Opera Omnia Luigi Einaudi

Leghe operaie e leghe padronali

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 01/03/1902

Leghe operaie e leghe padronali

«La Stampa», 1° marzo 1902[1]

Cronache economiche e politiche di un trentennio (1893-1925), Vol. I, Einaudi, Torino, 1959, pp. 472-476

 

 

I recenti scioperi di solidarietà hanno indotto molti industriali e commercianti a chiedersi: quale garanzia abbiamo noi contro codeste convulsioni industriali, le quali, per motivi a noi estranei, colpiscono le nostre industrie ed i nostri affari? Quale garanzia abbiamo noi che domani la vita della nostra fabbrica non rimanga sospesa, non più come protesta contro un atto considerato offensivo alla intiera classe operaia, ma per dar modo di vincere una battaglia impegnata in guisa particolare dalla maestranza di un’industria con la quale noi non abbiamo alcun rapporto? Chi ci garantisce che non si ricorra allo sciopero generale per vincere tutte le battaglie che gli operai inizino a turno nelle varie industrie, opprimendoci ad uno ad uno colla loro solidarietà?

 

 

Contro i danni degli scioperi di solidarietà e contro i pericoli degli scioperi impulsivi ed irragionevoli in genere, uno solo è in sostanza il rimedio; e questo si deve cercare ricorrendo ai medesimi strumenti di cui gli operai si servono nella lotta contro gli imprenditori. Gli operai si stringono in leghe per vincere colla forza organizzata del numero gli imprenditori ed ottenere cresciuti salari e migliori condizioni di lavoro?

 

 

Ebbene gli imprenditori si uniscano in leghe ed oppongano anch’essi alla forza coalizzata dei lavoratori, la forza dell’unione e della concordia nella difesa.

 

 

Adamo Smith, il quale, come forse tutti sanno, fu il padre della economia politica e scrisse un secolo ed un quarto fa, disse che gli imprenditori non hanno bisogno di coalizzarsi: essi sono per natura già uno solo contro molti operai divisi ed hanno quindi naturalmente il sopravvento. Se Adamo Smith risuscitasse e potesse contemplare lo spettacolo imponente delle leghe operaie, sia nella terra inglese natia, sia in tutti i paesi inciviliti, non ripeterebbe la sentenza ora citata. Ora gli operai formano una massa sola coalizzata; e gli imprenditori sono molti e disuniti. Come in tutte le battaglie, se il capitano della massa compatta è abile e sa accortamente manovrare tra le nemiche schiere disunite, la vittoria gli arride sicuramente.

 

 

Agli imprenditori dispersi un’unica via di salvezza rimane: unirsi e lottare concordi contro l’avversario. L’Inghilterra, che è il paese classico delle leghe operaie, è anche il paese classico delle leghe degli imprenditori.

 

 

Uno degli ultimi rapporti del dipartimento del lavoro ne novera ben 659, sparse nelle diverse località del Regno unito ed unite in 25 società nazionali e 15 federazioni.

 

 

Le associazioni, si propongono di esercitare una azione regolatrice nei rapporti tra gli imprenditori ed i loro operai, controllando il saggio dei salari e le altre condizioni del lavoro, sostenendo i soci nelle loro dispute cogli operai. Così l’Iron Trades Employer’s Association intende assicurare la cooperazione di tutti i soci nel resistere alle domande delle unioni degli operai riguardo alle ore di lavoro, il cottimo, le ore straordinarie; e la Liverpool Employer’s Labour Association di stabilire un ufficio per l’organizzazione e la registrazione della mano d’opera, e di assistere i soci ad intentare azioni giudiziarie contro i marinai ed i fochisti che manchino al contratto d’arrolamento.

 

 

Quando scoppia uno sciopero, il socio che n’è minacciato deve darne avviso al segretario, il quale convoca l’assemblea generale. Se lo sciopero è limitato ad un solo ramo d’industria, si radunano i soli imprenditori in quel ramo; se invece è generale, tutti debbono essere solidali e nessuno può venire a patti speciali cogli scioperanti. Quando sia necessario per vincere uno sciopero, l’associazione degli industriali può ordinare la chiusura di tutti gli stabilimenti; ma ordinariamente per dichiarare una serrata generale è necessaria l’approvazione dei due terzi o dei tre quarti dei soci. È sottoposto a multe quel socio il quale assume nel suo opificio operai che uno sciopero od una serrata nello stabilimento d’un altro socio abbia lasciato temporaneamente senza lavoro.

 

 

Questi gli scopi delle leghe padronali inglesi. Le quali del resto, necessità imponendolo, hanno già avuto il loro riscontro in Italia, dove nel novembre scorso la Lega fra gli industriali in pannilana ed affini condusse e vinse la campagna contro lo sciopero dei tessitori a Biella, e dove il 26 gennaio scorso a Novara si fondava una grande Associazione fra gli agricoltori del Novarese, del Vercellese e della Lomellina, nel cui statuto si leggono tre articoli, il terzo, il quarto ed il dodicesimo, i quali statuiscono che: ogni socio debba pagare un contributo fisso di centesimi 10 per ogni ettaro di terreno e l’associazione debba indennizzare del danno sofferto il proprietario quando i lavoratori ricusino di osservare il contratto da loro consentito od il giudicio arbitrale su di esso; e gli aderenti si debbano accordare per determinare le condizioni ed i corrispettivi del contratto di lavoro ed in tutto quanto valga ed occorra a difesa dei comuni interessi.

 

 

Unirsi per combattere concordi: questo il motto delle leghe di industriali all’estero ed in Italia. Noi non dobbiamo però credere che la costituzione delle leghe padronali valga solo a cambiare le contese tra capitale e lavoro da piccole e numerose in lotte poche di numero e gigantesche di dimensioni. Sarebbe un guadagno; perché le battaglie tra grandi eserciti sono sempre meno micidiali di una moltitudine di piccoli combattimenti tra deboli schiere, inferocite da odii personali. Come la esistenza di due grandi eserciti in due nazioni vicine, ed il terrore dei danni incalcolabili che deriverebbero da una lotta gigantesca, allontanano il pericolo della guerra ed inducono i popoli a trattative, ad accordi e ad arbitrati, così succede anche nelle guerre industriali. L’organizzazione perfetta degli eserciti scema i rischi di guerra. L’organizzazione perfetta delle leghe padronali e delle leghe operaie allontana il pericolo degli scioperi e dei conflitti violenti.

 

 

Gli operai meno facilmente proclamano uno sciopero sia generale sia speciale, perché sanno che avrebbero contro di sé la massa compatta degli imprenditori. La lega degli industriali non ribassa a cuor leggero i salari e non licenzia indebitamente operai, perché sa di trovare contro di sé schierata la massa compatta dei lavoratori.

 

 

I danni di un cozzo violento sarebbero incalcolabili da una parte e dall’altra; e nessuna osa ricorrervi, se non davvero come ad una ultima ratio. Non esistono più e non possono esistere scioperi impulsivi e vendette ingiustificate. I capi od i segretari delle leghe preferiscono venire a patti e discutere. Ai piccoli trionfi del pugilato individuale dei paesi poco progrediti individualmente si sostituiscono le accorte trattative fra diplomatici consapevoli della responsabilità che incombe a chi rappresenta milioni di lire di capitale e migliaia di lavoratori.

 

 

In Inghilterra tutte le leghe padronali, come del resto le leghe operaie, non sono fucine di scioperi o di serrate, ma garanzie di pace. L’azione pacifica si esplica nelle commissioni miste (joint boards), costituite da un numero eguale di rappresentanti delle associazioni d’industriali e di rappresentanti delle leghe operaie, per stabilire di comune accordo il saggio dei salari, le ore di lavoro, i regolamenti di fabbrica, ecc.; e per comporre le piccole liti. Negli statuti delle leghe è anzi per lo più prescritto che si debba promuovere la costituzione di uffici di conciliazione e d’arbitrato per prevenire e per comporre le contese tra operai e principali.

 

 

Identico scopo si propongono le leghe padronali italiane. Uno dei principali fautori dell’associazione novarese citata così scrive: «S’inganna chi s’adonta del sorgere di leghe e di federazioni operaie. Un uomo illuminato deve anzi compiacersene, perché la associazione non è soltanto elemento di forza e di ordine, ma è anche affidamento di giustizia sociale. Epperò gli agricoltori devono imitare l’esempio e l’opera dei contadini, associandosi fra loro per determinare d’accordo con le leghe di costoro, quali condizioni, per quali corrispettivi il contratto di lavoro debba farsi e per assicurarne l’osservanza».

 

 

Il bollettino del consorzio agrario bolognese, in un articolo propugnante la costituzione di leghe di proprietari, afferma: «A noi sembra che il problema sociale, che agita le nostre campagne, debba trovare la sua soluzione in un ubi consistat fra le leghe degli operai e le leghe dei proprietari».

 

 

Non solo nelle campagne, ma dappertutto gli imprenditori devono convincersi che l’unione è lo strumento migliore per lottare contro le leghe operaie. Ed è strumento tale che per natura sua conduce non alla guerra, ma alla pace.

 

 



[1] Col titolo La risposta ad una domanda di questi giorni [ndr]

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