Opera Omnia Luigi Einaudi

Negligenza colpevole

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 30/11/1901

Negligenza colpevole

«La Stampa», 30 novembre 1901

 

 

 

 

«La Camera non è in numero», ha annunciato il presidente nella seduta dell’altro giorno.

 

 

È quasi a noi venne vaghezza di riandare la raccolta della Stampa per copiare e ripubblicare un articolo che su questo doloroso fenomeno della nostra vita parlamentare avemmo occasione di scrivere l’anno scorso.

 

 

In verità che altro possiamo fare noi fuorché ripetere per la ennesima volta il cordoglio provato nello scorgere la Camera mancare di assiduità nell’adempimento del suo principalissimo dovere?

 

 

Sennonché il male, col frequente riprodursi, inciprignisce. Stavolta si poteva legittimamente sperare che i deputati non potessero trovare alcun ragionevole pretesto alla loro mancanza di puntualità.

 

 

I lavori parlamentari erano stati inaugurati in una data tardissima ed erano stati ridotti al minimo possibile: tre settimane in tutto.

 

 

L’ordine del giorno era stato sbarazzato dal solito strascico della discussione dei bilanci preventivi, che negli anni decorsi si prolungava per tutto novembre e tutto dicembre, colla serqua ben nota di discorsi accademici e di raccomandazioni noiose fatte da ogni deputato a favore della scuola, della caserma, della strada, della ferrovia, ecc., ecc., del proprio Collegio.

 

 

Ed il campo era lasciato libero ad interrogazioni ed interpellanze importanti sulla nostra politica interna ed estera, ai progetti di legislazione sociale e di riforma tributaria da anni ed anni ardentemente invocati da tutte le parti politiche nel Parlamento italiano.

 

 

Si sarebbe potuto sperare quindi un concorso largo di deputati a discutere ed a battagliare su un programma di lavori così attraente.

 

 

Invece niente di tutto questo. I partiti parlamentari di governo e di opposizione (se pur si può dire che partiti vi siano), trovano modo di attaccar briga su un punto insignificante: l’annessione del Comune di San Giovanni al Comune di Sestri. Quando poi si vuol vedere, colla prova dei voti, quale dei due opposti pareri ha ragione, la Camera non risulta in numero.

 

 

Davvero che per così sconfortante risultato non meritava la pena di riconvocare la Camera nemmeno tanto tardi. Gli antichi abiti di faziosità e di lotte partigiane e di pettegolezzi personali non sono dunque ancora spenti. Si può essere sicuri che appena sarà in vista qualche grosso scandalo, o qualche interpellanza giudicata pericolosa per la vita del Ministero, l’aula di Montecitorio sarà affollatissima.

 

 

Ma per la tratta degli schiavi nell’Eritrea, o l’acquisto della galleria Borghese, o l’esposizione finanziaria o la discussione sull’Ufficio del lavoro non vale la pena di scomodarsi. Eh! via, è troppo poco!

 

 

In questo modo la vita del Parlamento si strania sempre più dalla vita del Paese.

 

 

Quelli che vivono negli affari e nel lavoro quotidiano non capiscono a che cosa servano codesti signori che non intervengono alle sedute della Camera e che vogliono ciononostante preponderare su tutte le Amministrazioni pubbliche, e che pretendono di essere tutto e di potere tutto.

 

 

Questi sono le impressioni del Paese, il quale sente rinascere in sé quel senso di pessimismo che una lunga esperienza gli aveva radicato nell’animo; ma che pareva svanito in virtù della speranza di un nuovo periodo di lavoro tranquillo e fecondo e concorde.

 

 

È dovere della Camera di soffocare, sin dal suo primo rigermogliare, codesto sentimento pessimistico; poiché, se la nuova esperienza lo radicasse ancora una volta, nessuna forza umana basterebbe a toglierlo.

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