Opera Omnia Luigi Einaudi

L’imposta di famiglia e sul valore locativo

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 01/03/1910

L’imposta di famiglia e sul valore locativo

«Corriere della sera», 1 marzo 1910

 

 

 

Come e dove sono pagate in Italia La proposta di sopprimere l’imposta sul valor locativo e di avocare allo Stato l’imposta di famiglia fanno nascere alcune domande: come sono distribuite le due imposte, in quali regioni più si pagano ed in quali no, quale ne è la gravezza, come ne è regolata l’aliquota, se proporzionale o progressiva? A questa domanda sarebbe stato impossibile dare una risposta fino a poche settimane fa, poiché l’ultima statistica risaliva al 1899 e più non rispondeva manifestamente alla nuova situazione dei fatti. La risposta è oggi consentita grazie alla pubblicazione di un colossale volume di 1200 pagine di tabelle sapientemente elaborate al Ministero delle finanze per iniziativa lodevole del ministro Lacava e sotto la direzione alacre ed accorta del comm. Giuseppe Boitani, su le «Entrate dei Comuni». I dati elaborati si riferiscono al 1907 – ed era la data più recente alla quale potesse farsi risalire il lavoro complesso e lunghissimo di elaborazione -; ed è mestieri ricordar la data, poiché il quadro che in seguito sarà presentato al lettore, non potrà tener conto dei recentissimi fatti accaduti dopo il 1907, quali l’introduzione della imposta di famiglia a Milano ed a Genova.

 

 

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Poco danno farà la abolizione della tassa sul valor locativo. Rendeva nel 1907 appena 3.326.328 lire in tutto il Regno di cui 1.310.000 a Milano e 660.000 lire a Napoli, ed era prelevata soltanto da 850 Comuni, mentre ben 7433 altri Comuni non la conoscevano. Soltanto 16 Comuni su 69 capoluoghi di provincia l’avevano applicata; quasi tutti con una aliquota progressiva dal 4 al 10%. Uno solo, tra i Comuni capoluoghi di provincia, Napoli, aveva preferito l’aliquota proporzionale del 2%. Il limite di esenzione per i piccoli alloggi variava da luogo a luogo: da 699 lire a Pisa a 499 a Milano, a 499 a Verona sino ai minimi di 149 lire a Macerata e di 101 a Piacenza. Il rendimento dell’imposta per abitante era dato da Milano con una quota di lire 2.67 a testa; veniva poi Cagliari con L. 1.32, Napoli con L. 1.20; Verona con L. 0.81, Pisa con L. 0.69. Ultime – sempre tra i capoluoghi di provincia – venivano le città di Siena con L. 0.05, Ancona con L. 0.05, Udine con L. 0.03 per abitante. Ma vuolsi notare che in queste città l’imposta sul valor locativo era ridotta quasi ad un’appendice dell’altra di famiglia, appunto come fu deliberato l’anno scorso a Milano.

 

 

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Incomparabilmente più produttiva è la imposta di famiglia: -3.077.024 lire esatte un po’da tutte le provincie. Solo 2685 Comuni vi sfuggono (o meglio vi sfuggivano nel 1907 ed oggi debbono essere diminuiti), mentre 5598 Comuni ne sono colpiti. Benché essa sia riuscita ad acclimatarsi un po’ dappertutto, la tassa di famiglia ha però dei centri di diffusione massima ed in capo a questa scala di diffusione viene la Toscana. Appena 2 Comuni sui 40 della provincia di Arezzo, 1 sui 76 della provincia Senese ne sono immuni; tutti i 20 Comuni del Grossetano, gli 8 Livornesi, i 26 del Lucchese, i 41 del Pisano sono colpiti. Vengono subito dopo l’Umbria e le Marche: solo 2 Comuni sui 152 dell’Umbria, ed 8 sui 241 Comuni marchigiani non hanno voluto saperne. Segue l’Emilia, dove i Comuni esenti sono 17 su 45 nel Reggiano, 15 su 47 nel Piacentino, 5 su 45 nel Modenese, 4 su 50 nel parmense, 4 su 18 nel ravennate, 3 su 61 in quel di Bologna, 2 su 17 nel Ferrarese, nessuno nella provincia di Forlì. La frequenza è assai minore nelle altre regioni d’Italia, come del resto può agevolmente vedersi dal prospetto che segue:

 

 

  Comuni in cui l’imposta di famiglia è applic. non è applic.
Piemonte 970 518
Liguria 250 55
Lombardia 1148 749
Veneto 355 440
Emilia 274 50
Toscana 277 5
Marche 241 8
Umbria 150 2
Lazio 198 28
Abruzzi e Molise 369 86
Campania 339 276
Puglie 128 109
Basilicata 97 28
Calabrie 293 118
Sicilia 207 151
Sardegna 302 61
Regno 5.598 2.685

 

 

I Comuni capoluoghi di Provincia si discostano alquanto dalla regola di frequenza ora osservata: tutte le città capoluogo della Toscana hanno la tassa di famiglia, tutte le città delle Marche e dell’Umbria, tutte salvo una (Piacenza) quelle dell’Emilia, 2 su 4 del Piemonte, 1 su 2 della Liguria, 6 su 8 della Lombardia, 6 su 8 del Veneto, Roma (Lazio), tutte quelle degli Abruzzi e Molise, 2 su 5 della Campania, 2 su 3 delle Puglie, Potenza (Basilicata), 1 su 3 delle Calabrie, 2 su 7 della Sicilia ed 1 su 2 della Sardegna.

 

 

I vuoti sono maggiormente visibili nel Mezzogiorno; mentre nel settentrione anche le regioni più avverse in generale alla tassa ad es. il Veneto, l’applicano con frequenza nei capoluoghi; cosicché ben può dirsi che l’imposta di famiglia sia statisticamente un tributo dei centri popolosi e ricchi.

 

 

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La quale conclusione risalta ancor più evidente se si osserva il rendimento dell’imposta per abitante. Anzitutto, come è naturale, il reddito è assai minore nelle campagne che nelle città. Prendasi la Toscana, patria d’elezione del balzello e notisi che il reddito dell’imposta per abitante è unito col reddito dell’altra imposta sul valor locativo, il che non guasta, data la scarsa importanza di quest’ultima e la sua indole sostanzialmente identica di imposta sul reddito:

 

 

Capoluogo

Carico medio per abitante nel comune

negli altri comuni

Arezzo Lire 1.68 1.26
Firenze 2.44 1.44
Grosseto 1.70 1.14
Livorno “ 1.45 1.05
Lucca 2.22 1.62
Massa Carrara 1.34 4.-
Pisa 2.32 1.46
Siena 2.18 1.47

 

 

Né le cose volgono differenti in Lombardia, fatta ragione alla minor frequenza dei Comuni che applicano l’imposta, che induce una qualche capricciosità nei risultati:

 

 

Capoluogo

Carico medio per abitante nel comune

negli altri comuni

Bergamo Lire 0.32 0.47
Brescia 2.60 0.26
Como 2.98 0.94
Cremona 1.68 0.53
Mantova 1.59 0.19
Milano 2.67 0.29
Pavia 1.38 0.59
Sondrio 2.39 0.94

 

 

Dappertutto l’abitante della città paga più dell’abitante della campagna, come è naturale data la maggior ricchezza del cittadino in confronto del campagnuolo e la più larga copia di pubblici servizi di cui godono le città popolose.

 

 

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Dal punto di vista regionale si possono distinguere le provincie a seconda che contribuiscono più o meno per abitante, tenuto conto delle due imposte, di famiglia e sul valor locativo, e mettendo insieme città e campagna. Si avrebbe allora la seguente scala:

 

 

Carico per abitante in ogni provincia in lire

 

Non superiore ai 50 centesimi

Dai 51 ai 75 centesimi

Dai 76 centes. ad 1 lira

Più di 1 lira

 
Rovigo 0.03 Cuneo 0.51 Ferrara 0.77 Sondrio 1.02  
Catania 0.14 Reggio E. 0.52 Parma 0.79 Benevento 1.02  
Reggio Cal. 0.17 Girgenti 0.53 Porto Mau. 0.80 Massa Car. 1.05  
Venezia 0.21 Lecce 0.53 Aquila 0.80 Como 1.07  
Torino 0.22 Brescia 0.55 Regno 0.80 Milano 1.08  
Treviso 0. 24 Catanzaro 0.56 Genova 0.82 Grosseto 1.17  
Caserta 0.27 Salerno 0.57 Trapani 0.84 Sassari 1.23
Verona 0.29 Avellino 0.61 Teramo 0.85 Macerata 1.26
Mantova 0.32 Udine 0.63 Chieti 0.87 Arezzo 1.33
Padova 0.34 Campobas. 0.68 Novara 0.89 Perugia 1.36
Palermo 0.34 Potenza 0.69 Cagliari 0.91 Forlì 1.39
Vicenza 0.37 Alessandr. 0.70 Ravenna 0.91 Livorno 1.45
Caltaniss. 0.39 Piacenza 0.71 Modena 0.93 Ascoli P. 1.47
Foggia 0.40 Siracusa 0.71 Bari 0.95 Siena 1.58
Cosenza 0.40 Messina 0.73   Bologna 1.60
Belluno 0.43 Napoli 0.74   Pesaro U. 1.60
Bergamo 0.45     Pisa 1.62
Cremona 0.46     Ancona 1.62
Pavia 0.46     Firenze 1.62
      Lucca 1.68
      Roma 1.89

 

 

Anche questa tabella conferma la norma già nota di ripartizione; se si tolgono la Toscana, le Marche, l’Umbria e l’Emilia, che dimostrano una particolare inclinazione verso l’imposta di famiglia, ben poche sono le provincie in cui il carico medio per abitante superi la lira. E nemmeno si può dire che vi sia una ripugnanza regionale verso questa forma di imposizione: le provincie del Mezzogiorno, che più vi parrebbero refrattarie per la loro povertà, sono specialmente concentrate nel secondo gruppo dai 51 ai 75 centesimi, mentre nel primo gruppo sono più frequenti le provincie del settentrione. Neppure si può dire che si riproduca per le regioni il fenomeno già osservato in rapporto alle città e alle campagne; non sono le regioni più ricche che prediligono l’imposta di famiglia, come fanno le più doviziose città in confronto alla campagna. Altre circostanze, come le necessità del bilancio, l’elevazione della sovrimposta oltre i minimi legali, lo scarso rendimento del dazio consumo hanno qua e là consigliato l’adozione di questo strumento fiscale.

 

 

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Rimane un ultimo punto da chiarire: il congegno e la misura dell’imposta. Forzatamente è d’uopo limitare l’indagine ai capoluoghi di provincia, per non impelagarci nel mar grosso delle mutevoli disposizioni vigenti in tutti i 5598 Comuni che l’hanno adottata. Quasi dappertutto l’imposta è per classi; soltanto a Cuneo, Sondrio, Padova, Vicenza, Modena, Firenze, Lucca, Macerata, Chieti, Teramo, Salerno, Potenza, è stabilita in ragione di un percento del reddito. In un caso (Udine) la statistica dice che la imposta è degressiva, ossia a quel che pare meno gravosa proporzionalmente sui redditi alti che sui minori; in un altro caso (Salerno) l’aliquota è proporzionale al reddito, qualunque ne sia l’ammontare; in tutti gli altri casi è progressiva, ossia la proporzione cresce col crescere del reddito. Vi sono quasi sempre dei minimi di reddito esenti dall’imposta; ma l’altezza del minimo esente varia assai. Il minimo più basso si ha ad Alessandria dove sono esenti solo 399 lire di reddito. Più in su, Foggia esenta 1000 lire, Roma, Pisa, Modena, Treviso ne esentano 1200, Ascoli Piceno ed Aquila 1250, Padova e Trapani 1400, Como, Pavia, Venezia Bari e Messina 1500, Udine 1600, Cremona 1800, Brescia, Vicenza, Reggio Emilia e Livorno 2000, la qual cifra pare fosse il massimo d’esenzione, prima che Milano accogliesse la cifra delle 2500 lire. Quanto ai limiti massimi dell’imposta, in tutti quei casi in cui l’imposta è stabilita per classi, il massimo è dato dalla cifra d’imposta, della classe di contribuenti posta più in alto; e la cifra più elevata era di 2000 lire, che si esigevano a Bologna, Ravenna e Roma, sempre prima che Milano elevasse quel massimo a 3800 lire. La statistica non dice però da quali redditi questo massimo di 2000 lire debba pagarsi. Nei pochi casi in cui l’imposta è esatta in una percentuale del reddito, questi sono i massimi ed i minimi della percentuale:

 

 

  Imposta % sui redditi più bassi sul redditi più alti
Cuneo 0.54 1.20
Sondrio 0.70 2.10
Vicenza 0.26 1.-
Modena 3.76 10.-
Firenze 0.60 2.22
Livorno 0.58 1.10
Lucca 1.50 2.60
Macerata 0.50 2.-
Chieti 0.50 2.-
Teramo 0.62 4.-
Salerno 1.- 1.-
Potenza 0.20 2.50

 

 

Salvo lo stravagante caso di Modena, che non si comprende dalla statistica a quali cagioni sia dovuto, in tutti gli altri casi si tratta di progressione moderata, che comincia da minimi tenui e si ferma a massimi modesti. Della quale osservazione è da tener conto nel dare un giudizio sul congegno della nuova imposta escogitata dal Ministero Sonnino.

 

 

Molti sarebbero ancora i dati che potrebbero estrarsi da quella feconda miniera che è l’imponente volume della statistica governativa. Sia però concessa una osservazione finale a guisa di chiusa.

 

 

Chi scrive ha dovuto durare non poca fatica di molte ore di lavoro per estrarre i pochi dati che stanno sopra scritti dalla sterminata messe contenuta nella statistica governativa; né è escluso che qualche errore si sia potuto infiltrare nella esposizione. La cagione di ciò è che le mirabili tabelle ufficiali contengono i dati in ordine alfabetico di provincia e di Comune. Sono dati assai bene elaborati, scrupolosamente controllati, i quali hanno un solo difetto: di fare troppo a fidanza sulla buona volontà degli studiosi nell’utilizzarli. Il Ministero delle finanze ha bene operato nell’interesse degli studi e della pubblica cosa nel curare una così utile pubblicazione; ancor più grande sarà il suo merito quando avrà curato la compilazione di un riassunto introduttivo che sistematicamente riassuma e da tutti i lati metta in luce, sia pure senza commenti, i gioielli preziosi che ora stanno nascosti nella massa enorme del minerale sapientemente scavato dal sottosuolo inesplorato dei bilanci municipali.

 

 

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