Opera Omnia Luigi Einaudi

Le illusioni dello sbilancio commerciale

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 23/02/1909

Le illusioni dello sbilancio commerciale

«Corriere della sera», 23 febbraio 1909

 

 

 

È stata pubblicata di questi giorni la statistica del commercio speciale di importazione ed esportazione per il 1908. Sono, per ora, cifre provvisorie, le quali saranno modificate dei grossi volumi che fra un anno l’Ufficio trattati o legislazione doganale pubblicherà con maggiori ragguagli e con valutazioni meglio rispondenti al vero. Intanto dobbiamo congratularci coi valentuomini che reggono quell’Ufficio, per essere riusciti a darci a metà febbraio quel volumetto che una volta tardava fino alla fine di marzo. Il non lieve progresso nella data della pubblicazione e la migliorata fattura tecnica delle utili statistiche, ci incoraggia ad esprimere un desiderio: quello cioè che le cifre provvisorie vengano calcolate in guisa meglio rispondente alla media effettiva dei prezzi. Le statistiche del commercio internazionale sono, fra tutte le ponderose pubblicazioni ufficiali, quelle che il pubblico conosce di più, che sono più largamente commentate dai giornali, che interessano maggiormente banchieri, industriali e commercianti, i quali vi vogliono leggere gli indici pronti e sicuri delle mutazioni del cambio, delle correnti di esportazione ed importazione delle loro merci, ecc., ecc.

 

 

I periodici e gli interessati commettono spesso errori grossolani nel commentare quei dati, impaurendosi, fuor di ogni ragione, degli sbilanci tra importazioni ed esportazioni e interpretando alla rovescia le cifre.

 

 

A porre rimedio a questi sbagli può giovare solo la diffusione della cultura economica; ne è compito degli uffici governativi muovere la guerra contro di essi. Possono bensì gli uffici governativi rimediare, nei limiti del possibile, ad una cagione principalissima di erronei apprezzamenti: che è il modo stesso con cui si attribuiscono provvisoriamente i valori alle merci importate ed esportate. So di toccare un punto difficilissimo; e di invocare un rimedio non facile a scoprirsi. Ma, provando e riprovando, son persuaso che ai valenti statistici dell’Ufficio trattati riuscirà di trovare la via d’uscita dal ginepraio.

 

 

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Riassumo le risultanze della statistica provvisoria. Fatta astrazione pel momento dai metalli preziosi, nel 1908 le merci importate avrebbero raggiunto il valore di 3.030.940.731 lire; e le esportate di 1.858.257.938, con uno sbilancio di 1.172.682.793 lire. Alla maggior parte dei lettori al leggere questa cifra verrà fatto di mettersi le mani nei capelli. Ed in realtà essa è tale da impensierire. L’anno prima 1907 con 2.880.669.312 lire all’importazione e 1.948.868.310 lire all’esportazione lo sbilancio era stato di 931.801.002 lire e pareva già grosso. Lo si colmava con le rimesse degli emigranti, con i denari lasciati in Italia dai viaggiatori stranieri per diporto e con varie altre maniere di credito verso l’estero. Ma nel 1908 è noto come le rimesse degli emigranti siano discese precipitosamente, specie dagli Stati Uniti; forse da 400 a 200 milioni di lire. Ed è noto del pari come sia diminuito assai, per la crisi nord-americana, il numero dei viaggiatori stranieri in Italia; ne sanno qualcosa gli albergatori di Venezia, Firenze e Roma. A metter poco, tra rimesse degli emigranti e minori spese di turisti stranieri, sono 250 milioni di meno di crediti dell’Italia sull’estero. Se vi aggiungiamo 240 milioni di maggior sbilancio (nel 1908 in confronto del 1907) tra merci importate ed esportate, arriviamo, in confronto all’anno precedente, ad un mezzo miliardo circa di maggior deficit nella bilancia commerciale complessiva (merci importate ed esportate, più altre cagioni di credito e di debito coll’estero).

 

 

Di qui previsioni pessimistiche sul cambio, che dovrebbe elevarsi e minacciò invero recentemente di elevarsi sino a 60-70 centesimi al disopra della pari, e sulla consistenza delle riserve metalliche delle banche d’emissione le quali dovrebbero depauperarsi per far fronte a questo crescente sbilancio commerciale.

 

 

Che queste paure siano esagerate risulta chiarissimo da pochi fatti; il cambio, dopo essere salito a 60-70 centesimi, è ridisceso ai 30-40-50 centesimi; la Banca d’Italia, che al 31 dicembre 1907 aveva un incasso d’oro di lire 896.306.885, al 31 dicembre 1908 l’aveva aumentato a 932.145.733 lire, ossia di 36 milioni circa, pur diminuendo solo di 12 milioni il suo incasso d’argento. E finalmente l’Italia, che secondo le prime impressioni avrebbe dovuto mandare all’estero quasi 500 milioni di metalli preziosi per far fronte al suo maggior deficit commerciale, ne esportava nel 1908 bensì per 21.012.200 milioni di lire, ma ne importava per 28.052.600 lire, cosicché in conclusione si arricchiva (se questo può dirsi vero arricchimento) di 7.040.400 lire di metalli preziosi. Tra minori crediti per rimesse di emigranti e spese di forastieri e maggiori debiti del sovrappiù di merci importate, avremmo nel 1908 dovuto mandar via 500 milioni di lire di metalli preziosi, ed invece abbiamo ricevuto un piccolo saldo di 7 milioni di lire. Quale la chiave del mistero?

 

 

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Le chiavi sono parecchie. In primo luogo nel 1907 avevamo importato un saldo netto in metalli preziosi di 162.332.600 lire, ossia 155 milioni di più dei 7 che vedemmo importati nel 1908. Ecco una prima maniera con cui pareggiammo le bilancie del commercio internazionale. Nel 1907 eravamo stati creditori verso l’estero di un saldo di ben 162 milioni di lire e l’estero ci pagò con altrettanto oro. Nel 1908 invece il saldo in oro diminuì a 7 milioni, il che significa questo soltanto: ché non potemmo seguitare ad accumulare tant’oro quanto usavamo prima (162 milioni nel 1907, come si disse, 133 nel 1906, 161 nel 1905, 33 nel 1904, 150 nel 1903). Andrei troppo per le lunghe a discutere se ciò sia davvero un male. Basta osservare che quando un paese ha accumulato le riserve metalliche sufficienti per la sua circolazione, accumulare ancora dell’altr’oro diventa un non senso economico, perché l’oro in tanto è utile in quanto giova alla circolazione. Accumularne di più è impiego improduttivo di capitali, precisamente come sarebbe sotterrare l’oro, come facevasi ai tempi di Don Abbondio.

 

 

Una seconda spiegazione del modo come si poté far fronte allo sbilancio commerciale è probabilmente questa: nel 1907 l’estero in crisi vendette all’Italia, per far denari, una non piccola parte dei titoli italiani posseduti all’estero: rendita pubblica, obbligazioni ferroviarie, azioni di banche e di ferrovie. Nel 1908 questa vendita affrettata cessò e vi fu anzi qualche ricompra dei titoli italiani, specie da parte della Svizzera. Tutto sommato, e pure tenuto conto che l’Italia nel 1908 cominciò a comprare in quantità non trascurabile titoli esteri, sembra si possa concludere che nel 1907 l’Italia abbia comprato di più di quello che abbia venduto in titoli, costituendosi quindi debitrice della somma necessaria alle maggiori compre; mentre nel 1908 accadde il contrario. È probabile perciò che, accanto al bilancio commerciale in merci, in rimesse di emigranti ed in pagamenti di stranieri viaggiatori il quale accusava nel 1908 un maggior deficit, vi sia stato un altro bilancio, in compra-vendita di titoli, che nel 1908 accusò un avanzo o minor deficit, che alcuni fanno salire a 90-100 milioni di lire.

 

 

Coi 155 milioni di prima (saldo di metalli preziosi importati in meno), saremmo già riusciti a spiegare 250 milioni sul mezzo miliardo di deficit nella bilancia commerciale.

 

 

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Il resto è un’illusione. Fra le «note preliminari» che si leggono innanzi al volumetto provvisorio dell’Ufficio trattati ve n’ha una così espressa: «La presente pubblicazione mensile applica, come valori provvisori, alle merci importate ed esportate nell’anno in corso, quelli stabiliti dalla Commissione centrale dei valori per le dogane per la statistica dell’anno precedente».

 

 

Che vuol dir ciò? Che alle merci importate ed esportate nel 1908 si applicano provvisoriamente i valori del 1907. Nei volumi grossi, che verranno fuori fra un anno, saranno fatte le opportune correzioni e si applicheranno al commercio del 1908 i valori del 1908; ma per il momento dobbiamo contentarci dei valori del 1907. Le conseguenze sono gravissime.

 

 

Ognuno sa come nel 1908 i valori di moltissime merci siano diminuiti; ed ognun sa come la diminuzione sia stata diversa a seconda dei differenti gruppi di merci, così da influire in misura non uguale sulle importazioni e sulle esportazioni. Un giornale finanziario milanese, l’Eco del movimento economico, in un assennato articolo, ha fatto alcune approssimative correzioni ai dati della statistica provvisoria, tenendo conto delle variazioni dei prezzi. Ne sarebbero risultati questi dati: all’importazione, invece di 3 miliardi e 30 milioni, solo 2 miliardi e 730 milioni; all’esportazione un miliardo ed 800 milioni invece di 1 miliardo e 858 milioni. Se la correzione è esatta, lo sbilancio commerciale del 1908 invece di essere di 1172 milioni, risulterebbe di 930 milioni soltanto, ossia suppergiù uguale a quello del 1907, che fu appunto di 931 milioni.

 

 

Sono i 240 milioni di differenza che ancor si cercavano e che sono frutto del metodo adottato dagli uffici ministeriali nel calcolare i valori doganali.

 

 

E qui ritorno all’invito che volevo rivolgere ai direttori dell’Ufficio trattati: essere d’uopo di mutare il metodo di calcolare, anche provvisoriamente, i valori doganali. È vero che l’errore sarà corretto nel volume definitivo. Ma questo nessuno lo leggerà, salvo gli studiosi di professione; è troppo grosso, quantunque ammirabile sotto tanti rispetti, ed arriva troppo in ritardo. Quale giornale oggi può attardarsi a commentare le elaborate statistiche del 1907? Mentre i volumetti provvisori del 1908 sono letti e commentati e possono servire anche ad orientare l’azione pratica dell’industria e del commercio. Occorre dunque che essi siano quanto più vicini al vero si possa, e non nascondano nelle loro pieghe degli errori di 240 milioni in più nell’apparente sbilancio commerciale. Applicare al 1908 i prezzi del 1907 è manifestamente un assurdo, poiché è noto che quei prezzi diminuirono fortemente.

 

 

L’Ufficio trattati dovrebbe applicare alle statistiche provvisorie del 1908 dei valori pure provvisori, ma relativi all’anno stesso. Dati per calcolare questi valori provvisori non mancano: bollettini, mercuriali, listini di giornali, ecc., ecc. È un campo in cui gli impiegati studiosissimi di quell’ufficio possono farsi onore. I valori provvisori, saranno sempre migliori di quelli antiquati del 1907. Potrebbonsi conciliare i due metodi, applicandoli contemporaneamente amendue, così da far risaltare le differenze, cosa utilissima, anche sotto il rispetto delle mutazioni dei valori. Verrà poi la Commissione centrale dei valori medi definitivi; e questi saranno adottati nei volumi grossi, da consultarsi per le indagini retrospettive. Ma intanto anche le statistiche provvisorie, alle quali soltanto badano gli interessati, saranno rese più rispondenti al vero, che è sempre, in questa materia, provvisorio ed instabile.

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