Opera Omnia Luigi Einaudi

L’enigma della indennità tedesca

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 05/02/1921

L’enigma della indennità tedesca

«Corriere della Sera», 5 febbraio 1921

Cronache economiche e politiche di un trentennio (1893-1925), vol. VI, Einaudi, Torino, 1963, pp. 27-31

 

 

 

Confesso che, a leggere il tenore degli accordi a cui gli alleati sarebbero giunti per le riparazioni tedesche, sono rimasto col cervello confuso e ho temuto di non riuscire a comprendere più nulla. In riassunto la Germania dovrebbe pagare:

 

 

Anni

Indennità annua in milioni di marchi-oro

Modo di pagamento

Dazio di esportazione

2

2000

1/2 den. 1/2 merce

3

3000

}  

3/4 denaro

1/4 merce

} 12% del valore delle merci esportate dalla Germania

3

4000

3

5000

31

6000

Totale

42

 

 

 

Dunque una indennità annua fissa per 42 anni, crescente da 2 a 6 miliardi di marchi oro, da pagarsi per 2 anni metà in denaro e metà in merce; e in aggiunta per tutti i 42 anni un dazio del 12% sul valore delle merci esportate dalla Germania.

 

 

Si premetta che l’indennità annua non può altrimenti essere pagata che con merci. Gli alleati non saprebbero che farsene di biglietti e di titoli tedeschi, i quali non sono nient’altro che promesse di pagare a una data futura, ossia, in altre parole, equivalgono a una dilazione concessa per i pagamenti. Se si vuole che la Germania paghi sul serio è evidente che non possiamo contentarci di pezzetti di carta, i quali sono promesse di pagare e non pagamenti effettivi. Oro effettivo (marchi oro, dice l’accordo) non ce n’é in Germania, all’infuori del minimo necessario come garanzia per la circolazione e di cui gli alleati hanno interesse a non privare l’ex nemico, se non si vuole cagionare il fallimento della Banca imperiale e uno sconquasso generale di cui saremmo noi i primi a soffrire le conseguenze. Potrebbe pagare la Germania vendendoci le sue terre, le sue case, le sue fabbriche. Ma io dubito che politicamente ed economicamente convenga agli alleati di diventare, oltreché i vincitori, anche i proprietari delle terre e delle aziende tedesche. La lotta fra capitale e lavoro sarebbe inasprita dalla nazionalità straniera dei proprietari e imprenditori. L’odio di classe sarebbe centuplicato di forza dall’odio di razza, con conseguenze spaventose per la pace europea.

 

 

Dunque, l’unico modo pratico di pagare l’indennità è con merci. La Germania deve cioè consegnare, senza ottenere in cambio nulla, un valore annuo di merci, crescente da 2 a 6 miliardi di marchi oro. Il che vuole anche dire – non faccio che tradurre una frase in un’altra equivalente, senza aggiungervi nulla – che le esportazioni tedesche debbono stare per quell’ammontare al di sopra delle importazioni. Prima della guerra, la Germania importava 11 miliardi e 500 milioni di marchi circa ed esportava circa 10 miliardi, con una eccedenza delle importazioni di circa 1 miliardo e mezzo in media. In avvenire la posizione dovrebbe essere rovesciata. Si dovrebbe cominciare, a cagion d’esempio, con 10 miliardi di marchi oro di merci importate e 12 miliardi esportate, per finire, supponiamo, a 10 miliardi contro 16 miliardi circa. Esportando 6 miliardi di merci di più di quelle importate, la Germania regalerebbe agli alleati questi 6 miliardi in merci (carbone, ferro, colori, ecc.), senza ricevere alcun compenso, ossia precisamente pagherebbe l’indennità dovuta. Si noti che, al posto delle merci, la Germania ci potrebbe regalar qualcosa altro, per esempio trasporti con la sua marina mercantile (che oggi non ha), ovvero lavoro dei suoi operai nelle regioni devastate e simili. Sempre occorre che esporti qualcosa, merci o servizi, per niente. La Germania dovrà importare di meno di prima, per esempio 10 miliardi di marchi invece che 11 miliardi e 500 milioni; ed esportare di più, per esempio, 12 miliardi e poi 13 e poi 16, invece di 10. Solo così potrà creare quella differenza in più delle esportazioni con cui unicamente è possibile pagare l’indennità di 2,3 e poi 6 miliardi di marchi oro all’anno.

 

 

È incerto se speranze di questo genere possano attuarsi. Finora la Germania ha pagato somme rilevanti, perché ha potuto sacrificare eredità mobili del passato: oro sovrabbondante, navi, titoli esteri, stocks antichi di merci, diritti di proprietà all’estero, ecc. Esaurita oramai l’eredità del passato, bisogna pagare, come si disse, con merci prodotte nell’anno. Riusciranno i tedeschi a produrre, per regalarceli, da 2 a 6 miliardi all’anno di merci? Il Keynes calcola appunto che, nella più favorevole ed estrema delle ipotesi, l’eccedenza delle esportazioni sulle importazioni possa giungere sino a 2 miliardi di marchi oro. Nei primi anni, che sono per ora quelli che contano, gli alleati si sarebbero tenuti entro i limiti di un massimo non facilmente raggiungibile, ma non sragionevole. Per pagare dopo molto di più, la Germania dovrebbe arricchirsi oltremodo, crescere prodigiosamente la sua capacità di lavoro. Me lo auguro, perché credo che tutto ciò che cresce la ricchezza dei paesi stranieri ridondi a vantaggio, e non a danno, nostro. Ma sarei eccessivamente ottimista se dicessi di esserne sicuro.

 

 

Fin qui si ragiona. Si comincia a non ragionare più od almeno ad esporre un concetto privo di significato, quando si afferma che la Germania dovrà pagare per i primi due anni l’indennità metà in merci e metà in denaro e per i restanti 40 anni, un quarto in merci e tre quarti in denaro. Gli alleati pare abbiano un sacro orrore delle merci tedesche, anche regalate. Ma poiché la Germania non ha altro mezzo di pagare fuorché le merci, il rifiuto degli alleati di ricevere merci in pagamento ha questo solo significato: che la Germania dovrà vendere le merci, destinate al pagamento delle indennità, ai neutrali e pagare gli alleati col ricavo. Insomma, gli alleati hanno cercato di rovesciare sui neutrali la svendita delle merci tedesche, per allontanare da sé quello che si considera un amaro calice. Resta a vedere se i neutrali compreranno le merci tedesche; ed è certo che se ciò accadrà, i neutrali dovranno pagarle con loro merci; e poiché la Germania non potrà riceverle, avendo bisogno del valsente in denaro per pagare gli alleati, è evidente che i neutri dovranno, per pagare le merci tedesche non volute da noi, vendere a noi merci neutre per altrettanta somma. Altrimenti, il giro non è finito e l’indennità non si può pagare. È dunque una pura ubbia la idea di poter allontanare da noi l’amaro calice delle merci pagateci a titolo di indennità. Tedesche o neutre che siano, bisognerà acconciarvisi.

 

 

Dove si comincia a sragionare sul serio, è col dazio del 12% sulle merci esportate dalla Germania. Gli alleati sono dominati dall’incubo delle merci tedesche e per costringerne la fiumana straripante entro più modesti confini gridano: «Alto là! Per ogni 100 marchi oro esportati all’estero, voi tedeschi ci pagherete 12 marchi oro di dazio». Ossia, nel mentre si vuole essere pagati, si preclude ai tedeschi la sola maniera possibile di pagamento, che è la esportazione abbondante ed eccedente di merci.

 

 

Il dazio di esportazione invero è un vecchio arnese doganale che, salvo rare eccezioni, è stato dappertutto abolito, perché impediva le esportazioni e danneggiava le industrie nazionali del paese che lo istituiva sulle esportazioni dal proprio territorio. Se il prezzo internazionale di una merce è 100, la Germania per vendere la sua merce usava ed usa vendere a meno di 100, per esempio a 98, 95, 90, 85. Se lo scarto è piccolo, per esempio se il prezzo tedesco è 98, l’aggiunta del 12% di dazio porta il prezzo a 110. La Germania non può più vendere, poiché non può sostenere la concorrenza dell’Inghilterra o della Francia o dell’Italia che vendono a 100. Perché la Germania possa seguitare a vendere, bisogna che tra il prezzo di concorrenza internazionale ed i suoi costi vi sia un largo margine, che essa prima teneva per sé o passava ai consumatori. Quel margine sarà assorbito dal dazio; ed il prezzo crescerà senza andare al di sopra del prezzo di concorrenza. In parte, abbastanza spesso, nei casi in cui l’esportazione continuerà, il dazio sarà anticipato dai tedeschi, ma rimborsato dai consumatori di merci tedesche sotto forma di un aumento di prezzo. Tutto un pasticcio, di cui gli effetti saranno svariati e principalmente consisteranno nel limitare le esportazioni di merci tedesche ed aumentare i prezzi delle merci a danno dei compratori italiani, inglesi, francesi di quelle merci. Prima della guerra, l’Italia assorbiva (1913) il 3,9% delle esportazioni tedesche, contro il 18,1% per l’Impero inglese, il 7,8% per la Francia, il 5,5% per il Belgio, il 7,1% per gli Stati uniti, l’8,7% per la Russia, il 10,9% per l’Austria-Ungheria. Chi pagherà le spese di quest’alzata di capo? è difficilissimo dirlo. Il tempo si incaricherà presto di dimostrare che il dazio di esportazione ha per risultato di limitare le esportazioni tedesche e di danneggiare le industrie di quel paese, ossia di rendere difficile il pagamento delle indennità.

 

 

Bisogna decidersi: o si vuole che l’indennità sia pagata o si ha paura delle merci tedesche e si vogliono tenere queste serrate in Germania, limitandone il progresso economico futuro. Ciascuno di questi due programmi è, non dico equo, ma pensabile. Ma bisogna scegliere tra i due. Volerli attuare ambedue è un non senso.

 

 

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