Opera Omnia Luigi Einaudi

Le sorprese e le impazienze di un ambasciatore

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 01/04/1921

Le sorprese e le impazienze di un ambasciatore

«Corriere della Sera», 1° aprile 1921

Cronache economiche e politiche di un trentennio (1893-1925), vol. VI, Einaudi, Torino, 1963, pp. 83-86

 

 

 

Sembra che la Francia abbia trovato un ambasciatore straordinario il quale intende emulare il sen. Rolandi Ricci nelle non richieste e probabilmente non autorizzate profferte di rimborso dei debiti contratti durante la guerra verso gli Stati uniti. Il signor Viviani ignora evidentemente l’arte dello star zitto, in cui almeno i diplomatici di carriera eccellono. Arrivato negli Stati uniti si accorge, lui ed i giornalisti al suo seguito, che gli americani «sono in preda ad una profonda crisi di sfiducia» e «diffidano grandemente dell’Europa immaginando che questa non nutra che due propositi, scaricare addosso all’America i suoi debiti e implicarla nelle sue beghe». Viviani ed i suoi compagni ne sono «enormemente sorpresi» e ritengono urgente di ammansare l’opinione pubblica americana con qualche sonoro e «grande» discorso. E si annuncia che in questo discorso Viviani dirà:

 

 

«Quello che la Francia deve, sente di doverlo. La Francia è troppo onesta per ripudiare i suoi debiti, ha troppa dignità per discuterli. La Francia non mendicherà mai. Soltanto intende che i suoi creditori si comportino verso di lei come essa si comporta verso di loro».

 

 

Noi non vogliamo menomamente metter bocca nelle cose francesi; ma non è una indiscrezione discutere un problema che non è soltanto francese o soltanto italiano; ma è comune ai due paesi. L’opinione pubblica italiana trarrà gran partito dal conoscere esattamente il pensiero dei francesi; e forse non sarà discaro ai nostri vicini ed amici di sapere che cosa in Italia si pensa intorno ad un problema che tanto interessa e così davvicino la Francia. Troppe autorevoli voci si sono fatte sentire tra i francesi favorevoli alla tesi da noi sostenuta, da troppe fonti ci vengono notizie intorno all’affermarsi delle idee propense ad una revisione dei rapporti di debito e di credito interalleato, perché ci sia possibile credere che il signor Viviani sia l’esponente genuino della vera opinione pubblica francese.

 

 

In verità questi ambasciatori politici sono troppo impressionabili. Era naturale che negli Stati uniti si verificasse quella che nei paesi anglosassoni chiamano «la oscillazione del pendolo elettorale». Dopo un secolo ed un terzo di isolamento assoluto dalla politica europea, dopoché gli statisti dell’ottocento avevano bandito il principio cardinale di non intrigarsi negli affari d’Europa e di non permettere che l’Europa si intrigasse negli affari americani, la guerra mondiale aveva imposto all’America di intervenire in Europa e di intervenirvi con le armi e col denaro. Come sempre, è venuta l’oscillazione del pendolo dal lato opposto. Gli americani, dopo essersi entusiasmati della guerra ed avere compiuto, a difesa della civiltà, miracoli di organizzazione e sforzi finanziari grandissimi, oggi non vogliono più sentir parlare dell’Europa e della guerra. La vittoria del partito repubblicano ha avuto questo significato: «ritorniamo a chiuderci in noi stessi; facciamola finita con gli impegni europei; liquidiamo i rapporti di denaro; ritiriamo i soldati e non se ne parli più».

 

 

Gli ambasciatori politici sono capitati in un momento in cui l’oscillazione del pendolo porta una parte dell’opinione pubblica americana ad esagerare ogni richiesta europea; ed hanno creduto loro dovere di rassicurare gli americani affermando che gli europei non chiedono nulla, che hanno troppa dignità per venir meno ai loro impegni, che pagheranno sino all’ultimo soldo.

 

 

Troppa fretta e troppa impressionabilità. C’è bisogno davvero di rimanere «enormemente sorpresi» dinanzi ad una semplice oscillazione del pendolo elettorale? Bisogna dar tempo al tempo e lasciare che il pendolo ritorni nella posizione d’equilibrio. I francesi hanno interesse ad aspettare. Gli italiani, scettici per loro indole, non hanno mai fatto un assegnamento troppo forte sulle indennità tedesche. Pretendiamo la nostra parte; vogliamo riscuoterla o negoziarla; ma non abbiamo mai preteso di fondare la risurrezione della nostra finanza su di esse. I francesi sì. Essi vedono la rovina finanziaria dinanzi a sé, se la Germania non paga. Questa è anzi la ragione per cui il governo francese non è mai stato troppo caldo nel porre sul tappeto la questione dei debiti interalleati. Temeva di scuotere, anche in minima parte, la integrità del suo diritto alle indennità tedesche; temeva, col dichiarare di voler discutere cogli alleati, di dare un’arma alla Germania per discutere la cifra delle indennità.

 

 

La situazione, sotto questo rispetto, va rapidamente mutando. Non per iniziativa della Francia, ma per forza delle cose, si è discusso e si discute sulla cifra delle indennità tedesche. La Francia è oramai rassegnata a ricevere meno di quanto essa ritiene suo buon diritto e sua urgente necessità di ricevere. Un vasto disavanzo rimarrà da colmare alla nostra vicina con i proprii mezzi. Ed essa non potrà a meno di porsi e molti francesi già si pongono il quesito: perché ci è impossibile di assestare il nostro bilancio?

 

 

Porre il quesito, è dare la risposta. Il bilancio francese, il bilancio italiano non si assestano, non si possono assestare, perché e finché la Francia e l’Italia dovranno pagare agli alleati inglesi ed americani un tributo enorme in franchi ed in lire, proporzionatamente non inferiore a quello che la Germania vinta dovrebbe finire di pagare a titolo di parziale riparazione dei danni arrecati. Voci sempre più alte cominciano in Italia e in Francia a chiedersi: quali danni abbiamo arrecato noi agli alleati per essere costretti a pagare un così enorme tributo? O i nostri sacrifici in uomini e in denaro non furono di gran lunga superiori e i nostri vantaggi economici minori? Questo è il punto che i governi francese ed italiano devono porre a se stessi e risolvere. I governi non pagano essi di tasca propria i sedicenti debiti interalleati; li pagano mettendo imposte sui contribuenti. Essi sono fiduciari del paese e non possono fare cosa che essi ritengano contraria alla giustizia che il loro paese si merita. O essi ritengono giusto pagare ed allora autorizzino apertamente il signor Viviani e il senatore Rolandi Ricci a fare le dichiarazioni che così vivamente hanno sorpreso l’opinione pubblica dei rispettivi paesi. Pagare i debiti è un punto d’onore ed è un dovere che si deve compiere a costo di qualunque sacrificio.

 

 

Ma se invece i governi nostri sono persuasi che quelli non sono debiti, ma semplici modalità amministrative di esercitare un controllo sulle spese comuni, allora essi hanno il dovere di agire in relazione a ciò che essi ritengono giusto. Ed il primo e più urgente modo di agire sembra consista nel consigliare ai propri ambasciatori di frenare le loro manifestazioni troppo esuberanti a tutela della «dignità» e della «fierezza» nazionali. Lasciamo tempo al tempo; gli ambasciatori vanno e vengono ed il pendolo politico continua ad oscillare. Che davvero non debba oscillare mai a nostro favore?

 

 

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