Opera Omnia Luigi Einaudi

Le amarezze internazionali dello zucchero

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 28/07/1907

Le amarezze internazionali dello zucchero

«Corriere della Sera», 28 luglio 1907

Cronache economiche e politiche di un trentennio (1893-1925), vol. II, Einaudi, Torino, 1959, pp. 541-544

 

 

Lo zucchero ritorna a far parlare di sé, dopo l’intenzione manifestata all’Inghilterra di denunciare la convenzione di Bruxelles, ove non le venga concesso di sottrarsi ad una delle clausole più importanti della convenzione stessa. Come è noto, la convenzione di Bruxelles ebbe per intento di far cessare il sistema perturbatore dei premi palesi o larvati che parecchi stati europei concedevano alla esportazione dello zucchero, premi grazie ai quali i produttori potevano buttare sui mercati liberi lo zucchero a prezzi vili, inferiori al costo. Un produttore che ricevesse 10 lire al quintale di premio per l’esportazione dello zucchero poteva, anche se a lui costava 25 lire al quintale, venderlo sui mercati liberi a 15 lire senza perdita. Era una concorrenza sleale che i paesi produttori di zucchero di barbabietola facevano, coll’aiuto dei contribuenti, ai paesi produttori di zucchero di canna.

 

 

Lo stato che di ciò si commosse maggiormente fu l’Inghilterra, nella quale dominavano le idee imperialiste dello Chamberlain; e fu l’Inghilterra la più insistente a chiedere provvedimenti internazionali contro la politica dei premi, i quali avevano ridotto alla rovina le sue colonie produttrici di zucchero di canna. La convenzione di Bruxelles del 1903 sancì, dopo lunghe trattative, i seguenti principi:

 

 

  • che lo zucchero dovesse dappertutto essere tassato a peso e per la quantità effettivamente prodotta; allo scopo di impedire che rimanesse esente da tasse una parte dello zucchero prodotto, a cui il dazio veniva rimborsato all’atto dell’esportazione;
  • che la protezione concessa alla produzione indigena non potesse superare le lire 5,50 per lo zucchero greggio e le lire 6 per lo zucchero raffinato; dalla quale norma sono esentate solo l’Italia, la Svezia e la Spagna;
  • che fossero aboliti tutti i premi all’esportazione;
  • che gli stati contraenti si obbligassero a colpire con dazi equivalenti di ritorsione le provenienze da quegli stati i quali continuassero a concedere premi allo zucchero esportato.

 

 

Le speranze – almeno per l’Inghilterra – non corrisposero ai fatti. Si sperava che l’importazione artificiale dello zucchero di barbabietola avesse, dopo la abolizione dei premi, a diminuire assai; e che il posto vuoto fosse preso dallo zucchero di canna delle colonie. Invece l’importazione dello zucchero di barbabietola nell’Inghilterra non diminuì affatto; e quella dello zucchero di canna crebbe in misura insignificante. Lo zucchero di canna infatti, che si importava dal 1888 al 1890 in quantità di 444.351 tonnellate in media ed era diminuito a 157.673 tonnellate nel triennio 1900-902 e nel 1903, anno della convenzione, era rimasto a 187.971 tonnellate, crebbe soltanto a 205.494 tonnellate nei tre anni seguenti. Non erasi ottenuto l’intento di aprire allo zucchero di canna un largo sbocco sul mercato della madrepatria; e di ciò le colonie mostravansi malcontente, adducendo l’esempio degli Stati uniti dove lo zucchero di canna delle isole Sandwich, della Louisiana, di Portorico, delle Filippine e di Cuba, favorito da dazi protettivi elevati batte in breccia lo zucchero di barbabietola europeo. Le colonie inglesi avrebbero voluto che la madre patria non solo respingesse, come era imposto dalla convenzione di Bruxelles, lo zucchero premiato di barbabietola, ma desse a sua volta un premio allo zucchero di canna. Mentre così la convenzione era criticata dai colonialisti per la sua manchevolezza, i consumatori d’altro lato la criticavano, perché aumentava i prezzi dello zucchero; ed infatti dal prezzo di circa lire 16,60 al quintale di zucchero greggio ad 88% nel 1901-902 si era saliti a 19,60 nel 1902-903, a 21,80 nel 1903-904, a 31,80 nel 1904-905 ed a 20,80 nel 1905-906. È vero che del rialzo non era responsabile in tutto la convenzione di Bruxelles; ma sovratutto lo scarsissimo raccolto del 1904 che esaurì completamente tutte le riserve disponibili. L’opinione pubblica inglese non faceva però cotali ragionamenti sottili; e, vedendo che lo zucchero era divenuto più caro dopo la convenzione di Bruxelles, cominciò a dire : «Perché noi, consumatori di frutta candita, di conserve, di dolci, ecc. dobbiamo ancora pagare lo zucchero più caro? Almeno il nostro sacrificio avesse giovato alle colonie; ma, ciò non essendo accaduto, non vi è neppure motivo perché noi dobbiamo pagare ad un prezzo elevato lo zucchero di barbabietola, che i paesi produttori sarebbero ben lieti di darci a prezzo più basso». Forse, se il partito conservatore fosse rimasto al potere, le querele non avrebbero trovato ascolto. Lo trovarono invece nel partito liberale, il quale, essendo riuscito vincitore nel nome del libero scambio assoluto, ha finito adesso per porre ai governi aderenti alla convenzione il dilemma: «O voi consentite che io sia libero dall’obbligo (indicato sopra al numero 4 delle norme della convenzione di Bruxelles) di mettere dei dazi di ritorsione contro gli zuccheri premiati od io entro il primo settembre prossimo denuncerò la convenzione».

 

 

Il dilemma è certo imbarazzante per gli stati aderenti alla convenzione. Respingendo la proposta inglese, essi possono certamente conservarne intatti i principi negli altri stati; ma la convenzione avrà ben limitata efficacia, essendovi sottratto il più gran mercato libero del mondo. Accettandola, la convenzione in apparenza è salva; ma praticamente vedrà ben ridotta la sua efficacia, poiché, mancando il timore dei dazi di ritorsione inglesi, i premi di esportazione torneranno in parecchi luoghi a funzionare.

 

 

Nel momento presente le sorti dello zucchero sono ben curiose. In Francia i viticultori aspramente si lamentano del suo eccessivo buon mercato, ed ottengono dalle camere l’inasprimento dell’imposta almeno sullo zucchero destinato alla vinificazione. In Inghilterra i consumatori si lagnano perché esso è troppo caro; ed il governo minaccia la denuncia della convenzione di Bruxelles, ove non gli sia concesso di abolire tutti i dazi di ritorsione e di spalancare quindi le porte del mercato inglese allo zucchero di qualunque provenienza, premiato o non, di barbabietola o di canna. Tutti e due gli atteggiamenti sono oltremodo istruttivi: quello francese, perché insegna come sia prudente ridurre a parecchie riprese e non d’un tratto le imposte sullo zucchero per non correre il pericolo di danneggiare d’un subito i viticultori; e quello britannico perché, se le minacce di denuncia della convenzione si avverassero, potremmo ricadere nell’anarchia precedente al 1903 e rivedere prezzi artificialmente bassissimi degli zuccheri premiati esteri. Il problema, tocca una delle industrie più importanti del mondo e uno dei consumi più graditi e più diffusi.

 

 

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