Opera Omnia Luigi Einaudi

Lineamenti di un programma liberale

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 29/04/1944

Lineamenti di un programma liberale

«L’Italia e il secondo Risorgimento», 29 aprile 1944, p. 1[1]

in estratto: Borgo S. Dalmazzo, Tip. Bertello, 1945, pp. 8

in estratto: Torino, Partito Liberale Italiano, 1945, pp. 4

Paolo Soddu (a cura di), Riflessioni di un liberale sulla democrazia 1943-1947, Firenze, Olschki, 2001, pp. 42-48

 

 

 

 

Vi è un punto sul quale i liberali sono concordi con tutti i partiti, con tutte le tendenze di pensiero e di azione che in Italia e fuori d’Italia intendono al risorgimento del nostro paese, ed è la lotta contro il tedesco. Qui l’unione di tutte le forze deriva da un imperativo categorico, da un comandamento della coscienza, al quale dobbiamo ubbidire. Senza discutere, senza esitare.

 

 

Al di là di questo primo e massimo fine al quale tutto deve essere subordinato, gli italiani chiedono agli uomini, i quali si presentano ad essi come eredi di vecchi partiti od assertori di nuove tendenze, un programma.

 

 

Ed è giusto che così sia. Gli italiani, i quali hanno imparato che cosa voglia dire affidarsi ad un uomo solo, non vogliono or darsi in braccio ad uomini i quali, affermando di essere la nuova classe dirigente, ripetano il grido nefasto: l’Italia a noi! Gli italiani vogliono sapere chiaramente verso qual meta essi debbono essere condotti. Hanno i liberali qualcosa da dire agli italiani? Contiene la loro dottrina idee e propositi che siano atti a contribuire alla ricostruzione del nostro paese?

 

 

La «loro» dottrina e non quella altrui: e non un mosaico di proposte varie raccattate qua e là dalle più diverse fonti e supposte atte a procacciare voti e plauso dalle moltitudini. Noi non crediamo che il popolo italiano oggi abbia sete di un variopinto elenco di proposte attuabili in un futuro più o meno lontano, atte a promuovere in un primo tempo disordine ed incertezze, proposte tra le quali solo le contingenze degli anni prossimi metteranno in grado gli eletti del popolo di fare una scelta efficace. Crediamo invece che gli italiani chiedano a noi, come ai propugnatori di ideali diversi dai nostri, di dire quali siano i principii informatori della loro futura azione politica e quale l’essenziale fondamentale problema che essi propongono di affrontare primissimo in ubbidienza e in conformità a quei principii.

 

 

I principii si riducono in verità ad uno solo: noi vogliamo, perché liberali, tutto ciò che giovi ad elevare, a perfezionare, ad arricchire spiritualmente la persona umana: tutto ciò che ricrei e rafforzi nell’italiano la consapevolezza della propria dignità di uomo e di cittadino: noi non vogliamo e respingeremo risolutamente tutto ciò che contribuisce a fare dell’uomo un servo, un dipendente, un conformista, un ripetitore di parole d’ordine e di frasi fatte.

 

 

Alla luce di questa esigenza fondamentale dell’elevazione della personalità dell’uomo, dell’accrescimento di tutto quanto è nobile, moralmente e spiritualmente, epperciò anche materialmente, nell’individuo associato ai suoi simili e vivente in società con essi, noi esamineremo proposte concrete:

 

 

  • nel campo politico costituzionale al fine di assicurare la libera consapevole manifestazione della volontà di tutti gli italiani nella scelta dei propri rappresentanti, ed in tal modo dare all’Italia un parlamento atto a promuovere ed efficacemente controllare l’operato di uno stabile potere esecutivo, fornito di tutti i mezzi di azione, i quali siano compatibili con la rigida osservanza della costituzione.

 

 

Affinché il primo appello al popolo nell’Italia rinnovata non abbia nulla di comune con le votazioni plebiscitarie, le quali in passato furono in ogni paese spesso strumento di tirannia, noi pensiamo che esso debba essere preceduto, dopo il ritorno della pace, da un adeguato, se pur non troppo prolungato, tempo di discussione, durante il quale, a mezzo di una stampa compiutamente libera, possano contrapporsi, con efficacia di dibattito e di ammaestramento, tutte le voci, tutte le tendenze, tutte le parti politiche e sociali;

 

 

  • nel campo religioso, a riaffermare, insieme con tutti gli altri diritti individuali, quello supremo della libertà di coscienza. La piena attuazione del principio cavouriano del «Libero stato in libera chiesa» non deve significare in Italia, come non significa in nessuno dei paesi dove la libertà è veramente radicata nella coscienza dei cittadini, indifferentismo religioso o volgare anticlericalismo. Nel rispetto del Trattato lateranense, lo Stato dovrà provvedere, con opportuni accordi, affinché la separazione dello Stato dalla Chiesa sia perfezionata in guisa da assicurare alla Chiesa Cattolica ogni più larga possibilità di perseguire i suoi altissimi fini religiosi e morali entro i limiti imposti dalla uguale libertà di ogni altra chiesa o convinzione religiosa e filosofica;

 

  • nel campo giuridico politico a crescere nel rispetto del bene comune, l’indipendenza, l’autonomia, la capacità ad operare di tutte le forze sociali e locali atte ad assicurare il fiorire di una ricca varietà di italiani. In quanto liberali e perché liberali, respingiamo risolutamente la formula: tutto per lo Stato, tutto dentro lo Stato, che è formula di tirannia.

 

  • Una magistratura indipendente e reclutata fuori dall’arbitrio ministeriale; un corpo universitario il quale dalla cooperazione tragga argomento di orgogliosa emulazione; una stampa della quale siano note le fonti della vita, i nomi dei proprietari, sia privati sia collettivi o sindacali, ed alla quale il costume ponga a capo direttori moralmente degni;

 

  • una autorità locale (regionale o municipale) la quale, nell’ambito delle attribuzioni definite dalla legge nazionale, possa dare a se stessa quelle leggi particolari che rispondono alle variabilissime esigenze locali: associazioni volontarie (sindacati) di operai, di imprenditori, di professionisti, di artigiani, di contadini capaci di stipulare e di far osservare contratti collettivi di lavoro che fissino minimi uniformi di salario, al disotto dei quali non si possa scendere; i lavoratori dall’esperienza, dall’educazione e dalla propria volontà fatti capaci di cooperare e di partecipare all’incremento della produzione nell’industria e nell’agricoltura; ecco le vere fondamenta dello stato liberale.

 

 

Vogliamo che questi ed altri corpi ed istituti ed enti associativi debbano diventare – ma ciò non si potrà mai ottenere in virtù della sola legge scritta – forze vive, fornite di vita propria ed autonoma, capaci di cooperare con lo Stato ed occorrendo di emulare e di frenare lo Stato troppo pronto a far gravare sui cittadini singoli la sua mano onnipotente ed a trasformarli in atomi indistinti ed impotenti ed uniformizzati che il vento trascina e disperde quando un dittatore non li persuade a cantare in coro le sue false glorie;

 

 

  • nel campo internazionale a distruggere alla radice la cause di guerra, che sono connesse con l’autonomia doganale, con la rappresentanza diplomatica e con gli eserciti statali. Se all’Italia sarà possibile assumere in questo campo iniziative, noi le dovremo cogliere senza esitazione, consapevoli che il sacrificio di una immaginaria e perniciosa parte della nostra sovranità assoluta arricchirà a mille doppi la vera sovranità che consiste nel conseguire il bene comune e l’innalzamento del nostro paese. Noi siamo sicuri che, in un’Europa associata a certi determinati fini o federata per talune ben definite mete, gli italiani non corrono alcun rischio di rimanere ultimi. Anzi siamo certi che ad essi sarà attribuito, perché essi se lo sapranno acquistare, un luogo insigne tra i dirigenti della nuova Europa;

 

  • nel campo educativo ad offrire a tutti i meritevoli le più larghe opportunità di studio e di tirocinio affinché i dirigenti politici, culturali, industriali, commerciali, contadini non si debbano reclutare in un ceto ristretto di favoriti dalla fortuna; ma da tutti i ceti, anche e particolarmente da quelli più umili, possano essere scelti gli uomini ai quali dovrà essere affidato il governo spirituale politico ed economico del nostro paese;

 

  • nel campo economico sociale al fine di creare le condizioni giuridiche e le situazioni economiche atte a rendere meno disuguali che far si possa i punti di partenza dei singoli uomini nella gara della vita. Noi respingiamo l’uguaglianza assoluta che l’esperienza storica ha dimostrato essere fatalmente feconda di asservimento nella miseria, nell’abbrutimento e nella tirannia. Ma vogliamo che, entro i limiti posti dalla necessità di promuovere il risparmio e la produzione e di garantire la continuità della famiglia e la preservazione dei valori trasmessi dalle generazioni passate, e con efficace varietà di mezzi (imposte, assicurazioni sociali, lotta contro i guadagni di monopolio e di privilegio) si promuova grandemente tra i più lo accesso alla proprietà delle terre (lotta contro il latifondo inerte) delle cose e delle imprese, si abbassino le punte troppo alte della ricchezza ed insieme si innalzi il livello dei redditi minimi e siano grandemente scemate le disuguaglianze e le miserie incompatibili con la dignità della vita umana;

 

  • e da ultimo nel campo finanziario e tributario (e si indica da ultimo perché nulla potrà farsi di bene in esso, se non come conseguenza e nel tempo stesso condizione di quel che di buono si farà negli altri campi) a ristabilire l’ordine e l’onestà nella amministrazione della cosa pubblica, a restituire al bilancio statale un pareggio, che sia compatibile con le necessarie e costose opere di ricostruzione, ed in primissimo luogo a restaurare la fiducia nella moneta, che vuolsi ridiventi un qualcosa tangibile, misurabile, visibile, invariabile, noto a tutti e da tutti di nuovo assunto a fondamento degli atti ordinari della quotidiana vita economica.

 

 

Senza una moneta sana consistente in un peso determinato, a titolo noto, d’oro, e senza una moneta fiduciaria convertibile sul serio a vista al portatore in quel noto fissato disco aureo, vano è sperare rinascano fiducia e sicurezza; vano è credere vengano meno le competizioni e le ire e le invidie di tutte le classi e di tutti di ceti, gli uni contro gli altri armati.

 

 

Per alzare lo sguardo verso l’alto, come vogliamo noi liberali, uopo è che l’uomo non tema lo spalancarsi sotto i suoi piedi dell’abisso di incertezza di sopraffazione e di latrocinio reciproco che la moneta falsa inevitabilmente reca con sé.

 

 

A questi principii noi conformeremo una azione concreta intesa ad attuarli via via a seconda dell’urgenza delle necessità collettive. Nell’ordine dei principii che i liberali, ubbidienti al loro ideale, debbono ad ogni costo sforzarsi di attuare, nessuno ci appare tuttavia così urgente come la lotta contro il monopolio. Da un secolo e mezzo un mito sommuove le moltitudini e le spinge alla guerra civile contro il medio ceto ed il mito ha trovato una formulazione semplice nella celebre frase, poi variata all’infinito: la proprietà è il furto.

 

 

Noi che, per la preservazione della libertà, vogliamo che la proprietà si diffonda invece, quanto più largamente è possibile, tra le moltitudini, neghiamo quella frase contraria a verità e diciamo; non la proprietà né della terra, né delle cose, né degli strumenti di produzione è un furto a danno della collettività; ma un particolare aspetto della proprietà e cioè il monopolio.

 

 

Ogni qualvolta lo imprenditore opera in concorrenza con gli altri imprenditori, egli è costretto, dalla concorrenza medesima più sicuramente e più efficacemente che da qualunque piano architettato dal più sapiente areopago di tecnici e di periti economisti, a rendere servigio alla collettività.

 

 

Il disservizio, il latrocinio, l’approvazione a danno della collettività nascono solo quando i produttori, qualunque specie di produttori, talvolta purtroppo in combutta con associazioni privilegiate di lavoratori o di intermediari, si accordano tra di loro per elevare i prezzi delle merci da essi prodotte al di sopra del livello consentito dalla remunerazione normale ai diversi cooperatori della produzione. Il regime totalitario fascista, colla soppressione della libertà di stampa, coll’abolizione di ogni dibattito pubblico dentro e fuori del parlamento, ha fornito ai gruppi più facinorosi di produttori l’arma necessaria a monopolizzare le proprie branche d’industria, di commercio e di banca.

 

 

Quello che prima del 1922 era un fatto sporadico e limitato è diventato invece durante il ventennio uno dei fatti dominanti della vita italiana. Con l’inasprimento dei dazi doganali, con i contingentamenti, con l’autarchia, con i vincoli alla creazione di nuove imprese ed all’allargamento delle antiche, il fascismo ha ingigantito, proprio esso, quella plutocrazia contro cui a parole affermava di volere muovere in guerra; ha rafforzato un vero e proprio feudalismo economico, che così potente e prepotente non esiste oggi in nessun paese del mondo.

 

 

Perciò noi liberali affermiamo che oggi il porro unum et necessarium, la delenda Chartago della politica sociale italiana è la soppressione di questo feudalismo industriale. Richiamandoci all’insegnamento dei nostri sommi e del più grande di tutti, Camillo Cavour, noi affermiamo che proprio il momento della fine guerra, il momento della crisi di passaggio dalla guerra alla pace è il momento vero per fare piazza pulita d’un colpo, senza esitazioni, senza falsi timori e timide preoccupazioni, degli idoli nefasti dell’autarchia, della protezione doganale, dei contingentamenti, delle licenze di importazione e di esportazione, dei vincoli alla creazione di nuovi impianti.

 

 

Aria libera per tutti: e fiducia negli italiani. Quando, con il dar di scure nella fitta selva dei vincoli creati dai falsi legislatori del passato, nove decimi dei monopoli cadranno, noi vedremo se e quali feudatari rimarranno in piedi.

 

 

Siamo persuasi che essi saranno ben pochi ed a questi provvederemo, in modo adatto per ogni tipo di monopolio ancora resistente, ora con opportuno controllo dei rappresentanti della collettività, ora con la formazione di particolari enti pubblici, autonomi e sottratti all’ingerenza del potere politico ed altra volta con quelle varie modalità che la ricca esperienza nostra e forastiera bene ci saprà indicare.

 

 

Respingiamo un’azione informata a parole di socializzazione o nazionalizzazione o statizzazione, perché siamo convinti che sotto quelle parole, vaghissime e prive di contenuto, si celino sostanzialmente tentativi di sostituire alla dominazione odierna dei nuovi signori feudali la dominazione ancora più opprimente, soprattutto per i lavoratori, di una burocrazia statale, quando di fatto non si consacri, gettando polvere negli occhi al pubblico, la continuazione del latrocinio odierno dei plutocrati creati dal fascismo o di nuovi plutocrati peggiori degli attuali, anche se camuffati sotto vesti socialistiche o comunistiche o democratiche. Sotto colla scure nella giungla protezionistica, monopolistica, vincolistica!

 

 

Questa è la parola d’ordine che i liberali rivolgono al popolo italiano. Noi vogliamo abbia termine l’oscena gazzarra autocalunniosa che i feudatari dell’economia italiana hanno da vent’anni inscenato per persuadere ai produttori ed ai lavoratori italiani che essi sono incapaci a produrre qualsiasi cosa senza l’aiuto di proibizioni, di vincoli, di incoraggiamenti da parte dello Stato.

 

 

Ma le proibizioni, i vincoli, i premi hanno creato unicamente la fortuna dei nuovissimi plutocrati e l’asservimento dei più, delle moltitudini ed insieme del medio ceto, dei lavoratori ed insieme della massima parte dei produttori onesti, i quali altro non chiedono se non di cimentarsi con ogni altro produttore, italiano e straniero, nella virile nobile gara di servire la collettività. Additando agli italiani questa primissima meta da raggiungere, noi liberali reputiamo di segnalare una meta precisa e semplice. Facendone il fulcro essenziale della nostra azione immediata noi reputiamo di mettere il dito sulla vera piaga cancrenosa della nostra vita economica e politica. La politica non è fatta di predicazioni millenarie ed avveniristiche, ma di azione concreta e fattiva.

 

 

Quale altra azione concreta e fattiva e chiara e semplice si può contrapporre a questa la quale sia ugualmente urgente allo scopo di liberare il nostro popolo dall’asservimento al quale fu costretto dalla violenza e dall’ignoranza?

 

 



[1] Ristampato lo stesso anno con il titolo Un programma liberale, Partito Liberale Italiano, Sezione piemontese, supplemento n. 2 de «L’Opinione», Torino, 1944, pp. 8 [Ndr.].

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