Opera Omnia Luigi Einaudi

Necessità di chiarimenti sulla nuova tariffa doganale

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 12/07/1921

Necessità di chiarimenti sulla nuova tariffa doganale

«Corriere della Sera», 12 luglio 1921

Cronache economiche e politiche di un trentennio (1893-1925), vol. VI, Einaudi, Torino, 1963, pp. 257-260

 

 

 

I caratteri generali della nuova tariffa doganale, come abbiamo spiegato, sono nettamente protezionistici: la moltiplicazione delle voci, il pagamento in oro, il coefficiente di maggiorazione, la facoltà del governo di variare a suo libito, ossia in seguito alla pressione degli interessati, i coefficienti medesimi, tutto concorre a dare alla nuova tariffa un segnalato carattere di arnese protezionistico. Veramente, quasi non si vede che cosa di peggio potesse darci il sistema della doppia tariffa.

 

 

Unica speranza, in tante tenebre, è la possibilità di ridurre i dazi in sede di trattati di commercio e grazie al gioco della clausola della nazione più favorita. Se, per tornare all’esempio dei cavalli di cui ci siamo serviti nel precedente articolo, fortuna vorrà che, per ottenere qualcosa dall’Ungheria, i nostri negoziatori si inducano nuovamente a fissare, come si era fatto un tempo, il dazio convenzionale a lire oro 25, invece delle 40 lire della tariffa doganale, ecco scomparsi aumenti e maggiorazioni ed eccoci ritornati nel limite del ragionevole. Il dazio non sarà più quello di lire 25 di un tempo, quando la lira carta era eguale alla lira oro; oscillerà oggi tra 75 e 90 lire carta; ma poiché queste sono uguali a 25 lire-oro, nulla sarà sostanzialmente mutato. Saremmo ad ogni modo lontanissimi dalle stravaganze delle 630-735 lire di dazio per capo portate dalla nuova tariffa generale.

 

 

Confesso di essere scettico intorno alla possibilità di stipulare trattati di commercio. Il mondo intiero sembra impazzito e non v’è ancora la nazione seria la quale veda l’utilità di fare precisamente il contrario di quel che tutti fanno. Adesso è divenuto di moda affermare che non si può prevedere nulla, che non bisogna impegnarsi, che prezzi, noli, cambi sono in continua ebollizione e che perciò non si può sapere quali dazi saranno domani necessari. La logica parrebbe dire il contrario: cominciamo a fissare un punto fermo qualsiasi, variabile bensì in funzione del cambio, che già riassume in sé tutti gli altri fattori di variazione; ma certo almeno nel tempo e nella base; l’industria a poco a poco si cristallizzerà attorno a quel punto certo, comincierà a fare i suoi conti su quella base e prenderà quello sviluppo che le sarà possibile. Ma quale sviluppo potrà mai prendere, quando non sia nemmeno in grado di conoscere quale sarà il suo futuro regime doganale?

 

 

Oggi, neppure con le nuove tariffe, non lo sa, poiché è soggetta alle variazioni dei coefficienti di maggiorazione ed alla difficile, ma non esclusa del tutto, stipulazione di trattati di commercio su basi ridotte.

 

 

Difficile, anche perché l’ambiente ministeriale vi è contrario. Durante la guerra parecchie persone si sono abituate a ritenersi le padrone del movimento economico del nostro paese. Tre o quattro funzionari hanno contrattato con i paesi esteri i cosidetti «contingenti» di esportazione: «voi mi dovete tanto formaggio ed io vi darò tanta seta; tanti cavalli contro tanto riso ecc. ecc.» Si fa presto a sentirsi padroni dell’Italia, donni assoluti della vita e della morte di migliaia di industriali; è dolce far fare anticamera a gente frettolosa, padrona di aziende importanti; è supremamente rallegrante vedere l’ansietà con cui le proprie decisioni sono attese; ed è fonte di soddisfazione indicibile poter prendere per il collarino qualcuno dei più ingenui od impazienti o danneggiati di questi aspettanti, il quale si sia azzardato a lasciar sul tavolo una busta corrompitrice e consegnarlo alla guardia regia di servizio. No, tutto ciò non deve cessare non cesserà. Niente trattati di commercio; ma tariffa generale e coefficienti di maggiorazione, variabili a volontà del governo. Rimanga almeno quest’ultima voluttà, fra le tante assaporate durante il regime assolutistico dei tempi di guerra, di poter far pendere sul collo dell’industria italiana la spada di Damocle di un ribasso o far luccicare la speranza di un rialzo del coefficiente di maggiorazione.

 

 

L’industria ed il commercio italiano si assoggettano alla perpetuazione di questo avvilente regime di soggezione alla burocrazia statale; sono contenti di mendicare maggiorazioni da quei funzionari che tanto fastidio hanno loro recato negli anni scorsi? Preferiscono questa servitù alla libertà corroborante della concorrenza straniera? Si vede forse sorgere nel parlamento italiano una opposizione simile a quella che nel parlamento inglese recò tanta noia al governo a proposito di quella cosa sostanzialmente ben più piccola che era il dazio del 33 e un terzo ad valorem sulle merci prodotte da industrie chiavi? è probabile che il parlamento italiano non avrebbe osato approvare la tariffa del 9 giugno 1921; e perciò è tanto più grande la responsabilità di un governo il quale affettava di non volere ricorrere al sistema dei decreti legge nelle cose piccole e l’usava poi in questa, che è cosa grandissima, forse la più momentosa per l’avvenire dell’Italia economica nel prossimo ventennio. Usurpazione più grave del diritto del parlamento non poteva immaginarsi. Eppure sarà tollerata; ché tutto porta a credere che i parlamentari saranno ben lieti di veder commessa dal governo quella enormità che essi non avrebbero osato commettere, quando non fossero stati messi dinanzi al fatto compiuto. Vedremo se i socialisti protesteranno; essi che si proclamano i difensori dei consumatori e della povera gente. Vedremo se protesteranno i fascisti, che fanno le campagne contro i negozianti. A che valgono queste piccolezze, quando la nuova tariffa erige una muraglia cinese attorno all’Italia?

 

 

Quant’è alta la muraglia? L’impressione è che, tenuto conto della tariffa base, dei coefficienti di maggiorazione, del pagamento in oro e della specificazione delle voci, essa sia ben più alta che in passato. Si potrebbe corroborare questa impressione con cifre tolte qua e là dalla tariffa. Con i viaggi e i trasporti ferroviari così cari, è parso, ad esempio, opportuno di rincararli ancor più, aumentando il dazio sulle rotaie da 6 lire per quintale a 7 lire oro, che diventano 14 col coefficiente di maggiorazione e da 42 a 45 lire carta col cambio. I ferri ed acciai comuni, laminati a caldo in barre o verghe, greggi, e che prima pagavano 6,50 lire oro o lire carta, adesso mi sembrano suddivisi in un gran numero di voci, le quali vanno da 7 a 13,50 lire-oro, che coi coefficienti di maggiorazione diventano da 12,60 a 27 e col cambio da 38 a 94 lire-carta. Tutto ciò servirà stupendamente a far discendere il costo di costruzione delle case, degli impianti industriali e delle macchine, a rendere la vita a buon mercato, a permetterci di produrre a basso costo!

 

 

Ma non voglio attardarmi a fare degli esempi. Questi li deve fare il governo. Tutti gli esempi e subito. Non è credibile che una tariffa doganale avente una portata così vasta, che un provvedimento legislativo destinato ad avere forse un’importanza non paragonabile a quella di alcun altro provvedimento, sia presentato al parlamento, senza una relazione illustrativa, che, voce per voce, richiami le tariffe preesistenti, del 1878 e del 1887, le variazioni verificatesi in seguito per trattato, e le metta a confronto con la tariffa attuale, dicendo le ragioni precise della variazione deliberata. Oso dire che nessun privato, che nessun membro del parlamento è in grado di compiere da sé questo lavoro. Occorrerebbe essere un tecnico onnisciente in tutti i rami di industria; e chi può presumere di essere da tanto? La commissione reale ha stampato, è vero, 30 volumi in quarto grande; ma come si può pretendere che i 900 membri del parlamento durino la fatica di leggerli e di studiarli a fondo? La fatica sarebbe del resto vana, perché la tariffa odierna è un’altra cosa, tutta diversa, foggiata in segreto da un comitato di funzionari. Costoro devono avere studiato prima di deliberare. Espongano, in succinto, le ragioni del loro deliberare; ma chiaramente e precisamente e voce per voce. Niente discorsi generali; ma fatti e ragioni. In un unico volume di giusta mole, tutte queste giustificazioni possono aver luogo. Se questo non si fa, debbo ritenere che il parlamento dovrà rifiutarsi ad iniziare la discussione di un documento, il quale, per se stesso, altro non dice se non la volontà di lasciare l’avvenire economico del paese per i prossimi vent’anni in balia dei gruppi di interessati i quali siano più atti ad influire sullo stato.

 

 

Torna su