Opera Omnia Luigi Einaudi

Le aperture di credito svizzero alla Germania

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 20/08/1917

Le aperture di credito svizzero alla Germania

«Corriere della Sera», 20 agosto 1917

Cronache economiche e politiche di un trentennio (1893-1925), vol. IV, Einaudi, Torino, 1961, pp. 569-573

 

 

Se l’Italia si preoccupa assai della perdita che subisce la sua lira trasformandosi in franchi svizzeri altri paesi non si preoccupano meno del ribasso che rispettivamente li affligge. In verità l’Inghilterra e gli Stati uniti sembrano decisi a lasciar andare per loro conto le cose alla deriva, senza prendere alcun provvedimento. Mentre l’Inghilterra si cura assai del corso dei cambi sugli Stati uniti e cerca di tenerlo su per giù al nuovo punto inferiore dell’ oro, né trascura i cambi olandesi; poco sembra interessarla il cambio sulla Svizzera. Neppure si sente parlare di provvedimenti francesi, e sarebbe fuori di luogo che facesse qualcosa la Russia.

 

 

Molto invece si discorre in Svizzera dell’azione della Germania per rialzare il livello dei suoi cambi, oramai peggiorato a segno che alla fine di luglio il marco tedesco perdeva il 48,55% sul franco svizzero.

 

 

Due forme ha assunto recentemente l’azione tedesca per il rialzo dei suoi cambi sulla Svizzera. Il primo consiste in una tentata mobilizzazione dei titoli svizzeri a favore della Germania. Alla fine di luglio numerosi ricchi svizzeri del Cantone di Zurigo si videro recapitare la seguente circolare di una banca privata zurighese:

 

 

Ci onoriamo di sottoporle la seguente interessante combinazione finanziaria. Se ella possedesse buone obbligazioni svizzere, federali, cantonali, di città, di società ferroviarie, bancarie od industriali di prim’ordine, potremmo fornirle il modo di darle in prestito per tre anni all’amministrazione di una delle maggiori città tedesche. Oltre alla responsabilità della città debitrice, risponderebbe della obbligazione altresì la Deutsche Bank (capitale e riserve 400 milioni di marchi). I titoli rimarrebbero depositati in Svizzera. Come compenso ella riceverebbe, oltre il reddito ordinario dell’obbligazione, un bonifico annuo del 3,75-4% di franchi svizzeri per partite di almeno mezzo milione e del 3,50% per partite di almeno 50.000 franchi; cosicché ella potrebbe fare assegnamento su un frutto complessivo non minore del 6,50-8%.

 

 

La stampa finanziaria svizzera notò che la Germania veniva in tal modo a pagare, comprese le mediazioni alle banche intermediarie, non meno del 12% annuo per tre anni sul denaro ottenuto a prestito col deposito di titoli svizzeri di prim’ordine che essa cercava di procurarsi dai capitalisti detentori. È probabile che il tentativo della Germania non abbia seguito, data la disapprovazione generale che esso incontrò in Svizzera, dove si osserva che i titoli nazionali debbono essere la riserva della Svizzera stessa per bisogni eventuali futuri e non debbono essere adoperati a base di operazioni di credito di paesi esteri.

 

 

Invece incontra favorevoli accoglienze un’altra proposta germanica; che è di far accordare direttamente dalla Confederazione alla Germania un credito proporzionale agli acquisti che la Germania fa in Svizzera. La proposta fu favorevolmente accolta dal Consiglio federale; e la stampa svizzera ne discute le modalità. In sostanza si tratta di questo: la Germania compra ogni mese 60 milioni di franchi di merci in Svizzera. Non tutti questi 60 milioni sono controbilanciati da vendite di merci tedesche, e poiché la Germania non può consegnare alla Svizzera lettere di cambio per merci vendute in Olanda o nei paesi scandinavi fino a fare il pareggio, essa deve fare una ricerca affannosa di moneta svizzera, onde effettuare il saldo, col risultato che il franco svizzero apprezza ed il marco deprezza. Si propone che di 60 milioni mensili di merci comperate, solo 40 milioni vengano pagati in contanti, presumibilmente con compensazioni di merci tedesche, ad esempio carbone, vendute in Svizzera. Per i restanti 20 milioni la Svizzera dovrebbe concedere un respiro, aprendo un equivalente credito sino alla fine della guerra. Gli industriali e gli agricoltori venditori dovrebbero cioè vendere a credito alla Germania un terzo delle merci fornite; e se essi non si trovano in condizione di poter concedere questo credito, dovrebbe la Confederazione scontare le cambiali rilasciate dai compratori tedeschi, permettendo così ai venditori svizzeri di ottenere subito la disponibilità del prezzo delle merci vendute ed ai compratori tedeschi di dilazionare il pagamento sino ad epoca più opportuna.

 

 

Anche l’Italia potrebbe, per le merci acquistate in Svizzera, seguire lo stesso metodo, se non si dovesse per noi osservare trattarsi di una goccia in un mare. Nel 1916 invero i nostri acquisti di merci svizzere giunsero ad appena 134,6 milioni di lire su un totale di 5 miliardi e 458,3 milioni di merci acquistate all’estero. Non è così piccola somma che può avere influito sui cambi italiani; tanto più se si pensa che nell’anno medesimo noi vendemmo alla Svizzera ben 395,7 milioni di lire di merci su un totale di merci vendute all’estero di 2 miliardi e 292,7 milioni. Se si dovesse badare, per spiegare lo stato dei cambi tra due paesi, alla bilancia commerciale tra quei due paesi, l’Italia, creditrice di un cospicuo saldo verso la Svizzera, dovrebbe vedere la sua lira altamente apprezzata in confronto al franco svizzero. Ho già ripetutamente spiegato che la bilancia commerciale particolare tra due paesi non ha nessuna importanza; poco giovando che l’Italia sia creditrice verso la Svizzera, quando il saldo delle sue lettere di cambio creditrici sulla Svizzera (nel 1916 circa 260 milioni di differenza fra 395,7 milioni di merci vendute e 134,6 milioni di merci acquistate in Svizzera), ci fa fare assai poca strada per far fronte alla ben maggiore differenza complessiva tra le merci vendute e quelle acquistate in genere all’estero (saldo passivo complessivo di 3 miliardi e 160 milioni di lire circa). Se le lire italiane fossero care in confronto ai franchi svizzeri, mentre fossero deprezzate in confronto alle sterline ed ai dollari, ossia alle monete dei paesi verso cui siamo debitori, noi avremmo interesse a fare una grande domanda di franchi svizzeri per potere con questi comprare a più buon mercato lire sterline e dollari. E la grande domanda di franchi svizzeri li farebbe aumentare di prezzo, sino a far dare solo franchi 0,62 in cambio di 1 lira italiana, precisamente come accade ora.

 

 

Non è dunque possibile agire solo sui cambi di un paese, poiché agendo sugli uni si agisce indirettamente anche sugli altri. Perciò avrebbe Poca importanza ottenere dalla vicina confederazione una apertura di credito di un terzo del valore dei nostri acquisti in Svizzera: circa 50 milioni all’anno. Gioverebbe, ma entro i limiti dei 50 milioni su un saldo complessivo debitore verso tutto l’estero probabilmente non minore di 4 miliardi di lire. Giova, invece, ottenere credito dai nostri più cospicui fornitori che sono gli Stati uniti (nel 1916 2 miliardi e 202 milioni di merci acquistate contro 235 vendute) e l’Inghilterra (nel 1916 1 miliardo e 79 milioni di merci acquistate contro 374 vendute).

 

 

Anzi è logicamente inconcepibile che il credito non sia stato ottenuto nella precisa misura della differenza fra gli acquisti e le vendite. In che altro modo avremmo potuto acquistare e pagare? Le merci estere non si acquistano che con altre merci ovvero con oro (di cui dall’Italia non andarono all’estero se non pochissime centinaia di milioni) ovvero con promesse di pagare in avvenire rilasciate dallo stato o dai privati compratori ed accettate dagli stranieri venditori. Se le cose stanno così – e nessuno finora ha spiegato come potessero stare diversamente, sebbene da molto tempo sia stato chiesto un eventuale chiarimento in proposito – non è forse vero che il preteso sbilancio nei pagamenti non esiste? Non è forse vero che i 5 miliardi e mezzo di merci acquistate nel 1916 li pagammo con 2 miliardi e 300 milioni di merci vendute, con alquanto oro spedito all’estero con rimesse di emigranti non venute meno, con altre fonti minori e con aperture di credito in Inghilterra? E se questo è, e non può non essere, non è forse vero che il disaggio della nostra carta – moneta non può essere dovuto ad un fatto non esistente – come è il cosidetto sbilancio dei pagamenti internazionali – ma a qualche fatto reale ed esistente? Quale sia questo fatto reale non si può indagare sullo scorcio di un articolo. O si tratti dell’ammontare della circolazione e di impegni di pagamento assunti da chi non sapeva come pagare o dei modi tenuti nell’utilizzare i crediti esteri o della non coincidenza, anche procurata, nei successivi momenti o nei diversi gruppi di interessati tra la offerta e la domanda di divisa estera, pure equilibrantesi nel complesso; certo sarebbe utile che la causa o le cause del disaggio fossero chiarite. Ma a chiarirle non giova mettere in campo soltanto una circostanza – lo sbilancio dei pagamenti – che porta su di sé impresso il marchio della impossibilità logica.

 

 

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