Opera Omnia Luigi Einaudi

Le imposte inglesi e la guerra

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 21/05/1924

Le imposte inglesi e la guerra

«Corriere della Sera», 21 maggio 1924

Cronache economiche e politiche di un trentennio (1893-1925), vol.VII, Einaudi, Torino, 1963, pp. 719-723

 

 

 

La magnifica affermazione liberistica, il ritorno alle gloriose tradizioni gladstoniane della «colazione franca di imposte» sono state già largamente commentate dalla stampa. Il primo bilancio laburista inglese non reca tracce di leve sul capitale, di inasprimenti successori e di cresciuta ripidità nella scala dell’imposta progressiva sui redditi. È un bilancio redatto secondo le linee tradizionali, care ai finanzieri ansiosi di crescere favore al proprio governo: aumentare le imposte sino al massimo della tollerabilità durante le guerre e diminuirle poi, toccando ad uno ad uno quei punti di massima pressione, dove l’alleviamento delle imposte può riuscire più gradito ai contribuenti.

 

 

Giova, per rispecchiare il cammino percorso, riassumere le cifre dell’ultimo bilancio antebellico (1913-14) e di quelli dell’ultimo anno di guerra (1918-19), dell’anno di massima espansione tributaria (1920-21) e dell’anno ora cominciato (1924-25). Gli esercizi finanziari britannici corrono dall’1 aprile al 31 marzo. Riporto le cifre in milioni di lire sterline, che il lettore tradurrà agevolmente in lire italiane-oro, moltiplicando per 25 ed in lire italiane-carta moltiplicando all’incirca per 100:

 

 

1913 – 14

1918 – 19

1920 – 21

1924 – 25

 

Imposte sui consumi

Dazi doganali 

35

103

134

102

Imposte interne di produzione 

40

59

200

136

Tasse sulle vetture automobili 

7

16

Imposte sui patrimoni e loro trasferimenti

 

Imposte di successione 

27

30

48

56

Imposte di bollo 

10

12

27

21

Imposte sui redditi 
Imposta sul valor locativo 

2

2

2

0,4

Imposta sulla terra 

0,7

0,6

0,7

0,7

Imposta sui valori fondiari 

0,7

0,7

0,1

Imposta sulle società anonime 

0,7

20

Imposta sui profitti di guerra 

285

219

8

Imposta sul reddito e complementare progressiva sul reddito 

47

291

394

326

 

Totale dei proventi tributari

 

163

784

1.032

686

Proventi non tributari (posta, demanio, liquidazioni post-belliche) 

35

105

394

108

Totale generale

 

198

889

1.426

794

 

 

I proventi non tributari, i quali si erano accresciuti per le alienazioni di materiali bellici, tornano alle dimensioni normali: sui 108 milioni di lire sterline, 53,5 sono dati dalle poste, 13,1 da entrate patrimoniali e 42 da diverse. Nella terminologia inglese, queste entrate non interessano il contribuente e sono messe in coda al bilancio.

 

 

Le entrate tributarie propriamente dette si erano moltiplicate per 6 dal 1913-14 al 1920-21; nell’anno in corso il coefficiente di moltiplica si riduce da 1 a 4. Ma poiché, anche in Inghilterra, la moneta subì una svalutazione che si può calcolare grossolanamente in un terzo, si può dire che nel 1920-21 la pressione tributaria reale subita dal contribuente inglese fosse moltiplicata per 4,2 e nel 1924-25 per 2,7 in confronto al 1913-14: aumenti davvero formidabili, appunto perché già calcolati correggendo l’errore della svalutazione monetaria.

 

 

Non c’è ragione di credere che questi aumenti, i quali sembra abbiano recata la pressione tributaria inglese al 35% del reddito nazionale, siano maggiori di quelli italiani, tuttoché il signor Lloyd George calcoli la pressione tributaria italiana solo al 19%. Se il più povero paga il 19 e il più ricco il 35, forseché il carico del più povero non è ancora maggiore di quello del più ricco? Almeno così si deve ragionare se è vera la teoria della progressività dell’imposta.

 

 

Lo specchio fa vedere come i finanzieri inglesi abbiano distribuito l’aumento di pressione: il meno che potevano sui consumi, sulle successioni e sul bollo; nulla sulle piccole imposte, sul valor locativo e sulla terra; e il massimo sui profitti di guerra e sul reddito in generale.

 

 

L’attuale ministro laburista delle finanze ha fatto piazza pulita di taluni dazi doganali nettamente protezionistici (automobili, orologi, strumenti musicali, films cinematografici); ha ridotto il dazio sul tè da 8 a 4 pence per libbra (da 7 a 3,50 lire-carta per kg all’incirca),l’imposta sullo zucchero da lire 15 s. 8 d. ad 11 s. 8 d. per Cwt. (da 2,50 a 1,10 lire-carta circa per kg) e così via. Ha abolito l’imposta sugli spettacoli pubblici (compresa in Inghilterra in quelle di produzione) per i biglietti fino a 6 pence, ossia a 2,40 circa lire-carta, e li ha ridotti per quelli d’oltre 6 pence sino a 2 scellini. Non ha toccato l’imposta sulle vetture automobili, concedendo però facilitazioni a coloro che restituiscono la licenza dopo qualche mese di utilizzazione. Non ha concesso nessun alleviamento alle imposte di successione e di bollo.

 

 

Le riforme più interessanti, dal punto di vista tecnico, sono quelle deliberate nel campo delle imposte sui redditi. L’anno venturo, invece di cinque cifre, corrispondenti a cinque imposte diverse, sopravviveranno formalmente solo due cifre: terra e reddito, in realtà una sola: l’imposta sul reddito.

 

 

L’imposta sui profitti di guerra, che appare nel bilancio del 1924-25 per soli 8 milioni di lire sterline di residui scomparirà naturalmente nell’esercizio successivo. La sua vita odierna è già contrastata: nel 1923-24 fu addirittura passiva, ad un’entrata di 23,5 milioni di lire sterline corrispondendo un’uscita di 25,4 per rimborsi di imposte riscosse di troppo in passato. È la sorte delle imposte sui profitti di guerra in tutti i paesi dove furono istituite.

 

 

Il signor Snowden abolisce due imposte: una venerabile per i suoi 150 anni di vita, l’imposta sul valor locativo e l’altra modernissima, sui redditi delle società anonime, istituita nel 1919. La prima è abolita perché fa doppio con le imposte locali che in Inghilterra colpiscono appunto quasi esclusivamente i valori locativi, perché è poco produttiva e perché troppo gravosa per i professionisti e per la media borghesia. La seconda è abolita perché fa doppio con l’imposta sul reddito ed urta contro il senso di perequazione tributaria, il quale si ribella a scegliere le società anonime come oggetto particolare di tassazione. Il ministro laburista non si lascia sviare da criteri politici anti-capitalistici e toglie di mezzo questo che era un puro arnese di finanza bellica, l’unico forse inventato in Inghilterra sotto la pressione dell’urgenza di far danaro, repugnante all’armonia del sistema tributario.

 

 

Poiché l’imposta sulla terra non conta praticamente e quella sui valori fondiari è sospesa – il signor Snowden annuncia soltanto la ripresa delle stime relative – nel 1925-26 l’unica imposta veramente esistente nel gruppo delle imposte sui redditi tornerà ad essere l’imposta sul reddito, insieme con quella complementare progressiva. Fruttava 47 milioni nel 1913-14 con un’aliquota del 5% per la imposta base e del 5,33% per la complementare progressiva e per i redditi massimi; rese 394 milioni nel 1920-21 con un’aliquota del 30% per la imposta base e del 30% per la complementare progressiva e per i valori massimi; frutterà 326 milioni di sterline nel 1924-1925 con un’aliquota del 22,50% per la imposta base e del 30% al massimo per la complementare progressiva. Poiché l’imposta-base e quella complementare sono due parti di una stessa imposta, sommandole si ricava che l’aliquota totale dell’imposta sul reddito subì le seguenti variazioni:

 

 

Redditi minimi tassabili in pieno: 5% nell’ante-guerra, 30 nel momento di massima pressione, 22,50 oggi. Sono tassabili in pieno all’incirca i redditi da 700 lire sterline all’anno in su. Quelli inferiori godono di variabili attenuazioni.

 

 

Redditi massimi: 10,33% nell’ante-guerra, 60 nel momento di massima pressione, 52,50 oggi.

 

 

Il signor Snowden non ha creduto di scendere al disotto del 22,50% per l’aliquota della imposta-base. «Non bisogna dedurre da ciò – egli aggiunge – che io preveda il mantenimento permanente dell’aliquota al 22,50%. Voglio soltanto dire, per quanto riguarda gli alleviamenti che io sono in grado di concedere quest’anno, che debbo dare la preferenza ad altri contribuenti».

 

 

Riassumendo, prima della guerra il 46% delle entrate tributarie era ricavato dalle imposte sui consumi, il 23% da quelle di successione e bollo ed il 31% dalle imposte sui redditi. Oggi, le proporzioni sono, rispettivamente, il 37% dai consumi, l’11% dalle successioni e bollo e il 52% dai redditi. Si tende ad alleggerire i consumi e i trasferimenti della ricchezza ed a gravare sui redditi.

 

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