Opera Omnia Luigi Einaudi

Le nuove convenzioni marittime

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 14/05/1906

Le nuove convenzioni marittime

«Corriere della Sera», 14[1], 15[2] e 21[3] maggio, 9[4] e 26[5] giugno 1906

Cronache economiche e politiche di un trentennio (1893-1925), vol. II, Einaudi, Torino, 1959, pp. 346-376

 

 

I

Il problema delle nuove convenzioni marittime, colla presentazione del disegno di legge al parlamento, è entrato nella sua fase risolutiva, sicché importa oramai discuterlo serenamente ed affrontarlo in tutta la sua interezza. Un qualche risveglio dell’opinione pubblica si è già avuto, dopoché fu resa nota la relazione della commissione reale per i servizi marittimi, relazione che forse tardò troppo ad essere condotta a termine, ma in compenso apprestò larga messe di dati agli interessati ed al governo. Il consiglio superiore della marina mercantile discusse nelle sue ultime tornate il problema e furono ad esso presentate alcune pregevoli relazioni dell’ing. Capuccio e del prof. Supino. Finalmente il senatore Piaggio, il quale già altra volta si era occupato dell’argomento, insistendo sulla necessità di non perdere tempo, vi è tornato sopra in un recente scritto su Lo Stato e le convenzioni marittime.

 

 

Riassumiamo dapprima i precedenti della quistione. Per procedere diritti verso una meta sicura nell’avvenire, è necessario sapere donde si sieno prese le mosse nel passato e quale sia stata l’azione del governo e l’opera dei privati nell’industria alla quale si vuole dare nuovo impulso.

 

 

Che la marina mercantile italiana dal 1870 si dibatta in condizioni non buone, è cosa risaputa. In quell’anno la nostra flotta mercantile teneva il quinto posto tra le marine del mondo per il tonnellaggio complessivo e non era preceduta che dall’Inghilterra, dagli Stati uniti, dalla Norvegia e dalla Francia. Con questi ultimi due paesi non vi era che un leggero distacco. Ma già sin d’allora la nostra marina cominciava ad essere rosa dal male che doveva in breve ora trarla a quasi compiuta rovina. Appena una trentesima parte del tonnellaggio italiano era rappresentata da piroscafi mentre la proporzione delle navi a vapore rispetto alle navi a vela era del decimo in Germania, del settimo negli Stati uniti, del sesto nella Francia e nell’Austria-Ungheria, del quinto nell’Inghilterra. Mentre tutti gli altri paesi compievano una rapida trasformazione tecnica verso le navi a vapore, l’Italia si ostinava a tenersi attaccata alla navigazione a vela, e rimaneva stazionaria quando tutte le altre nazioni progredivano. La decadenza non poteva tardare. Gli 88 cantieri del 1870 si riducono nel 1880 a 48; il nuovo tonnellaggio costruito da 90.693 a 14.526 tonnellate; il numero delle navi costruite da 724 a 263; ed il valore da 25 a 4 milioni di lire. Né alla mancanza delle costruzioni all’interno suppliva la compra di navi all’estero; sicché eravamo discesi al settimo posto fra i paesi del mondo.

 

 

Una commissione d’inchiesta, presieduta dall’on. Boselli, mise in chiaro le cause del male e propose di aumentare le sovvenzioni e di concedere compensi di costruzione e premi di navigazione; ciò che fu fatto con legge del 1885. Lo stato italiano si indusse a spendere dal 1886 al 1896 circa 150 milioni di lire in sovvenzioni e premi; grave sacrificio che sarebbe stato sopportato di buon animo se vi avessero corrisposto i risultati. Invece il tonnellaggio complessivo del nostro naviglio scendeva da 999.196 tonnellate nel 1880 ad 820.716 nel 1890 ed a 765.000 nel 1896; il numero dei piroscafi era appena di 351 per 237.727 tonnellate; e nel movimento complessivo internazionale dei porti italiani le nostre navi, che nel 1880 rappresentavano ancora il 34,8%, erano precipitate al 24,1%.

 

 

La legge del 1885 era dunque riuscita inefficace e, nonché eccitare le energie nazionali, aveva forse contribuito a sopirle. Invece di mutar strada, governo e parlamento credettero che la marina nostra abbisognasse di aiuti ancora maggiori; e con la legge del 1896 si aumentarono assai premi e compensi di costruzione e di navigazione. Questa volta i risultati furono superiori alle speranze concepite, ed anzi tali da incutere timore non piccolo per la solidità del bilancio. Le costruzioni impostate sui cantieri si moltiplicarono per guisa che il sacrificio dello stato pareva dovesse salire in breve ora a parecchie decine di milioni all’anno in soli compensi e premi; e che sotto una spinta così disordinata l’industria delle costruzioni dovesse alla perfine ridursi ad una acuta crisi di sovraproduzione. Una nuova legge del 1901 ridusse ed in parte soppresse i premi e compensi concessi alle navi denunciate dopo il 30 settembre 1899.

 

 

Tra tanto fare e disfare la marina mercantile italiana libera negli ultimi anni sembra avere acquistato novello slancio più per virtù propria che per impulso di leggi. Nel 1904 i cantieri erano di nuovo cresciuti a 35 con una potenzialità di produzione annua di 800.000 tonnellate e produssero effettivamente nel 1905 più di 60.000 tonnellate nette. Specialmente sotto l’impulso del cresciuto movimento migratorio, un felice risveglio si è manifestato negli ultimi anni nell’industria delle costruzioni e della navigazione; ed al 31 dicembre 1904 il tonnellaggio complessivo delle navi con bandiera italiana ammontava a 1.032.614.

 

 

Si tratta però ancora di un movimento iniziale. Più di metà del tonnellaggio complessivo del nostro naviglio è costituito ancora da velieri, di cui due terzi hanno lo scafo in legno. I piroscafi di bandiera italiana rappresentano per tonnellaggio lordo il 2,5% del naviglio mondiale, mentre l’Inghilterra ha la percentuale del 51,7; la Germania del 10,1, gli Stati uniti dell’8,6, la Francia del 4,4, la Norvegia del 3,6. L’Italia non ha nessuna unità nautica di stazza lorda superiore a 7000 tonnellate; e nessuno dei suoi transatlantici supera le 15 miglia di velocità. L’età media del materiale a vapore è salita da 14 anni nel 1892 a 16 anni nel 1904 ossia noi lo abbiamo lasciato invecchiare, mentre altri paesi, specialmente la Germania, l’Olanda, l’Austria-Ungheria, la Russia, l’Inghilterra lo ringiovanirono. Solo per la velocità media e per il tonnellaggio medio noi abbiamo ragione di confortarci; ma nel complesso il progresso compiuto dalla nostra marina è stato inferiore a quello compiutosi in Germania, Stati uniti, Norvegia, Giappone, Russia ed Austria-Ungheria.

 

 

Già abbiamo accennato alle leggi con le quali lo stato italiano è venuto in aiuto alla sua marina mercantile. Sarà opportuno dichiarare più largamente quali siano le maniere diverse che fin, qui furono usate per siffatto intento. Il protezionismo marittimo può difatti prendere forme svariate, i cui effetti possono essere anch’essi diversissimi. In Inghilterra alla marina si danno soltanto sovvenzioni per i servizi postali e sovvenzioni militari per le navi, che in tempo di guerra possono trasformarsi in navi ausiliarie. Sono circa 26 milioni di lire che il tesoro inglese spende; ma sono tutti dati come compenso sia pure larghissimo di un servizio pubblico. La Germania aiuta la marina in parecchi modi: esentando il materiale delle costruzioni navali dai dazi doganali, concedendo tariffe ridottissime per il trasporto dei carboni, degli acciai, ecc., dall’interno ai cantieri, stabilendo tariffe combinate ferroviarie-marittime che favoriscono le spedizioni di merci per mare; e dando infine 11 milioni di lire di sovvenzioni a certe linee postali. L’Austria-Ungheria oltre a sovvenzionare la marina per i servizi postali e commerciali con circa milioni di lire concede premi di costruzione e di navigazione. Così pure fanno il Giappone e specialmente la Francia, la quale paga più di 26 milioni di sovvenzioni per servizi postali e militari e 25 milioni all’anno in premi di costruzione e di navigazione ed in compensi di armamento.

 

 

L’Italia ha seguito quest’ultima via che si potrebbe dir mista e noi, che non siamo certi ricchi signori abbiamo preferito imitare la Francia piuttostoché la Germania e l’Inghilterra; e ci siamo inspirati piuttosto all’esempio di una nazione, la cui marina mercantile è stazionaria che non a quello dei paesi i quali si trovano a capo del movimento marittimo mondiale.

 

 

L’Italia spende infatti adesso 12 milioni di lire all’anno in sovvenzioni per i servizi postali (380 milioni di lire in cifra tonda dal 1860 al giugno 1905), per i quattro quinti pagati alla Navigazione generale italiana. Che a questo non indifferente onere annuo abbiamo finora corrisposto adeguati vantaggi commerciali, nessuno oserebbe dire. La flotta sovvenzionata per i servizi postali si compone di materiale per lo più vecchio e scadente, tale in certi casi da non poter decorosamente tenere il mare. Le linee sono stabilite in maniera disadatta ai bisogni del commercio; senza alcun concetto organico; quasi per sovrapposizione operatasi a caso sotto la spinta degli interessi più influenti. Di fronte alla principale, quasi l’unica, compagnia sovvenzionata la quale gode di un vero monopolio, lo stato si trova disarmato rispetto alle tariffe, alla bontà e velocità dei trasporti, alla tutela dei grandi interessi economici nazionali. Nessun limite di età e’ stabilito per le navi che fanno il servizio postale, cosicché tengono il mare bastimenti costruiti più di 40 anni fa, i quali fanno concorrenza alle locomotive sgangherate di taluni nostri depositi ferroviari. Le compagnie sovvenzionate pur troppo hanno per lungo tempo preferito di addormentarsi sui facili dividendi garantiti dai milioni delle sovvenzioni governative; e se sembrano essersi svegliate recentemente dal lungo torpore, vi ha contribuito sovratutto il timore delle nuove convenzioni che debbono in quest’anno essere stipulate.

 

 

Né vantaggi maggiori ha l’Italia ricavato dagli 8 milioni che l’erario spende nella seconda maniera di aiuto alla marina mercantile, ossia nei compensi di costruzione per le navi costrutte nei cantieri italiani e nei premi di navigazione alle navi costrutte in Italia e dichiarate prima del 30 settembre 1899. Questi compensi, per spingere realmente a costruire ed a far navigare navi italiane, avrebbero dovuto essere stabiliti in conformità della legge del 1896; ma allora avrebbero messo in pericolo le sorti del bilancio; e noi ci saremmo avviati alle condizioni, punto invidiabili, della Francia, ove la marina nazionale naviga per pescar premi anziché pesci, e dove si son costruiti numerosi velieri, argutamente chiamati «cueilleurs de primes», i quali soventi fanno il viaggio fra la Francia ed i porti americani del Pacifico in zavorra, nell’unico intento di lucrare i premi stabiliti dalle leggi. Inefficaci se miti, pericolosi se forti, i premi non hanno soddisfatto mai né i costruttori, né gli armatori e tanto meno il commercio sano e fecondo.

 

 

Questa, che abbiamo tratteggiata brevemente, è la situazione del problema marittimo oggi che il parlamento è chiamato a discuterlo. Una marina mercantile, che cominciò negli ultimi anni a svilupparsi alquanto, ma si trova in uno stato di decadenza di fronte all’epoca della marina a vela, e di inferiorità rispetto alle marine estere. Una protezione che costa allo stato circa 20 milioni di lire all’anno, per averne in cambio servizi postali disorganizzati, monchi, condotti con navi vecchie, lente e con tariffe alte e non confacenti ai bisogni del commercio.

 

 

Conviene mutar strada? La commissione reale, relatore l’on. Pantano, dice risolutamente di sì; alcuni membri del consiglio superiore della marina mercantile, come il Capuccio, inclinano piuttosto a conservare l’indirizzo presente, migliorandolo alquanto. Il governo accetta in parte le vedute della commissione reale; e chiede sul resto una proroga, la quale potrebbe essere dannosissima.

 

 

II.

Una marina mercantile scarsa, decaduta dalla antica prosperità del tempo della navigazione a vela, e, malgrado il risveglio delle attività marinare negli ultimissimi anni, ancora troppo inferiore alle marine estere; ed un sacrificio ingente di 380 milioni in sovvenzioni e di 100 milioni in premi e compensi sopportato dallo stato; ecco i risultati di un quarantennio (1862-1905), di legiferazione mancante di vedute larghe ed organiche, varia per intenti e saltuaria per mezzi. Importa quindi scegliere adesso altra via, la quale possa indirizzare efficacemente la marina mercantile ad alta meta. E poiché, di tutte le forme di aiuto dello stato, l’aiuto concesso in premi di navigazione e compensi di costruzione si è dimostrato il più inefficace ed anzi pericoloso, come quello che spinge le navi a far viaggi non economici nel solo intento di lucrare i premi, e induce a mettere navi in cantiere, anche quando non sono richieste dal mercato, allo scopo di guadagnare i compensi di stato; così la commissione propone di abbandonare in tutto il sistema dei premi; e con gli otto milioni risparmiati in tal guisa, uniti ai 12 delle sovvenzioni marittime provvedere ad un’opera complessa, la quale possa veramente riuscire feconda. Quale sia quest’opera complessa si dirà brevemente.

 

 

Parità di condizioni nella lotta fra cantieri nazionali ed esteri.

 

 

La principalissima causa di inferiorità dei cantieri italiani di fronte a quelli esteri è il costo alto dei materiali, rincarati notevolmente a causa del forte dazio di protezione sui metalli. Per proteggere la industria della siderurgia si colpiscono di dazi i materiali metallici navali, salvo per un terzo, per cui è concessa l’introduzione in franchigia: quindi per indennizzare i cantieri della maggior spesa dovuta al dazio sui due terzi che ne son colpiti, lo stato rimborsa loro 35 lire per tonnellata di registro. La conclusione si è che lo stato paga ai cantieri 35 lire per tonnellata, affinché essi possano pagare ai siderurgici i materiali a prezzo più alto di quel che converrebbe pagare all’estero. A questa causa di inferiorità si aggiungono il costo maggiore del carbone, le più alte imposte, l’interesse maggiore dei capitali, le spese generali minori, ecc. ecc.; elementi che le leggi vigenti valutano in altre 40 lire per tonnellata, che lo stato dà ai cantieri come compenso di costruzione.

 

 

La commissione ha reputato che il sistema non potesse più essere seguito. La siderurgia nazionale è giunta oramai a tale grado di floridezza che può bene consentire una diminuzione del protezionismo di che essa gode; e siccome i cantieri assorbono un quinto della produzione attuale della industria siderurgica, così l’abolizione integrale dei dazi sui materiali metallici delle costruzioni navali, mentre non ruinerebbe affatto la industria siderurgica – la quale rimarrebbe protetta per gli altri quattro quinti della sua produzione -, metterebbe i cantieri in grado di combattere sotto il rispetto dei dazi ad armi pari coi cantieri esteri. Quanto agli altri elementi di inferiorità, alcuni di essi sono discutibili nella loro misura, come il costo dei capitali e gli oneri fiscali ed è più che probabile siano inferiori – e non di poco – alle 40 lire per tonnellata pretese dai costruttori; e siano in parte compensati dal minor costo della mano d’opera e di altri fattori di costo. La commissione propone, ispirandosi alle tendenze recentissime della legislazione fiscale, di diminuire le tasse sui contratti di costruzione navale e sulle quietanze, di ridurre notevolmente l’imposta di ricchezza mobile, di concedere riduzioni di tariffe per i trasporti ferroviari del materiale metallico, di obbligare le compagnie concessionarie dei servizi sovvenzionati a far costrurre in Italia le loro navi, purché il prezzo offerto dai cantieri nazionali non superi di più del 5% il prezzo offerto dai cantieri esteri.

 

 

A queste proposte crediamo dover consentire, sovratutto a quelle fiscali. Molto preferibile ci sembra ridurre le imposte che impediscono alle industrie di svilupparsi, piuttosto che estorcere tributi gravosi ed essere obbligati poi a restituirli sotto forma di compensi di costruzione. Il sacrificio sarà tanto più sopportabile per lo stato, in quanto la più mite tassazione creerà nuova materia imponibile, che non sarebbe esistita altrimenti. Che se poi malgrado la assoluta franchigia daziaria, le imposte diminuite, i trasporti a buon mercato e la preferenza fino al 5% del prezzo nelle ordinazioni, i cantieri italiani pretenderanno ancora di non poter vivere, non resterà altro da fare. Se un’industria, malgrado facilitazioni notevoli e malgrado la lunga protezione goduta finora non riesce a vivere bene, è davvero un grande interesse nazionale proteggerla ancora? Non crediamo che i cantieri abbiano a rimanere deserti: ché anzi saranno posti in grado di poter liberamente progredire, senza impacci daziari e fiscali, a norma della effettiva richiesta del mercato.

 

 

Credito navale.

 

 

Questa è la più discussa e la più discutibile delle proposte fatte dalla commissione. A rimediare alla inferiorità degli armatori sul mercato dei capitali, si propone di fondare un istituto autonomo di stato, con un capitale iniziale non inferiore a 5 milioni aumentabile sino a 50 milioni di lire in azioni da 5000 lire ciascuna, assunte da istituti di credito, società di assicurazioni, casse di risparmio e tesoro dello stato. L’istituto potrebbe emettere cartelle per un ammontare 20 volte superiore al capitale, simili alle cartelle fondiarie e garantite sulle navi degli armatori mutuanti. I prestiti agli armatori sarebbero concessi sino al 50% del valore per la marina libera, del 75% per le linee di emigrazione, del 90% per le linee postali e commerciali sovvenzionate, e dell’intiero valore per i servizi postali fra il continente, la Sicilia e la Sardegna, che fossero disimpegnati dall’azienda ferroviaria di stato. Gli armatori pagherebbero a rate trimestrali quote comprendenti l’ammortamento, il rimborso delle imposte e tasse, una commissione non superiore al 0,50% e le spese di assicurazione della nave contro qualsiasi specie di rischio. A garanzia dei prestiti l’istituto, finché resti creditore, sarà considerato proprietario della nave e il mutuatario noleggiatore, in modo che questi non la possa vendere, né pignorare, né ipotecare, se non dopo estinto il debito e che l’istituto, in caso di mancato pagamento, possa provvedere, senza impacciose formalità, alla salvaguardia dei suoi diritti. A rendere meno oneroso agli armatori il ricorso al credito navale, lo stato concorrerà, sempre quando si tratti di crediti garantiti per navi destinate a servizi postali o commerciali sovvenzionati, nel pagamento delle somme dovute dai mutuatari per interessi, tasse ed assicurazioni in una misura variabile dall’1%, per le navi di stazza minore e meno veloci, al 5,50%, per le navi di velocità e tonnellaggio massimi.

 

 

Molte furono le critiche mosse a questo progetto. Il prof. Supino, in una relazione al consiglio superiore della marina mercantile, notò che l’obbligo imposto agli armatori di assicurarsi contro qualsiasi specie di rischio, mentre ora si assicurano soltanto contro i quattro rischi principali dell’incendio, investimento, abbordaggio e naufragio, importerà un onere del 2-2,5% che eliderà in tutto o in buona parte il vantaggio del credito navale. Gravissima la norma per cui l’istituto rimarrebbe proprietario delle navi fino all’estinzione del prestito, anche quando le quote da pagare siano poche. Fastidiose le formalità diverse richieste per ottenere credito; ed ingombrante tutta la istituzione della quale nel momento presente non è affatto sentito il bisogno. Gli istituti di credito ordinario riusciranno a muovere spesso concorrenza vittoriosa all’istituto di stato, e lasceranno a lui solo gli affari cattivi e gli armatori deboli e poco meritevoli di credito.

 

 

Qui davvero sembra che le critiche siano fondate. Al credito di stato si deve ricorrere solo in casi estremi, quando l’iniziativa privata non soccorra in nessuna maniera. L’industria marinara è davvero ridotta allo stremo di non poter trovare capitali e credito se non dallo stato? Recenti aumenti di capitali in intraprese di navigazioni confortano nell’assunto contrario. Meglio sarebbe con riforme di taluni istituti giuridici antiquati agevolare il credito ordinario alle navi. Il proposito di facilitare il sorgere di molti armatori privati e compagnie piccole col mezzo del credito navale, ci sembra un anacronismo. L’avvenire nell’industria marinara è delle grandi intraprese capitalistiche; ed a queste il credito non mancherà mai.

 

 

Sovvenzioni per i servizi postali e commerciali.

 

 

La brevità dello spazio non ci consente di esporre per disteso le modificazioni che la commissione ha proposto per le linee da sovvenzionare. Laddove ora per i servizi sovvenzionati si noverano 98 piroscafi di un tonnellaggio netto di tonnellate 67.290 per cui si ha una media per piroscafi di tonnellate 687, con un massimo di tonnellate 2.500; le proposte della commissione porterebbero ad un naviglio di 127 piroscafi, del tonnellaggio lordo di tonnellate 396.470, per cui si ha una media di tonnellate lorde 3.122 (2000 nette), con un massimo di 10.800 lordo, pari a 6500 netto. Mentre i 98 piroscafi attuali hanno una velocità prescritta di 997 miglia, ossia in media di 10 miglia all’ora; i 127 piroscafi proposti avrebbero una velocità complessiva di 1.559 miglia e media di 12,3. La massima velocità sarebbe data da 4 piroscafi a 20 miglia e la minima da 45 piroscafi a 10 miglia. Riguardo alla spesa, attualmente per una percorrenza annua di miglia 2.845.816 si spendono lire 12.066.925 con una media per miglio di lire 4,24; in futuro per una percorrenza di 5.038.698 miglia si avrebbe la spesa massima di lire 13.288.500 compreso il concorso dello stato nel pagamento degli interessi dovuti al credito navale, con una media per miglio di lire 2,63.

 

 

Al miglioramento nelle percorrenze, si aggiunge un migliore ordinamento dei servizi sovvenzionati divisi in gruppi di linee vicine in guisa che possano aspirare alla concessione parecchie compagnie, e i servizi sovvenzionati non divengano, come ora, il monopolio di una sola società. Anzi per le linee fra il continente, la Sicilia e la Sardegna la commissione proponeva l’esercizio di stato affidato all’azienda ferroviaria di cui le linee stesse sono da considerarsi come un prolungamento.

 

 

Inspirandosi all’esempio luminoso della Germania i nuovi capitolati dovrebbero imporre ai concessionari delle linee sovvenzionate norme precise riguardo ai noli ed alle tariffe. Stabilite tariffe differenziali per i passeggeri e le merci, con massimi minori degli attuali di circa il 50%, regolato con tariffe uniformi di 1 lira fino a 60 kg, di 2 lire fino a 120 kg, il trasporto dei piccoli colli nel regno, e con tariffe altrettanto miti per l’estero; fermo il fecondo principio che sia obbligatorio determinare tariffe cumulative ferroviarie-marittime in guisa che un emigrante possa in una qualunque stazione del regno acquistare un biglietto diretto ed un industriale spedire merci direttamente ad un qualunque porto estero ed anche per una qualunque stazione dell’interno di una nazione estera, con una notevole riduzione sui prezzi dei biglietti separati e con risparmio di commissioni intermediarie; dichiarata chiaramente la responsabilità dei vettori in conseguenza delle polizze di carico rispetto agli imbarchi e sbarchi; determinata in 20 anni la durata delle convenzioni; stabilite le condizioni alle quali in tempo di guerra le navi più veloci della marina mercantile potranno essere aggregate come navi ausiliarie alla marina da guerra; riorganizzato il servizio dell’ispettorato marittimo; e prese altre minori disposizioni; sarebbe lecito sperare che le nuove convenzioni rispondano, se non agli interessi dei concessionari attuali, a quelli più ampi del progresso economico del paese ed alla necessità di possedere un naviglio mercantile potente, veloce ed, occorrendo, utile in guerra alla difesa del paese.

 

 

Provvedimenti di tutela sociale per i lavoratori del mare.

 

 

Si mira così a stabilire per i marinai e gli impiegati della marina sovvenzionata un trattamento in qualche parte simile a quello garantito ai ferrovieri. Fissato l’obbligo ai nuovi concessionari di assumere di preferenza gli impiegati, gli ufficiali e i marinai che restassero disoccupati in seguito alla cessazione dei servizi vigenti; fermo il principio che le mercedi pagate dalle compagnie sovvenzionate non siano inferiori a quelle medie corrisposte sul mercato del lavoro; attribuito al consiglio di vigilanza sui servizi marittimi il compito di fissare il massimo di ore di lavoro per ogni categoria di operai; fatto obbligo alle compagnie di dare al basso personale alloggi non inferiori a quelli prescritti dalla legge sull’emigrazione; fondati uffici di collocamento misti di rappresentanze degli armatori e dei lavoratori; unificate finalmente le casse per gli invalidi della marina mercantile di Napoli, Palermo, Livorno ed Ancona e il fondo invalidi di Venezia, che ora distribuiscono ai marinai vecchi ed invalidi pensioni miserrime e si trovano ciò nonostante in condizioni precarie. La cassa unica dovrebbe essere alimentata coi proventi patrimoniali (lire 900.000), coi contributi degli armatori, in misura uguale all’attuale (lire 750.000), con un nuovo contributo obbligatorio dei marinai aventi un salario inferiore alle 2.100 annue (lire 500.000), con un contributo dello stato fissato in lire 2.500.000 e con una sovratassa del 10% sulle tasse marittime (lire 900.000). La nuova cassa unica potrebbe distribuire così, con un’entrata complessiva di 5.550.000 lire, pensioni più elevate assai di quelle pagate attualmente in lire 1.800.000 all’anno. Per gli ufficiali dipendenti dalle compagnie sovvenzionate, ed aventi uno stipendio superiore a 2.100 lire all’anno, sarebbe stabilito uno speciale trattamento di vecchiaia a carico delle compagnie.

 

 

Queste le proposte della commissione reale; le quali sostituiscono alle vecchie spese di 12.066.925,34 per le sovvenzioni ed 8 milioni di lire di premi e compensi (in totale lire 20.066.925,34); una nuova spesa di lire 9.989.000 in sovvenzioni dirette per i servizi postali e commerciali, di lire 3.299.500 in sovvenzioni indirette (credito navale), lire 2.700.000 per i servizi postali fra il continente, la Sicilia e la Sardegna affidati all’azienda ferroviaria; lire 2.500.000 per concorso dello stato nelle pensioni alla gente di mare. In tutto lire 18.488.500, alle quali deve però essere aggiunta una somma decrescente da lire 3.592.000 nel 1908-909 a lire 57.219,30 nel 1921-22 per il residuo degli effetti della attuale legge sui premi.

 

 

L’edificio, non è possibile negarlo, era armonico: e, salvo i] punto debole del credito navale, si imponeva come uno sforzo vigoroso per imprimere novello slancio ai servizi pubblici postali e commerciali ed alla marina libera.

 

 

III

Le proposte della commissione reale presentavano però un grave difetto: il ritardo eccessivo nella sua presentazione. I servizi marittimi scadono il 30 giugno 1908; e le proposte della commissione furono consegnate al governo appena il 31 dicembre 1905, mentre la relazione illustrativa non era distribuita che parecchi mesi dopo. Il governo che entro il 31 marzo 1906 dovea presentare le sue proposte al parlamento fu quindi costretto ad un esame troppo affrettato delle proposte della commissione.

 

 

Né un ulteriore indugio sarebbe stato possibile, perché anche adesso sarà ben difficile che prima del 1907 sia approvata dal parlamento la nuova legge, e nella migliore ipotesi rimarrà appena un anno e mezzo di tempo agli armatori ed alle società per studiare i tipi delle navi per i servizi sovvenzionati, prepararsi alle gare; e, queste indette e risolute, costruire il numeroso tonnellaggio richiesto dalle convenzioni rinnovate. Il tempo assolutamente non è sufficiente; di qui la necessità perentoria di non perderne dell’altro in studi e discussioni e di consentire provvedimenti transitori.

 

 

L’infausto ritardo ha già condotto ad una conseguenza dannosa che il governo – trovandosi di fronte ad un disegno complesso, che sopprimendo premi e compensi di costruzione, ed istituendo un nuovo regime di franchigia doganale e di agevolazioni ferroviarie e fiscali, disciplinava la marina libera, fondava il credito navale, provvedeva alle sorti della gente di mare, ed alle linee per l’emigrazione; e finalmente organizzava in nuova maniera i servizi postali e commerciali sovvenzionati; – ha preferito rinviare la soluzione di tutti gli altri problemi e far sue, con lievi modificazioni, solo quelle proposte che si riferivano ai servizi sovvenzionati.

 

 

Il disegno per l’ordinamento del credito navale è rinviato al 30 giugno; quelli per il regime dei cantieri navali e per il trasporto degli emigrati al 30 novembre 1906; e solo entro due anni dalla promulgazione della legge si penserà agli invalidi della marina mercantile. Tutto l’edificio composto della commissione reale viene così rotto e le sorti di ciascuna delle sue parti abbandonate alle mutabili vicende parlamentari.

 

 

Oramai però il male è irrimediabile, data la ristrettezza del tempo; e toccherà alla opinione pubblica, al governo ed al parlamento di vegliare affinché esso non diventi ancor più grave.

 

 

Quanto ai servizi postali e commerciali sovvenzionati, il governo in sostanza ha fatto sue le proposte della commissione, riducendole e modificandole alquanto. La commissione avea proposto 127 piroscafi del tonnellaggio lordo di 396.470 tonnellate al posto degli attuali 96 piroscafi e 67.290 tonnellate di stazza nette. Il governo si contenta di 116 piroscafi e di 273.631 tonnellate lorde. Invece della percorrenza attuale di miglia 2.493.428 e di quella proposta dalla commissione in miglia 5.038.698, propone una percorrenza di 3.746.186 miglia all’anno; con una spesa assoluta di lire 14.600.000 e per miglio di lire 3,87 in media, superiore alla spesa attuale di lire 12.066.925 (lire 5,65 per miglio) e superiore pure alla spesa proposta dalla commissione in lire 13.288.500 (media per miglio lire 2,63).

 

 

Di fronte ai servizi attuali, le proposte del governo rappresentano un miglioramento del 30% nel tonnellaggio e nelle percorrenze, e del 20% nella velocità, un aumento del 20% nella spesa complessiva ed una diminuzione del 30% della spesa unitaria per miglio. Rispetto alle proposte della commissione, il risparmio si è ottenuto sacrificando la linea per l’estremo oriente, per cui si ritenne non giustificato il grave sacrificio che avrebbe richiesto, sospendendo le linee proposte per l’America del nord e del sud, che in verità paiono superflue dato il grande sviluppo della marina libera non sovvenzionata su quelle linee migratorie; e così pure la linea pel nord d’Europa, alla quale si pensa di supplire con facilitazioni ferroviarie; e sostituendo alla linea italiana per l’Australia un concorso pecuniario a favore di quella compagnia estera, che si obblighi a toccare qualche porto italiano. Neppure fu accolto il concetto che si dovessero esercitare per ora direttamente dall’azienda ferroviaria di stato le linee di allacciamento fra il continente, la Sicilia e la Sardegna, sembrando impreparata l’azienda di stato a tale compito nel momento della sua prima riorganizzazione, dandosi tuttavia facoltà al governo di riscattare le linee quando l’esercizio di stato sembrasse maturo.

 

 

Era facile prevedere che, malgrado la riduzione del tonnellaggio e del numero delle navi, gli assuntori non si sarebbero trovati al 30 giugno 1908 pronti ad assumere il servizio con navi tutte nuove e rispondenti ai requisiti prescritti di velocità e di tonnellaggio, a meno di comprare quel materiale in massima parte all’estero, con jattura non piccola dei nostri cantieri, i quali avrebbero potuto in un adeguato periodo di tempo soddisfare alle richieste a prezzi superiori non più del 5% a quelli esteri. Di qui la disposizione – che può essere lamentata, ma di cui la responsabilità è del tempo che stringe secondo la quale ai concessionari sarà concesso un quinquennio di dilazione per provvedersi dei piroscafi prescritti, facendo però una ritenuta sulle sovvenzioni proporzionali alle deficienze di velocità e di tonnellaggio del materiale provvisoriamente adoperato.

 

 

Queste le proposte del governo le quali toccano soltanto il problema dei servizi sovvenzionati, lasciando da parte il credito navale, la marina libera, la gente di mare e l’emigrazione. Noi a queste proposte governative ci limiteremo a muovere due appunti: l’uno relativo al sistema seguito nella proroga accordata per l’impiego di navi veloci e potenti, l’altro alla misura delle sovvenzioni.

 

 

Scopo delle nuove convenzioni era di permettere a parecchi armatori e società di entrare in gara, evitando così il monopolio quasi assoluto della Navigazione generale italiana.

 

 

A quest’intento era ordinata la divisione delle linee in gruppi da aggiudicarsi separatamente; ed a quest’intento era ordinata in parte la istituzione del credito navale. A raggiungere l’intento è però assolutamente necessaria una condizione: che al 30 giugno del 1908 possano gli armatori che avranno vinto le gare trovarsi pronti se non con tutto il materiale prescritto, almeno con parte di esso e con materiale provvisorio per il resto. Non potrà a quest’intento fare ostacolo la circostanza che la sola Navigazione generale si troverà ad avere a quella data un materiale, vecchio sì, ma provvisoriamente sufficiente allo scopo, e in notevole parte ammortizzato? E non potrebbe questa essere una causa di inferiorità per gli altri armatori vogliosi di concorrere, ai quali è concesso bensì un tempo adeguato per provvedersi di materiale nuovo; ma a cui sarà d’uopo sottostare ad oneri non lievi di noleggio per procurarsi il materiale provvisorio? Esponiamo il dubbio, non sapendo quale sia la portata di siffatto possibile ostacolo alla uguaglianza assoluta fra i possibili concorrenti. È interesse generale che la gara sia quanto più è possibile larga, estesa a tutti ed a molti gruppi di linee, perché ogni risparmio fatto sulle sovvenzioni, gioverà a migliorare i servizi in altra guisa; né vorremmo che si ripetesse l’esempio delle concessioni passate, per cui la concorrenza fece quasi in tutto difetto.

 

 

L’altro appunto si riferisce alla misura delle convenzioni. Il governo, sulla traccia della commissione reale, propone di assegnare ai 116 piroscafi della marina sovvenzionata di una stazza lorda di 273.631 tonnellate una sovvenzione complessiva di 14.600.000 lire per una percorrenza di 3.746.186 miglia all’anno. È troppo o è troppo poco? Nessuno è in grado di dare una risposta precisa. Commissione e governo hanno fatto i calcoli del costo di esercizio e del rendimento probabile delle varie linee, per sapere quale sia la perdita probabile da colmarsi con le sovvenzioni; ma si tratta di calcoli molto ipotetici, specie quanto al rendimento. Si può sapere a quanto ammonta il traffico attuale, con le tariffe, le velocità e le percorrenze odierne; ed anche si può sapere soltanto all’ingrosso, perché la Navigazione generale italiana non ha comunicato i dati da essa posseduti. Nulla o ben poco si può arguire intorno al traffico futuro con tariffe più basse, con velocità maggiori, con navi di tonnellaggio più forte, con percorrenze in parte diverse. I nuovi capitolati d’oneri, assai più rigorosi degli antichi, e per fini di utilità generale indiscutibile, imporranno ai concessionari spese assai maggiori delle attuali. Quando si verrà alle gare, i concorrenti, per tener conto di questi rischi imprevedibili, si terranno assai bassi nelle offerte: e quindi non ci sarebbe da meravigliarsi che nella maggior parte dei casi le riduzioni ottenute sieno di lieve entità e che parecchie linee non possano aggiudicarsi.

 

 

Il senatore Piaggio propone una via di uscita dall’imbarazzo, che merita di essere esaminata seriamente: fissare d’accordo tra governo ed assuntori, la cifra delle spese di esercizio, che è dato abbastanza facile a determinarsi; e quindi dare per un triennio una sovvenzione uguale alla differenza in meno fra le spese ed i noli effettivamente conseguiti. La somma complessiva a pagarsi non dovrà però superare le lire 14.600.000 che il governo si è dichiarato disposto a dare come sovvenzioni per i servizi postali. Trascorsi tre anni dall’inizio dei servizi, la sovvenzione sarà definitivamente determinata sulla media dei noli conseguiti nel triennio e consolidata così per tutto il resto del ventennio. Verificandosi nel ventennio una eccedenza di prodotti in confronto della media suddetta, essa per metà rimarrà agli assuntori e per metà sarà destinata alla costituzione di un fondo, che lo stato potrà erogare in eventuali riduzioni di tariffe, in concessioni speciali al personale, o, volendo, nella istituzione di nuove linee.

 

 

Il disegno si presenta sotto un aspetto simpatico perché istituisce quasi una cointeressenza dello stato e del personale nel prodotto dei servizi sovvenzionati. Forse ogni difficoltà non è tolta nemmeno con questo sistema. Quale sarà il criterio per distribuire le linee fra i diversi assuntori? La sovvenzione dovendo essere determinata dall’esperienza del primo triennio, come potrà un concorrente dimostrare che egli è in grado di fare patti migliori di un altro? Se in uno od in parecchi gruppi il disavanzo fosse talmente grande nel primo triennio da superare, col disavanzo delle altre linee, la somma fissa di lire 14.600.000, la perdita nell’esercizio come dovrà essere ripartita fra stato ed assuntori? Sono punti codesti che l’opuscolo Piaggio lascia all’oscuro, e che meriterebbero di essere chiariti.

 

 

Risoluto il problema delle nuove convenzioni, rimarrà però intiero l’altro grosso quesito dei premi alla marina mercantile libera. I cantieri navali pare non siano disposti a contentarsi della preferenza fino al 5% nel valore che è già consentito dal disegno di legge governativo per i servizi sovvenzionati; e neppure della franchigia doganale, delle riduzioni di imposte e di tariffe ferroviarie proposte nella relazione Pantano; e per bocca dell’ing. Capuccio hanno, in una relazione al consiglio della marina mercantile, dimostrato di non avere a sufficienza degli 8 milioni attuali, ma di volere portata la somma da assegnarsi in compensi di costruzione, contributi di armamento, e compensi di velocità a 10 milioni all’anno.

 

 

Abbiamo già spiegato perché non crediamo opportuno seguire questa via, la quale finora non ci ha fruttato se non disinganni o pericoli. L’esempio della Francia prova il contrario della tesi sostenuta dai fautori dei premi; e sarebbe davvero doloroso che i mirabili risultati ottenuti in Germania con una politica simile a quella propugnata dalla commissione reale non ci dovessero essere di alcun ammaestramento.

 

 

Tuttavia il pericolo più grave è appunto qui: che non si osi toccare il regime esistente di protezione alla siderurgia ed ai cantieri; e si lasci sfuggire una bella occasione per risolvere il problema marittimo, promuovendo sovratutto lo sviluppo dei traffici e per conseguenza anche le industrie della navigazione, dei cantieri e della siderurgia. I cantieri, quando ebbero solo lo stimolo dei premi, vissero vita grama e stentata e progredirono soltanto collo sviluppo delle attività marinare del paese. Vorranno tutti persuadersi che quest’ultima è la via regia da percorrere; e che si può ben rinunciare a qualche milione di premi, quando lo stato inizi sul serio una politica doganale, fiscale, ferroviaria, marittima, che possa riuscire di verace impulso ai traffici?

 

 

IV

Gli articoli che abbiamo pubblicato sul riordinamento dei servizi marittimi e sulla protezione alla marina mercantile ci hanno procurato da alcune egregie persone osservazioni, notizie, opuscoli, gli uni favorevoli e gli altri contrari all’ordine di idee da noi sostenuto. Della qual cosa noi siamo lieti, perché l’interessamento del pubblico prova che il problema delle nuove convenzioni marittime è uno dei più gravi che si affaccino nel momento presente alla discussione pubblica, toccando interessi molteplici privati, degni di una più o meno grande considerazione: tocca sovratutto un grande interesse pubblico: il progresso della marina mercantile e dei traffici internazionali marittimi, che sono tanta parte dell’avvenire economico dell’Italia nostra. Adottando un sistema sbagliato noi possiamo correre il rischio di sacrificare un grande interesse pubblico ad interessi e fini, qualche volta rispettabili, non tali però da preponderare nella bilancia del legislatore. Grave essendo dunque il problema, il più grave forse che aspetti una soluzione adeguata nel campo dell’economia dei trasporti, dopoché una soluzione iniziale s’è data al problema ferroviario, sarà sempre vantaggiosa la collaborazione di tutti nel discuterlo serenamente.

 

 

A tre ordini di considerazioni si inspirano i nostri corrispondenti nel farci rilevare alcuni punti sui quali l’esame nostro non era abbastanza approfondito: tecniche, amministrative ed economiche. Cominciamo da quelle tecniche, rispetto a cui noi dobbiamo necessariamente limitarci ad un breve accenno, essendo argomento che può essere discusso soltanto in base a considerazioni minute, esorbitanti dai limiti ristretti di un giornale quotidiano.

 

 

L’avv. T. Bogianchino, membro del consiglio superiore della marina mercantile, ci addita, in un suo opuscolo, alcuni errori in cui sarebbe caduta la commissione reale, ed anche per conseguenza il progetto ministeriale, nel fissare i gruppi delle linee sovvenzionate, la velocità ed il tonnellaggio delle navi, ecc. Perché chiedere per la linea Genova-Porto Torres vapori di 2.000 tonnellate (ridotte a 1.500 dal progetto ministeriale), ossia piroscafi che per la maggior parte dell’anno non potrebbero entrare nel porto di Porto Torres ed inutili per soprammercato, se si pensa che gli attuali piroscafi di 500 tonnellate viaggiano semivuoti? Quale il motivo di raggruppare in uno stesso gruppo la Genova-Alessandria (secondo il progetto ministeriale Napoli-Alessandria, con facoltà di prolungamento a Genova e Marsiglia) e la Venezia-Alessandria che hanno diversi porti di armamento e debbono curare traffici diversi, e perché richiedere una velocità di venti miglia ed un tonnellaggio di 7.000 tonnellate, quando con una velocità alquanto minore e con un tonnellaggio proporzionalmente scemato, purché l’orario fosse effettivamente osservato, si potrebbe provvedere bene al servizio?

 

 

Su altre osservazioni particolari non indugiamo, perché un esame minuto di ognuna di esse ci porterebbe troppo per le lunghe. Alcune non hanno più adesso ragion d’essere, perché il progetto ministeriale le ha già accolte; e sulle altre attiriamo ben volentieri l’attenzione dei competenti, affinché, additando particolari mende, contribuiscano a rendere perfette, quanto è possibile, le nuove convenzioni. A queste il Bogianchino rimprovera altresì di avere frazionato le linee in troppi gruppi, nell’intendimento di promuovere la concorrenza fra gli armatori; mentre l’effetto più sicuro sarà di far andare deserte le gare per i gruppi meno remuneratori. Invece di 16 gruppi se ne sarebbero potuti fare soltanto sette od otto, raggruppando insieme le linee aventi maggiori legami reciproci, senza per questo distruggere la concorrenza al monopolio, da tutti dichiarato pericoloso, di un’unica società concessionaria; e si sarebbero creati organismi più forti, capaci di far fronte per lunghi anni agli impegni assunti.

 

 

A considerazioni amministrative si inspirano coloro i quali criticano le proposte della commissione reale e del governo riguardo alla sorveglianza sui servizi marittimi sovvenzionati. È un punto al quale non avevamo accennato perché a chi non vive in qualcuno dei ministeri interessati sfuggono certi dietroscena. Le relazioni che ci furono comunicate persuadono che siamo qui di fronte ad un male grave della pubblica amministrazione. Questa crebbe a poco a poco per iniziative sparse di singoli ministri senza che un concetto organico presiedesse all’organamento dei servizi. Quante volte una pratica non va innanzi perché debbono dare il loro parere o la loro approvazione due o tre o magari più autorità, tutte competenti e gelose l’una dell’altra? Non è forse cosa risaputa che gli undici ministeri a Roma sono altrettante potenze, per lo più nemiche, che trattano fra di loro con protocolli ed ambasciate? Così pare avvenga altresì per la marina mercantile ed i servizi sovvenzionati. Esiste un ministero che intitolasi della regia marina ed è sovratutto un ministero militare, ma ha anche una direzione generale della marina mercantile con un consiglio superiore della marina mercantile. Alla direzione, assistita dal suo consiglio, dovrebbe essere affidata la suprema direzione della marina mercantile, per mezzo dei suoi organi locali, le capitanerie di porto. Viceversa i servizi sovvenzionati spettano al ministero delle poste, perché in origine le sovvenzioni si davano esclusivamente per i servizi postali. Ora le cose sono mutate e le sovvenzioni si danno a scopi commerciali, e le linee marittime possono in parte considerarsi come un prolungamento delle ferrovie. Ciò nonostante il ministero delle poste provvede sempre ai servizi sovvenzionati, mentre ai premi alla marina libera provvede il ministero della marina. Più ancora, si vorrebbe al ministero delle poste istituire un «consiglio di vigilanza sui servizi postali», con funzioni che suppergiù uguali a quelle già proprie del «consiglio superiore della marina mercantile». Il quale invoca dal canto suo che tutta la materia marittima sia raggruppata in una sola amministrazione, e uno solo sia il supremo corpo consulente, ad evitare lo sconcio che, quasi per ripicco, un ministero faccia il contrario di ciò che l’altro opera ed i pareri dei consigli consulenti facciano a pugni. Non basta. Altre autorità si ingeriscono nelle cose marinare e dei porti: il commissariato dell’emigrazione, contro i cui progetti protestano i capitani di porto, allegando che il commissariato non si contenta di interessarsi degli emigranti, che è affar suo, ma si vuole occupare di questioni tecniche, di navi, ecc., che sono di competenza delle capitanerie; il ministero degli interni, con i medici di porto, esecutori delle volontà dell’invadentissima direzione della sanità pubblica. E così via.

 

 

A Genova si è potuto mettere un po’ d’argine alla confusione nascente dal rimescolarsi di tante autorità diverse coll’istituzione del consorzio del porto. Qualcosa di simile dovrebbe farsi anche pel resto del regno. Importa poco che i servizi marittimi mercantili siano aggregati ad un ministero piuttostoché all’altro; purché ad essi presieda una direzione sola, la quale coordini le attività di tutti gli organi subordinati. Oggi è una tela di Penelope: l’uno disfa ciò che l’altro ha fatto. La commissione reale per i servizi marittimi propone la soppressione dei premi alla marina mercantile; e subito il consiglio superiore della marina mercantile si dimostra propenso non solo a mantenerli, ma ancora a crescerli di qualche milione di lire all’anno.

 

 

Siamo così giunti all’ultimo punto segnalatoci: quello economico dell’abolizione voluta dalla commissione reale e lasciata in sospeso dal governo, dei premi alla marina mercantile. L’ing. Capuccio ha richiamata la nostra attenzione sul rapporto da lui presentato al consiglio superiore della marina mercantile, il quale conclude alla continuazione, sia pure migliorata, dei premi; e desidera si dica che egli non si è fatto portavoce degli armatori e dei costruttori; che le sue proposte di elevare l’assegno annuo a 10 milioni di lire furono accettate alla quasi unanimità dal consiglio superiore, allo scopo di elevare il tonnellaggio annuo da costruirsi a 60.000 tonnellate; afferma non bastare né la franchigia doganale, né la protezione del 5% in confronto ai prezzi esteri, laddove i costruttori di materiale ferroviario, non ne hanno abbastanza di una del 23%, compresi i dazi doganali; e conchiude dichiarando essere ingiusto togliere la protezione all’industria marittima quando i principali generi di consumo industriale e commerciale sono protetti con dazi che vanno dal 25 all’80%.

 

 

A guisa di pregiudiziale, notiamo che i problemi di protezione non vanno discussi per via di paragone. Non ha nessun significato dire: L’industria X gode di una protezione del 50%; quindi altrettanto deve essere concesso all’industria Y. Invece per ogni industria deve vedersi se essa deve avere una protezione; e in quale misura; e quali frutti da essa possano ricavarsi. L’avere poi in passato protetto un’industria, non è buon argomento per continuare a proteggerla in futuro; anzi è ottimo argomento per ridurre e togliere i dazi protettivi. Nel frattempo l’industria deve essere diventata adulta e capace di far da sé; e se in tanti anni ancora non s’è rinforzata, il meglio è abbandonarla e cessare di far sacrifici per uno scopo irraggiungibile. Che l’aumentare le nuove costruzioni a 60.000 tonnellate annue sia cosa desiderabilissima, affermiamo anche noi; ma neghiamo che debbansi aumentare a spese dei contribuenti, essendosi dal metodo dei premi di stato ottenuti in passato frutti non buoni e talvolta pericolosi. Lo stato deve togliere, per quanto sta in lui, le due cause di inferiorità dei cantieri nazionali di fronte ai cantieri esteri:

 

 

  • la protezione concessa alla siderurgia, che accresce assai il costo dei materiali da costruzione delle navi; e
  • le spese maggiori per imposte, diritti, tariffa di trasporto, forza motrice e mano d’opera.

 

 

Quanto al primo elemento di inferiorità il modo migliore di provvedere è quello di ammettere in franchigia i materiali da costruzione delle navi. Sotto il regime della franchigia i cantieri prospererebbero certamente più che non coll’attuale sistema dei rimborsi di dazi; ed in ciò siamo d’accordo coll’on. Salvatore Orlando, il quale afferma che alla franchigia doganale «l’industria navale tedesca deve in gran parte il rapido progresso che l’ha condotta al punto attuale per il quale essa nel campo della concorrenza è tanto temibile per noi quanto l’industria inglese». Dalla franchigia doganale saranno danneggiati gli stabilimenti siderurgici; cosa della quale non comprendiamo però debbano lamentarsi i cantieri, che della siderurgia nazionale non hanno certo a lodarsi. La siderurgia, e non i cantieri, deve, caso mai, addurre le sue buone ragioni per mantenere il regime attuale daziario; e dovranno essere ragioni assai convincenti, perché l’opinione pubblica non è certo propensa a dar milioni a spese dei contribuenti ai siderurgici.

 

 

La commissione d’inchiesta sulla marina da guerra ha fatto il processo agli stabilimenti siderurgici per le forniture di corazze, cannoni, ecc. Un altro processo rimane a fare: quello del costo e degli effetti dell’alta protezione doganale concessa alla siderurgia. Temiamo forte che il processo, se si farà, non abbia a riuscire a conclusioni gran fatto favorevoli al consorzio che oggi monopolizza, all’ombra dei dazi, questa grande industria in Italia.

 

 

Quanto al secondo elemento di inferiorità esso si distingue alla sua volta in maggiori imposte, diritti, spese. di trasporto da una parte, e costo più elevato della forza motrice, della mano d’opera, dell’interesse del capitale. Per le imposte, ecc., i casi, che il Capuccio cita, di enormi oneri gravanti sui cantieri e sulle navi italiane sono verissimi; ma non ci portano a concludere alla politica dei premi. Segua lo stato la politica che ha cominciato ad adottare nel mezzogiorno: riduca le imposte ad aliquote più tenui, le applichi in maniera non vessatoria e non opprimente. Le imposte gitteranno di più e i cantieri respireranno. Perché voler torturare i contribuenti, per poi dare ai torturati, quando già agonizzano, un cordiale sotto forma di premio? Aboliamo gli strumenti di tortura e sarà meglio per tutti. Sempre in questo campo, abbiamo fatto plauso ad una delle proposte che a noi e a molti paiono feconde della commissione reale: stabilire tariffe combinate uniche ferroviario-marittime, con forti riduzioni sulla parte ferroviaria della tariffa, a scopo di avvantaggiare la marina mercantile. Non si daranno così favori come oggi si fa coi premi, alle navi, che facciano viaggi inutili; ma si favoriscono i trasporti di passeggeri e di merci: e si aiuta la marina mercantile solo in quanto essa promuova il commercio e nella misura in cui lo promuove.

 

 

Quanto al maggior costo della mano d’opera, dell’interesse del capitale, della forza motrice, ecc., confessiamo di non poter seguire il Capuccio su questo terreno. Se lo stato avesse a risarcire con premi tutti quegli industriali i quali pretendono di pagar di più dei loro concorrenti stranieri, non basterebbero centinaia di milioni; e per giunta sarebbero denari buttati. Lo stato deve stabilire tali discipline giuridiche per cui il capitale trovi sicurezza nell’impiegarsi in mutui su garanzia di navi; non deve aumentare il costo del capitale con fiscalismi eccessivi; può anche ammettersi che obblighi le compagnie sovvenzionate a concedere la preferenza ai cantieri nazionali ad un prezzo non maggiore del 5% ai prezzi esteri; ovvero anche, per semplicità di conteggio, non maggiore di una cifra fissa per tonnellata in confronto ai prezzi esteri; ma non crediamo debba andare più in là. Tanto più che parecchi di questi pretesi elementi del maggior costo per i cantieri italiani sono più che dubbi. O non ha affermato l’on. Salvatore Orlando, competentissimo in materia che «fortunatamente in Italia per la speciale attitudine ed il buon mercato della nostra mano d’opera, ci troviamo in condizioni assai migliori di quello che non si trovino altri paesi, per esempio, la Francia, dove un cargo-boat di 5.000 tonnellate costa 1.800.000 franchi, mentre ne costa 1.200.000 in Italia ?»

 

 

V

Dal senatore Erasmo Piaggio riceviamo questa lettera, che si riferisce agli articoli da noi pubblicati sulla grossa questione delle convenzioni marittime:

 

 

Ill. signor direttore del «Corriere della sera»,

L’assennato articolo sui servizi marittimi, pubblicato nel n. 17 del «Corriere della sera», solleva alcuni dubbi, e mi rivolge anche qualche domanda a proposito dei concetti e delle proposte che di recente io ho svolto in una pubblicazione dal titolo: Lo stato e le convenzioni marittime. Accade disgraziatamente troppo di raro, in Italia, che una discussione serena ed obbiettiva assecondi la iniziativa delle persone studiose, diretta ad illuminare la pubblica opinione in materie – come questa – tanto trascurate e pure tanto importanti, perché io non abbia a sentirmi lieto di rispondere a quelle domande quanto meglio mi sia possibile, nella speranza che dal dibattito altri tragga occasione e motivo a fare proposte migliori delle mie.

 

 

Sono pienamente d’accordo con l’egregio scrittore dell’articolo, nel ritenere che la presente situazione sia molto pregiudicata dal soverchio ritardo con cui è giunto dinanzi al parlamento il disegno di legge per le nuove convenzioni.

 

 

Come rimediare, oramai, a difficoltà non risolute a tempo e che non trovano conveniente riparo nemmeno in quel disegno di legge?

 

 

Si vuole davvero che le prossime gare riescano sincere ed efficaci, basate sulla libera concorrenza? O non piuttosto si vorrà tollerare che esse risultino un atto puramente formale che potrebbe nel fatto, risolversi in un favoritismo non voluto né desiderato?

 

 

La risposta a queste domande non può essere dubbia se non si provveda a che i concorrenti vengano a trovarsi tutti nelle medesime condizioni. Ora questa parità di condizioni è fatta impossibile dalla facoltà lasciata nel disegno di legge agli assuntori, di adoperare per parecchi anni materiale vecchio per l’esercizio delle linee. Infatti di materiale vecchio dispongono in quantità esuberante, le società attualmente sovvenzionate, ed esse – ove riescano aggiudicatarie dei nuovi servizi – potranno adoperarlo con notevole vantaggio, mentre con grande sacrificio, se pur possibile, ciò che non credo, dovrebbero i nuovi concorrenti provvedersene all’estero.

 

 

Per ovviare a questi gravi danni io avevo proposto nel mio opuscolo un provvedimento col quale si ricostituirebbe, quasi, lo stato di fatto creato dalla legge del 1901, perché una proroga di due o tre anni delle attuali convenzioni compenserebbe una gran parte del tempo che è andato perduto per non essersi la nuova legge presentata al parlamento entro il 1903, ossia nel termine che il legislatore aveva opportunamente prestabilito. Questa proroga, pure eliminando la posizione privilegiata delle società ora esercenti, non potrebbe tornare sgradita nemmeno ad esse, poiché darebbe loro il mezzo di adoperare con discreto profitto ancora per un paio d’anni un materiale che, altrimenti, dovrebbero gettare come ferro vecchio. E dal lato dell’interesse pubblico, poi, verrebbe ridotto a due anni soli il periodo dei servizi da esercitarsi con materiale scadente, mentre nel progetto governativo questo periodo sarebbe di cinque anni.

 

 

Soggiungevo, però, che ove a questo sistema mancasse l’adesione delle compagnie sovvenzionate, una sola via semplice e sicura rimarrebbe al governo per sanare le difficoltà: quella di aprire subito le aste per i soli servizi che si ritengono indispensabili, e che, a mio giudizio, sarebbero i seguenti:

 

 

Categoria prima

1. Napoli-Palermo; Civitavecchia-Golfo Aranci; Napoli-Tunisi.
2. Genova-Sardegna.
3. Sicilia-Isole minori.
4. Costa dell’Adriatico.
5. Golfo di Napoli-Arcipelago toscano-Isole Eolie.

 

 

Per le linee indicate al numero 1 e 2, che sono le più importanti, ben si potrebbe, prima del 30 giugno 1908, costruire il materiale occorrente, ordinandolo, se necessario, anche all’estero; mentre per le altre potrebbe consentirsi la facoltà di impiegare vapori non del tutto corrispondenti alle caratteristiche prescritte, ma in buono stato, con l’obbligo però di sostituirli con vapori aventi i requisiti voluti, entro tre anni dall’aggiudicazione dei servizi.

 

 

All’appalto delle altre linee, e nell’ordine che indicherò tra poco, si potrebbe provvedere in seguito e con minor fretta.

 

 

Circa il metodo da seguire per l’aggiudicazione delle linee (e qui intendo rispondere al primo dei quesiti propostimi nell’articolo del «Corriere della sera»), ricorderò la premessa dalla quale partivo nel mio opuscolo, che cioè mentre le spese di esercizio delle linee di navigazione possono essere determinate con sufficiente esattezza, né il governo, né alcuno dei nuovi concorrenti hanno dati per stabilire i prodotti di ciascuna linea. È chiaro per ciò, che all’atto delle gare il ribasso dovrebbe essere offerto sulla cifra determinata per le spese di esercizio, il che significa che ogni gruppo di linee dovrebbe essere aggiudicato a chi avesse offerto di esercitarlo col costo minore: a quel concorrente, cioè, che avesse valutato in una cifra minore il complesso delle spese di esercizio. In questo metodo nulla vi è di incerto e di arbitrario, perché, ripeto, le spese di esercizio sono il solo elemento che gli assuntori possano determinare con certezza, ed ognuno di essi può quindi calcolare sino a qual limite il suo tornaconto gli permetta di discendere in tale valutazione.

 

 

La seconda domanda rivoltami dall’articolo del «Corriere» mi pare fondata sopra un equivoco. Lo scrittore sembra, infatti, avere inteso che il triennio di esperimento da me proposto debba precedere la gara, e servire per la scelta dei concorrenti, come se la gara cioè, dovesse tradursi in una specie di attesa sperimentale di tre anni, allo spirar della quale, soltanto il governo avrebbe modo di contrattare con gli assuntori. Ma il mio concetto è ben altro. La gara sarebbe definitiva sino dall’inizio, i singoli gruppi sarebbero assunti, per vent’anni, da chi nelle sue offerte avesse valutato in una cifra più bassa il costo dei servizi. Il triennio di esperimento avrebbe il solo scopo di permettere che l’elemento dei prodotti, mal sicuro in oggi, venisse determinato dai risultati della esperienza, col dovuto e più efficace controllo governativo, in una cifra precisa la quale potesse in modo pratico ed efficace porsi a raffronto con l’altro elemento, quello cioè delle spese.

 

 

Durante il triennio, la sovvenzione governativa sarebbe provvisoriamente corrisposta, per ogni gruppo di linee, in una cifra uguale alla differenza fra le spese e i noli effettivamente consegnati, ma la media di questi noli, dopo tre anni, darebbe l’ammontare vero dei prodotti, e dal confronto di esso con le spese risulterebbe accertata la sovvenzione definitiva da assegnarsi per tutta la rimanente durata del contratto ad ogni gruppo di linee. E perché gli assuntori non debbano essi soli beneficiare dei maggiori prodotti che derivassero dall’incremento del traffico nei venti anni della concessione, avevo proposto di devolvere a vantaggio dell’erario il 50% dei prodotti eccedenti l’ammontare medio accertato nel triennio di esperimento, per la costituzione di un fondo del quale il governo potesse disporre per ribassi di tariffe o per la istituzione di nuove linee.

 

 

Debbo però aggiungere che – data la impossibilità di determinare preventivamente con esattezza i prodotti delle singole linee – non si può nemmeno prevedere se la spesa complessiva, prevista a carico dell’erario per le sovvenzioni marittime sia sufficiente a sussidiare tutte quante le linee di navigazione progettate. Ed appunto perciò io avevo suggerito nel mio opuscolo che il governo, per aver modo di colmare le eventuali deficienze dei noli previsti, non impegnasse nei primi anni tutta la somma disponibile. Per chiarire meglio la mia proposta – ed insieme per rispondere alla terza domanda del «Corriere della sera» – dirò che uno dei mezzi per tradurre in pratica il mio concetto potrebbe essere quello di attuare i servizi in modo graduale. Si attuerebbero ciò subito le linee assolutamente indispensabili che ho già indicato più sopra, e poi di seguito le altre le quali, secondo il loro grado di importanza commerciale o politica, si potrebbero scindere in due categorie. Una divisione opportuna credo potrebbe essere la seguente:

 

 

Categoria seconda

6. Mar Rosso–Zanzibar.
7. Pantelleria-Tunisi, Marsala-Tunisi.
8. Genova-Tunisia-Tripolitania.
9. Genova-Cirenaica-Soria.
10. Celeri Egitto.
11. Centro America.

Categoria terza

12. Genova-Bombay.
13. Genova-Levante.
14. Venezia-Levante.
15. Venezia-Calcutta.
16. Venezia-Cirenaica-Soria.
17. Tirreno-Adriatico.
18. Fiume-Ravenna.
19. Pacifico.

 

 

Io sono d’avviso che il complesso delle mie proposte, mentre darebbe modo al governo di spendere a ragion veduta le somme destinate alle sovvenzioni marittime, lasciando in sua mano le tariffe ed offrendogli un’interessenza nei maggiori introiti, serberebbe d’altra parte ai concessionari non già la lusinga di troppo lauti guadagni, ma la certezza di evitare l’alea di sgradite sorprese.

 

 

Si potrebbe osservare che anche nel disegno di legge che è dinanzi al parlamento, il disciplinare le tariffe è riservato al governo. Ma ciò, se da parte degli assuntori è pienamente accettabile col sistema da me proposto, si traduce in una condizione insostenibile nel progetto governativo, dove le sovvenzioni sono arbitrariamente assegnate in una cifra determinata a ciascuna linea, e dove le facoltà relative alla tariffa sono lasciate, senza alcun limite e senza norme precise, ad un comitato permanente. Ora, io domando, qual base può avere il concessionario per stabilire gli introiti della sua azienda, quando questi son fatti dipendere dai criteri di un comitato che potranno anche essere opportuni, ma tra i quali non vi sarà certamente quello di dover salvaguardare ad ogni costo il concessionario da ogni rovinosa eventualità ?

 

 

A questo proposito io non posso astenermi dal ricordare anco una volta la mia convinzione, che i patti leonini imposti in un capitolato non possono avere alcun giovamento, come non ha giovato mai il voler legare un concessionario con vincoli, più che rigorosi, illegittimi. Il concorrente avveduto si terrà in disparte, o farà pesare nelle sue offerte tutte le ipotesi meno vantaggiose. Ma quello che si adatta ad accettare condizioni impossibili ha già studiato il modo di eluderne le conseguenze.

 

 

Generalmente i legami irragionevoli sono imposti quando si procede ad occhi bendati nella infondata speranza di evitare così ogni malanno. Meglio vale aprire gli occhi, studiare serenamente la situazione e procedere cauti sì, ma fiduciosi nella efficacia di criteri ben precisi e fondati.

 

 

Ringraziandola della cortese ospitalità che Ella vorrà offrire a questa lettera, La riverisco distintamente.

 

E. Piaggio

 

 

La lettera del senatore Piaggio mette in luce alcuni punti del suo progetto, che prima non si presentavano abbastanza chiariti. Una delle difficoltà massime delle nuove convenzioni marittime – dicevamo noi negli articoli a cui qui sopra si accenna – è di fissare la misura delle sovvenzioni. Incerto il traffico, incerte le spese, nuove le tariffe, la portata e la velocità delle navi. Che meraviglia se i concorrenti, date tutte queste incertezze, avessero a valutare rischi e non tener conto dei coefficienti favorevoli?

 

 

Il Piaggio qui sopra lucidamente espone il suo concetto: fare la gara sul solo elemento noto a sufficienza e cioè sulle spese di esercizio; ed aggiudicare le linee a chi si contenti delle spese minime di esercizio. Per fare un esempio, un gruppo di linee sia posto in gara sulla base di un costo di esercizio di 2 milioni di lire all’anno. Avrà la concessione fra 5 concorrenti chi si contenterà di esercitarlo col costo minore di esercizio, supponiamo 1 milione 800.000 lire. Durante il primo triennio se i prodotti delle linee saranno di 1.500.000 nel primo anno, lire 1.600.000 nel secondo, lire 1.400.000 nel terzo, il governo corrisponderà una sovvenzione di 300.000, 200.000 e 400.000 lire rispettivamente, eguale cioè alla differenza fra il costo convenuto in seguito alla gara e i prodotti effettivi. Durante il resto del ventennio i prodotti dovrebbero reputarsi consolidati nella media dei prodotti del primo triennio e cioè in lire 1.500.000 e lo stato dovrebbe quindi corrispondere una sovvenzione uguale a lire 300.000 l’anno, tale da permettere all’assuntore di pareggiare le entrate colle spese presunte. All’assuntore rimarrebbe intiera l’alea di spese maggiori delle previste per tutto il ventennio e di prodotti minori della media del primo triennio per gli ultimi 17 anni. Se durante questi 17 anni i prodotti superassero invece la cifra di lire 1.500.000, la metà dell’eccedenza dovrebbe andare a favore dell’erario per ribassi di tariffe, costituzione di nuove linee, ecc. ecc.

 

 

Il piano, così chiarito, presenta certamente parecchi vantaggi; come la cointeressenza dello stato nei risultati dell’azienda, la probabilità che gli assuntori, sottratti a troppi rischi, facciano buoni patti allo stato, ecc. ecc. Il punto debole sta – oltreché nella istituzione di un controllo governativo che dovrebbe essere assai bene regolato nella necessità di accollare allo stato un onere incerto o di ritardare l’attuazione di alcuni gruppi di linee. Difatti una delle due: o si attuano subito tutte le linee proposte nel progetto del governo e la differenza fra il costo d’esercizio ed i prodotti di queste linee può superare in definitiva le lire 14.600.000 che il governo si è dichiarato disposto a spendere. Ovvero si attuano subito le linee per cui le sovvenzioni si sa di certo staranno entro quella cifra, aspettando la fine del triennio per attuare le altre entro i limiti delle disponibilità residue ed in tal caso che cosa diranno le regioni che dovrebbero essere servite dai servizi sospesi? Il dilemma non è in tutto conclusivo – è d’uopo ammetterlo subito – poiché se, per sfuggire alle querimonie di questa o quella città, si vogliono ad ogni costo attuare subito tutti i servizi, bisognerà pur decidersi a spendere più di lire 14.600.000, se queste non bastano a trovare gli assuntori per tutti i gruppi di linee, qualunque sia il sistema d’appalto seguito. Il Piaggio sostiene che il sistema da lui preferito in quanto fa aggirare la gara su un elemento noto, fa l’interesse dello stato meglio del sistema governativo, in cui i concorrenti dovrebbero valutare troppi elementi incerti e naturalmente li valuterebbero a tutto loro favore.

 

 

La questione oramai ci sembra chiarita per modo che i lettori abbiano potuto formarsi un concetto esatto in proposito. Il nostro timore è soltanto che di queste feconde discussioni non si tenga il dovuto conto, e che nel gravissimo problema si accolga la pessima delle soluzioni, rimandare ogni cosa e preparando così il terreno ad un qualche contratto frettolosamente conchiuso all’ultimo momento, non certo nell’interesse dello stato. Purtroppo non pochi indizi ci inducono in questo timore.

 

 


[1] Con il titolo Per le nuove convenzioni marittime. Il passato. [ndr]

[2] Con il titolo Le nuove convenzioni marittime. Le proposte della commissione reale. [ndr]

[3] Con il titolo Le proposte del governo per i servizi marittimi. I problemi insoluti. [ndr]

[4] Con il titolo Il problema della marina mercantile. Spunti polemici. [ndr]

[5] Con il titolo A proposito delle convenzioni marittime. Una lettera al sen. Piaggio. [ndr]

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