Opera Omnia Luigi Einaudi

La tragicomica storia delle patate tedesche

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 15/05/1916

La tragicomica storia delle patate tedesche

«Corriere della Sera», 15 maggio 1916[1]

Cronache economiche e politiche di un trentennio (1893-1925), vol. IV, Einaudi, Torino, 1961, pp. 351-355

 

 

Le dimissioni del ministro dell’interno tedesco Delbruck sono state interpretate logicamente come la conferma del fallimento di una delle tante «organizzazioni» germaniche, l’organizzazione dell’alimentazione. Val la pena di esporre, con l’analisi delle statistiche e con la cronologia della tragicomica vicenda delle patate, l’insuccesso di quella organizzazione. È stato scritto, l’articolo, prima che il ritiro di Delbruck fosse noto e il valore dell’argomentazione è accresciuto singolarmente dal fatto: non si tratta infatti di una dimostrazione costruita sul presupposto di una conseguenza nota di certi fenomeni, ma della interpretazione originale dei fenomeni stessi.

 

 

Alcune notizie, le quali sembrano avere le caratteristiche della attendibilità, dimostrerebbero che anche in Germania lo spirito di «organizzazione» non è riuscito ad ottenere quei miracoli, che molti da noi si attendevano e grazie a cui si continuava ad «ammirare» il nemico. Poiché non ho mai partecipato al culto dell’«organizzazione» in materia economica, mi sia lecito porre in rilievo alcuni pochi fatti, i quali mi sembrano incoraggianti non perché ci facciano sperare una resa dei nemici per esaurimento economico – finora i dati certi sono insufficienti a legittimare una conclusione in tal senso, né noi dobbiamo sperare la salute dalla debolezza altrui, sibbene dalla forza nostra ma perché provano che i miracoli non sono di questo mondo e che, attraverso ad eventuali errori, non vi è ragione di ritenerci meno atti a raggiungere fini analoghi a quelli che la fama pretende essere stati conseguiti dai tedeschi.

 

 

Se la preparazione in pace e l’organizzazione in guerra fossero stati economicamente così efficaci in Germania come si va dicendo; se quel paese avesse davvero saputo creare un mercato chiuso bastevole a se stesso, l’effetto avrebbe dovuto essere l’esistenza di prezzi più moderati ivi che nei paesi privi di organizzazione. Consumi razionati sì perché organizzazione vuol dire assegnare ad ognuno il suo e non lasciar mangiar troppo a nessuno; ma a prezzi moderatamente cresciuti. Pare che il vero sia l’opposto.

 

 

Le statistiche dell’organo ufficiale prussiano «Statistishe Korrespondenz» danno un aumento medio dei prezzi nel febbraio 1916 in confronto al luglio 1914 dell’85,6% per una serie di 19 derrate alimentari entranti nel bilancio di una famiglia operaia. Ricorderò il pane di segale aumentato del 42,9%, quello di frumento della farina di segale cresciuta del 46,7% e quella di grano del 14,3%; il burro del 106,2%; il latte del 38,4%. E trattasi di derrate il cui consumo è strettamente limitato a quantità fissate dall’autorità. I fagioli e le lenticchie, aumentati del 187,5 e del 132% rispettivamente, sembra non si trovino più affatto nelle botteghe, se a Berlino da alcuni mesi non si fanno più quotazioni e fu d’uopo ricorrere ai prezzi di minori città. Lo zucchero è aumentato del 21%, il caffè del 48, le uova del 185,7, la carne di bue del 117,1, di montone del 106,4, di maiale del 72,8, il lardo del 153%.

 

 

I prezzi dell’Inghilterra segnano, secondo la fonte ufficiale della «Labour Gazette», un aumento generale per alcuni generi di consumo popolare del 49% al primo aprile 1916 in confronto al luglio 1914. Gli aumenti più notevoli, in confronto alla Germania, si ebbero nel pane di frumento aumentato del 52%, nella farina cresciuta del 60% e nello zucchero salito del 128%. Ma è aumento sostanzialmente sopportabile, se si pensa ai bassissimi prezzi normalmente vigenti per queste derrate in Inghilterra nei tempi normali, grazie alla mancanza dei dazi doganali. Il manzo inglese crebbe dal 40 al 52% a seconda delle qualità, il manzo congelato dal 55 al 74%, il montone inglese dal 37 al 54, il montone congelato dal 58 all’89, il lardo crebbe del 34%, il latte del 31%, il burro fresco del 35, le uova del 36 e il formaggio del 45%.

 

 

In Italia una analoga tabella, costruita dall’ufficio del lavoro di Roma, sulla base dei prezzi medi praticati al minuto in 17 città italiane, dà un aumento del 23% per il pane nel febbraio 1916 in confronto al primo semestre 1914, del 54% per la farina di grano, del 33% per la pasta per minestra, del 13% per il latte, del 50% per la carne bovina, del 15% per il lardo e del 20% per l’olio da cucina. Malgrado l’aggio, i noli, il carbone e gli altri malanni l’aumento medio delle derrate considerate risulta per l’Italia solo del 29,78%.

 

 

Non voglio dire che le tre percentuali di aumento: dell’85,6% per la Germania, del 49 per l’Inghilterra e del 29,78 per l’Italia siano in tutto comparabili. Sembra legittimo dedurne però la conclusione: che il razionamento, l’organizzazione ed il genio amministrativo germanico non siano riusciti ad ottenere risultati più brillanti di quelli che furono la conseguenza del tanto vilipeso spirito di disordine, di individualismo e di anarchia degli inglesi e degli italiani.

 

 

Che l’organizzazione tedesca si sia urtata contro stragrandi difficoltà apparirà subito anche a chi scorra il solo elenco dei provvedimenti presi e modificati, dei tentativi fatti e rifatti ed abbandonati da quei governi. Se ne vegga un elenco lunghissimo in un istruttivo ed oggettivo libro del Sayous su il Blocco economico ed i suoi effeti sulla Germania (editore Payot, Parigi); si pensi che in Germania non solo si sono messi da un canto generali e marescialli ma anche organizzatori economici – nessuno in Italia ha rilevato che il signor Rathenau è stato esonerato dalla carica di organizzatore di provviste belliche -; e si rimarrà persuasi che non c’è davvero ragione perché italiani, francesi ed inglesi, volendo, non possano, con i metodi loro propri fare altrettanto e meglio dei tedeschi.

 

 

Un caso specifico dei manchevoli risultati della organizzazione germanica merita di essere rilevato: ed è quello delle patate. Questa è l’unica derrata il cui prezzo, secondo le statistiche ufficiali, non sia aumentata dal principio della guerra. Orbene, la storia delle patate germaniche è una vera tragicommedia. La esporrò, per non andare per le lunghe, in ordine cronologico.

 

 

23 novembre 1914. Sorgono lagnanze di scarsità e di alti prezzi. Il governo fissa i prezzi massimi delle patate per tutto l’impero per i produttori. Molti comuni fissano anche i prezzi massimi al minuto.

 

 

Inverno 1914-15. Le patate scompaiono dal mercato. I socialisti si lagnano degli speculatori: e gli agrari danno la colpa alle intemperie ed alle difficoltà di trasporto. Il popolo sospetta che le patate siano divorate dai porci.

 

 

Gennaio-febbraio 1915. Si ordina quindi l’uccisione di milioni di porci. La carne di porco aumenta, ed ora si paga il 70% Più cara di prima della guerra. Nonostante ciò nelle grandi città industriali dell’ovest ed a Berlino riesce spesso impossibile procurarsi patate. I municipi aprono spacci, dove le patate si vendono a piccole dosi. Dimostrazioni di massaie nei pubblici mercati. Il «Vorwärts» del 16 marzo 1915 suscita allarme, citando una statistica del Ballod, secondo cui il raccolto del 1914 sarebbe stato appena di 42-43 milioni di tonnellate contro una media di 52 milioni per il 1912 ed il 1913.

 

 

Marzo ed aprile 1915. Il governo, il quale, a snidare le patate dai loro nascondigli, aveva già concesso un piccolo aumento nei prezzi massimi per i produttori, decreta il 15 marzo ed il 12 aprile il censimento e la distribuzione obbligatoria delle patate.

 

 

Maggio-giugno. Cambiamento sensazionale. Gli agrari non sperano più di vederne aumentare i prezzi e, temendo di vederle andare a male, scaricano le patate sul mercato. Sulla stampa quotidiana appaiono incitamenti al pubblico perché mangi patate. Il «Berliner Tageblatt» pubblica una nuova stima del raccolto del 1914: sono 55 milioni invece dei 42-43 del Ballod. I prezzi precipitano.

 

 

Luglio 1915. Gli inquilini di Berlino vicini ai magazzini delle ferrovie della Slesia si lamentano all’ufficio d’igiene per il fetore nauseabondo di montagne di patate che vanno a male. Il «Vorwärts» si lagna dell’anarchia per cui si hanno speculazione e carestia e poi ingorgo e spreco.

 

 

Agosto 1915. Si pubblicano i conti della gestione governativa delle patate. Appare che il governo, per provvedere alla carestia minacciante nelle città e per indurre gli agrari a vendere, aveva comperato 23,6 milioni di quintali di patate. Di fatto risultò poi che le provviste sul mercato erano assai più abbondanti di quelle calcolate dal governo e che i comuni di consumo avevano esagerato il loro fabbisogno. I consorzi comunali avevano comperato non i 15,4 milioni di quintali chiesti, bensì solo 3,8 lasciando al governo ben 20 milioni, che furono dovuti vendere in perdita alle fabbriche di fecola ed alle distillerie.

 

 

Settembre 1915. Ricominciano le lagnanze di scarsità. A Marburg, nonostante un raccolto record, gli agrari si rifiutano a vendere ed intendono aspettare la primavera.

 

 

Ottobre 1915. Il governo pubblica il 9 e modifica il 22 ordinanze che comandano agli agricoltori, che coltivano più di 10 ettari, di tenere il 20% del loro prodotto a disposizione del governo.

 

 

Inverno 1915-16 e primavera 1916. Dimostrazioni di massaie per l’impossibilità di aver patate ai prezzi massimi fissati dalla legge. L’organizzazione burocratica sembra incapace di costringere anche stavolta il contadino a vendere.

 

 

La quale vicenda cronologica è suppergiù la stessa che in analoghe circostanze si verificò in ogni tempo ed in ogni luogo. Neppure la sapientissima ed onnipotente amministrazione tedesca è riuscita a mutare l’indole degli uomini e ad evitare gli errori che ogni burocrazia ha mai sempre avuto l’abitudine inveterata di commettere.

 

 



[1] Con il titolo L’organizzazione germanica e l’aumento dei prezzi. La tragicomica storia delle patate tedesche. [ndr]

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