrava e sembra ancora a molti i quali debbono far la paga a fine settimana, onorare le tratte giunte a scadenza, pagare le materie prime della propria industria, che l’emettere biglietti non sia pericoloso perché il biglietto corrisponde in questo caso ad un affare sano, a merce realmente esistente, ad un lavoro effettivamente compiuto.

 

 

Domani, al ritorno della pace, costoro ricominceranno a dire: sui 96.541 milioni di biglietti della Banca d’Italia circolanti, secondo le recentissime dichiarazioni del ministro delle finanze, alla data del 20 luglio 1943, ve ne erano 92.121 emessi, a detta dello stesso ministro, per conto diretto ed indiretto del tesoro, ossia per fronteggiare le spese di guerra e solo 4.400 milioni circolavano per conto del pubblico, ossia perché erano stati inizialmente emessi per essere dati a prestito a noi che lavoravamo e producevamo merci e derrate desiderate dal pubblico dei consumatori. Questa seconda specie di biglietti non può far male perché ad essa corrisponde una realtà di cose materiali, utili, desiderate, sempre atte a procacciar denaro a chi le possiede.

 

 

Al solito, in un articolo di giornale non ci si può attardare ad esporre le premesse, riserve e condizioni dei problemi trattati, ma si deve chiarire, sotto pena di creare confusione nella testa dei lettori, una idea sola; epperciò, come già diciotto anni fa alla vigilia di sospendere il mio ufficio di pubblicista, mi limiterò a chiarire che le simpatie verso l’inflazione buona sana produttivistica sono fondamentalmente prive di sostanze. C’è in esse una vaga intuizione di qualcosa che meriterebbe di essere studiato, ma è bene insistere preliminarmente sulla fondamentale vanità dell’idea. In quel lontano articolo avevo costrutto uno specchietto assai semplice, nel quale si mettevano a confronto le situazioni al 31 dicembre 1913 ed al 31 agosto 1925. Al 31 dicembre 1913 la quantità circolante di biglietti era di 2.800 milioni di lire, ed al 31 agosto 1925 quella quantità era cresciuta a 21.500 milioni. Gli italiani si vedevano scivolare fra le dita 7,7 volte tanto biglietti da 50, 100, 500 e mille lire. Parevano molti e pareva di potere con tanti più biglietti fare assai più di prima e produrre molta più roba buona, utile desiderata da tutti. Vanitas vanitatum et omnia vanitas si potrebbe ripetere con l’Ecclesiaste. Il valore di quei tanti biglietti era diminuito in proporzione inversa alla loro quantità. I 2.800 milioni del 1913 avevano quella tale capacità di acquisto che era loro propria e che noi possiamo indicare con n. 1; e perciò come potenza d’acquisto valevano 2.800 milioni. I 21 mila e 500 milioni del 31 agosto 1925 avevano una potenza d’acquisto assai minore, che, sulla base dei dati ufficiali, calcolavo in 0,138 per unità. Se noi moltiplichiamo 21.500 milioni di lire per 0,138 noi dobbiamo concludere che i 21.500 milioni del 1925 avevano una potenza d’acquisto di 2.900 milioni di unità.

 

 

Tanto fracasso, tanto scompiglio, tanta moltiplicazione di cifre, di redditi, di patrimoni, di frutti, di prezzi, di salari, tanto rinfacciarsi reciproco di sfruttatori, profittatori, speculatori, ecc., per giungere quasi alla stessa realtà di prima! Il che non vuol dire che, a pescar nel torbido delle cifre grosse nominali monetarie, molti non si fossero arricchiti e moltissimi impoveriti; ché anzi questa fu la tragedia vera di quelle emissioni cartacee e questa fu l’origine prima degli sconvolgimenti sociali e politici derivati dalla guerra passata. Da quella tregenda non nacque certamente alcun risultato effettivo di realtà diversa e maggiore di prima.

 

 

Ed ora? Non sono in grado di rifare lo specchietto del 1925. Oggi, noi studiosi di cose economiche, al pari di ogni altra categoria di studiosi, lavoriamo male. Gli annuari, le statistiche, le cifre che ci sono, sono rimasti in città, nascosti in cantine o messi in case; e, peggio, statistiche e dati non si pubblicano più per una sbagliata ragione di tutela dell’interesse pubblico. Auguro che non solo il ministero delle finanze, ma tutti i ministeri e l’ufficio centrale di statistica, riprendano la pubblicazione periodica, rapida delle situazioni e dei dati monetari, finanziari ed economici, di tutti i dati i quali valgano a far conoscere la effettiva situazione in cui noi ci troviamo. La verità, per quanto grave, non sarà mai così brutta come l’immaginazione fantasticante intorno ad una realtà non conosciuta.

 

 

Se lo specchietto del 1925 non si può con serietà rifare, per mancanza ed ignoranza di dati, si può tentare di imitarlo per congettura. Al 30 giugno del 1935 i biglietti della Banca d’Italia si aggiravano sui 17 miliardi di lire; ed oggi ammontano a 96,5 miliardi, 5,7 volte tanto. Supponiamo che i 17 miliardi di lire del 1935 acquistassero con ciascuna lira una unità di roba: merci, derrate, servizi personali, fitti di case, ossia acquistassero 17 miliardi di unità: Quante unità acquistano i 96,5 miliardi odierni? Se interroghiamo i dati ufficiali sul costo della vita dovremmo dire che la potenza d’acquisto della lira sia ridotta a qualcosa come 0,40-0,50 in confronto all’1 del 1935. I 96,5 miliardi di lire avrebbero una potenza d’acquisto di circa 43 miliardi di unità di roba in confronto ai 17 miliardi che si acquistavano coi 17 miliardi di lire innanzi alla guerra etiopica. Noi sentiamo che la conclusione non può essere vera. Dove è tutta questa roba che si dovrebbe poter acquistare in più in confronto al 1935? Anche includendovi, come si deve, tutte le cose necessarie alla guerra, è chiaro che questa non è la realtà.

 

 

Due sono le spiegazioni. La prima è che il 96,5 miliardi di lire di biglietti sono bensì stati emessi, ossia imprestati a qualcuno, dalla Banca d’Italia; ma non tutti circolano. È probabile che almeno 20 miliardi siano tesaurizzati, ossia tenuti in cassa o nel materasso da chi vuole avere denaro liquido, liquidissimo per provvedere alle urgenze improvvise della vita in momenti difficili. Quel che circola, in parte circola più lentamente. È un’altra specie di tesaurizzazione. Non si sa perché, ma si preferisce tenere sottomano il biglietto per spenderlo se viene l’occasione. Ogni giorno di più di dimora del biglietto in tasca è un giorno di tesaurizzazione. Il biglietto è come se non esistesse. Nei libri degli economisti il fatto si esprime dicendo essere diminuita la velocità di circolazione della moneta. Che diminuisca il numero o diminuisca la velocità di circolazione dei biglietti è la stessa cosa.

 

 

La seconda spiegazione è il mercato nero. La potenza di acquisto della lira si calcolò sopra essere diminuita dal 1935 al 1943 come da 1 a 0,40-0,50 sulla base del costo della vita. Ma questo, a sua volta, è calcolato sulla base dei prezzi dei generi di tessera. Certamente questi sono prezzi veri per le cose che si possono acquistare a prezzi di tessera. Ma sono veri anche i prezzi di mercato nero. Per far calcoli esatti, bisognerebbe conoscere quali sono i prezzi di mercato nero e quanta parte di ciò che si spende si indirizzi al mercato nero in confronto a ciò che va al mercato legale. Tante curiosità, tante incognite. Prezzi e proporzione variano da luogo a luogo, da famiglia a famiglia, da un giorno all’altro. Facciamo, per tagliar corto, l’ipotesi grossolanissima, che in media tra mercato bianco e nero la capacità d’acquisto della lira si sia ridotta dal 1935 al 1943 da 1 a 0,25; e facciamo l’ipotesi anche incertissima, che, dedotte le varie specie di biglietti tesaurizzati, i biglietti effettivamente circolanti ci aggirino sui 70 miliardi. So che i colleghi statistici a giusta ragione giudicheranno queste ipotesi come cervellotiche. Ma poiché probabilmente anche essi non sono in grado di offrire ipotesi migliori, tanto vale ragionare sulle mie. Ecco che dividendo 70 per 0,25 noi possiamo calcolare che la gran massa dei biglietti oggi circolanti acquista 17,5 miliardi e mezzo di unità di roba in confronto ai 17 miliardi che si acquistarono nel 1935 coi 17 miliardi di lire circolanti allora. Con questa differenza, che nel 1913 i 17 miliardi per due terzi circa erano roba utile in tempo di pace e nel 1943 i 17,5 miliardi sono per assai più di metà composti di roba che serve alla guerra.

 

 

Astrazion fatta da ciò, non è evidente che tutto questo colossale edificio di carta stampata è composto di vuoto, di nulla di reale? Purtroppo, questo è un vuoto reale che turba gli animi e scatena gli uomini gli uni contro gli altri. Attenuare, limitare, compensare i disastri della tempesta monetaria attuale, sarà il massimo problema sociale del dopoguerra. Fu già così dopo il 1918; e dal non aver veduto ciò chiaramente, derivò in gran parte la tragedia dei venticinque anni che or terminano nel sangue.

Torna su