Opera Omnia Luigi Einaudi

L’espansione commerciale italiana

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 08/05/1905

L’espansione commerciale italiana

«Corriere della sera», 8 maggio 1905

 

 

 

Le vicende della politica quotidiana ci hanno impedito sinora di rendere conto ai nostri lettori delle statistiche e relazioni che di solito i Ministeri mandano fuori ad ogni primavera; e specialmente di quelle che son pubblicate dalle Direzioni generali delle privative, delle gabelle, degli affari e delle imposte dirette con una cura ed una ricchezza di dati veramente encomiabili. Stavolta vogliamo brevemente discorrere della statistica del commercio internazionale, una delle più sintomatiche fra quante ogni anno vedono la luce. Aprendo il volume, avevamo un timore: che la splendida ascesa incominciata da alcuni anni avesse subito un arresto.

 

 

Invece no. Trascurando il movimento dei metalli preziosi, troppo complicato ed oscuro, si può affermare che l’anno decorso 1904 raggiunse il punto massimo della nostra espansione commerciale. Sono in blocco 3 miliardi e 473 milioni fra importazioni ed esportazioni, punto d’arrivo di una scala ascendente che – dopo il tracollo verificatosi da 2.610 milioni nel 1882 a 2.003 milioni nel 1891, l’anno più nero del nostro movimento commerciale – parte da 2.131 nel 1892 sale lentamente a 2.232 nel 1896, balza a 2.616 nel 1898 a 2.937 nel 1899, a 3.248 nel 1902 ed a 3.379 nel 1903.

 

 

Questo è il fatto saliente, allato a cui perdono significazione i movimenti separati delle importazioni e delle esportazioni. L’importante è che il commercio globale aumenti, crescendo la cerchia dei nostri affari, poiché possono essere egualmente utili, salvo dolorose eccezioni, tanto gli aumenti nelle compre, come nelle vendite. Di fatto noi importammo un po’ meno nel 1904 (1.858 milioni) che non nel 1903 (1.861 milioni); e ciò fu dovuto ad una lieta circostanza, avendo dovuto comprare dall’estero per 90 milioni di meno di grano, di segala e di altre granaglie. Le favorevoli vicende atmosferiche e forse in parte i migliorati metodi culturali ci permisero di fare a meno di comprare all’estero quei cereali che producevamo in casa nostra. Con tutto ciò dall’estero abbiamo comprato molto, quasi quanto nel 1903, segno che i danari risparmiati in grano, li abbiamo rivolti ad altre provviste. Sono 22.655.000 di lire di più di materie greggie necessarie all’industria che noi acquistammo; e giova alla diminuizione di 15.844.000 di lire nei bozzoli vivi e secchi e di 4.505.000 di lire nell’avena (indice forse di maggiore offerta interna), contrappone le maggiori compre di 10.689.000 di lire di pelli crude, di 9.122.000 di lire di carbone, di 5.084.000 di lire di legno rozzo e semplicemente segate, di 3.174.000 di lire di rottami di ferro, ghisa ed acciaio, di 2.286.000 di lire d’avorio, madreperla e tartaruga greggi, di 2.935.000 di lire di juta greggia, di 1.539.000 di lire di crino greggio, ecc., ecc. Sono 24 milioni ed 888 mila lire di altre materie pure necessarie all’industria che noi comprammo in più; e qui bisogna notare come, se vi è una diminuizione nella seta tratta tinta per 10 milioni e mezzo, havvi pure un aumento nella seta tratta greggia per 7 milioni e 125 mila lire; oltre a molti altri aumenti sparsi su un gran numero di voci: 7.910.920 lire di rame, ottone e bronzo in pani, spranghe, lamine e fili, 7.169.835 lire di solfati, 5.156.385 lire di grassi diversi, 2.190.206 lire di pasta di legno, 2.170.220 lire di pelli preparate, 1.042.209 lire di acidi, 1.901.807 di ghisa in pani, 1.667.645 di lamiere di ferro, piombate, stagnate, ecc. L’Italia va decisamente mettendosi sulla via dei paesi industriali: importa quantità crescenti di prodotti greggi e di semi – manufatti, che le sue fabbriche manipolano, trasformano e crescono di valore. Non siamo più un paese che vive di industrie sue e compra dall’estero materie prime per trasformarle. E ciò è provato anche dalle importazioni dei manufatti: poiché sui 39 milioni di aumento di questa categoria, ben 13 milioni e 301 mila lire sono di macchine e parti di macchine. Le altre merci manufatte che più crebbero all’importazione sono i colori e vernici per 2.382.915 lire, i tessuti di cotone per L. 1.335.370, i tessuti di seta per L. 1.993.296, i carri, vetture, biciclette ed automobili per L. 1.391.285, le stampe ed i libri per L. 1.153.600, le caldaie per L. 1.584.684, gli strumenti di ottica e di fisica per L. 2.841.500, i veicoli da ferrovia per L. 3.307.335, le mercerie per L. 1.549.576. Né dobbiamo di ciò rammaricarci: per vendere i nostri prodotti bisogna pure comprarne di quelli esteri; ed è naturale che all’estero si producano merci diverse dalle nostre ed a minor prezzo, così come noi ne produciamo altre a costi relativamente più bassi. Di qui la convenienza degli scambi.

 

 

Anche nell’esportazione si mantiene il carattere ora accennato di sempre maggiore industrializzazione del paese. Esportammo in più del 1903 ben 97 milioni di lire; e ciò malgrado una diminuizione di 31 milioni e mezzo di lire di generi alimentari. È vero che questa è una categoria capricciosa che dipende moltissimo dalle vicende dei raccolti; ma sembra indubbio che noi incontriamo ostacoli crescenti per sfogare all’estero i nostri prodotti agrari. Le note vicende della clausola austro-ungarica del vino si son fatte sentire: 952 mila ettolitri e 28.235.855 lire di meno all’esportazione; circa un 40 per cento di discesa. Ed al vino bisogna aggiungere 15.879.000 lire di mandorle, noci, nocciuole, 9.439.770 lire di animali bovini, 3.918.290 lire di burro e formaggio, ecc. Per alcune voci la cosa si spiega col maggiore assorbimento del consumo interno e per altre colle vicende atmosferiche; ma qualcosa rimane che deve rannodarsi alle difficoltà di vendere sui mercati stranieri. C’è da consolarsi pensando alle 9.584.040 lire di più d’olio d’oliva alle 3.826.250 di riso di più, alle L. 2.764.590 di agrumi, alle L. 2.570.300 di carni, pollame e cacciagione. Ma rimane pur sempre l’impressione che l’industria agraria corre incontro a troppe incertezze e variazioni brusche nel commercio internazionale. Non è organizzata bene e fortemente per l’esportazione e può su questa via compiere ancora progressi non lievi. Se vendemmo meno generi alimentari, ci siamo compensati ad usura nelle altre categorie. Nelle materie greggie facemmo un salto di 8.415.340 lire in più nella vendita della canapa; ed in complesso la categoria si avvantaggiò di 7.440.056 lire. Nelle altre materie necessarie all’industria ottenemmo un aumento di più di 43 milioni, a cui contribuirono sovratutto la seta trutta con quasi 28 milioni, i cascami di seta con 4.721.000 lire, i prodotti chimici diversi con 2.659.730 lire, ecc. Il salto più forte lo facemmo nella categoria dei manufatti: 78 milioni e 642 mila lire di più.

 

 

Notevolissimo qui il fatto che le uniche diminuizioni degne di rilievo sono quelle di 2.480.435 nel corallo lavorato e di 1.703.570 lire nei cappelli di paglia. Le altre diminuizioni sono poche ed insignificanti, mentre la tendenza generale è al rialzo. Notiamo i principali aumenti: 32.827.771 nei bastimenti ed altri galleggianti, 17.452.309 nei tessuti e manufatti di cotone, 8.731.046 nei tessuti e manufatti di seta, 3.539.614 nei tessuti e manufatti di lana, 2.661.584 nelle lamiere di ferro lavorate, 1.374.555 nei tessuti e manufatti di canapa, lino e juta, 1.300.924 nei mobili, cornici ed utensili, 1.374.825 nei cappelli, 617.810 nell’avorio, madreperla e tartaruga lavorati, 1.379.910 nelle stampe e nei libri, 550 mila lire nei fiammiferi, 502 mila lire nei saponi e profumerie, ecc., ecc.

 

 

Né le cifre pur di recente pubblicate dalla Direzione generale delle Gabelle sul commercio del primo trimestre 1905 segnano un arresto sui progressi del 1904. Sempre esclusi i metalli preziosi, le importazioni si innalzano a 484.816.868 lire contro 481.900.281 lire nel primo trimestre del 1904; e le esportazioni son balzate da 347.270.081 a 373.329.013 lire. In tutto ad un movimento internazionale di merci di 829 milioni di lire nel 1904 si contrappone un movimento di 858 milioni nel 1905. Il primo trimestre del 1905 e il primo del 1903 si dividono così il vanto di aver toccato con l’identica cifra (858 milioni) il punto massimo del commercio internazionale dalla formazione del Regno d’Italia.

 

 

È tutto un inno alla crescente operosità laboriosa che si innalza di mezzo a questa selva di cifre. Sono le centinaia di piccoli e grandi imprenditori, sono i milioni d’operai che oscuramente lavorano al progresso economico dell’Italia. I triboli sono molti nella gara delle competizioni internazionali; e certamente non noi possiamo presumere di superarli senza fatica. Purtroppo la fatica da noi è cresciuta pel fatto che, se molti lavorano in silenzio, è ancor troppo numerosa la schiera di coloro che campano facendo del baccano e frastornando coloro i quali vorrebbero vivere quieti.

 

 

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