Opera Omnia Luigi Einaudi

Le non–sentenze dell’On. Turati

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 03/05/1905

Le non–sentenze dell’On. Turati

«Corriere della Sera», 3 maggio 1905

Cronache economiche e politiche di un trentennio (1893-1925), vol. II, Einaudi, Torino, 1959, pp. 224-226

 

 

L’on. Turati risponde nella «Critica sociale» – e la risposta fu in anticipazione pubblicata dal «Tempo» – agli articoli che siamo venuti recentemente pubblicando intorno all’arbitrato dei ferrovieri in rapporto all’esercizio di stato. Non vale la pena di trattenerci su ciò il Turati scrive intorno alla nostra nomenclatura di questioni giuridiche e di questioni economiche. Come ricordano i lettori, noi avevamo chiamato questioni giuridiche tutte quelle le quali nascono dall’interpretazione delle leggi, dei regolamenti e dei contratti esistenti. Tutti comprendono che possono essere questioni di vitalissima importanza economica per i ferrovieri e lo stato; ma le chiamammo giuridiche, perché possono essere risolute in base a testi scritti, che ogni magistrato deve sapere interpretare. In ogni caso allo stato non si accolla mai un debito nuovo; ma tutt’al più si impone il pagamento di un debito vecchio, che avrebbe dovuto essere già stanziato nel bilancio dello stato. Invece chiamammo «economiche» quelle questioni che nascono da dispareri tra ferrovieri e stato intorno alla formazione di un diritto nuovo, questioni che, se decise in senso contrario allo stato, possono dar luogo a nuovi aggravi per le pubbliche finanze, aggravi che occorrerebbe impostare per la prima volta nel bilancio dello stato. Ogni nomenclatura ha i suoi pregi e i suoi difetti. A noi pareva che la nostra fosse chiara. Così non sembra all’on. Turati. E noi, se egli ne proporrà un’altra migliore, siamo pronti ad accettarla, non volendo litigare sulle parole.

 

 

Non ci pare tuttavia che egli sia sulla buona via per proporre una nuova nomenclatura perfetta, poiché non ha capito quali siano le questioni che noi abbiamo chiamato economiche. Lasciamogli la parola nel suo tentativo di definire in modo oscuro ciò che a noi pareva di aver dichiarato in modo non equivoco:

 

 

I diritti, invece, collettivi – quelli che nascono non dalla lettera di un paragrafo del regolamento, ma dalla interpretazione generale del contratto, dalle evoluzioni dell’industria, quelli che promanano insomma dal diritto, e che minacciano importanti collisioni che importa per l’appunto prevenire coll’arbitrato quelli lì cessano di essere giuridici e diventano l’oggetto di semplici questioni economiche, anche se magari l’interesse pecuniario non ci abbia nulla da vedere. Le quali questioni, se risolte dagli arbitri, si avrebbe la decapitazione del parlamento, il saccheggio probabile delle finanze nazionali ad opera di una «autocrazia» arbitraria ed irresponsabile.

 

 

Il periodo citato dimostra la disinvoltura con la quale si pretende confutare i nostri ragionamenti. Noi avevamo detto: se i ferrovieri non si contentano più dell’organico esistente, se vogliono un aumento di paga, o una modificazione d’orario, o turni di servizio, o competenze accessorie oltre e contro ciò che è stabilito dalle leggi e dai regolamenti esistenti, non ci troviamo più di fronte ad una questione di diritto che possa essere risoluta dai magistrati; ma ad una pretesa di fondare un diritto nuovo, pretesa di cui il solo parlamento deve essere giudice, essendo pericolosissimo, essendo assurdo lasciarla giudicare da un arbitro, per quanto insospettabile, portato per sua indole a tagliare i nodi gordiani a metà, sovratutto giocando colla borsa di quelle disprezzabili e trascurabili persone che sono i contribuenti. E l’on. Turati ci viene a dire che qui si tratta di diritti collettivi, di interpretazioni generali del contratto (interpretazioni che dovrebbero essere capovolgimenti), diritti nascenti dalle evoluzioni dell’industria ed altrettali parole prive di contenuto su cui i magistrati si dovrebbero dichiarare incompetenti, perché essi interpretano la legge vigente e non la fanno.

 

 

In fondo, l’on. Turati è tanto persuaso che queste non sono questioni giuridiche, che indignato protesta contro la sola ipotesi, dovere le sentenze arbitrali diventare obbligatorie per lo stato senza l’approvazione del parlamento! Egli non può negare che «nessun responso di arbitri può avere facoltà di alterare i bilanci, che sono leggi dello stato o di sovrapporsi al parlamento». Ma allora che commedie sono codeste sentenze fra due parti le quali hanno valore solo se una delle due parti, lo stato, le accetti dopo che esse sono rese? Il Turati trova in queste non-sentenze, un vantaggio: che il parlamento «non deciderebbe sotto l’influsso di pressioni elettorali o politiche, o per paura o per rappresaglia ma sul fondamento di una sentenza, autorevolmente ed ampiamente discussa e motivata».

 

 

Tutti vedono come il vantaggio sia più che dubbio. O la sentenza sarà favorevole ai ferrovieri ed allora, secondo lo stesso Turati, «riuscirebbe praticamente difficile al parlamento ribellarsi ad essa». Figuriamoci le male parole rivolte ad un parlamento il quale osasse ribellarsi ai verdetti della giustizia, ecc. ecc.! O il verdetto riuscirebbe favorevole allo stato; ed i ferrovieri non per ciò disarmerebbero ed invocherebbero tutti i fulmini proletari contro la giustizia borghese, di classe, forcaiola, invecchiata, che non capisce lo spirito dei tempi nuovi, ecc. ecc. In fondo, codeste non-sentenze sarebbero peggiori delle sentenze vere: perché, col pretesto della facoltà ipotetica di revisione del parlamento, le sentenze arbitrali, di cui già dimostrammo le incognite per il bilancio dello stato, sarebbero solo soggette a revisione a danno dell’erario.

 

 

A noi sembra che se qualcosa si vorrà statuire nella futura legge organica sulle questioni economiche (seguitiamo a chiamarle così finché non piaccia all’on. Turati suggerirci un termine migliore e preciso), bisognerà ritornare a qualcosa di simile a ciò che era sancito dal progetto Tedesco. Il quale ogni dieci anni faceva dall’amministrazione rivedere gli organici in rapporto alle condizioni dell’azienda ferroviaria e allo stato generale dei salari, obbligava a sentire in proposito il parere del consiglio generale del personale; e proposte e pareri sottoponeva al parlamento. Chi più competente dell’amministrazione e del personale ad indicare riforme e miglioramenti? e chi miglior giudice del parlamento dell’opportunità di concederli? Non è meglio tutto ciò del sistema di sentenze che non sono sentenze?

 

 

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