Opera Omnia Luigi Einaudi

Massimario dei fitti

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 14/01/1923

Massimario dei fitti

«Corriere della Sera», 14 gennaio 1923

Cronache economiche e politiche di un trentennio (1893-1925), vol.VII, Einaudi, Torino, 1963, pp. 36-40

 

 

 

«Inutili le prediche rivolte ai proprietari di casa. Hanno il cuore più duro del macigno e non attendono che il momento di trarre allegre vendette dalla lunga astinenza sopportata finora». Questo il succo della maggior parte delle lettere che ricevo da inquilini.

 

 

Confido che le pessimistiche previsioni non saranno corroborate dai fatti. Le mie non furono «prediche»; ma logiche conclusioni tratte dalla realtà. I proprietari hanno «interesse» a tenere stretto conto del monito del presidente del consiglio. Potrà darsi che su 9 persone ragionevoli, ve ne sia una sconsiderata; ma gli altri nove, se non vogliono esserne pregiudicati, dovranno essere i primi a denunziarli all’opinione pubblica. Già in non poche città, le associazioni dei proprietari hanno inviato circolari ai soci per invitarli a moderazione; in non pochi luoghi, come a Torino, esse hanno invitato a convegno le associazioni di inquilini, per venire a fruttuosi accordi. Urge tuttavia il tempo. Entro il 31 gennaio bisogna venire ad accordi tra gli interessati, se non si vuole che siano troppo numerosi i biglietti di licenziamento o diffida d’aumento, susseguiti da citazioni dinanzi alle commissioni arbitrali. In queste urgenze, molti scrivono: quanto chiedere? Quanto offrire? Vorrebbero un consiglio, una guida per orizzontarsi sul per cento da chiedere o da consentire.

 

 

Duolmi di non potere rispondere in modo semplice. L’ultimo decreto si distingue infatti dai precedenti, per ciò che ha tolto di mezzo il metodo empirico delle percentuali uniformi, normalmente non rispondente alle esigenze dei casi singoli. Il 20 od il 30 od il 50 od anche il 100% può essere poco per un appartamento e di gran lunga troppo per un altro. Gli odi più violenti tra le due parti nacquero appunto dalle incongruenze degli aumenti uniformi. Il principio informatore del nuovo decreto è quello del caso per caso. Si fa giustizia quando si applicano criteri uguali a casi uguali, ma criteri differenti a casi differenti.

 

 

Tuttavia, poiché il pubblico vuole orizzontarsi e chiede insistentemente un consiglio, ho dovuto pormi una domanda presuntuosa e chiedere a me stesso: quali dati, quali notizie dovrei domandare alle due parti se fossi presidente di una commissione arbitrale, per pormi in grado di pronunciare il lodo ex informata conscientia? La domanda è presuntuosa, poiché, non essendo magistrato, mi fa probabilmente difetto quel senso di assoluta imparzialità che è connaturato, per lunga abitudine, al magistrato professionale. Ma non saprei in che altro modo porre il problema, che è pur quello dei criteri che deve tener presente il proprietario quando chiede e l’inquilino quando offre un dato aumento. Non si può chiedere molto, a casaccio, pur di chiedere molto e spaventare. Non si può minacciare di licenza, agitare lo spauracchio di aver bisogno dell’appartamento per la propria famiglia. Non si può, d’altra parte, negare tutto, nella fiducia di stancheggiare l’avversario e di guadagnar tempo con le lungaggini del giudizio dinanzi alle commissioni arbitrali. Con questi metodi, si moltiplicano le controversie e si favorisce il ritorno ai deprecati vincoli.

 

 

Che cosa pretenderei dunque di sapere, se fossi presidente di una commissione?

 

 

  1. In primo luogo, il fitto pagato dall’attuale inquilino o da quello precedente nel 1914 ed al 18 aprile 1920. Nel 1914, perché quello era il fitto normale d’ante guerra. Al 18 aprile 1920, perché è la base su cui si fondarono gli aumenti percentuali portati dai decreti di vincolo;

 

 

  1. gli aumenti fatti pagare, a qualunque titolo, dopo quelle due date: percentuali legali e percentuali contrattuali, per es., per rimborso di imposte, di acqua ecc.;

 

 

  1. fitto pagato per ogni vano e per ogni metro quadrato di superficie dell’appartamento alle date del 1914, del 18 aprile 1920 ed oggi, in seguito agli aumenti già verificatisi;

 

 

  1. piano a cui l’appartamento è situato, distanza dai centri cittadini, ossia ubicazione (via e quartiere), esposizione (a mezzanotte od al sole, sulla strada o nel cortile);

 

 

  1. tipo della casa, in cui è situato l’appartamento, se operaia o civile o signorile. Comodità, di cui la casa è provvista: se di riscaldamento centrale, ad aria o ad acqua, se di ascensore, se di apparecchi per la distribuzione dell’acqua calda; se fornita o non di portinaio.

 

 

Questi dati, dal 3 al 5, mi paiono essenziali per determinare la ragionevolezza dell’aumento chiesto od offerto. Un fitto di 100 o 200 o 500 lire per stanza ha scarsissimo significato per sé, quando non si sappia nulla intorno alla stanza medesima, alla sua utilità ed alla sua utilizzabilità. L’ideale per un pretore e presidente sarebbe che le parti si presentassero con una pianta o disegno dell’appartamento e con tutti i dati suindicati. Poche chiacchiere e quanti più fatti concreti illuminanti sia possibile.

 

 

È probabile che i commissariati degli alloggi posseggano nei loro archivi una ricca messe di fatti intorno al valore degli appartamenti. Sarebbe utilissimo che, prima di sciogliere l’ufficio, i commissari pubblicassero una succinta relazione, la quale indicasse in chiare tabelle, distinte per zone, quartieri, tipi di case, i fitti massimi, minimi e medi, per vano e per metro quadrato che essi avevano finito per attribuire agli appartamenti requisiti ed assegnati. So che in varie città avevano finito per essere adottati criteri medi, abbastanza uniformi, la cui conoscenza potrebbe essere utile.

 

 

Fin qui si sono elencati elementi di carattere oggettivo. Ad un elemento invece di carattere personale accennano il decreto e la relazione ministeriale, quando vogliono che si tenga conto:

 

 

  1. della situazione economica dell’inquilino, ed impongono di usare maggior riguardo a coloro che vivono di stipendi o salari modesti, o di pensioni o di redditi fissi. Ove sia possibile, sarà bene tener presenti questi dati; ma spesso accadrà che il proprietario alleghi ricchezze o guadagni immaginari o redditi supplementari a quello dell’impiego e l’inquilino si faccia piccolo oltremisura, sicché le opposte allegazioni finiranno per annullarsi a vicenda.

 

 

Migliore e più sicuro pare sia, a questo riguardo, il dato dell’addensamento per ogni camera. Non è un dato sicuro da interpretare; poiché in non pochi casi famiglie numerose vivono in poche stanze sovraffollate, non perché difettino di mezzi, ma perché non hanno il gusto della casa e preferiscono consumare i proprii redditi in cibi e vestiti. Ma quando si veda che le stanze occupate sono parecchie per ogni membro della famiglia, l’allegazione di povertà a primo tratto appare pretestuosa; e bene farebbe la commissione la quale consentisse in questi casi un cospicuo aumento di fitto, anche per costringere l’inquilino a ridursi e a far posto ad altri;

 

 

  1. sembra ragionevole che le commissioni si dimostrino più severe verso quei proprietari i quali, prima di inviare il biglietto raccomandato di diffida, non abbiano tentato l’amichevole componimento verbale, sia diretto sia per mezzo del proprio rappresentante. E per converso, l’ostinazione dell’inquilino a sottrarsi alle trattative verbali dovrà essere un elemento di giudizio a suo sfavore. Non sarebbe inopportuno anzi par doveroso che ogni proprietario sul biglietto di diffida faccia constare avere egli fin da prima, ad esempio, dalla metà del gennaio corrente, offerto di trattare sulla base di tante lire di affitto ed avere ricevuto ripulsa dall’inquilino. Il semplice invio della diffida senza preliminari trattative impressiona sfavorevolmente;

 

 

  1. un punto delicatissimo rimane da accennare. Tutti sanno essere usanza invalsa in moltissimi casi di stipulare due contratti, uno pubblico, da essere registrato, ed uno addizionale, da tenere segreto. Il primo colpevole di questa brutta usanza è lo stato; il quale ha tollerato che l’aliquota delle imposte e sovrimposte giungesse per lo più al 60, all’80, al 100 e non di rado superasse il 100% del reddito. È una bruttissima usanza, ripeto; ma di cui la responsabilità prima risale alla legge fiscale ed alla sua disumana applicazione.

 

 

Ma poiché dinanzi alle commissioni non sarà lecito far distinzioni le quali sarebbero in frode alla finanza, mi auguro vivamente che si colga la presente occasione per dare in parte all’aumento di fitto la forma di una partecipazione dell’inquilino all’aumento delle imposte e sovrimposte. È un’usanza largamente diffusa a Milano; la quale meriterebbe di essere generalizzata. Si dice, ad esempio, che tutto il supero dell’imposta e sovrimposta oltre il 25% debba essere diviso a giusta metà fra proprietario ed inquilino. Naturalmente, in questo caso il proprietario dovrà contentarsi di un aumento minore di fitto. Se così si facesse dappertutto, il numero dei contribuenti all’imposta fabbricati crescerebbe a Torino, o Milano, o Roma da dieci o ventimila a centomila o centocinquantamila e più. Crescerebbe il numero degli interessati alla cosa pubblica. Si persuaderebbero tutti della bestiale iniquità di un sistema tributario, il quale, chiedendo spesso il 100% del reddito, costringe i contribuenti a diventar falsari e, scoraggiando la costruzione delle case, cresce i fitti. Le grandi masse, le quali oggi non pagano imposte dirette, sarebbero interessate all’economia nei bilanci pubblici, di stato, di provincia e di comune. Pagando apertamente le somme che oggi pagano nebulosamente nascoste nelle pieghe di un aumento di fitto, cesserebbero dallo sbraitare contro i proprietari che non pagano e diverrebbero attive collaboratrici di quel ministro che voglia contemporaneamente da un lato ridurre le aliquote alla ragionevolezza e dall’altro costringere tutti a pagare sul vero.

 

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