Opera Omnia Luigi Einaudi

Le correnti dell’emigrazione europea

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 04/01/1911

Le correnti dell’emigrazione europea

Il primo posto all’Italia

«Corriere della sera», 4 gennaio 1911

 

 

 

Le correnti dell’emigrazione italiana non accennano a scemare: ancora nel primo semestre del 1910 ben 213.350 italiani lasciavano, secondo la Direzione generale di statistica, il suolo patrio per recarsi in paesi transoceanici; e 156.120 si recavano nell’Europa e nei paesi del bacino del Mediterraneo. Genova in parte e Napoli in proporzioni maggiori debbono la loro prosperità a questo grandioso spostarsi di masse umane in cerca di sorti migliori. Il fenomeno – doloroso o lieto a seconda dei punti di vista – è tanto più interessante in quanto l’Italia è il paese d’Europa in cui l’emigrazione è più forte in cifre assolute ed uno di quelli in cui è altresì più elevata la proporzione dei partenti rispetto al totale della popolazione. Una recente pubblicazione della Direzione generale di statistica in un’appendice di confronti internazionali permette di gittare un colpo d’occhio sulle correnti dell’emigrazione europea. Ecco il numero degli emigranti dall’Europa per paesi transoceanici di dieci in dieci anni, con l’aggiunta del 1906, anno di massima emigrazione, e del 1909 (in migliaia di persone):

 

 

 

1882

1892

1902

1906

1909

Italia

67,6

116,6

295,4

523,0

406

Austria

18,1

48,9

93,6

136,3

143,5

Ungheria

17,5

28,5

91,7

178,1

131,0

Belgio

5,1

3,4

5,6

3,6

Danimarca

11,6

10,4

6,8

8,5

6,7

Francia

4,8

5,5

4

6

Germania

203,5

116,5

30,9

30,7

24,7

Inghilterra

162,9

139,8

137,1

219,7

185,5

Scozia

32,2

23,3

26,2

53,1

52,8

Irlanda

84,1

52,9

42,2

52,2

44,0

Norvegia

28,8

17

20,3

21,9

16,1

Paesi Bassi

7,3

6,2

2,3

2,5

2,9

Portogallo

18,2

20,7

23,8

37,7

38

Russia

74,6

58,4

122,1

87

Spagna

25,7

30,1

48,5

123,2

138,3

Svezia

41,5

41,2

33,4

21,6

18,8

Svizzera

10,8

6,6

3,6

3,8

3,7

 

 

Nell’ultimo trentennio le correnti dell’emigrazione europea si sono ingrossate notevolmente e sovratutto hanno mutato di intensità nei diversi paesi. Trent’anni or sono vi erano in Europa due grandi centri di emigrazione: le isole britanniche che davano 280 mila emigranti, di cui quasi un terzo irlandesi e la Germania che ne dava più di 200 mila. Attorno alla Germania, gli altri paesi di razza teutonica, Scandinavia, Olanda e Svizzera, davano in tutto quasi 100 mila emigranti. A questi 580 mila uomini partiti dal nord i paesi latini del Sud e dell’Ovest non opponevano che un totale di 120.000 persone e l’Oriente europeo a mala pena giungeva a 50 mila persone. Si poteva credere allora che i popoli germanici ed anglo-sassoni avrebbero invaso e sommerso, insieme coll’America del Nord, anche quella del Sud. A poco a poco lo spettacolo cambia. Le isole britanniche si mantengono alle cifre antiche, risalendo e superando, dopo una flessione cospicua prima del nuovo secolo, le cifre originarie del 1882: alla diminuzione della già spopolata Irlanda corrisponde un aumento uguale nella Scozia e nell’Inghilterra, cosicché nel 1909 sono ancora 282 mila persone che hanno lasciato la patria. Al contrario l’emigrazione germanica si è quasi ridotta ad un decimo di quello che era: lo slancio meraviglioso delle industrie interne ha frenato l’esodo delle popolazioni fuori dei confini.

 

 

Il Nord dà appena 360 mila emigranti nel 1909. Il sud latino invece supera le 580 mila persone: la Spagna, partita da 25 mila emigranti nel 1882, è arrivata a 138 mila nel 1909, il Portogallo da 18 è passato a 38 mila e sovratutto l’Italia di slancio da 67 mila è balzata a 406 mila emigranti, dopo aver toccato i 532 mila nel 1906, l’anno precedente lo scoppio della crisi nord-americana del 1907, che di tanto ridusse la capacità di assorbimento di uomini e di merci da parte degli Stati Uniti. I paesi dell’Ovest, in maggior parte slavi, giungono dal canto loro a 362 mila emigranti, tra austriaci, ungheresi e russi e facilmente sorpasserebbero i 400 mila, se nella nostra statistica si fosse potuto tener conto dei paesi balcanici. Il pericolo dell’invasione universale britannica e germanica sembra scartato. Non solo i latini si gittano a stormi nell’America del Sud; ma, insieme con gli slavi, accorrono a folla negli Stati Uniti, minacciando in certe regioni di turbare persino la purezza della razza anglo-sassone.

 

 

Per valutare l’importanza delle correnti di emigrazione non è inopportuno paragonarla con la densità della popolazione e con la natalità. Vi sono dei paesi in cui la popolazione è densissima e ciò nonostante la emigrazione è debole: come il Belgio, il quale, benché abbia 227 abitanti per chilometro quadrato, mandò fuor dei confini, negli anni 1904-908, appena dal 0,39 al 0,88 per mille della sua popolazione. Il paese, operoso e ricco, offre lavoro a tutti i suoi abitanti, quantunque essi crescano annualmente nella non spregevole misura del 9,31 al 10,21 per mille (eccedenza delle nascite sulle morti). Altrove, come in Francia, l’emigrazione è quasi nulla (dal 0,13 al 0,20 per mille) sia perché la popolazione è poco densa (73 abitanti per chilometro quadrato), sia perché bassissima, evanescente è l’eccedenza delle nascite sulle morti, che di rado supera l’1 per mille all’anno e nel 1908 si cambiò in una eccedenza delle morti sulle nascite del 0,51%. Dove la popolazione è stazionaria, non può esservi emigrazione forte, a meno che la ricchezza fortemente diminuisca: sibbene debbono ivi immigrare lavoratori dal di fuori. Ma vi è la Spagna, paese a densità scarsa di popolazione (appena 36 abitanti per chilometro quadrato), da cui ogni anno parte dal 4,36 al 6,44 per mille della popolazione, assorbendo una buona parte dell’incremento naturale, dato dall’eccedenza delle nascite sulle morti. Nei paesi dove l’incremento naturale annuo della popolazione è il massimo, e cioè la Danimarca (dal 13,41 al 15,02 per mille), la Germania (dal 13,15 al 14,90), i Paesi Bassi (dal 14,68 al 15,57 per mille), dove quindi la popolazione parrebbe dovere essere più esuberante, l’emigrazione non ha importanza. Raggiunge invece altezze notevoli nella Spagna, dove gli immigranti assorbono circa i due terzi dei nuovi venuti al mondo, nell’Inghilterra e Galles dove portano via metà circa dell’incremento di popolazione; e diventa preoccupante in Italia, Scozia ed Irlanda, in cui l’emigrazione spesso fu maggiore dell’eccedenza delle nascite sulle morti.

 

 

Ecco un piccolo quadro che fa pensare:

 

 

 

per mille abitanti Italia

 

1904

1905

1906

1907

1908

Eccedenza delle nascite sulle morti

11,67

10,60

11,15

10,72

10,31

Emigraz. extra-europea

Scozia

8,06

13,77

15,60

17,68

7,20

Eccedenza delle nascite sulle morti

11,80

12,16

11,92

10,80

11,08

Emigraz. extra-europea

8,09

8,81

11,25

13,89

8,76

Irlanda

Eccedenza delle nascite sulle morti

5,52

6,32

6,63

5,57

5,75

Emigraz. extra – europea

13,23

11,42

11,90

14,64

8,77

 

 

In un anno su cinque (il 1907) la Scozia non riuscì coll’eccedenza delle nascite sulle morti a riempire il vuoto lasciato nelle sue genti dall’emigrazione. In Italia il medesimo fenomeno si ripeté in tre anni su cinque; in Irlanda si ripete ormai ogni anno. Il fenomeno è reso, in Scozia e in Italia, meno preoccupante per il notevole numero di rimpatrii; ma l’Irlanda si va a poco a poco spopolando, sotto la pressione di una corrente emigratrice che supera del doppio l’eccedenza naturale delle nascite sulle morti.

 

 

Le statistiche hanno talvolta dei ravvicinamenti singolari. In talune regioni del mezzogiorno d’Italia la terra si spopola, perché come in Irlanda, l’emigrazione supera di gran lunga l’eccedenza delle nascite sulle morti. L’Irlanda, benché situata geograficamente al nord, è un paese latino per l’indole focosa ed immaginosa degli abitanti; ed i paesi più immaginosi d’Italia rassomigliano all’Irlanda, perché anch’essi, come la verde Erinni, pare lentamente si vogliano spopolare.

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