Opera Omnia Luigi Einaudi

L’Italia e i trattati di commercio – IV

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 16/10/1902

L’Italia e i trattati di commercio – IV

«Critica Sociale», 16 ottobre 1902, pp. 312-316

 

 

 

III

Il sistema doganale e le industrie manufattrici

(Continuazione)

3

Industria del ferro

Qui dobbiamo confessare una sorpresa. A chi, non preparato, si ponga allo studio della questione, subito si affacciano alla mente tutte le obbiezioni e accuse gravissime mosse contro il Governo italiano per aver voluto favorire una industria, per sé stessa di vita debole in Italia: gli sembra quindi di doversi addentrare in tutti gli aspetti economici della questione, per esaminare il costo delle imprese metallurgiche, guardare ai loro risultamenti e poi tirare le somme, pro e contro la protezione, altissima, accordata dal patrio sistema doganale.

 

 

Ma, dall’esame dei fatti, balza una conseguenza imprevista: la questione dell’industria del ferro in Italia esce affatto da ogni considerazione che appartenga al campo economico, per entrare in quello più irto, più discutibile e meno simpatico della politica, intesa in istretto senso. Quindi i ragionamenti, che in questa materia debbono farsi, sono solo indirettamente di natura economica.

 

 

I due postulati per l’industria siderurgica sono: vicinanza e buon mercato della materia prima; vicinanza e buon mercato del combustibile. In Italia non si ha né l’una cosa, né l’altra: non si può quindi da persona ragionevole sostenere la possibilità e facilità, nel nostro paese, di un incremento naturale di questa industria.

 

 

Conviene osservare però che a nessuno difatti è mai venuto in mente di avanzare e difendere questa tesi. L’industria siderurgica si è voluta in Italia per motivi politici e, più precisamente, militari. Si vollero creare alcuni potenti stabilimenti di lavorazione del ferro, per non dipendere che in menoma parte dai fornitori esteri in sì delicata e gelosa materia. Questo risulta dalla Inchiesta del 1872, da quella del 1886, dai Rapporti della Commissione per le industrie meccaniche e navali, ecc.

 

 

Dopo questa constatazione, a noi, che studiamo il problema doganale solo sotto l’aspetto economico, non rimarrebbe che deporre la penna e passare ad altro. Difatti, al teoria dei bisogni e dei servizi pubblici non ha che un aspetto solo economico: dato, in un determinato momento, un bisogno riconosciuto come pubblico, quale è il sistema più economico per farvi fronte? Ma il bisogno viene assunto dall’Economia come un dato di fatto, non si discute. Sia esso quello della sicurezza pubblica, sia quello di erigere un monumento a uno dei tanti salvatori della patria, l’Economia non fa apprezzamenti: fissa il costo del bisogno e determina il modo meno gravoso di farvi fronte.

 

 

Nel nostro caso, il fatto di creare prima, proteggere poi le acciaierie di Terni, di Savona, ecc.: e, indirettamente, di curare con occhio amoroso l’altezza dei dividendi degli azionisti di questi stabilimenti, si considera in Italia quale un bisogno pubblico. Emigra affatto il concetto, vero o falso che sia, di proteggere pro tempore industrie nascenti, salvo ad abbandonarle in processo di tempo, quando esse si siano irrobustite: questo può discutersi, come vedemmo, pel cotone e per la lana. Ma pel ferro no: se domani si toglie la protezione, i nostri grandi stabilimenti siderurgici cadono, poiché la protezione non ha loro materialmente avvicinato quei due grandi elementi che sono, come dicemmo, i due polmoni da cui le acciaierie traggono vita.

 

 

Però, un lato economico anche in tale questione vi è, e vale a dimostrare a quale caro prezzo il contribuente e l’industriale italiano non impegnati nelle acciaierie paghino il piacere, seguendo la stupenda strada che da Piediluco per le Marmore porta a Terni, di vedersi rizzar davanti il maglio immenso che, gigante incatenato da un’altra forza naturale più meravigliosa della sua, lavora con terribile delicatezza il metallo, destinato a difendere i fianchi capaci delle corazzate, di cui la nostra marina va altera.

 

 

Oltre alla produzione del ferro e della ghisa, attorno a queste materie si svolge tutta una serie di industrie, le industrie meccaniche propriamente dette, orgoglio e ricchezza dell’Inghilterra e della Germania, e che da un potente dazio sulla materia prima riescono rovinate. Di qui l’obbligo, per il legislatore italiano, di addentrarsi nel ginepraio delle innumerevoli varietà di questa complicatissima fra le industrie e stabilire, per compensare di quel primo dazio, un vero intricato Codice doganale metallurgico, da cui i meccanici ricevono il compenso alla prima indebita iattura e tutti gli altri industriali sono barbaramente tartassati. E ora passiamo ai fatti.

 

 

La povertà della produzione italiana in minerali di ferro è notoria. Sicché il nostro paese, fino al 1885, importava liberamente dall’estero quanto occorreva per gli scarsi bisogni dell’industria. Anche i prodotti lavorati delle officine metallurgiche e mineralurgiche erano ben meschina cosa e divenivano zero di fronte al gigantesco sviluppo dell’Inghilterra, degli Stati Uniti, della Germania e del Belgio.

 

 

Un certo incremento fu dato quando le ferrovie italiane alle rotaie in ferro sostituirono quelle in acciaio. Allora sorsero molti stabilimenti, in ispecie per la ribollitura dei rottami: ma fu fuoco di paglia. Però, poco prima che la Commissione doganale nel 1886 compiesse i suoi lavori, ci si trovò dinanzi a un fatto nuovo, che doveva poi esercitare un’influenza decisiva sul futuro andamento della politica doganale in questa materia. Alludiamo alla nascita della Società (anonima) degli Alti Forni, Fonderie ed Acciaierie di Terni, la cui storia ci è narrata in una elegantissima monografia, edita a cura della Società stessa[1]. Nel 1871 la ditta Lucowich & C. costruì a Terni due Alti Forni, incoraggiata dal prezzo enorme di 450 lire la tonnellata, raggiunto dalla ghisa dopo la guerra del 1870. Nel 1876 quella Ditta, stante il rapido declinare dei prezzi, spense i Forni, per dedicarsi esclusivamente alla fonderia di II fusione e specialmente alla fabbricazione dei tubi. La fabbrica progredì fino al 1879, anno in cui venne ceduta all’ing. Cassian Bon, che la assunse alla testa di una Società in accomandita per azioni. Sotto l’abile guida del Bon, la Società progredì rapidamente, fornendo, fino al 1884, i tubi per ben 59 acquedotti, di cui importantissimi quello di Venezia (tonnellate 4375) e di Napoli (tonnellate 39.297).

 

 

Nel 1883 una Commissione navale, nominata dal ministro della marina Acton e presieduta da Brin, visitando i vari stabilimenti siderurgici, fu colpita dai perfezionamenti introdotti dalla Fonderia di Terni, dalla specializzazione del lavoro e dalla favorevole ubicazione di essa. In seguito al Rapporto di detta Commissione, il Governo incoraggiò alcuni capitalisti perché, assunto lo stabilimento e ampliatolo con maggiori capitali, lo avviassero a divenire una grande officina, atta ai nuovi armamenti che il Governo progettava. Non furono sordi i capitalisti, e nel 1884, sotto, la direzione del comm. Breda, presidente della Società Veneta, la Società in accomandita Cassian Bon & C., si mutò in quella anonima tuttora vigente. Immediatamente il Governo la incaricò di importanti forniture, che ne resero necessario lo sviluppo ora a tutti noto.

 

 

La storia della Società non è però tanto semplice, come la racconta la citata monografia. Nel 1886, la relazione dell’on. Ellena nella Commissione doganale diceva: «Le ferriere ed acciaierie di Terni sono destinate, se opportuni istituti doganali ed altri avvedimenti (ad es., il prestito di 12 milioni!) le sorreggono, a dare un fecondo impulso alla siderurgia italiana… Ma perché questo non sia un sogno, è mestieri di introdurre nella tariffa doganale modificazioni non lievi». Perciò la Commissione doganale propose i seguenti rimaneggiamenti.

 

 

Ghisa in pani: fino allora entrava in franchigia. L’Ellena, contrariamente al parere dell’ing. N. Pellati, ispettore delle miniere e appositamente incaricato di uno studio dal Ministero d’agricoltura e commercio, propose il dazio di una lira per quintale. Naturalmente, posto per la ghisa, il dazio si dovette estendere ai rottami di ferro. Ghisa lavorata in getti greggi: il dazio vigente prima del 1887 era di L. 4 al quintale. La Commissione propose il dazio di L. 5, e pei getti riguardanti gli arnesi per mobili, ornamenti, ecc., L. 8.

 

 

Ghisa lavorata in getti, piallati, torniti, smaltati, stagnati, ecc: la tariffa del 1878 era unica, di L. 5 al quintale. La Commissione propose la seguente specificazione:

 

 

Per quintale

Ghisa lavorata in getti piallati o torniti: in oggetti per mobili e arnesidomestici

L. 10, –

in altri oggetti

” 7, –

Ghisa lavorata in getti con guarnizioni d’altri metalli: in oggetti per mobili e arnesi domestici

” 18, –

In altri oggetti id.

” 12, –

Ferro greggio in masselli ed acciaio in pani:

 

Tariffa precedente L. 2 al quintale (Austria L. 4; Francia L. 4,50 – 9; Germania L. 1,875 – 3,125)

L. 4, –

Ferro in lamiera e in tubi:

TARIFFA 1878

Ferro in lamiera della grossezza di 4 millimetri o più

L. 4,62

Ferro di grossezza inferiore ai 4 millimetri e anche in tubi

” 8, –

PROPOSTE della COMMISSIONE

Lamiere di 4 millimetri e più

L. 7, –

” di meno di 4 millimetri e di più di 1 1/2 millimetri

” 10, –

Lamiere di mm. 1 1/2 e meno

” 12, –

Tubi in più della lamiera di cui sono composti.

” 5, –

Ferro e acciaio in rotaie: tariffa del 1878 L. 3. Dazio austriaco L. 6,975; dazio francese L. 5 – 6; dazio germanico L. 1,875 – 3,125; dazio proposto L. 6.

 

 

Tralasciando altre numerose voci, passiamo alle macchine. Qui naturalmente la questione era grossa: da una parte i meccanici chiedevano la protezione, dall’altra tutti gli industriali volevano che ad essi fosse lasciata la massima libertà di scelta rispetto a questo arnese indispensabile per ogni fabbricazione. La tariffa vigente era così concepita:

 

 

Per quintale
Macchine a vapore fisse, con o senzacaldaie e motori idraulici

L. 6, –

Macchine locomotive compresi i tenders, locomobili e macchine per la navigazione con o senza caldaia

” 8, –

Macchine non nominate e parti staccate

” 6, –

Gasometri e loro accessori

” 8, –

Apparecchi di rame e altri metalli per riscaldare, raffinare, distillare, ecc.

” 10, –

Caldaie staccate di lamiera di ferro o d’acciaio, con o senza bollitore o riscaldatore

” 8, –

Guarnitura di scardassi

” 50, –

 

 

Ecco quale era l’importazione di tali macchine:

 

 

(Unità = 1 quintale)

Anni

Motori fissi

Locomotive a vapore e locomobili

Gasometri e macchine marine

Apparecchi di rame, ecc.

1879

5.592

22.171

885

288

1880

5.290

34.438

627

591

1881

6.851

59.743

4.307

738

1882

3.610

63.344

3.867

986

1883

8.159

77.991

2.298

1.260

1884

8.130

64.661

2.380

840

1885

9.195

91.597

1.635

2.300

 

 

Anni

Caldaie staccate

Guarniture di scardassi

Totale

1879

3.359

766

124.229

1880

7.822

918

192.121

1881

9.354

991

246.275

1882

11.531

939

320.184

1883

7.875

893

336.487

1884

8.460

827

340.000

1885

10.483

909

373.736

 

 

Dopo aver sentito il parere di molti industriali metallurgici, concordi tutti nella protezione, la Commissione accolse dazi elevati, che compaiono nella tariffa del 1887, costituendo una delle voci più complicate e vessatorie nel suo ingranaggio.

 

 

Questa gigantesca protezione non si può dire che abbia esercitato un’influenza sensibile sullo sviluppo della nostra industria del ferro. Le cifre del movimento commerciale ci dimostrano solo un certo incremento, fra il 1886 e il 1892, nella importazione del ferro e acciaio grezzo: incremento che non supera i 300.000 quintali, e che segna il vantaggio ottenuto delle acciaierie di Terni e di Savona e dalle poche altre. Quanto al ferro e acciaio lavorato, in lamiera e in seconda fabbricazione, l’importazione decresce in modo poco spiccato: l’importazione di macchine si mantiene costante, malgrado che, come è noto, in quegli anni le patrie industrie in generale non abbiano realizzato spiccati progressi. L’esportazione poi si restringe a una voce sola: minerali di ogni sorta; di oggetti lavorati non vi è parola. Ora, in generale, il movimento commerciale in sé e per sé non basta a costituire un indice sicuro dello sviluppo di una data industria. Ma nel nostro caso, dove la protezione è chiesta come mezzo unico per sviluppare l’industria e per salvarla dalla concorrenza dei prodotti similari stranieri, le cifre della importazione diventano un indice decisivo: qui ci autorizzano a conchiudere che la protezione non valse a creare l’industria metallurgica in Italia: eppure le si era fatta un’anticipazione di capitale immensa!

 

 

Una riprova l’abbiamo se ci occupiamo di vedere se, nel 1892, gli industriali del ferro erano soddisfatti del trattamento doganale del 1886.

 

 

Quanto ai lavoratori la materia prima, essi si mostravano contenti dello statu quo. E si capisce: il dazio sul ferro e sulla ghisa essendo proibitivo, le materie prime venivano tutte fabbricate in paese, come pure in paese venivano fabbricati alcuni prodotti meno fini, quali, ad esempio, le rotaie per le ferrovie. Anzi, in tal ordine, il dazio altissimo aveva portato il solito inconveniente di attirare troppo capitale verso l’industria protetta, sicché si era svegliata una certa concorrenza. Questa però non agiva molto efficacemente, perché limitata dal fatto dell’essere l’industria del ferro tale da richiedere forte capitale d’impianto.

 

 

Ma, per quanto si riferiva all’industrie meccaniche, gli industriali non si mostravano gran cosa soddisfatti del trattamento ricevuto. Ecco come riassumeva l’on. Rubini, industriale in ferro non che relatore per questa materia alla Commissione del 1892, le querele sue e dei suoi colleghi.

 

 

Le cause dell’inferiorità dell’industria italiana in confronto della straniera sono in parte di natura tecnico – fiscale – economica, e in parte dipendono dal migliore e più antico assetto delle industrie rivali e dalla loro maggiore specializzazione; da ordinamenti nostri commerciali e di trasporti meno perfetti, non che da fenomeni particolari e meno facilmente sindacabili, derivanti da consuetudini radicate e dalla ripercussione eventuale degli altri dazi di difesa sopra la capacità ad esportare di talune industrie, che ne sono l’oggetto, a prezzo minore della media generale dei costi dei prodotti che esse fabbricano. Le inferiorità per cause tecnico – fiscali – economiche si riferiscono principalmente: 1 al dazio medio e alle maggiori spese di trasporto, sino all’officina, delle materie impiegate, tenuto conto dei rispettivi cali di lavorazione, sia che queste si procaccino all’estero, sia che si comperino in paese, ma aumentate corrispondentemente di prezzo; – 2 a maggiori interessi e ammortizzo del capitale d’impianto dell’opificio; questo a sua volta essendo notevolmente più elevato, così per fatto delle spese di trasporto e di dazio del macchinario ed altro, come per la necessità nell’opificio nazionale di avere meccanismi, attrezzatura, forni, ecc., in maggior numero e più svariati per difetto di specializzazione del lavoro e di ampiezza di mercato; il che porta anche ad occupare più terreno e ad estendere di più le costruzioni murarie; – 3 a maggiore spesa per consumi diversi e per riparazioni, rimonte, dipendenti dalle medesime ragioni di cui al paragrafo precedente; – 4 a maggiori interessi sul capitale immobilizzato nelle materie prime, a mezzo lavoro e finite; questo capitale essendo a sua volta più cospicuo per fatto del loro costo maggiore e della maggiore varietà di lavoro, che richiede l’esistenza di stocks più cospicui; – 5 a maggiori interessi sul capitale investito in crediti verso la clientela, sia che detto capitale appartenga all’industriale, sia che intervenga il banchiere a scontarli; – 6 al maggior costo del combustibile impiegato nella lavorazione direttamente e per generare la forza motrice. Non si prendono a considerare le officine dotate di forza idraulica, giacché, per quanto riflette l’industria metallurgica e meccanica che muove masse e pesi ingenti, il vantaggio che ne discende è ripagato a usura dalle più elevate spese di trasporto; tanto che le più moderne e importanti installazioni vi rinunciarono; – 7 eventualmente alla maggiori tasse che colpiscono l’industria nazionale in confronto dell’estera; 9 – alle maggiori spese che incombono generalmente alla officina nazionale per trasportare il prodotto finito sino a destinazione del cliente nella sua zona di vendita in confronto della merce proveniente dall’estero, considerata questa già resa in uno dei numerosi porti italiani o transiti di confine, ai quali indifferentemente può affacciarsi per penetrare in paese.

 

 

Questi motivi per l’on. Rubini si dimostrano tutti calcolando le spese di produzione che uno stesso prodotto importava secondo che costrutto in Italia o all’estero; con questo sistema, ogni produttore, quando il bilancio gli torna male, avrebbe diritto a pretendere un dazio corrispondente dal Governo!

 

 

Naturalmente, in base a tutti questi elementi di inferiorità, l’on. Rubini chiedeva corrispondenti aumenti di dazio. Le sue domande parvero eccessive alla stessa Commissione, la quale discusse ampiamente le conclusioni del relatore. Questi però vinse su quasi tutte le voci e ottenne che le macchine più importanti non venissero vincolate nei futuri trattati di commercio.

 

 

Vediamo ore come i dazi passarono nei trattati del 1892. Con l’Austria, essa pure immersa nella protezione delle sue ferriere e quindi non interessata alla esportazione, i dazi rimasero suppergiù quelli stabiliti dalla tariffa del 1887. Diversamente andarono le cose Germania. Essa era una delle maggiori importatrici in Italia dei prodotti siderurgici. In confronto quindi dei ribassi da essa concessi a molti prodotti nostri, l’Italia dovette vincolare i ferri di prima e di seconda lavorazione e gli utensili e strumenti usuali per arti e mestieri, con riduzioni di dazio oscillanti da 25 cent. a una lira al quintale. Furono però esclusi dal vincolo convenzionale gli oggetti di lavorazione più eletta, come quelli ossidati, smaltati, nichelati, laccati e simili: come desiderava la Commissione, vennero inoltre lasciate libere le voci riguardanti le macchine.

 

 

Così pure con la Svizzera si fecero importanti concessioni, anche sulle macchine. Vediamo ora, al solito, come ha proceduto il nostro commercio in ferri dopo i trattati del 1892.

 

 

Importazione d’oggetti metallurgici in Italia

(Unità = 1 quintale)

MERCI

PAESI

1893

1894

1895

totale

1.769.783

1.571.526

1.798.023

Rottami scaglie di ferro e acciaio, ecc. { Austria

7.434

911

1.337

{ Germania

438.038

552.332

514.661

{ Svizzera

32.228

25.036

19.352

{Totale

1.143.429

1.186.641

1.318.700

Ghisa in pani { Austria

77.195

91.026

75.899

{ Germania

40.180

13.646

14.531

{ Totale

98.671

62.635

53.933

Ghisa lavorata { Austria

1.814

1.722

2.718

{ Germania

12.427

10.233

18.092

{ Svizzera

1.485

1.078

1.267

Ferro greggio in masselli e acciaio in pani { Totale

13.644

36.289

52.362

{ Germania

5.179

22.769

35.335

{ Austria

Ferro e acciaio laminati in verghe tirati in fili { Totale

421.095

426.661

378.099

{ Austria

10.023

19.554

16.167

{ Germania

227.542

212.323

212.884

Ferro acciai in lamiere { Totale

117.333

145.459

140.749

{ Germania

48.218

53.656

62.240

Rotaie per ferrovie { Totale

91.331

66.398

66.385

{ Germania

10.518

10.181

6.681

Utensili e strumenti di ferro e acciaio { Totale

17.721

15.906

71.112

{ Austria

3.038

3.305

3.598

{ Germania

9.359

8.226

8.567

Totale

109.585

113.851

91.644

Ferro e acciaio di seconda fabbricazione { Austria

9.017

7.047

6.878

{ Germania

34.258

36.658

35.842

{ Svizzera

5.181

1.127

1.311

Totale

214.039

230.752

252.150

Caldaie, macchine e parti staccate di macchina { Austria

5.281

4.799

6.364

{ Germania

53.387

64.334

66.326

{ Svizzera

37.874

31.321

41.448

Totale

3.602

2.801

2.405

Veicoli da ferrovia { Germania

2.703

114

872

{ Austria

 

 

MERCI

PAESI

1896

1897

1898

 

Totale

1.620.350

1.309.384

1.384.257

Rottami scaglie, ecc. di ferro e acciaio { Austria

5.384

4.733

2.754

{ Germania

239.378

152.340

201.784

{ Svizzera

13.414

25.301

59.737

{ Totale

1.194.904

1.560.195

1.690.594

Ghisa in pani { Austria

57.877

115.826

155.999

{ Germania

12.599

10.403

17.808

{ Totale

48.200

38.013

40.757

Ghisa lavorata { Austria

1.703

1.493

982.000

{ Germania

17.654

11.719

15.627

{ Svizzera

1.792

651

746

Ferro greggio in masselli e acciaio in pani { Totale

207.594

127.184

101.107

{ Germania

167.724

96.633

38.836

{ Austria

Ferro e acciaio laminati in verghe tirati in fili { Totale

321.849

320.768

324.728

{ Germania

11.942

15.345

15.050

{ Austria

168.750

172.382

172.282

Ferro acciai in lamiere { Totale

123.860

183.966

128.640

{ Germania

38.851

45.369

35.636

Rotaie per ferrovie { Totale

37.237

112.896

145.611

{ Germania

11.445

24.176

38.415

Utensili e strumenti di ferro e acciaio { Totale

16.952

18.781

19.430

{ Austria

3.217

3.355

3.922

{ Germania

8.784

10.172

9.750

Totale

98.632

138.011

158.615

Ferro e acciaio di seconda fabbricazione { Austria

7.050

6.855

6.735

{ Germania

43.412

57.179

69.816

{ Svizzera

1.331

2.365

1.795

Totale

274.797

252.902

264.564

Caldaie, macchine e parti staccate di macchina { Austria

5.852

10.086

7.438

{ Germania

69.950

77.473

89.033

{ Svizzera

38.423

31.127

33.554

Totale

4.550

5.767

1.099

Veicoli da ferrovia { Germania

903

790

610

{ Austria

 

 

 

MERCI

PAESI

1899

1900

1901

  Totale

2.456.163

1.974.153

1.483.045

Rottami scaglie, ecc. di ferro e acciaio { Austria

5.304.000

55.881

26.519

{ Germania

169.705

204.246

429.800

{ Svizzera

116.189

73.314

66.899

{ Totale

1.916.134

1.606.866

1.599.717

Ghisa in pani { Austria

167.034

168.481

166.142

{ Germania

17.293

14.012

49.923

{ Totale

41.582

74.045

56.950

Ghisa lavorata { Austria

3.828

13.460

4.038

{ Germania

18.693

31.383

24.323

{ Svizzera

426

1.264

1.853

Ferro greggio in masselli e acciaio in pani { Totale

134.763

170.181

102.490

{ Germania

27.839

30.631

78.616

{ Austria

9.603

Ferro e acciaio laminati in verghe tirati in fili { Totale

433.140

436.534

418.653

{ Austria

27.867

66.259

24.403

{ Germania

242.720

233.373

300.135

Ferro acciai in lamiere { Totale

178.183

272.796

210.958

{ Germania

59.168

63.340

86.345

Rotaie per ferrovie { Totale

125.515

234.956

365.533

{ Germania

22.297

139.502

29.642

Utensili e strumenti di ferro e acciaio { Totale

21.674

25.016

28.338

{ Austria

3.902

4.378

3.997

{ Germania

11.455

12.944

15.344

 

Totale

195.480

234.233

220.735

Ferro e acciaio di seconda fabbricazione { Austria

11.093

26.370

17.203

{ Germania

102.947

102.407

115.542

{ Svizzera

2.623

4.546

5.900

 

Totale

376.279

570.385

500.472

Caldaie, macchine e parti staccate di macchina { Austria

28.086

58.997

45.114

{ Germania

132.011

197.232

181.916

{ Svizzera

41.616

70.830

44.740

 

Totale

54.976

195.933

203.498

Veicoli  da ferrovia { Germania

715

61.489

110.969

{ Austria

80.300

 

 

Quantità esportate dall’Italia (Unità = 1 quintale)

 

 

MERCI

PAESI

1893

1894

1895

Minerali d’ogni sorta(in tonnell.) { Belgio

70.624

95.876

70.092

{ Francia

15.370

15.094

17.157

{ Inghilterra

47.670

171.437

171.437

{ Olanda

{ America Settr.

122.856

{ Altri paesi

2.334

5.965

6.071

  262.854

288.277

264.757

Caldaie macchine e parti di macchine { Francia

{ Germania

{ Svizzera

{ Altri paesi

 

 

MERCI

PAESI

1896

1897

1898

Minerali d’ogni sorta (in tonnell.) { Belgio

77.761

85.224

76.420

{ Francia

20.331

30.141

55.239

{ Inghilterra

193.748

242.133

150.332

{ Olanda

{ America Settr.

250

{ Altri paesi

6.316

5.066

53.764

Caldaie macchine e parti di macchine  

298.156

362.564

336.005

{ Austria

{ Francia

{ Germania

{ Svizzera

{ America Cen. e Mer.³

{ Altri paesi

 

 

23.311

32.078

28.163

 

 

MERCI

PAESI

1899

1900

1901

Minerali d’ogni sorta (in tonnell.) { Belgio

93.113

71.799

70.415

{ Francia

52.061

47.232

25.634

{ Inghilterra

122.922

112.980

100.002

{ Olanda

87.879

55.752

67.489

{ America Settr.

39.737

18.455

{ Altri paesi

2.473

2.960

2.719

Caldaie macchine e parti di macchine  

398.185

309.178

266.259

{ Austria

4.815

6.495

5.216

{ Francia

2.864

2.802

3.330

{ Germania

4.750

5.509

5.313

{ Svizzera

6.218

6.807

7.382

{ America Cen. e Mer.³

5.401

4.849

6.620

{ Altri paesi

6.744

9.230

12.150

 

 

30.792

35.692

39.711

 

 

Il semplice esame di queste cifre ci dimostra l’atonia in cui versa presso di noi l’industria del ferro. La protezione quasi proibitiva non è valsa a far discendere in modo considerevole nessuna delle voci della importazione: ha ottenuto solo che i produttori in tutte le altre industrie lavorano con spese d’impianto maggiori che nelle altre nazioni. La povertà poi della produzione nazionale per questo ramo ci è espressa anche dai dati principali prodotti delle officine metallurgiche e mineralurgiche, riportati sull’Annuario statistico del 1900.

 

 

Abbiamo visto i poveri effetti della protezione doganale sul ferro: poveri, si intende, per la massa, non per le azioni delle poche Società che vivono e arricchiscono all’ombra di essa.

 

 

Possiamo ora dire che i produttori non sono ancora soddisfatti. Una Commissione, nominata l’anno scorso fra la Società promotrice dell’industria nazionale e l’Associazione dell’industria meccanica ed arti affini, ha presentato al Ministro di agricoltura proposte per un nuovo regime doganale in materia. Col pretesto di perequare tariffa, la Commissione, appoggiandosi a studi fatti sulla base delle spese di produzione, propone i seguenti aumenti:

 

 

 

Dazio Attuale al quint.

Dazio Perequato al quint.

Locomotive senza tender

L. 14, –

L. 15,50

Macchine utensili per la lavorazione del legno e dei metalli:

del peso fino a 250 Kg.

” 14,50

” 30, –

” da 250 a 1000 Kg

” 9, –

” 18,50

” ” 1000 a 4000 “

” 9, –

” 14,50

oltre i 4000

” 9, –

” 9, –

Macchine a vapore fisse senza caldaia; pompe a vapore; motori a gas, petrolio, aria calda, compr.:

di peso fino a 1000 Kg.

” 12, –

” 17, –

oltre i 1000 Kg.

” 12, –

” 14, –

Macchine a vapore semifisse con caldaia e locomobili

” 12, –

” 14, –

Pompe da incendio a mano

” 10, –

” 19, –

Macchine frigorifere azionate da motori

” 10

[2]

Macchine dinamo elettriche:

di peso fino a 1000 Kg.

” 25, –

” 33, –

” da 1000 a 4000 Kg.

” 16, –

” 29, –

oltre i 4000 Kg.

” 16, –

” 20, –

Strumenti per le misure elettriche

” 30, –

” 140, –

Lime e raspe:

di lunghezza minore di 15 cm.

” 20, –

” 43, –

” da 15 a 30 cm.

” 15, –

” 22, –

” oltre i 30 cm.

” 13, –

” 15, –

Macchine per lavare la biancheria

” 10, –

” 14, –

Apparecchi da sterilizzare

” 18, –

” 20,50

Viti piccole di ferro

” 17,25

” 21, –

”  ” di ottone

” 30, –

” 36, –

 

 

Conclusione. – Come abbiamo visto, la questione del trattamento doganale della categ. XII si divide in due: protezione delle materie prime lavorate; protezione della industria meccanica. Questa è corollario alla prima.

 

 

La prima economicamente non trova ragione di essere: fu una ragione politica che la fece sorgere e ora si sono legati interessi finanziari. Però, pure ammettendo o, meglio, subendo la ragione politica, l’Economia può intervenire ora. È necessario che il dazio sul ferro e sulla ghisa sia mantenuto all’altezza primitiva? I sostenitori, nel momento attuale, devono, anche dal loro punto di vista, ammettere: 1 che ora gran parte, se non tutta, del capitale d’impianto delle ferriere è stata ammortizzata; 2 che, pur accettando il loro ragionamento, che basa la protezione sugli elementi del costo di produzione delle merci e sui bilanci degli imprenditori, lo Stato dovrà garantire con la protezione l’ammortamento del capitale d’impianto e l’interesse corrente alle azioni, ma non lauti dividendi. Ora da una serie ininterrotta di anni, le acciaierie di Terni e di Savona hanno distribuito dividendi non inferiori al 10%; essi aumentano in questi ultimi anni, causa le ottime condizioni del mercato del ferro e dell’acciaio e loro derivati.

 

 

È pur da ricordare che, se il Sindacato del ferro è sorto in Italia, esso fu agevolato appunto dalla eccezionale protezione doganale, la quale come è stato luminosamente dimostrato in America, costituisce la prima e più potente allettativa alla costituzione dei trusts.

 

 

Da queste evidenti ragioni, appare chiaramente che nei trattati commerciali si potrà ampiamente addivenire a concessioni sulle materie del ferro. Abbassato il primo dazio, i produttori meccanici troveranno senz’altro ridotto l’elemento più importante del costo di produzione, e quindi per tutto o parte di questo ammontare si potranno fare concessioni anche su questo secondo punto. Come abbiamo visto dalle cifre, la Germania contende all’Inghilterra il primato come importatrice in Italia nella categ. XII e, dato l’incremento vertiginoso che colà hanno preso dal 1898 in poi l’industria siderurgica e la meccanica, tutto lascia credere che su questa materia quell’Impero vorrà sempre maggiori concessioni. A esse sono interessate tutte le industrie italiane, tranne questa in parola, e l’elargirle ci sarà di immenso aiuto per ottenere riduzioni di tariffa ancor più importanti sulle nostre esportazioni agricole. (Continua)

 

 

ATTILIO CABIATI e LUIGI EINAUDI

 



[1] La Società degli Alti Forni, Fonderie ed Acciaierie di Terni ed i suoi stabilimenti (Terni, stabilimento Alterocca, 1898).

[2] Come le macchine a vapore fisse.

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