Opera Omnia Luigi Einaudi

La vitalità della Turchia

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 03/12/1897

La vitalità della Turchia

«La Stampa», 3 dicembre 1897

 

 

 

La vittoria dell’esercito turco nell’ultima campagna contro la Grecia ha dato impulso ad una lunga serie di dispute intorno alla causa della perdurante attività di un impero che fino a poco tempo fa tutti si accordavano nel ritenere moribondo.

 

Nell’ultimo numero della Deutsche Rundschau il barone von der Goltz scrive un interessantissimo articolo intitolato: Starke und Schwache des turckischen Reiches (Forza e debolezza dell’impero turco), che crediamo utile riassumere. Il von der Goltz, ispettore generale delle scuole militari turche, per la sua posizione è meglio di ogni altro in grado di esprimere una autorevole opinione a tale riguardo.

 

 

L’impero turco deve la sua origine non già ad un popolo numeroso, ma ad una banda di avventurieri, la quale, intromettendosi nelle guerre fra gli arabi ed i bizantini e fra i sultani arabi medesimi, seppe a poco a poco elevarsi a dominatrice di una vasta estensione di territorio. Ma l’eccessiva ampiezza dell’impero fu appunto la causa principale della sua rovina. Gli Stati Balcanici, l’Ungheria, la Russia meridionale non erano abitati da una razza affine a quella dei conquistatori; appena la intima coesione dei dominanti diminuì e sorsero intorno all’impero stati costituiti a tipo militare era naturale che le estremità del vasto corpo si sottraessero ai legami antichi.

 

 

La diminuzione di territorio fu una fortuna per la parte rimanente, la quale può ora a poco a poco preparare la sua trasformazione a Stato organico, solido e preparato a resistere alle offese nemiche. La cagione principale della odierna debolezza della Turchia consiste ancora adesso nella eccessiva sua ampiezza; su 22 milioni di abitanti, ma appena 12 sono maomettani e quindi astretti al servizio militare, e per sorvegliare gli altri 10 è necessario mantenere una forza di 90 battaglioni tolti alla difesa nazionale.

 

 

La perdita di Creta sarebbe altamente benefica alle sorti dell’impero, perché lascierebbe libera una forza di 25 battaglioni. Alle perdite fatte al settentrione non sono del resto mancati i compensi nella sottomissione vie maggiore dell’interno dell’Asia Minore, della Tripolitania e dell’Arabia, dove fino a poco tempo fa i turchi erano esecrati.

 

 

Tutto porta a ritenere che l’impero turco tende a trasformarsi da una debole Potenza europea in un forte califfato turco-arabo. La coesione morale è stata accresciuta straordinariamente dalle ultime vittorie della Tessaglia. Abituati da lunga data alla sconfitta, i turchi eransi rassegnati al fato che toglieva loro un brano di territorio ad ogni guerra combattuta contro una Potenza europea.

 

La vittoria ha dato nuova fiducia nei loro destini, e non è questo elemento da trascurarsi in una nazione così fatalista. Bisogna però che i turchi rinuncino al sogno di ridiventare una grande potenza europea e si applichino a preferenza allo sviluppo delle industrie, dei commerci e delle arti. Molti ostacoli si oppongono alla realizzazione di questo ideale, ostacoli dipendenti sovratutto dal modo col quale è costituito l’Impero.

 

 

Dovrebbe modificarsi la legge di successione al trono, secondo cui il successore è sempre il membro più vecchio della famiglia, sia un fratello ed un nipote dell’estinto, e la quale fa si che il sovrano regnante non si curi se non di assicurarsi sul trono. Dovrebbe altresì porsi fine alla attuale eccessiva centralizzazione.

 

 

Adesso tutti gli affari passano attraverso ad un solo ufficiale, il segretario capo del Palazzo (Batschkiatib). I vari Ministeri sono sue semplici dipendenze e non godono di nessuna iniziativa. Tutto deve procedere dal Palazzo, ed in definitiva dal sultano; a questo immane pondo di lavoro nessuna fibra umana potrebbe resistere. Mentre l’Europa crede alla letargia ed all’apatia turca, esiste in realtà un movimento continuo ed affannoso. Migliaia di persone progettano, lavorano, preparano, ed agitano; ma uno solo decide; e senza la sua decisione non si fa un passo avanti.

 

 

Quand’anche i lavori del Gabinetto debbano considerarsi dai suoi membri come intensissimi ed assorbenti, essi sono affatto inadatti ai compiti varii dello Stato moderno. In che modo un sovrano il quale giornalmente deve pensare a migliaia di piccole cose, il cui tempo si disperde nella disamina delle innumerevoli denuncie che lo zelo dei suoi subordinati gli fa pervenire, può trovare la tranquillità e la forza di iniziare una grande trasformazione nell’intiera vita del suo popolo?

 

 

Il decentramento delle funzioni in tanti Ministeri responsabili, se non anche la convocazione di un Parlamento consultivo o deliberativo è dunque la condizione prima della futura prosperità dell’impero turco.

 

 

Ma non basta: Costantinopoli non può a lungo continuare ad essere la capitale del rinnovato impero turco-arabo. Essa agisce ora come un’immane pompa assorbitrice di tutte le migliori forze delle provincie. Tutti coloro che vogliono ottenere qualche cosa, i funzionari civili e militari aspirano a dimorare a Costantinopoli.

 

 

Le sedi di provincia sono considerate come puramente provvisorie; i capi, per conseguenza, non vi iniziano nessuna grande opera permanente. Il Canale di Suez, le reti ferroviarie spintesi fin nel centro dell’Asia minore hanno già tolto a Costantinopoli gran parte di quell’influenza che le derivava dalla sua posizione intermedia fra l’Europa e l’Asia. Un grande principe, così afferma il von der Goltz, il quale volesse salvare e nel tempo stesso trasformare il suo Impero, dovrebbe trasportare la capitale ai continui delle due metà, la turca e l’araba dell’Impero – forse verso Loconia o Cesarea, e forse ancora più al sud. – Il Governo avrebbe allora le due parti principali della popolazione dell’Impero egualmente sotto gli occhi e potrebbe giovare e soddisfare contemporaneamente i loro bisogni. Nel tempo stesso egli sarebbe sottratto alle numerose questioni subordinate che riflettono solo la piccola porzione europea del suo Impero, e che attualmente sono per lui le più importanti.

 

 

Si può obbiettare con ragione che Costantinopoli solo dà alla Turchia la sua importanza attuale, ma è dubbio se tutto quest’interesse addimostrato dall’Europa alla Turchia sia benefico e dannoso all’Impero ed ai suoi popoli.

 

 

Si compierà in tal modo la trasformazione dell’Impero turco in uno Stato civile islamitico, il quale non considererà più come scopo della sua esistenza la conquista di nuove provincie e l’egoistica conservazione delle antiche, ma l’amministrazione di quei territori in cui la popolazione mussulmana si trova in indiscussa maggioranza e su cui il suo diritto è per conseguenza inattaccabile.

 

 

Come rappresentante dell’Islam, la Turchia conserverà anche nella sua nuova forma una grande importanza politica, ed il suo allontanamento dalle questioni europee non potrà non riuscire per essa altamente benefico.

 

 

«Verrà il riformatore ardito, – così conchiude il Goltz il suo studio, – che era stato preconizzato da Fuad-pascià? Il futuro risolverà il quesito. Io ho voluto solo provare come sia possibile all’Impero turco di salvarsi e di rialzarsi, ed ho voluto alzare un grido di conforto pei vecchi amici e scolari, affinché non si lascino abbattere dal pessimismo. Oggi che l’impero turco è stato nuovamente coronato dalla vittoria, questo grido di riscossa troverà più facilmente eco e più profonde radici metterà la speranza in un prospetto futuro della patria mussulmana.»

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