Opera Omnia Luigi Einaudi

L’opera di De Stefani e il compito del successore

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 09/07/1925

L’opera di De Stefani e il compito del successore

«Corriere della Sera», 9 luglio 1925

Cronache economiche e politiche di un trentennio (1893-1925), vol. VIII, Einaudi, Torino, 1965, pp. 360-362

 

 

 

 

Le dimissioni dell’on. De Stefani dall’ufficio che egli ha tenuto per due anni e mezzo con amore del pubblico bene, ferma difesa dell’erario, volontà di ritorno alle tradizioni antiche di palazzo Quintino Sella, devono essere commentate su queste colonne col medesimo spirito oggettivo da cui furono sempre ispirati i quotidiani giudizi sull’opera sua. Lodammo il ministro delle finanze quando seppe dare di scure nella selva selvaggia della legislazione di guerra e restituire gli ordinamenti tributarii all’antica semplicità, pur facendo fare ad essi un passo non piccolo verso le forme più progredite in uso nei paesi economicamente forti. Altri ministri, prima di lui, avevano preparato progetti ampii e razionali; ma i progetti erano rimasti sulla carta e la legislazione concreta si guastava ogni giorno più a causa di espedienti empirici, per balzelli di fortuna, brutti nella forma e irrazionali nello spirito. De Stefani volle e seppe fare tabula rasa di tutte le vaghe efflorescenze fiscali belliche; e se preferì non attuare di colpo una riforma tributaria organica, usò però degli strumenti tecnici di cui disponeva per introdurre ad una ad una riforme indirizzate ad uno scopo voluto e così concatenate fra loro che, a guardarla oggi nel suo complesso, l’opera sua appare veramente l’attuazione organica di un piano. Dissentimmo in qualche punto, come nell’abolizione dell’imposta successoria ed in quella dell’imposta sul vino: ma il dissenso ci permette con maggior libertà di riconoscere che l’opera dell’on. De Stefani rappresenta un periodo di fecondo ritorno del sistema tributario italiano alle sue classiche tradizioni liberali.

 

 

Come ministro del tesoro, l’on. De Stefani lega altresì il suo nome alla ferma resistenza contro l’incremento delle pubbliche spese, di stato e locali, allo sforzo diuturno di chiamare il pubblico a resistere alle tentazioni allettatrici di nuove spese, alla riduzione del debito pubblico interno da 95 a 91 miliardi, al «fermo» posto all’aumento della circolazione. Meriti grandi, che forse si giudicheranno in avvenire non essere stati offuscati dall’errore grave da lui commesso con la legislazione affrettata, inutilmente interventista, a cui si decise sullo scorcio del febbraio scorso.

 

 

Chi aveva seguito per ventotto mesi con largo, se pure indipendente, consenso di massima il ministro, il quale rendeva omaggio alle tradizioni scientifiche ed alla pratica liberale, dovette mutare la lode in critica quando vide lo stesso ministro decidersi ad una vana campagna di dominazione e di tutela dei mercati finanziari. Il fine era buono, che la difesa dell’erario, ché la lotta per il risanamento della circolazione stanno in cima al pensiero di tutti. Fu disadatto il metodo tenuto per raggiungere il fine buono: la disorganizzazione dei mercati finanziari partorì invero conseguenze vastissime e imprevedute: turbò il mercato di cambi che voleva tutelare: depresse i valori di stato che voleva esaltare.

 

 

Il nuovo ministro, che sarà chiamato a sostituire De Stefani, deve rimediare a questa mancanza di intuito concreto che, in un affare di grande momento, condusse il ministro uscente in una via senza uscita. E poiché l’errore di De Stefani non fu errore di principio, ma di malleabilità, di plasmabilità dei metodi di attuazione, così il compito del nuovo ministro dovrà essere essenzialmente quello di fondere la tenace insormontabile difesa dei principii con i necessari adattamenti alle esigenze dell’esperienza concreta.

 

 

E per limitare il discorso a quello che è al sommo del pensiero di tutti nel momento presente, il problema è: Come difendere la lira e nel tempo stesso ridare la fiducia al mercato? Difendere la lira vuol dire difendere tutto: poiché difesa della lira vuol dire freno alle spese, bilancio in pareggio, circolazione di biglietti stazionaria o decrescente, trasformazione progressiva dei debiti da brevi in lunghi, uso degli avanzi di cassa per il ritiro delle partite più pericolose dei prestiti pubblici. E tutto ciò si riassume ancora in una parola: «fermo» alla circolazione totale dei biglietti.

 

 

Non è questo un programma che possa attuarsi per virtù di decreti, occorrendo invece un’azione costante e vigilante su tutti i rami della pubblica amministrazione e contro tutte le impazienti richieste dei progettisti di spese.

 

 

Se il sacrificio di un ministro varrà ad attuare viemmeglio il piano del ministero di non varcare i limiti attuali della circolazione, il sacrificio sarà stato vantaggioso al paese. Ma che quel programma sia mantenuto chiedono non solo tutte le classi a reddito fisso, le quali non vogliono che il valore della lira diminuisca al di sotto del livello presente; chiedono non solo le classi risparmiatrici, le quali da un aumento della circolazione e dal conseguente rinvilio della moneta vedrebbero distrutti i moventi a risparmiare. Lo chiede anche la grande maggioranza delle classi industriali ed agricole, le quali anelano ad un metro stabile degli scambi, le quali vogliono essere liberate dall’ossessione dell’incertezza sui debiti e sui crediti. Lo chiedono in particolar modo le grandiose industrie, vanto dell’Italia nuova, come quella idroelettrica, le quali hanno d’uopo di enormi capitali di impianto e non sono in grado di procurarseli se non possono promettere ai risparmiatori una regolarità di reddito che è incompatibile con le oscillazioni nei cambi. Facile cosa è trovare capitali per imprese a breve durata; difficile attrezzare un paese per le opere di lunga lena; tanto più difficile quanto più è variabile il metro in cui si misurano le industrie, i prezzi, gli interessi.

 

 

Ridonare la fiducia ai mercati finanziarii: ecco il compito del nuovo ministro. Ridonarla, osservando le esigenze della difesa della lira: ecco la necessità suprema della economia nazionale.

 

 

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