Opera Omnia Luigi Einaudi

L’azionariato operaio negli Stati Uniti

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 01/07/1927

L’azionariato operaio negli Stati Uniti

«La Riforma Sociale», luglio-agosto 1927, pp. 359-364

Saggi, La Riforma Sociale, Torino, 1933, parte II, pp. 73-79

 

 

 

Robert F. Foerster and Else H. Dietel: Employee Stock Ownership in the United States. (Princeton University Press, 1926, un volume di pag. VIII-174. Prezzo dollari 1,50).

 

 

1. – Il volume è pubblicato dalla «Industrial Relations Section» del dipartimento di economia e di istituzioni sociali della università di Princeton (New Jersey U. S.). Ha per iscopo di studiare l’acquisto di azioni di società anonime (corporations) da parte degli operai ed impiegati dipendenti dalle società medesime. Non trattasi dell’acquisto generico di azioni da parte della classe operaia, ma di quelle azioni soltanto che sono emesse dalle società da cui gli acquirenti dipendono. L’azionariato operaio è diverso dalla partecipazione ai profitti, la quale non implica alcun impiego di capitale da parte degli operai, pur facendo ugualmente partecipare questi ultimi agli utili, non alle perdite, dell’impresa. Esso è diverso, sebbene contemporaneo dall’azionariato dei «clienti», il quale ha trovato tanto favore presso le società esercenti pubblici servizi, sì che dal 1914 in poi più di un milione di clienti ha investito oltre ad un miliardo di dollari nelle società elettriche. L’azionariato operaio si giovò della propaganda condotta durante la guerra a favore dei «Liberty Bonds» od obbligazioni federali di debito pubblico; sovrattutto perché quella propaganda educò gli operai all’acquisto di valori mobiliari. Il sistema fu favorito finalmente dall’abitudine nuova degli acquisti a rate; sembrando ora ovvio acquistare a rate azioni così come si acquistano case, automobili e pianoforti.

 

 

2. – Nello studiare l’azionariato operaio in senso stretto, gli autori non sostituiscono le proprie opinioni a quelle degli interessati. Con gran diligenza essi hanno studiato 306 piani di azionariato, di cui 233 vigenti e 73 chiusi e dall’esame di essi hanno estratto tutto ciò che vi era di caratteristico: chi possa acquistare le azioni, quali siano i tipi di azioni offerte, a quali condizioni di sottoscrizione, di pagamento, di sospensione, di rinuncia, di revoca, quale il mercato delle azioni possedute dai dipendenti, quali rischi costoro corrono. Bisognerebbe riprodurre tutte le 97 pagine del testo – il resto sono appendici – per far vedere in modo chiaro il funzionamento del sistema. Basti dire che esso tende a vendere direttamente, senza spese di intermediazione, azioni della società ai propri dipendenti, a condizioni che di solito sono particolarmente favorevoli, o per il prezzo di acquisto, o per la facilità di pagamento a rate, o per il diritto di sospendere i pagamenti e riavere il versato, o per dividendi eccezionali, o per contributo al pagamento in ragione degli anni di servizio.

 

 

3. – Che il sistema abbia avuto un notevole successo sembra assodato. Gli autori hanno potuto calcolare, che al 15 aprile 1926, per le sole imprese su cui avevano ottenuto informazioni, più di 700 milioni di dollari erano stati sottoscritti da operai ed impiegati in azioni delle società che li occupavano. Alcuni casi singoli sono degni di essere citati. Il 31 dicembre 1925, i dipendenti della «American Telephone and Telegraph Company» e delle sue sussidiarie possedevano 553.000 azioni sociali e 160.000 dipendenti stavano versando le rate su 621.000 azioni. In altre parole essi possedevano o pagavano per possedere azioni del valore nominale di 117,4 e corrente di 170 milioni di dollari. Al 31 dicembre 1925, 47.647 dipendenti della «United States Steel Corporation» possedevano 163.802 azioni di preferenza e 501.999 azioni ordinarie e su altre molte stavano eseguendo i versamenti rateali. Alla chiusura del suo primo piano quinquennale di vendita di azioni ai dipendenti, la «Standard Oil Company» del New Jersey consegnò 884.002 azioni ordinarie a 16.358 dipendenti, in media 54 azioni ognuno. Il prezzo pagato risultò di 18.490.425 dollari, il valore corrente di borsa di circa 40 milioni di dollari. Pure alla chiusura del suo primo piano quinquennale la «Standard Oil Company» dell’Indiana, consegnò 390.000 azioni che ai sottoscrittori erano costate 11.800.000 dollari e valevano 25.350.000 dollari.

 

 

In talune minori società, i dipendenti posseggono oramai una quota cospicua del capitale sociale: il 25% nella «Nelson Manufacturing Co.» il 30% nella «Murphy Varnish Co.», la maggioranza nella «Nash Co.», il 95% nella «California Corrugated Culvert Co.», quasi il 100% nella «Fuller Brush Co.». Ma anche in grosse società, la percentuale non è trascurabile. Gli impiegati delle grosse società del petrolio di New Jersey e Indiana posseggono rispettivamente il 4,3 e il 4,2 del capitale sociale; quelli della «United States Steel Corporation» l’11.5% e della «American Telephone and Telegraph Co.» il 12,7 per cento. Circa un terzo dei 47.000 azionisti della «Swift and Co.» sono operai ed impiegati e posseggono il 13% del capitale sociale; ed i dipendenti della «Philadelphia Rapid Transit Co.» posseggono più di un terzo delle azioni ordinarie.

 

 

4. – Se si chiede in che cosa consiste il soddisfacente successo dell’azionariato operaio per lo più si risponde:

 

 

  • nell’incoraggiamento allo spirito del risparmio. L’«International Harwester Co.» dice: «…migliaia di dipendenti hanno preso l’abitudine di risparmiare sistematicamente e sono oggi proprietari di somme ragguardevoli in contanti ed investite, che essi francamente riconoscono non avrebbero francamente risparmiato».

 

  •  nel favorire migliori relazioni fra l’amministrazione e gli operai ed impiegati. Costoro lavorano con maggior zelo ed interesse se sentono di essere in parte proprietari dell’impresa. La «A. E. Staley Manufacturing Co.», così sintetizza: «… l’impiegato e l’operaio cominciano a vedere ed a capire i vari problemi dell’amministrazione e sia consapevolmente od inconsapevolmente si interessano di più, lavorano più intensamente, sprecano di meno e, sovrattutto, sono più disposti a guardare le cose dal punto di vista dei dirigenti invece che soltanto da quello dei dipendenti».

 

  • nella possibilità di partecipare al successo ed ai guadagni dell’impresa. Naturalmente bisogna che il successo ed i guadagni ci siano. Quando gli affari vanno male, le vendite di azioni cessano ed i piani sono sospesi. Talvolta, se il successo è molto grande gli operai rivendono le azioni con profitto ed il piano cessa per un altro verso. In generale, però se il successo c’è, gli operai preferiscono conservare le azioni acquistate.

 

 

5. – Il numero degli azionisti operai ed impiegati interessati all’acquisto delle azioni è di gran lunga superiore a quello dei funzionari dirigenti che in molte imprese si è soliti far partecipare agli utili dell’azienda; ed è anzi caratteristica di molti piani accordare ai salariati più bassi il diritto ad acquistare azioni secondo una proporzione percentuale più elevata dei loro salari di quella consentita agli alti funzionari. Appunto perché il numero degli azionisti è grande, non sempre il sistema funziona vantaggiosamente. Il piccolo risparmiatore deve tener più alla sicurezza che al guadagno; e solo se egli ha un salario fornito di qualche largo margine, è giustificato per lui acquistar azioni.

 

 

6. – Contro l’acquisto di azioni dell’impresa stessa in cui si lavora si obbietta che l’operaio accumula invece che diminuire i rischi. Se una crisi si verifica, questa lo colpisce contemporaneamente nell’ammontare del salario, nella facilità di essere occupato e nel reddito del risparmio. L’obiezione ha gran valore nel caso di imprese piccole, rischiose ed amministrate mediocremente e male. D’altro canto il dipendente conosce dal di dentro la «sua» società ; ha informazioni che sono negate ad estranei; ha la soddisfazione di contribuire personalmente a migliorare la cosa sua.

 

 

7. – Giova al successo del piano il buon accordo esistito in passato tra dirigenti e dipendenti. Giova altresì che l’operaio possa facilmente rivendere l’azione acquistata od ottenere, depositandola in garanzia, un prestito in caso di bisogno. Parecchie società sono larghe di rimborsi quando l’operaio desidera rientrare nei suoi denari per uno scopo ragionevole, per es., comprarsi una casa. Allo scopo di non concentrare i rischi, talvolta gli operai sono incoraggiati non a comprare azioni, ma a depositare i propri risparmi in un fondo, il quale, a sua volta, acquisterà azioni della società e di altre intraprese. Così il rischio è indiretto e diffuso su parecchi titoli.

 

 

8. – Importa moltissimo che l’operaio abbia la sensazione di essere intieramente libero nel sottoscrivere. Se egli suppone che il licenziamento può essere la pena del rifiuto e la promozione il premio per la sottoscrizione, il piano fallisce. Chiare devono essere le condizioni dell’offerta; nessun sospetto deve sorgere che essa sia fatta nell’interesse della società. Egli non deve essere incoraggiato a sottoscrivere più di quanto possa, dalla speranza di lucrare rivendendo le azioni. Perciò non di rado le azioni non sono consegnate agli operai, anche se interamente liberate, se non dopo un certo tempo.

 

 

9. – Gli azionisti operai ed impiegati possono acquistare, col possesso di azioni, voce nella gestione sociale. Probabilmente essi possono costituire un corpo di azionisti più intelligente ed affezionato della comune degli azionisti. Se il movimento progredirà nell’avvenire collo stesso passo con cui andò innanzi dal 1900, primo anno in cui cessò di essere un fatto isolato, al 1926, una trasformazione profonda potrà verificarsi nella proprietà e nella gestione di molte imprese industriali. Il possesso del 10 % del capitale sociale da parte di azionisti estranei non muta le persone dei dirigenti e il loro indirizzo; il possesso della medesima percentuale da parte di azionisti interni, operai ed impiegati, si. Essi sono più facilmente organizzabili; e il loro stato d’animo ha una grande influenza sul successo dell’impresa. Del resto, anche oggi, specie nelle società in cui il numero degli azionisti è grande, la direzione spetta non di rado al gruppo che possiede il quarto o il terzo delle azioni. Arrivare a possedere questa percentuale non è un ideale assurdo per gli operai di un’impresa, dato l’odierno livello dei salari americani.

 

 

10. – Gli autori non fanno affermazioni tassative, che sarebbero propagandistiche ed antiscientifiche, sull’importanza futura dell’azionariato operaio. Merita tanto più essere riprodotta la chiusura del loro studio: «L’importanza futura dell’azionariato operaio dipenderà da molte circostanze e non ultima l’abilità con cui gli imprenditori saranno capaci di attutire o far cessare i timori che il movimento fa sorgere insistentemente di tempo in tempo. Questi timori sono naturali ed è una fortuna, nell’interesse medesimo del movimento, che di essi qualcuno si sia fatto eco. È facile nascano abusi in rapporto alla vendita delle azioni. Amministratori incapaci o stolidi di società possono fare molto male. In ogni momento e in ogni problema la buona fede degli imprenditori è di importanza vitale.

 

 

Se l’offerta di azioni ha per iscopo di coprire uno sfruttamento sui salari o serve come strumento per rompere le ossa ad un movimento spontaneo di organizzazione fra i lavoratori per la propria difesa, non ne può venire fuori altro che male. Se il sistema è introdotto e difeso come uno spediente per combattere il radicalismo (estremismo), esso sarà combattuto precisamente da quelle persone le quali credono nella necessità di una trasformazione radicale (in politica e in economia). Un movimento il quale assume tanti diversi aspetti, che è atto a diffondersi in tutte le regioni del paese, ha interesse grande ad essere sorvegliato costantemente con occhio vigile. Abbandonate a sé stesse, alcune società possono essere tentate a cattivarsi il favore dei loro dipendenti col pagare loro buoni dividendi; ed alcuni lavoratori possono indursi ad accettare i dividendi al posto di altri vantaggi che spetterebbero loro. Finché ciò è possibile, non deve sorprendere che i capi delle leghe operaie esprimano talvolta il timore che l’azionariato renda gli operai ciechi rispetto all’importanza di conservare il livello dei salari. Governi e leghe operaie faranno bene a sorvegliare il progresso dell’azionariato operaio; ma dovranno vigilarlo altresì gli imprenditori desiderosi di mantenere i migliori rapporti coi propri dipendenti. Se, a lungo andare, l’azionariato operaio non potrà far venir meno i timori che naturalmente esso ha fatto sorgere la colpa sarà probabilmente dei suoi fautori. «Il progresso del movimento per l’acquisto di azioni da parte di operai e di impiegati è così recente che si può ragionevolmente supporre che le migliori maniere di acquisto non siano ancora state elaborate. Molti esperimenti di grandissimo valore sono stati compiuti e molte verità sono più chiare oggi che cinque o dieci anni fa; ma un numero maggiore di anni farà d’uopo trascorra prima che siano dileguati i timori sorti ed eliminati i rischi più seri che sono ancora associati con il movimento».

 

 

11. – Così è davvero; soltanto l’esperienza, una lunga, costosa esperienza, può sceverare il loglio dal grano nella gran messe di schemi di miglioramento sociale che sorgono, crescono, decadono, progrediscono, scompaiono. Solo la possibilità di sperimentarli, in concorrenza con altri schemi, può chiarire quali di essi siano resistenti e vitali e quali caduchi. Quelli vitali traggono dalla lotta, dagli insuccessi, dalle correzioni nuova ragione di essere. Il pericolo maggiore a cui gli esperimenti sociali vanno incontro è il successo fulmineo, il plauso universale. La circostanza che occorse un quarto di secolo per imporre l’azionariato operaio all’attenzione del pubblico americano è una iniziale arra di successo finale. Successo non integrale, non monopolistico, diviso con altri schemi concorrenti e, sotto un certo rispetto, tanto più saldo quanto più soggetto a critiche ed a dubbi.

 

 

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