Opera Omnia Luigi Einaudi

L’ultimo atto della vita della cassa pensioni

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 20/05/1914

L’ultimo atto della vita della cassa pensioni

(le curiosità di una tabella di riparto)

«Corriere della sera», 20 maggio 1914

 

 

 

Quando vidi sui giornali il comunicato governativo il quale conteneva il piano ufficiale di riparto delle quote versate dai soci della Cassa pensioni, io mi ricordai d’aver letto nella Relazione della Commissione d’inchiesta sulla Cassa Mutua Cooperativa italiana per le pensioni con sede in Torino a S.E. il ministro di A.I. e C., le seguenti parole: «Con questi elementi (dei valori effettivi dei capitali inamovibili, delle somme abbandonate dai soci decaduti e delle somme incassate per lire mensili) gli attuari determinarono che il tasso di rendimento delle lire mensili sino al 31 dicembre 1906 per i soci, di cui all’epoca menzionata non era stata rilevata la decadenza, fu di circa il 6.8 per cento e del 6.2 per cento se il periodo di osservazione si estende fino al 31 dicembre 1908 – fino al 31 maggio 1910».

 

 

Siccome gli attuari rispondevano ai nomi di due egregi cultori della scienza attuariale, il prof. Tullio Bagni ed il dott. Francesco Cantelli, e siccome i commissari governativi erano persone degnissime e presiedute dal sen. Tami, consigliere di Stato, io non avevo alcuna ragione di credere che il tasso di rendimento fosse diverso da quel 6 o 7 per cento che molte altre volte era stato annunciato dai tecnici della Cassa e che era stato così ufficialmente confermato dalla Commissione d’inchiesta. Preso perciò tra mani un prontuario di conti fatti, cominciai a scorrere coll’occhio sulla colonna del 7%, per vedere se i fatti corrispondevano alle previsioni.

 

 

Ahimè! che mi convenne scendere grado grado al 6 e 1/2 e poi al 6, al 5, al 4 e fermarmi infine, con stupore non piccolo, sulla colonna del 3 e 1/2! Ecco invero i risultati che ottenni e di cui spiegherò sotto il significato:

 

 

Inizio dei versamenti Anni di versamento Somme che il socio avrebbe accumulato ad una Cassa di risparmio al tasso del 3 e 1/2% Quota al 31 dicembre 1912 versando le quote mensili e gli accessori Guadagno al 31 dic. 1912 ed accessori Cassa Quote Pensioni riparto Totale mensili calcolati nel decimo
1894 19 316.32 31.63 347.90 408.84 +61.89
1895 18 294.- 29.40 323.40 373.29 +49.89
1896 17 272.40 27.24 299.64 338.89 +39.25
1897 18 251.64 25.16 276.80 306.47 +29.67
1898 15 231.60 23.16 254.76 275.52 +20.76
1899 14 212.16 21.12 233.37 247.34 +13.87
1900 13 193.32 19.38 212.65 222.01 +9.36
1901 12 175.20 17.50 193.73 198.77 +6.18
1902 11 157.68 15.77 173.44 177.11 +3.67
1903 10 140.76 14.07 154.88 156.95 +2.08
1904 9 124.44 12.44 136.88 137.95 +1.07
1905 8 108.60 10.86 119.46 119.94 +0.48
1906 7 93.36 9.33 102.69 102.57 -0.12
1907 6 78.80 7.86 86.46 85.73 -0.73
1908 5 64.33 6.43 70.75 69.40 -1.35
1909 4 50.58 5.06 55.57 53.43 -2.12
1910 3 37.32 3.73 41.05 37.92 -3.13
1911 2 24.42 2.44 26.86 23.80 -3.06
1912 1 12.- 1.20 13.20 11.52 –1.68

 

 

La prima colonna indica l’anno, al 1 gennaio del quale il socio cominciò il versamento di 1 lira al mese; la seconda il numero degli anni per cui il versamento fu effettuato; la terza l’ammontare che il socio avrebbe posseduto se, invece di assicurarsi presso la Cassa pensioni, avesse versato le sue lire mensili presso una ordinaria Cassa di risparmio al 3.50 per cento – la Cassa di risparmio di Torino paga appunto il 3.50 per cento ai suoi depositanti più modesti, come erano appunto i soci della Cassa pensioni e gli altri, più agiati, non avevano certo difficoltà ad impiegare i risparmi in titoli di tutto riposo fruttiferi del 3.50 per cento netto -; la quarta indica la somma che il socio avrebbe avuto al 31 dicembre 1912 se avesse, insieme colla lira, versato su un libretto di risparmio al 3.50 per cento anche gli accessori della lira. Per semplicità, e per non esagerare, io ho stimato questi accessori al decimo del principale, ossia a 10 centesimi per lira; ma in realtà la grandissima maggioranza pagò assai di più, anzi l’ammontare di questi diritti alla metà del 1910 giungeva (vedi relazione della Commissione d’inchiesta) a circa 7.2 milioni su 41 milioni di quote versate, ossia al 17.50 per cento. Non sarebbe fuor di luogo calcolare che fra tasse di buon ingresso, multe, diritti di esazione e di agenzia, interessi perduti per avere pagato le lire alla fine di ogni mese invece che al 31 dicembre, come io supposi abbiano fatto, i disgraziati soci della Cassa pensioni abbiano versato 20 centesimi in più per ogni lira. Contentiamoci però dei 10 centesimi, i quali, se fossero stati versati su un libretto di risparmio, avrebbero dunque fornito ai depositanti le somme scritte nella quarta colonna. Nella quinta si fa il totale del prodotto finale al 31 dicembre 1912 della lira ed accessori; e nella sesta si legge ciò che invece fu loro di fatto assegnato alla medesima data come quota di riparto della Cassa pensioni.

 

 

* * *

 

 

L’ultima e settima colonna dà i risultati finali; poiché vi si legge quanto i soci guadagnarono o persero iscrivendosi alla Cassa in confronto a ciò che avrebbero avuto se avessero seguito l’antico metodo di depositare sul solito libretto i propri risparmi.

 

 

A primo aspetto sembra che i soci non abbiano ragione di essere malcontenti. Chi si iscrisse nel 1894 avrebbe avuto L. 347.95 col libretto di risparmio ed invece ha lire 409.84, con un guadagno di L. 61.89; e così via quelli che si iscrissero dopo con un guadagno sempre minore; e solo a partire dal 1906 si verifica una perdita, non rilevante del resto, in cifra assoluta. Senonché, a ben guardare, il risultato appare assai meno brillante ed oserei dire misterioso. Infatti, coloro che avessero depositato lire ed accessori presso una Cassa di risparmio:

 

 

  • 1) avrebbero avuto capitale ed interessi a loro disposizione in qualunque momento; mentre i soci della Cassa non poterono più disporre dei loro denari in passato e non lo potranno in avvenire, a seconda dei casi, per 5, 10, 15 o 20 anni;
  • 2) non avrebbero corso il rischio di perdere i frutti dei loro risparmi in caso di morte; mentre lo corsero con la Cassa pensioni;
  • 3) non avrebbero corso il rischio di perdere tutto, in caso di mancata prosecuzione nei pagamenti.

 

 

I guadagni scritti nell’ultima tabella compensano tutti questi danni e rischi, da cui i soci della Cassa pensioni sarebbero rimasti immuni, ricorrendo all’antiquato e diffamato metodo del libretto di risparmio? Mai no. E quel che è peggio, gli ultimi iscritti perdono somme, che relativamente sono rilevanti, persino sul versato. Il socio iscritto nel 1911 ha versato 24 mensilità da una lira, più gli accessori; e riceve una quota di riparto di lire 23.80, perdendo non solo gli accessori, ma benanco parte delle lire principali. Il socio del 1912 non solo perde gli accessori; ma sulle 12 lire da lui versate gliene restituiscono solo 11.52! Se poi si tiene conto che gli accessori, da me calcolati al 10%, si avvicinano invece in media al 20%, anche quei pochi guadagni risultanti dalla tabella I vanno in fumo e si convertono in perdite sensibilissime. Come i soci della Cassa pensioni, insieme col danno, debbano avere anche le beffe di questo curioso piano di riparto, non si comprende bene. Il ministro Cavasola, il quale ha avuto il merito di rompere gli artificiosi indugi – ripeto la parola artificiosi perché rimane sino ad oggi incomprensibile la ragione per cui siano stati necessari 16 mesi e 15 giorni per giungere alla scoperta di così mirabili cifre – alla pubblicazione del piano di riparto, dovrebbe acquistare un’altra benemerenza; quella di far indagare e spiegare da un attuario – basta uno solo – le ragioni per cui il rendimento del capitale della Cassa ebbe a scendere dal 6-7 per cento, conclamato un giorno ed appurato da una Commissione governativa nel 1911, al 3.50 per cento d’oggi. Dove andarono i frutti delle decadenze delle morti, che la Commissione d’inchiesta valutava al 2.3 e 2.1 per cento, oltre al 4.1 per cento di reddito per interessi? oggi neppure rimane integro il reddito per interessi ed è sfumato ogni frutto delle decadenze e delle morti. Come la volatilizzazione dei frutti sia accaduta, in parte si comprende, avendo il liquidatore creduto opportuno di costituire un fondo di riserva di 5.300.000 lire a copertura di spese e perdite, ma in parte rimane oscuro. È assurdo aver corso rischio di perdita del capitale per morte o decadenza e ricevere poi lo stesso frutto di coloro che cotal rischio non corsero. Perciò un tasso di rendimento del 6%, di cui 4% per interessi e 2% per morti e decadenze, era un tasso naturale; mentre un tasso del 3 e 1/2 – 4% è grottescamente esiguo.

 

 

* * *

 

 

Oramai però ai soci della Cassa pensioni non rimane che far buon viso a cattiva fortuna e scegliere il meno peggio per l’avvenire. Dico il meno peggio, poiché davvero non si può immaginar legge di liquidazione forzata che abbia trattato con più disinvoltura e con meno scrupoli i creditori della massa liquidata.

 

 

Se i soci si decidono al recesso, devono:

 

 

  • 1) presentar domanda entro 60 giorni, con modalità non lievi e che i funzionari della Cassa si incaricheranno certamente di rendere le più fastidiose possibili;
  • 2) aspettare al minimo tre anni ad esigere le somme loro assegnate e più se al liquidatore piacerà di far durare più a lungo la liquidazione dei crediti e delle attività della Cassa e se ad esso piacerà di cedere all’Istituto nazionale delle assicurazioni od alla Cassa nazionale per la vecchiaia le attività patrimoniali più liquide, riserbando ai soci recedenti quelle più incagliate e meno mobilizzabili;
  • 3) esigere frattanto i soli interessi delle somme già liquidate e versate su un libretto di risparmio, che sarà scelto dal liquidatore a suo piacimento, magari tra le maniere di depositi che diano il reddito minimo ai depositanti.

 

 

Tutto ciò, sebbene si legga a chiare note nella legge, nel regolamento o tra le righe dei comunicati governativi è gravemente scorretto; e sarebbe da augurare che l’attuale ministro, il quale non deve portare la responsabilità delle ingiustizie che furono legiferate o stabilite in passato a danno dei soci della cassa pensioni, intervenisse per ottenere, occorrendo con una leggina apposita, che la liquidazione del loro avere ai soci recedenti avvenga con la maggiore rapidità possibile e colla minima dose di ostruzionismo. Esercitare il diritto di recesso non è un reato; e non devono essere puniti coloro che preferiscono questa soluzione.

 

 

La quale però, ove non intervenga alcun fatto nuovo, è sconsigliabile, come ho già avuto occasione di notare parecchie volte a cagione delle difficoltà frapposte da leggi, regolamenti e burocrazie ai recedenti.

 

 

Sicché non rimane altra via praticamente da scegliere fuorché il passaggio all’Istituto nazionale delle assicurazioni. È un po’ cadere da Scilla in Cariddi; poiché il migliore dei contratti offerti dall’Istituto che è quello della tariffa V a capitale differito è sempre inferiore all’impiego che ognuno dei soci potrebbe da sé fare dei propri denari.

 

 

Invero colui che ha oggi diritto ad una quota di riparto di 100 lire sarebbe sicuro depositandola presso una Cassa di risparmio al 3.50%, di avere dopo 5 anni 118 lire, dopo 10 anni 141 lire, dopo 15 anni 167 lire; ovvero potrebbe, comprando buoni del Tesoro od altri titoli al 4%, avere dopo 5 anni 121 lire, dopo 10 anni 148, dopo 15 anni 180 lire e conserverebbe il vantaggio di avere la somma a sua disposizione per le varie emergenze della vita. Occorrerà invece che si contenti di avere a seconda dell’età sua da 116 a 119 lire dopo 5 anni, da 140 a 151 dopo 10 anni e da 167 a 192 lire dopo 15 anni, correndo però egli il rischio di premorienza, nel qual caso gli eredi riceveranno solo 100 lire. Tutto ciò può essere conforme alle regole attuariali; ma è certamente contrario alle norme corrette che avrebbero dovuto essere seguite se il legislatore non avesse voluto aggiungere, al danno dell’illusione ufficialmente confermata di un rendimento del 6-7 per cento, le beffe di una assicurazione coatta la quale rende di meno, senza alcun rischio per l’assicuratore, trattandosi di somme fin d’ora integralmente versate, di un qualunque volgare libretto di risparmio.

 

 

Nel testo, che si legge sulla Gazzetta Ufficiale del decreto di riparto è contenuta una buona notizia per i soci della cassa. Alle quote di riparto, calcolate al 31 dicembre 1912, verrà aggiunto l’interesse del 3.45% per l’anno 1913 e verrà in seguito aggiunto l’eventuale reddito che il patrimonio darà dall’1 gennaio 1914 al giorno del loro passaggio all’Istituto nazionale o del rimborso ai precedenti. Con ciò viene tolto, sebbene sotto forma diversa, l’inconveniente che avevo segnalato sul Corriere del 4 maggio. In questo caso, il frutto del 3.45% è ragionevole, perché i soci dal 31 dicembre 1912 non corsero più rischio di morte o di decadenza, passando, per legge, le loro quote agli eredi. L’essere stato invece il frutto di poco superiore anche pel periodo 1894-1912 dimostra che l’Amministrazione della Cassa fu soverchiamente dispendiosa o impiegò i propri capitali in modi che si chiarirono poi aleatori e capaci di annullare tutti i vantaggi della mortalità e della decadenza.

 

 

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