Opera Omnia Luigi Einaudi

Nota bibliografica seguita da un elenco di dubbi e quesiti

Tipologia: Paragrafo/Articolo – Data pubblicazione: 01/01/1949

Nota bibliografica seguita da un elenco di dubbi e quesiti

 

 

 

1. – La presente edizione dei Principi di scienza delle finanze non reca indicazione di numero ordinale. In verità le stesure sinora diffuse del mio corso universitario sono state le seguenti:

 

 

1)    Guida schematica per lo studio della scienza delle finanze…dalle lezioni raccolte per cura di JARACH, RAGAZZONI, MORANO, studenti in legge (in litografia), Torino, Tip. lit. Brandoni e figli, 1902 – 1903. In ottavo di pp. 144.

 

2)    Scienza delle finanze e diritto finanziario, lezioni raccolte dal dott. CESARE JARACH (a stampa), Casale, Tip. Op. succ. F.lli Torelli; prima parte, 1907, sedicesimo, pp. 1 – 430; seconda, 1908, pp. 433-492. Seguono: Appunti sulle lezioni di finanza degli enti locali del prof. ALESSANDRO GARELLI; pp. 493-551. Indice generale, pp. 553-558.

 

3)    Lezioni di scienza delle finanze, raccolte dal dott. GIULIO FENOGLIO (in litografia), Torino, Lit. tip. Visconti, ottavo, pp. 926.

 

 

A proposito di questa edizione la quale non reca data, ma risale alla primavera del 1911 e venne fuori dalle lezioni e dalla stesura del raccoglitore più di getto di quelle successive per quanto riguarda le vedute personali relative alla teoria generale dell’imposta, vedute poscia espunte e cacciate nelle memorie accademiche di cui si dirà poi, il colonnello Enrico Barone, in una nota al secondo dei suoi Studi di economia finanziaria (in «Giornale degli economisti» del giugno 1912, p. 469, nota non riprodotta nei Principi di economia finanziaria, ripubblicati nel 1937 su una stampa del corso del 1911-1912), avvertendo che egli si asteneva dall’«infarcire lo scritto con note bibliografiche» delle quali il lettore «al corrente di questi studi… non ha bisogno per distinguere subito quel tanto che rappresenta il contributo personale dell’autore», aggiunge:

 

 

«Ma una citazione, a titolo d’onore, tengo a fare: ed è quella delle lezioni litografiche di Scienza delle finanze del prof. EINAUDI, perché si tratta di opera inedita: eccellente lavoro, in molti punti assai suggestivo, che richiamerò anche appresso: di esso mi sono valso con larghezza per alcuni punti del par. 4 e più specialmente del par. 5 di questo capitolo».

 

 

4)    Corso di scienza delle finanze Seconda edizione curata dal dott. ACHILLE NECCO (a stampa), Torino, Tip. E. Bono, 1914, ottavo, pp. 1 – 1.010. Seconda rispetto alla prima curata dal Fenoglio. Dopo aver ringraziato il Fenoglio e il Necco per la diligente loro opera, continuavo:

 

 

«Poiché dunque, se riconosco esplicitamente che questo volume di lezioni contiene davvero il corso da me professato, esso non vien pubblicato senz’altro a guisa di libro finito e portante il mio nome?

 

 

La ragione sembra a me che vi sia e sta nel fatto che queste lezioni sono un libro che si sta ancora facendo. Si fa, di volta in volta, di lezione in lezione, di anno in anno. Esse hanno, in alcune parti e principalmente nella seconda, quel carattere di cosa detta, non ancora sistemata ed organizzata in un tutto perfettamente simmetrico, che hanno spesso le esposizioni orali; e di queste hanno talvolta le necessarie ripetizioni e persino – sia di ciò data venia all’autore ed all’estensore – la riproduzione di alcuni brani di lavori di chi scrive, non sempre, per istile e contenuto, perfettamente armonizzanti colle presenti lezioni. Il libro non è dunque ancora tale da poter essere licenziato al pubblico come l’espressione di un pensiero, entro certi limiti, definitivo. Nessun libro è definitivo, per chi lo scrive; ed anzi accade spesso che, appena finito, un libro desti ripugnanza in chi vorrebbe averlo scritto diversamente. Ciò che qui si vuol dire, coll’affermare trattarsi di un libro il quale si sta ancora facendo, si è che l’autore ha speranza di potere un giorno – forse non vicino – riprendere in mano la soggetta materia di questo volume e scrivere su di essa qualcosa, che gli sembri avere il carattere di un vero libro.

 

 

Frattanto è parso, a chi scrive, non inutile consentire alla divulgazione di questi che in origine volevano essere soltanto dei riassunti scolastici. Alcuni di coloro che ebbero a leggere la prima edizione (litografica) del mio corso la dissero suggestiva. Forse può essere non inutile che il pubblico possa giudicare direttamente se il giudizio sia meritato. Sono ben lontano dal credere che nelle pagine seguenti ci siano molte novità specialmente perché l’esperienza mi ha abituato a leggere cose vecchissime nei libri i cui autori da se medesimi si proclamano scopritori di terreni nuovi, e cose nuove nei volumi, i cui autori di sé non parlano. Posso dire soltanto questo: che le lezioni qui riprodotte sono il riassunto dello sforzo che da anni vado facendo per vedere chiaro nelle cose discorse a scuola. Da quindici anni oramai insegno scienza delle finanze negli istituti tecnici prima e nelle università dopo; e confesso che una delle mie maggiori vessazioni intellettuali fu, per forse dieci anni, di essere costretto, per dovere d’ufficio, a spiegare una disciplina la quale, per non essersi ancora sistemata nella mia mente, mi sembrava un ammasso incoerente di nozioni più o meno interessanti intorno ad una moltitudine di istituti tributari, che ballavano una ridda infernale dinanzi ai miei occhi ed, immagino, anche a quelli dei miei studenti.

 

 

Quell’andare cogliendo fior da fiore nei campi più diversi della economia politica (traslazione delle imposte), del diritto (leggi tributarie), della storia (precedenti degli istituti tributari odierni), della legislazione comparata (income tax, Einkommensteuer e simili cose mirabili che si vedono solo all’estero), che si osserva in una precedente sinossi delle mie lezioni, pure con molta diligenza compilata dall’egregio dott. Cesare Jarach (Casale, 1907), mi lasciava il palato amaro. Avevo la sensazione che quella non fosse una costruzione scientifica, ma un’accozzaglia incoerente, una specie di dizionario di dottrine e di fatti riuniti insieme da un filo molto sottile e tenue, dal semplice riferirsi cioè tutte esse dottrine e tutti essi fatti alle entrate ed alle spese dello stato. La necessità di dover insegnare qualcosa come un dizionario di cose tributarie mi irritava, poiché avevo la coscienza di trovarmi così in una situazione idealmente inferiore a quella di coloro che avevano la ventura di poter esporre i teoremi di una vera scienza, di quelle scienze chiare, ordinate, semplici, in cui i teoremi ed i corollari si deducono a fil di logica e di osservazioni e di sperimenti appropriati, da alcune poche premesse fondamentali.

 

 

Ho cominciato a non irritarmi più ed anzi a compiacermi assai di dover insegnare scienza delle finanze, il giorno in cui ho deciso di non discorrere a scuola di tutte le voci del dizionario sovramentovato di dottrine e di fatti, ma di quelle sole che a me sembravano interessanti. Un po’ per volta finii di ordinarmene nella mente un numero sempre maggiore ed a veder chiaro dove prima vedevo scuro.

 

 

Ne è uscito fuori il presente corso, il quale non è ancora così semplice come vorrei e come col tempo forse diventerà; contiene forse ancora alcune discussioni di dottrine che probabilmente sono in parte inutili; ma vuole essere, sovrattutto per la parte specifica delle imposte, una deduzione logica da una sola premessa fondamentale – che nel testo viene chiamato il postulato dell’uguaglianza – dedotta dall’esperienza storica relativa all’evoluzione passata dei sistemi tributari e dalla constatazione dei danni economici prodotti dalla sua inosservanza. Questo sforzo di ragionare sulla base di una sola premessa e di costruire, in base ad essa, la dottrina dei tributi particolari esistenti nel nostro paese si vede sovrattutto nella trattazione particolareggiata che ho voluto fare delle nostre tre grandi imposte sui redditi – terreni, fabbricati e ricchezza mobile – le quali a me sembrano assai più interessanti, suggestive, eleganti, che non le diavolerie straniere ed i progetti nostrani che si sbandierano ogni giorno dinanzi ai nostri occhi come gli ultimi portati della scienza finanziaria. A me i veri fabbricatori della scienza finanziaria sembrano essere gli estensori delle decisioni amministrative e delle sentenze di corti giudiziarie ed i loro commentatori e non i solenni trattatisti, i quali discorrono di giustizia tributaria e di finanza democratica e sociale. Questi fan delle scorribande senza costrutto, attraverso la legislazione comparata; quelli ci fanno vivere dinanzi agli occhi la vita di un tributo, il suo atteggiarsi successivo, i suoi adattamenti ai fatti nuovi che si vanno via via formando, le sue trasformazioni dettate dalla necessità di non urtar troppo il senso di uguaglianza dei contribuenti. Quando si ha finito di leggere Wagner se ne sa quanto prima, salvo uno stordimento classificatorio in più nella testa; quando si sono letti i tre noiosissimi volumi di Quarta sull’imposta di ricchezza mobile italiana si ha almeno l’impressione che qualcuno, che volesse, potrebbe scrivere uno stupendo libro, in cui, partendo da una sola premessa, logicamente si ricostruirebbe l’intero edificio dottrinale ed applicato di questo bellissimo ed elegantissimo tributo. È possibile cioè – a chi non sappia verbo delle querele tra i diversi principi fondamentali della finanza, tra i molteplici criteri giustificatori delle imposte, tra i variabili metodi di giustizia tributaria – ricostruire col solo studio dei fatti tributari, della intima struttura dei tributi, della logica interna che li anima e che li trasforma via via in guisa che sarebbe parsa persino assurda ai legislatori che li istituirono, un corpo di dottrine che si adeguino ai fatti reali e ne traducano in leggi le uniformità.

 

 

È probabile che, nell’attuazione pratica allo sforzo non abbiano corrisposto i risultati; tanto più che al nucleo centrale della trattazione si sovrappongono altre discussioni aventi diverse origini ideali e segue la trattazione della finanza straordinaria di guerra, la quale ha carattere particolarissimo.

 

 

In questa parte della finanza straordinaria si è posto però studio grande nel perseguire l’indagine, a cui anche nelle parti precedenti si era posto mente, costituente nello sceverare la realtà dei fatti dalle illusioni formali, frequentissime in finanza e germoglianti sovrattutto in gran copia nei giardini fioriti dei debiti pubblici, a persuadere i popoli della convenienza di sostituire alle imposte i debiti ed a certe maniere realmente meno costose di debiti altre maniere apparentemente più agevoli a sopportare. Questo delle illusioni è un motivo che ritorna spesso nel corso; poiché nulla parve più pestifero per una chiara comprensione della materia tributaria dell’immaginare diversità sostanziali (per es. tra imposte sul reddito globale ed imposte sui redditi o prodotti delle cose, tra imposte sul reddito ed imposte sui consumi, tra imposte sul reddito ed imposte sui capitali o sui trasferimenti o sulle successioni), laddove esistono soltanto diversità di nomi e di strumenti tecnici intesi a raggiungere sempre il medesimo intento. In molti luoghi del presente corso si analizza questa grottesca illusione degli uomini e si studia quale profitto ne abbiano tratto i legislatori per togliere le penne alla gallina tributaria senza farla troppo strillare. E anche si indaga come, malgrado i nomi diversi, tutte le imposte, avendo la medesima indole di tributi sul reddito, si possano le une commutare nelle altre, mercé adatti avvedimenti contabili. La quale conoscenza delle reciproche commutazioni giova a scovrire quando, mossa dalla propria logica interna, una imposta si sia trasformata, per modo da urtare con la logica delle altre imposte e le necessità di euritmia dell’intero sistema tributario.

 

 

Quando l’illusione dei nomi non faccia più velo all’indagatore ed i nomi diversi si concepiscano soltanto come strumenti tecnici, utili per l’attuazione di una norma generale di tassazione, sparisce, a parer mio, il contrasto o la diversità fra i principi economici ed i principi giuridici delle imposte. Perché sparisce tutto ciò che del diritto tributario positivo vigente nei diversi stati è la parte contingente e caduca, tutto ciò che non ha reale importanza per la costruzione dell’edificio scientifico, che è pura norma amministrativa pratica o grottesca superstruttura dovuta all’ignoranza del legislatore, al suo malo modo di esprimersi, alla sua fretta convulsionaria nell’abborracciare leggi nuove; sparisce tutto ciò che è puro commento letterale della legge fiscale e fors’anco derivazione rigida di testi di legge che non hanno nessun legame logico con la materia tributaria; e restano le norme generali, permanenti, logiche giuridicamente, perché inquadrate nel sistema generale del diritto tributario, e logiche economicamente, perché feconde di risultati economici utili. Il contrasto, che talora si vede, e che in Italia ebbe manifestazioni clamorose nella tassazione del plusvalore e dei sovraprezzi delle azioni, della cessione delle annualità, delle riserve matematiche delle società di assicurazione, delle forze idrauliche, non è fra la ragione giuridica e la ragione economica. No. Questo è un contrasto assurdo. Il contrasto è solo fra la norma giuridica contingente, risultante da false interpretazioni, letterali od analoghe, di testi di legge per se medesimi muti o stiracchiabili a volontà, da una falsa concezione dell’interesse pubblico, che stortamente si identifica coll’appropriazione della ricchezza privata, e la norma giuridica permanente, che si deduce dalla logica propria dell’intero sistema tributario ed armonizza con esso e si impone alla lunga, mercé gli sforzi perseveranti della critica scientifica, al legislatore, ad essa ripugnante per ignoranza o per interesse. La prima norma giuridica, quella falsa, è anche dichiarata assurda dal ragionamento economico; mentre la seconda trova nel ragionamento economico validissimo appoggio. Del che nel corso si danno numerose prove, discorrendo principalmente delle nostre tre grandi imposte sul reddito.

 

 

Essendo stato sovrattutto preoccupato di esporre i fatti finanziari, come mi si erano andati a poco a poco chiarendo nella mente, debbo avvertire che i lettori non troveranno, nelle pagine che seguono, discorsi molti problemi che tradizionalmente fanno parte della scienza delle finanze. Non si parla della traslazione delle imposte, non delle spese pubbliche, salvo accenni generali, non del bilancio, non di tante altre cose, di cui parrebbe doveroso discorrere; ma di cui io non vidi, per ora, l’occasione di parlare in maniera che fosse logicamente connessa con le altre parti della trattazione».

 

 

5)    Corso di scienza delle finanze. Terza edizione, Torino, edizione della rivista «La Riforma Sociale», Tip. E. Bono, 1916, ottavo, pp. 16-594.

 

 

Dalla prefazione:

 

 

«Il presente corso non vuole essere una esposizione compiuta di quegli argomenti che vanno sotto il nome di Scienza della finanza; sovrattutto esso non contiene quasi alcun riferimento alle dottrine ed opere altrui. Il quale carattere fu accentuato, come sopra si vede, nella presente edizione con la soppressione del piccolo residuo che ancora si leggeva nella precedente intorno alle teorie sulla ripartizione delle imposte.

 

 

L’esperienza mi dimostrò invero che la costruzione dottrinale di un sistema tributario poteva compiersi senza fare alcun cenno di quelle teorie, il cui studio non era indispensabile all’intelligenza del sistema costruito. Furono recise altresì le pagine intese alla ricerca di una norma naturale per la ripartizione della ricchezza; non perché quelle pagine mi si chiarissero erronee; ma perché in realtà da esse non ricavavo alcuna deduzione feconda per la costruzione susseguente. Nella presente edizione, perciò, il sistema si presenta solo e mondo da ogni trattazione estranea. Qui è la parte centrale del volume, che si potrebbe definire come lo studio degli sforzi fatti dai legislatori dei diversi tempi e paesi per passare da tipi meno perequati a tipi più perequati di imposta sotto la spinta di due forze: 1) il riconoscimento della sperequazione insita nel sistema precedente; 2) la nozione dei danni economici e sociali prodotti dalla sperequazione medesima. Il sistema tributario vigente è così concepito come il risultato di un processo storico verificatosi per l’operare di forze interne distruttive e ricostruttive dei sistemi via via succedutisi nel tempo.

 

 

Ben lungi dal significare dispregio verso le dottrine altrui, questa mancanza di riferimenti alla importante letteratura finanziaria è mossa dal rispetto grande dovuto a scrittori i quali diedero impulso al progresso scientifico; il cui pensiero io ritengo debba essere esposto con fedeltà, discusso con rigore, corredato di tutto l’apparato critico e bibliografico necessario. Quando ciò non possa farsi per ineluttabili ragioni di spazio, meglio è astenersi del tutto dal difficile cimento ed attenersi alla esposizione della dottrina a cui per letture fatte o per meditazione propria si è giunti».

 

 

Il corso nella terza edizione non includeva il trattato della finanza straordinaria. Ad esso era consacrato un estratto della precedente seconda edizione, il quale correva col seguente titolo:

 

 

La finanza della guerra e delle opere pubbliche, Torino, S. T. E. N., 1914, ottavo, pp. 31-350, ed in cui di mutato c’erano solo le poche pagine di prefazione. Dalle quali estraggo le seguenti, che recano la data del marzo 1914:

 

 

Un’edizione particolare del trattato della finanza straordinaria parve opportuna in un momento, in cui in ogni paese si discorre di guerre e di opere pubbliche e dei mezzi adatti a far fronte alle enormi spese che dalla guerra e dalle opere pubbliche sono occasionate. Segnatamente negli ultimi anni, quasi tutti gli stati hanno dovuto affannosamente andare alla cerca di entrate straordinarie, diverse da quelle normali con cui si provvedeva e si provvede alle spese correnti annue degli enti pubblici. Lo stato per le spese di guerra e per le opere pubbliche (costruzioni ferroviarie ed arredamento delle ferrovie di stato, bonifiche, rimboschimento), i comuni per le imprese municipalizzate, le case popolari, le scuole, i risanamenti, i piani regolatori, ecc., ecc., si sono trovati di fronte al problema: come provvedere a queste che sono spese in conto capitale, diverse dalle spese in conto esercizio, a cui si fa fronte con i prezzi pubblici, le tasse e le imposte? Naturalmente, siccome la fantasia fiscale non è quasi mai feconda di trovate originali, si sono risuscitati tutti i vecchi arnesi, ben noti e già a suo luogo accasellati, dell’armamento finanziario; e si fecero debiti protestando che debiti non erano; anzi, mentre li contraevano in maniere condannate dall’esperienza e dalla scienza, i governanti davano a se stessi lodi di genialità e di abilità somma nell’escogitare maniere di indebitarsi mai viste e di lievissimo peso sui contribuenti. E fu principalmente condotto ad altissimo grado di perfezione il metodo di provvedere ai bisogni degli enti pubblici con la creazione di un mercato artificiale del risparmio a sotto – interesse mercé enti pubblici di risparmio e di assicurazione.

 

 

Il presente volume vorrebbe essere un quadro delle maniere corrette ossia economicamente convenienti all’universale e delle maniere scorrette, ossia convenientemente dannose, di provvedere ai bisogni straordinari degli enti pubblici: e, naturalmente, poiché le maniere scorrette o dannose sono più numerose e più frequentemente adottate delle maniere corrette, la critica degli errori e dei sofismi correnti intorno alle imposte straordinarie ed ai debiti pubblici ha nel volume una parte forse maggiore che non l’esposizione della verità. La qual cosa del resto appare ragionevolissima; poiché le verità economiche e finanziarie sono poche e semplici; mentre sono numerosissimi, vecchissimi ed ognora ripullulanti gli errori e le illusioni. Sovrattutto le illusioni; poiché i governanti a – reattivi – nel testo i governanti sono classificati in re – attivi ossia amanti della discussione, del controllo e della pubblicità ed a – reattivi ossia inimici della reazione che i contribuenti esercitano contro le false spese mercé il controllo parlamentare e la pubblica discussione – nulla pregiano maggiormente delle maniere di debito le quali fanno apparire ai contribuenti il peso delle spese pubbliche minore di quanto in realtà non sia. Ad essi piacciono i buoni del tesoro, o le anticipazioni statutarie degli istituti di emissione, perché hanno nomi che lasciano credere erroneamente al gran pubblico che si tratti di qualcosa di diverso da un prestito vero e proprio; hanno predilezioni spiccate per le emissioni di biglietti a corso forzoso – legale o di fatto – perché non si vede subito l’onere gravissimo che esse apportano e si vede soltanto che non fruttano interessi passivi; amano grandissimamente far debiti mercé istituti pubblici di risparmio e di assicurazione, perché immaginano di sottrarsi in tal modo al controllo dal mercato libero; si industriano a larvare i debiti sotto colore di annualità promesse a compagnie ferroviarie o di sussidi a città e consorzi; danno la palma ai prestiti in rendite perpetue in confronto ai prestiti ammortizzabili, per non essere obbligati ad iscrivere in bilancio le rate di ammortamento; emettono prestiti sotto la pari pur di far credere alla propria abilità ad ottenere dai banchieri mutui a basso tasso di interesse; evitano di emettere prestiti all’estero, anche nei casi in cui siffatto partito è manifestamente profittevole all’interesse pubblico, pur di far pompa di una indipendenza dallo straniero, che in ben altri modi si acquista; commettono ripudi di debiti, rivestendoli di forme raffinate, atte ad illudere la generalità con accorte confusioni del ripudio con l’imposta o con la conversione; seguono il pregiudizio volgare che l’indice più perfetto della prosperità del paese e del bilancio sia l’altezza dei corsi a cui sono quotati i titoli di stato e spargono amare lacrime se, dopo una conversione, per nuovi accidenti intervenuti i corsi delle rendite scendono al disotto della pari. Chiarire gli errori contenuti nei falsi ragionamenti che corrono tuttodì ed hanno gran credito tra il volgo politico e gli scribi quotidiani, mettere in luce quel che non si vede nei fatti della finanza straordinaria e che è ben più interessante degli errori e delle mezze verità che tutti vedono: ecco quale fu il fine pratico che mi mosse a scrivere.

 

 

È inutile avvertire che cotal fine pratico coincide perfettamente col fine scientifico di studiare le uniformità a cui vanno soggetti i fatti finanziari, e gli effetti che nascono dalle diverse maniere di provvedere ai bisogni straordinari degli enti pubblici. Vi sono taluni i quali, partendo dalla premessa vera che la scienza deve fare oggetto di indagine tanto gli istituti utili come quelli alla collettività quanto quelle che la danneggiano, concludono:

 

 

  • che la scienza deve astenersi dal dar consigli ai governanti intorno alla miglior maniera, ad es., di contrarre prestiti pubblici;

 

  • e che il compito suo, veramente specifico, dovrebbe quasi limitarsi a chiarire le condizioni o cause (dominio di certi gruppi sociali, prevalenza di certe idealità politiche e morali), per cui talvolta i governanti abbracciano i partiti che sopra si dissero utili e tal altra quelli che si dissero dannosi alla collettività.

 

 

In quanto al primo punto, sembra che la questione sia massimamente di parole; e che, se ebbero torto molti scrittori a dare alle loro prose finanziarie il carattere di consigli ai governanti, hanno di gran lunga più torto quei moderni scrittori, i quali – perché essi sanno scrivere in maniera che appare più esatta e precisa ai lettori contemporanei – non vogliono adoperare quel minimo di cristiana carità, che subito li farebbe persuasi essere i consigli dei vecchi scrittori in realtà la stessissima cosa delle leggi scientifiche che odiernamente essi espongono. Consigliare al principe di non contrarre un prestito sotto la pari, significa sostanzialmente constatare essere l’indole dei capitalisti, la loro capacità di previsione, il loro amore agli interessi elevati tali che i titoli al disotto della pari costano allo stato più cari dei titoli alla pari. Se dalla costatazione di certe indubitate caratteristiche psicologiche dell’uomo e dalle illazioni economiche che logicamente se ne possono dedurre, si trae la conclusione che i prestiti alla pari sono più convenienti dei prestiti al disotto della pari, sembra a me che siffatta conclusione non muti natura solo perché lo scrittore vi aggiunge il consiglio al principe di attenersi al partito del prestito alla pari, che l’esperienza, l’osservazione ed il ragionamento hanno dimostrato essere più conveniente del prestito sotto la pari. Cotal consiglio è, dal punto di vista scientifico, almeno innocuo; e la irritazione contro chi si ostina ad offrirlo riuscirebbe incomprensibile se non fosse venuta di moda tra gli scrittori di economia e di finanza una stravagante mania, la quale fa loro parere scientifiche soltanto quelle indagini che meno sono adatte ad applicazioni pratiche; e, per timore di contaminazione, li induce a dar veste ripugnante alla comune intelligenza anche alla trattazione di problemi ordinarissimi ed all’universale accessibilissimi. Spero di essere mondo da siffatta lebbra dello scrivere in maniera incomprensibile; né reputo gran disgrazia se talvolta i principi economici e finanziari siano applicabili anche dagli uomini d’arte e di governo. Tanto più che un sospetto mi turba:che forse l’irritazione della gente innamorata della teoria pura, monda da ogni volgare contatto con la pratica non provenga dall’inconscio desiderio di far dimenticare il fatto certissimo che per lo più le leggi scientifiche modernamente scoperte altro non sono se non la traduzione, in un linguaggio più corretto e per ciò stesso potenzialmente fecondo di nuovi veri, dei consigli che si leggono negli spregiati ricettari d’un tempo; e che l’irritazione della gente amante delle leggi pure ed odiatrice dei consigli ai governanti provenga forse dal non potersi certuni contentar del meritato vanto di avere perfezionato ed aumentato le verità antiche, liberandole dalla scoria di errori che ne scemavano il valore; sicché essi presumono, a torto, di crescere la propria gloria dimostrando che prima di loro erano le tenebre ed il nulla e che solo essi riuscirono ad illuminare il mondo con la luce della verità.

 

 

Alla schiera degli scrittori amanti della scienza pura, i quali reputano doversi questa limitare a chiarire le condizioni o cause per cui i governanti abbracciano ora le soluzioni economicamente convenienti ed ora quelle dannose dei problemi che dinanzi a loro si pongono, sembra lecito domandar licenza di trattare anche il quesito della convenienza o sconvenienza delle diverse soluzioni che ai problemi finanziari si possono dare. Nessuno nega che sia utilissima impresa ricercare le cause per cui i governanti adottarono talvolta le soluzioni che gli economisti avevano dimostrate dannose alla collettività; sebbene sia ragionevole l’atteggiamento più scettico intorno alla facilità di compiere progressi segnalati in queste indagini intorno alle cause o condizioni del modo di agire dei governanti. Ma cotal ricerca utilissima non può rendere vana od antiscientifica l’altra, alla quale le pagine seguenti sono quasi esclusivamente dedicate, degli effetti utili o dannosi di quelle diverse maniere alternative di agire dei governanti. Sono due indagini differenti; ed amendue meritano di essere coltivate. Sebbene il primo genere di indagini, intorno alle cause o condizioni determinanti dei fatti finanziari, abbia il vizio di piacere moltissimo ai governanti a-reattivi, perché offre il destro di dimostrare che le loro malefatte e le ingiurie arrecate alla cosa pubblica erano storicamente inevitabili, essendo determinate dall’operare di circostanze siffatte da rendere fatale l’errore ed essendo questo scusabilissimo coll’esempio di assai governanti forestieri di epoche e di paesi diversi, i quali, commettendo in identiche circostanze il medesimo errore, parvero dargli il crisma della verità, della verità storica, se non razionale. Viene ora la nuova scienza genetica la quale afferma che gli studiosi si debbono limitare a constatare, a guisa di bonzi impassibili, i fatti e le loro relazioni; sicché, essendosi osservato che in un dato paese, per raggiungere un dato fine, era necessario ingannare le plebi, facendo loro credere che i debiti non erano tali, ma crediti, si conclude essere logica la derivazione di simigliante effetto da cotal causa, e sempre ed in ogni paese essersi operato ugualmente quando erano uguali gli antecedenti dell’azione.

 

 

Il che non nego sia indagine scientifica; ma appartiene a quella specie di indagini che hanno fatto decadere grandemente gli economisti nell’opinione pubblica, la quale li reputa in un fascio prezzolati servitori dei potenti, siano questi borghesi o proletari o burocrati o malviventi giacobini. Sia lecito ricordare che le più belle tradizioni della scienza economica e le più gloriose conquiste teoriche e pratiche di essa risalgono all’epoca nella quale gli economisti poco si curavano di spiegare la genesi dei fatti, né li consideravano, con sedicente imparzialità, tutti ugualmente e soltanto oggetto interessante di studio; ma classificavano i fatti, a seconda che erano apportatori di risultati utili o dannosi alla generalità od alla maggioranza od utili ai pochi e dannosi ai più; e dichiaravano sofistiche ed erronee quelle dottrine, propugnate dagli pseudo – scienziati o dai malvagi governanti, le quali tendevano a dar parvenza di utilità ai fatti od ai provvedimenti che erano invece dannosissimi. L’impassibilità della scienza moderna ha per effetto di agevolare ai governanti la via per commettere azioni dannose; mentre la passionalità della scienza antica eccitava i popoli a reagire contro i danni che le leggi cattive producevano. Poiché è certissimo che amendue fanno opera scientifica, poiché è probabile che il ragionamento possa, quando sia reso accessibile ai molti e diventi causa di sentimenti e di azioni, riuscire a modificare la condotta degli uomini, governati e governanti, ed a diventare esso stesso un fatto, capace di reagire sugli altri fatti, così mi si consenta di sperare che, dopo il lungo impero della scienza genetica storica imparziale, si ritorni alle indagini critiche e vive, mosse dalla passione per la verità e dall’odio verso l’errore, atte a servire di strumento in mano agli uomini che, nella vita politica ed economica del paese, vogliono combattere quegli altri uomini, i quali vivono dell’errore ed aborrono la verità.

 

 

6)    Corso di scienza della finanza. Quarta edizione, Torino, ed. della rivista “La riforma sociale”, 1926, ottavo, pp. ottava – 526.

 

 

Dalla prefazione:

 

 

«Come i precedenti, il volume è il frutto di appunti raccolti in scuola da studenti – e nell’anno scolastico 1925-926 principalmente dal signor G. F. Benevolo – che furono riveduti e corretti dall’insegnante, senza però mutarne la caratteristica essenziale di lezioni e senza assumere la compiuta responsabilità inerente ad un trattato originariamente pensato e scritto dall’autore».

 

 

7)    Principi di scienza della finanza, Torino, «La Riforma Sociale», 1932, ottavo, pp. 7-430.

 

 

Il sistema tributario italiano, Torino, «La Riforma Sociale», 1932, pp. 7-201.

 

 

In questa edizione, prima pubblicata col titolo di Principi, «è segnalabile – si legge nella avvertenza preliminare – in modo particolare una novità: ossia la divisione del corso in due volumi. Di cui (il primo) espone i principi della scienza della finanza in generale; laddove (il secondo) intende a delineare in modo particolare l’ordinamento tributario italiano. Pur essendo complementari l’uno all’altro, l’un volume è tuttavia indipendente dall’altro; e la distinzione, anche materiale, ha per iscopo di evitare facili confusioni fra principi ed applicazioni, fra scienza e diritto finanziario. La scienza delle finanze non è limitata dalle norme positive tributarie vigenti in un dato paese; ma, riassumendo l’esperienza del passato ed illuminandola col ragionamento, dà ragione degli ordinamenti presenti e ne prepara le trasformazioni. Il diritto tributario invece si fonda esclusivamente sulle norme vigenti nei singoli paesi; epperciò, nel nostro, la sua trattazione deve inspirarsi esclusivamente alle norme legislative italiane» (dalla avvertenza preliminare).

 

 

Il sistema tributario italiano, presto esaurito, uscì in seconda edizione nel 1933, in ristampa nel 1934, in terza edizione nel 1935. Nel 1939 fu pubblicata una quarta edizione: Il sistema tributario italiano. Quarta edizione rifatta ed ampliata con la collaborazione di FRANCESCO A. REPACI, professore nella R. Università di Padova, Torino, Giulio Einaudi editore, 1939, ottavo, pp. 15-349. «In questa edizione fu soppresso ogni riferimento ai miei Principi di scienza delle finanze. Per due ragioni, delle quali la prima si è che il presente volume, volendo descrivere l’ordinamento tributario esistente in Italia, è in verità compatibile con l’uso che nelle scuole si faccia di qualsiasi trattato della scienza finanziaria; e può essere anzi considerato come un complemento, forse non inutile, di trattazioni le quali forzatamente danno sovrattutto svolgimento agli aspetti teorici dei problemi dibattuti a proposito degli ordinamenti tributari concreti.

 

 

La seconda ragione sta in ciò che, nel compilare il presente volume, mi sono imposta come unica regola quella di esporre e di interpretare la mente del legislatore italiano. La norma vigente è chiarita, riassunta e ricostrutta sulla base di quel che il legislatore disse o intese dire. Se qualche rarissimo spunto de lege condenda si legge, esso è tratto dalla considerazione della mente medesima del legislatore, quale si può dedurre da altre norme, più generali, atte a far presumere che il legislatore stesso sia propenso a rivedere o innovare talun particolare di un ordinamento che via via sta ogni giorno ricreandosi.

 

 

Partire dalle premesse medesime che sono proprie del legislatore è, invero, esigenza imprescindibile per chi non voglia correre il rischio di interpretare erroneamente la norma scritta nella legge. Perciò anche nel presente volume è escluso del tutto ogni accenno tratto da legislazioni forestiere.

 

 

La medesima regola avevo in sostanza osservato nel redigere i Principi, con questa sola differenza che laddove il presente volume descrive il sistema tributario italiano e lo interpreta secondo la lettera e lo spirito delle norme vigenti, nei Principi, pur partendo dalle premesse concettuali le quali si possono desumere dalla storia e dalle variazioni della legislazione vigente nel nostro paese, si era tentato non di esporre il sistema tributario vigente in Italia, ma di ricostruire i principi teorici essenziali che lo informano. Non ho perciò, ad esempio, neppure in quei Principi adoperato, nel discutere problemi di tassazione, concetti di «capitale» o «reddito» o principi di giustizia distributiva propri di questo o quello scrittore, o forse anche da me vagheggiati; ed invece mi sono chiesto: quale è il concetto di capitale o di reddito, quali sono i principi di giustizia distributiva in materia di imposta, i quali informarono il pensiero del legislatore italiano? e di questi concetti e principi e non d’altri, mi sono valso nel chiarire la logica degli istituti tributari ed eventualmente discutere le soluzioni apprestate nei casi singoli dal legislatore medesimo o dalla giurisprudenza.

 

 

Naturalmente i concetti economici ed i principi di giustizia accolti dal legislatore italiano nel lungo tempo corso dal 1861 ad oggi e da lui tradotti in norme coattive tributarie possono non essere le nozioni ed i principi che un economista od un politico d’oggi affermerebbe. A poco a poco nuove idee e nuovi principi si affermano nella scienza e sono accolti dai legislatori. Il sistema tributario dell’oggi è diverso da quello del 1865, quando l’ossatura fondamentale di esso già esisteva. Il sistema che vigerà fra vent’anni sarà diverso da quello d’oggi. Le descrizioni e le sistemazioni che leggeranno allora nei trattati saranno anch’esse diverse».

 

 

2. – Le novità della presente edizione in confronto a quella precedente sono due: le modifiche apportate al testo e la presente «nota», con relativa coda di «dubbi e quesiti».

 

 

3. – Le modifiche al testo sono state materialmente rilevanti: circa un decimo della materia antica è stato cancellato ed al posto suo è stato messo il doppio di materia nuova. Quasi ogni pagina, tra quelle rimaste, è stata sottoposta a quella specie di revisione che si usa dire accurata. Ho voluto, rivedendo, continuare il lavorio, visibile sino dalla edizione precedente (n. 7 dell’elenco al par. 1), di eliminazione di tutto ciò che in essa vi era di personale e di opinabile. Sebbene mi sia, naturalmente, stato impossibile compiere quest’opera di auto – eviramento in modo compiuto, ho procurato, nei limiti del possibile, di costruire i Principi partendo, invece che da premesse personalmente a me simpatiche, da quelle le quali hanno nelle grandi linee informato la moderna legislazione finanziaria. I concetti fondamentali di giustizia nella ripartizione delle imposte, di base imponibile (reddito, capitale, trasferimento di ricchezza, consumo di beni, ecc.) sono quelli generalmente ammessi nella dottrina accettata ed accolti nella legislazione tributaria moderna in genere ed italiana in particolare.

 

 

La trattazione, fatta su queste basi è, nel presente volume, prevalentemente teorica, ossia economica. Alla esposizione del diritto finanziario (specie tributario) vigente in Italia continua ad essere consacrato il volume complementare su Il sistema tributario italiano oggi aggiornato grazie alla collaborazione dell’amico prof. Francesco Ripaci. Nel testo del presente volume si fa riferimento al volume complementare con la semplice indicazione de Il sistema.

 

 

A dare ai due volumi indole esclusiva, il primo di elaborazione dottrinale dei principi informatori della legislazione corrente ed il secondo di esposizione riassuntiva delle norme della legislazione italiana, sono stato indotto dalla persuasione essere inopportuno mescolare insieme due ordini di idee profondamente diversi: l’uno attinente a ciò che pensa la communis opinio dei dottori contemporanei e tradotta in leggi vigenti dalla volontà del legislatore e l’altro relativo a ciò che per avventura può pensare uno dei tanti dottori, sia pur questi vicinissimo ed affezionatissimo allo scrivente.

 

 

Studenti, che si preparano ad esami, aspiranti a posti amministrativi che si presentano a concorsi, e gli eventuali lettori disinteressati hanno diritto di non essere da un imbroglio di carte tratti a confondere quella che è opinione prevalente (Principi) e diritto ricevuto (Sistema tributario italiano) con quella che può essere elucubrazione solitaria di uno studioso.

 

 

4.- Ho avuto modo del resto di dichiarare in lungo e in largo, dal primo spunto nella primavera del 1911 (vedi sopra al n. 3 del par. 1) sino a recentissime variazioni, i miei pensamenti in non poche scritture. Do qui di seguito l’elenco di quelle che a me paiono le più rilevanti:

 

 

1)    Intorno al concetto di reddito imponibile e di un sistema d’imposta sul reddito consumato. Saggio di una teoria dell’imposta dedotta esclusivamente dal postulato dell’uguaglianza (in Memorie della Reale Accademia delle Scienze di Torino, seconda serie, sessantatreesimo tomo, 1912).

 

2)    Osservazioni critiche intorno alla teoria dell’ammortamento dell’imposta e teoria delle variazioni nei redditi e nei valori capitali susseguenti all’imposta (in Atti dell’Accademia predetta, vol. 54, 1919).

 

3)    La terra e l’imposta (in Annali di economia della Università Commerciale Bocconi, 1924).

 

4)    Contributo alla ricerca dell’«Ottima imposta» (in Annali di economia predetti, 1929).

 

5)    Saggi, Torino, «La Riforma Sociale», 1933, ottavo, pp. 10-161-550 (passim e principalmente a pp. 51 e 77 della parte prima e 37, 45, 93, 153, 487 e 529 della parte seconda).

 

6)    Nuovi saggi, Torino, Giulio Einaudi, 1937, ottavo, pp. 422 (passim, ma sovrattutto la seconda sezione da p. 177 a 218).

 

7)    Contributi fisiocratici alla teoria dell’ottima imposta, in Atti predetti dell’Accademia di Torino, vol. 67, 1932, pp. 26.

 

 

Riveduto in The Physiocratic theory of taxation, in Economic Essays in Honour of Gustav Cassel, October 20, 1933, London, Allen and Unwin, ottavo, pp. 129 – 142.

 

8)    La teoria dell’imposta in Tommaso Hobbes, Sir W. Petty e Carlo Bosellini, in Atti predetti, vol. 68, 1933, p. 67.

 

9)    Miti e paradossi della giustizia tributaria. prima ed., Torino, Einaudi, 1938; seconda ed., id., 1940.

 

 

Le memorie ricordate ai nn. 1, 2, 7 ed 8 saranno presto (Torino, Einaudi, 1940) raccolte, con altre, in un volume di Saggi. Seguiranno, separatamente, i nn. 3 e 4.

 

 

Avendo raccontato quel che di mio o di rimeditato da me avevo da dire nei nove saggi sopra elencati e nei minori che in essi sono o dovrebbero essere citati, era inutile conservare nel presente volume di Principi quel che aveva ancora carattere di elucubrazione personale. Forse la sola eccezione è il quarto cap. del secondo libro su I principali tipi storici di ripartizione delle imposte, dove si legge l’abbozzo di un’indagine, la quale meriterebbe di essere perfezionata, sulla eliminazione di certi istituti tributari (imposta a superficie e a decima) dovuta a vizi logici propri degli istituti medesimi, vizi inesistenti nel momento iniziale dell’istituto e necessariamente operanti per le mutazioni avveratesi in prosieguo di tempo nel mondo esteriore economico e sociale. Ad occasione dell’abbozzo fu esposta primamente nel 1911 una teoria della rendita o sovra – rendita tributaria che non so se fosse da altri esplicitamente stata dichiarata prima e che vidi poi fatta propria da più recenti scrittori. Salvo un accenno in Miti (par. 271 del n. 9 sopra) non ebbi occasione di sviluppare quei concetti in saggi speciali; ed esso è perciò il solo al quale si possa far riferimento.

 

 

A chi volesse per avventura discutere altre opinioni mie intorno a problemi controversi di dottrina finanziaria è lecito chiedere di non riferirsi agli eventuali spunti residuati nel presente volume, ma esclusivamente alle dimostrazioni contenute nei saggi di cui sopra si è dato l’elenco?

 

 

5. – Nelle edizioni precedenti mi sono astenuto da riferimenti bibliografici, perché avendo nelle prefazioni segnalato quel che, con assai benevolenza verso me stesso, immaginavo essere il mio contributo personale, era sottinteso che tutto il resto era una riesposizione di vedute correnti. Ora che, salvo il capitolo sovra ricordato e gli spunti qua e là affioranti, tutto il libro ambisce ad essere nulla più di una fotografia della dottrina dominante, mi corre obbligo di dichiarare quali siano alcuni dei libri (e ricordo solo quelli scritti o tradotti in lingua italiana) che mi furono sin dall’inizio utili per conoscere la dottrina medesima. Li avevo già ricordati nella prefazione all’edizione del 1916 del corso (cfr. sopra n. 16):

 

 

1)    P. LEROY – BEAULIEU. Trattato di scienza della finanza (in prima parte del decimo vol. della terza serie della «Biblioteca dell’economista»).

 

2)    WAGNER. Scienza delle finanze (in seconda parte del medesimo volume).

 

3)    E. SAX. Principi teoretici di economia di stato (in quindicesimo vol. della quinta serie della Biblioteca predetta).

 

4)    L. COSSA. Primi elementi di scienza delle finanze (prima ediz., 1876, e seconda ediz., a cura di A. GRAZIANI, 1919, Milano, Hoepli).

 

5)    G. RICCA – SALERNO. Scienza delle finanze. Manuali Barbera (prima ediz., 1888, e nuove ediz. a cura di R. DALLA VOLTA).

 

6)    F. FLORA. Manuale di scienza delle finanze (sesta ediz., 1921, Livorno, Giusti).

 

7)    AUGUSTO GRAZIANI. Istituzioni di scienza delle finanze (prima ediz., 1897, seconda ediz., Torino, Bocca, 1911).

 

8)    F. NITTI. Principi di scienza delle finanze (prima ediz., 1903, quinta ediz., 1922, Napoli, Pierro).

 

9)    V. TANGORRA. Trattato di scienza delle finanze (primo vol., solo pubblicato, Milano, Società Editrice Libraria).

 

 

Ai quali ora aggiungerei:

 

 

10)  MARCO FANNO. Elementi di scienza delle finanze (prima ed., 1929, Torino, Lattes).

 

11)  EDWIN R. A. SELIGMAN. Studi sulle finanze pubbliche (in nono vol. della «Nuova collana di economisti», Torino, U. T. E. T., 1934).

 

12)  JOSIAH STAMP. I principi fondamentali dell’imposizione in rapporto ai moderni sviluppi (nel nono volume della stessa Collana).

 

 

Il lettore il quale voglia conoscere meglio gli sviluppi che la teoria finanziaria ha avuto dal 1914 in poi in Italia ed all’estero può leggere la prefazione di GINO BORGATTA al medesimo nono volume della «Nuova collana di economisti». Tenuto conto dell’inevitabile hiatus, la prefazione può giovare a rendere meno grave la mancanza di una continuazione al solo libro da noi posseduto sulla storia delle dottrine finanziarie:

 

 

GIUSEPPE RICCA – SALERNO. Storia delle dottrine finanziarie in Italia col raffronto delle dottrine forestiere e delle istituzioni e condizioni di fatto, seconda ediz., Palermo, 1896.

 

 

6. – Io darò invece qui la lista di scritti che non intendono essere trattati compiuti, ma vogliono discutere problemi fondamentali e che per un verso o per l’altro mi sembrano meglio atti ad incoraggiare la tendenza alla critica delle dottrine accettate. Anche qui, per l’indole didattica del volume, mi restringerò, in quanto sia possibile, a ricordare scritti redatti o tradotti in lingua italiana:

 

 

1)    JOHN STUART MILL. Principi di economia politica, 1848, par. 4 del secondo cap. del quinto libro (in dodicesimo vol. della prima serie della Biblioteca dell’economista).

 

 

(La migliore edizione inglese dei Principles of Political Economy è quella curata da Sir W. I. ASHLEY, London, Longmans, con le varianti dalla prima alla settima edizione).

 

 

2)    FRANCESCO FERRARA. Lezioni di economia politica (Bologna, Zanichelli, 2 volumi, 1934 e 1935). (A pp. 551-765 del primo vol. si legge il Trattato speciale delle imposte tratto dalle lezioni tenute nell’anno 1849-850 a Torino e rimaste inedite e sconosciute sino al 1934).

 

3)    EMILIO BROGLIO. Dell’imposta sulla rendita, lettere al Conte Camillo di Cavour, 2 vol., 1856 e 1857 (nel quale si riassumono i risultati del Report from the Select Committee on Income and Property Tax del 1851 e 1852, contenente a pp. 284-295 e 198-324 la testimonianza di John Stuart Mill; ed a cui seguì il Report del 1861 (1861, n. 503), con altra testimonianza a pp. 212-232 dello stesso Mill).

 

4)    MATTEO PESCATORE. Logica delle imposte, Torino, 1867.

 

5)    ACHILLE LORIA. Intorno ad alcuni errori dominanti nella scienza economica. I prestiti pubblici (in «Studi senesi», 1884, e nel primo vol. di Verso la giustizia sociale).

 

6)    MAFFEO PANTALEONI. Contributo alla teoria del riparto delle spese pubbliche, 1883.

 

 

  • Teoria della pressione tributaria, 1887.

 

  • Imposta e debito in riguardo alla loro pressione, 1891.

 

  • L’identità della pressione teorica di qualunque imposta a parità di ammontare e la sua semiotica, 1910.

 

 

(Questi scritti di Pantaleoni si trovano ora raccolti in Studi di finanza e di statistica, Bologna, Zanichelli, 1938). – Teoria della traslazione dei tributi, 1888.

 

 

7)    ANTONIO DE VITI DE MARCO. Il carattere teorico dell’economia finanziaria, Roma, 1888.

 

  • Saggi di economia e di finanza, Roma, 1888.

 

  • Principi di economia finanziaria (prima ed. a stampa, 1923), Torino, Einaudi, 1939.

 

8)    KNUT WICKSELL. Saggi di finanza teorica, 1895 (nel nono vol. della «Nuova collana di economisti», Torino, U.T.E.T., 1934).

 

9)    J. COHEN STUART. Contributo della teoria della imposta progressiva sul reddito (nel quindicesimo vol. della quinta serie della «Biblioteca dell’economista»).

 

10)  EDWIN R. A. SELIGMAN. La traslazione e l’incidenza dell’imposta (in sedicesimo volume della quinta serie della «Biblioteca dell’economista»).

 

11)  F. Y. EDGEWORTH. La teoria pura dell’imposta (nel medesimo volume e serie).

 

12)  AMILCARE PUVIANI. Teoria della illusione finanziaria 1903, Remo Sandron, Palermo, sedicesimo, pp. 303.

 

13)  IRVING FISHER. La natura del capitale e del reddito, 1906 (in quarto vol. della quinta serie della «Biblioteca dell’economista»).

 

14)  PASQUALE JANNACCONE. Sulla elisione dell’imposta, Torino, 1943 (cfr. Questioni controverse nella teoria della traslazione delle imposte in regime di monopolio, in rivista «La Riforma Sociale», gennaio 1902).

 

  • L’imposta sul trasporto degli emigranti e la sua incidenza, Torino, 1907 (nel sedicesimo vol. della quinta serie della «Biblioteca dell’economista»).

 

15) ENRICO BARONE. Studi di economia finanziaria (in Giornale degli economisti, 1912) (parzialmente riprodotti e ridotti a forma di trattato in Principi di economia finanziaria, Bologna, Zanichelli, 1937).

 

16) UMBERTO RICCI. Reddito ed imposta, Roma, 1914 (dal Giornale degli economisti, 1913).

 

  • La taxation de l’epargne (in «Revue d’economie politique», 1927).

 

17) GINO BORGATTA. L’economia dinamica, Torino, 1915. Il quinto capitolo studia I problemi finanziari come gruppi d’ipotesi economico-dinamiche.

 

18) BENVENUTO GRIZIOTTI. Sulla imponibilità degli utili mandati a riserva, Catania, 1912.

 

  • La diversa pressione tributaria del prestito e dell’imposta (in Giornale degli economisti, 1917).

 

19) H. STANLEY JEVONS. The Art of Economic Development (in «Indian Journal of Economics», secondo vol., 1917 – 919, e terzo vol., 1920-922).

 

20) C. PIGOU. A study in Public Finance, London, Macmillan, 1920.

 

21) ATTILIO CABIATI. Per riempire alcune «empty boxes» finanziarie (in Giornale degli economisti, 1928).

 

  • Problemi di economia e di finanza (in «La Riforma Sociale», 1929).

 

22) MAURO FASIANI. Sulla teoria dell’esenzione del risparmio dall’imposta (in Memorie della Reale Accademia delle Scienze di Torino, seconda serie, tomo 66).

 

  • Elementi per una teoria della durata del processo traslativo dell’imposta in una società statica (in Giornale degli economisti, settembre 1929).

 

  • Contributo ad alcuni punti della teoria della traslazione delle imposte sui profitti e sui redditi (in «Studi sassaresi», nono e decimo volume).

 

  • Di un elementare problema di tempo e di alcune sue applicazioni finanziarie (in «Annali di statistica e di economia», quarto vol., 1936). Naturalmente, elencando i libri che paiono intellettualmente più stimolanti non ho voluto attribuire ad essi l’attributo di più perfetti o nuovi degli altri moltissimi non ricordati. Quanto al nuovo che cosa è veramente nuovo? Sono scettico sulla possibilità di affermare la novità di qualsiasi teoria. Si legga in proposito:

 

 

MAURO FASIANI. Schemi teorici ed «exponibilia» finanziari (in «La Riforma Sociale», luglio-agosto 1932).

 

  • Precedenti di alcune recenti teorie finanziarie (in Annali di statistica e di economia di Genova, terzo anno, quarto vol.), del quale autore auguro siano tradotti in italiano e compiuti i parecchi saggi su

 

  • Der gegenwärtige Stand der reinen Theorie der Finanzwissenschaft in Italien pubblicati in «Zeitschrift fur Nationalökonomie» di Vienna (terzo e quarto volume, 1932 – 933), attissimi a dare la storia della teoria finanziaria recente in Italia.

 

 

In quel gustoso saggio sui Precedenti, Fasiani rievoca formulazioni antiche di teorie recenti, come quella dell’ammortamento automatico del debito pubblico, dell’imposta produttivistica, del metodo nello studio della finanza, della influenza della spesa del provento dell’imposta sulla traslazione di questa; e la rievocazione è una lezione di modestia inflitta ai cercatori di novità scientifiche.

 

 

Direi che, invece di quello della novità, sia connotato dei libri e dei saggi ricordati sopra quello di essere stimolanti. Una verità, che intravista prima da altri era rimasta inerte, diventa stimolatrice se chi la riespone o la riscopre sa darle vita e metterne in mostra il contenuto e la fecondità. Perciò correttamente intitoleremo a De Viti e non a Chastellux ed a Messedaglia le teorie dell’ammortamento automatico del debito pubblico e della traslazione dell’imposta in funzione del dispendio del suo provento. Sono, se non nuovi, più moderni di altri i libri elencati? Anche qui la risposta è ardua. Che cosa è il “moderno” in fatto di teorie economiche e sociali? Forse uno dei pensieri più scintillanti di verità venuti fuori dalla penna di John Maynard Keynes è questo: nel campo economico – sociale l’opinione comune considera nuove e modernissime non le idee veramente nuove, ma quelle che ci furono lasciate in retaggio dalla generazione precedente di pensatori. Mentre politici e scrittori rimasticano, credendole nuove, le idee fruste della generazione precedente, i veramente «nuovi» pensatori più non se ne occupano e vanno avanti elaborando veri diversi da quelli reputati moderni dall’universale. Spesso essi, invertite le parti, sono scambiati per antiquati e retrogradi e saranno apprezzati o riapprezzati solo dalle generazioni venture. Oggi, sono reputati modernissimi in tutti i paesi del mondo, sotto nome di programmisti o pianisti, i perfezionatori – non di rado i deformatori – dei mercantilisti del diciassettesimo secolo; né l’opinione pubblica ordinaria si avvede che il lavorio scientifico si è spostato esclusivamente – non esistono eccezioni in materia – verso l’approfondimento degli indirizzi che per brevità si possono dire della teoria del prezzo o dell’equilibrio economico o della limitazione dei mezzi ed hanno come strumento l’analisi matematica o semplicemente logica, la elaborazione di dati empirico-statistici, elaborazione compiuta, si intende, col partito preso di illuminare, attraverso ad essa, ipotesi teoriche delle quali si desidera saggiare la verità o verificare la frequenza ed i limiti di applicazione, la ricerca storica illuminata anch’essa dalla preliminare conoscenza dei problemi che importa conoscere nel passato. Che cosa verrà fuori dal lavorio scientifico contemporaneo, il quale è condotto in tutti i paesi del mondo con ugual metodo e con ugual varietà di strumenti d’indagine – matematici, logici, statistici, storici – da uomini pronti tutti a collaborare insieme, intenti con uguale serietà esclusivamente alla conoscenza del vero – non si può prevedere. La conclusione sarà di conforto alle correnti oggi reputate moderne? Nulla di più incerto. Anche quando – cito ad esempio il nome famoso tra tutti di Keynes – essi appaiono indulgere al pianismo ed al programmismo, gratta gratta si vede che l’indulgenza deriva dall’incredibile illusione che l’economia programmatica o regolata possa coesistere con gli istituti più cari agli uomini viventi nel mondo anglo-sassone: libertà di discussione, di religione, l’habeas corpus, l’inviolabilità della home, ecc., ecc.

 

 

Appena si accorgono che tra il tipo di economia qualificato moderno ed il loro ideale di vita esiste incompatibilità assoluta, essi inferociscono e si accorgono che un teorico del prezzo non parte da premesse comuni al costruttore di programmi economici. Verrà fuori l’uomo di genio capace di offrirci la nuova sintesi teorica? Per ora non è in vista.

 

 

Non essendo chiamato a risolvere il problema di quel che sia nuovo o moderno, mi sono limitato sopra a segnalare quegli scritti che, nuovi o frusti che fossero, stimolarono me a ritornare su me stesso ed a riflettere su proposizioni dianzi accolte perché generalmente accettate. Non occorre che lo stimolo sia per consenso, essendo non di rado più fecondo lo stimolo a dissentire. Particolarmente stimolanti in tal senso mi paiono i seguenti scritti, che ricordo a titolo d’onore:

 

 

BENVENUTO GRIZIOTTI. Principi di politica, diritto e scienza delle finanze, Padova, C.E.D.A.M., 1929.

 

  • Vecchi e nuovi indirizzi nella scienza delle finanze, Padova, C.E.D.A.M., 1935.

 

  • Rivista di diritto finanziario e scienza delle finanze, Padova, C.E.D.A.M., passim dal primo quaderno del 1937 in poi. Poiché, a cominciare dall’inversione del titolo della nostra disciplina («Rivista di diritto finanziario e scienza delle finanze» invece che «di scienza delle finanze e diritto finanziario») dissento furiosamente da molte fra le vedute proprie degli scritti metodologici e teorici del Griziotti, uso raccomandarne particolarmente la lettura ai miei studenti.

 

 

7. – Sottintendendo, naturalmente, la raccomandazione principe, senza la quale tutte le altre non contano nulla: quella di studiare, prima della scienza finanziaria, la economica. Dedicarsi, per ragion di specializzazione, alla scienza delle finanze è puro perditempo se prima non si è cercato di penetrare dentro a quel che di essenziale vi è nella scienza economica, che è la sua logica. Dovendo dar consigli dirò: 1) astenersi dal leggere molto; 2) dal leggere articoli di riviste; 3) dal leggere libri modernissimi; 4) prima di avere non letto ma meditato una mezza dozzina di libri fondamentali: suppongasi, ma si tratta di indicazioni le quali sono suscettibili di variazioni infinite, purché i libri scelti siano della medesima altissima qualità: le Prefazioni di Ferrara, i Principi di Marshall, i Principi di Pantaleoni, il Corso di Pareto, il Common Sense di Wicksteed e per finire la mezza dozzina un’opera di riferimento da non leggere, ma da consultare, ad es., il Dizionario di Palgrave. La lista, limitata a mezza dozzina, presenta lacune spaventevoli, come i Principi di Ricardo, gli Elementi di Walras, il Manuale di Pareto e cento altre non meno gravi ed ovvie. Ma, non volendo dare una bibliografia e volendo limitarmi a mezza dozzina, sono capitato su libri, dei quali non si può negare l’attitudine ad insegnare a ragionare; requisito essenziale, se chi legge parte dalla premessa che, nello studiare, l’imbottirsi di nozioni è il manico della scopa, e l’imparare a ragionare sulle nozioni lette è la scopa, che sarà poi utile a spazzar via il novantanove per cento di quel che si legge e si ascolta ed è inutile ritenere.

 

 

8. – Fatta la quale premessa preliminare, indico da ultimo un gruppo di scritture solitamente trascurate e che a me paiono utilissime a chi intende dedicarsi a studi finanziari; e sono i rapporti e le memorie. S’intende non rapporti ufficiali qualunque, di solito roba scialba ed utilizzabile solo come materiale grezzo più o meno pronto all’elaborazione, ma quei grandi rapporti che fecero epoca nella storia della pubblica finanza e stimolarono avanzamenti dottrinali e legislativi. Dissi nella prefazione all’edizione terza (1916) del corso (riprodotta sopra al n. 5 del par. 1) che consideravo essenziale alla costruzione della teoria finanziaria «lo studio degli sforzi fatti dai legislatori dei diversi tempi e paesi per passare da tipi meno perequati a tipi più perequati di imposte»; né ho mutato opinione. Se in un rapporto ufficiale si leggono esposte con precisione le ragioni per le quali il legislatore di un paese si è deciso a mutare la base, la fonte, i metodi di accertamento di una qualsiasi imposta; e se le argomentazioni addotte e le circostanze dell’addurle persuadono che quelle sono le ragioni vere del mutamento, concludiamo pure che quel rapporto vale più di cento trattati e saggi accademici. Purtroppo le argomentazioni addotte dal legislatore rarissimamente sono quelle medesime che in verità lo stimolarono alla riforma; ma tanto più preziosi sono perciò i memorandi documenti rispetto ai quali per eccezione noi possiamo dal contesto essere persuasi che il legislatore pensava sul serio quel che scriveva. Affini ai rapporti sono i contro-rapporti e cioè gli scritti di finanzieri o di amministratori pubblici volti a criticare gli ordinamenti vigenti ed a proporne la mutazione. Il contro-rapporto ha scarso valore proprio se ha indole meramente accademica, se cioè è nato meramente dal bisogno sentito dai teorici di criticare gli ordinamenti vigenti al lume dei propri opinamenti dottrinali. Questi sono meri prolungamenti degli opinamenti medesimi e giovano, se mai, a corroborarli con la dimostrazione della loro applicabilità concreta. Il contro-rapporto vero è quello scritto da chi per ragioni di ufficio o per essere contribuente o difensore di ceti conculcati da imposte malvagie si è trovato alle prese con istituti a parer suo fecondi di danni e volle dimostrare questi danni e proporre i mezzi di eliminarli. Preziosissime fra tutte sono le memorie nelle quali ministri delle finanze o capi di amministrazioni finanziarie raccontarono le loro esperienze, dissero le difficoltà superate ed i risultati ottenuti. Senza alcuna pretesa di completezza ricordo, a mero titolo di esempio, alcuni documenti che a me sembrarono degnissimi di lettura e di meditazione. Li lessi e procurai di meditarli sovrattutto allo scopo di riscattarmi, fin dove era possibile, dal vizio, così diffuso tra gli uomini di studio, di attribuire rilevanza ai problemi celebrati dal pubblico clamore o dallo strepito dei facitori di lunghe o brevi scritture d’occasione. Quando tutti si occupano di un dato problema e guardano d’alto in basso, come fossero trasognati, coloro che ne tacciono, stiamo pur certi che altri pensieri, ben diversi, assillano i vociferatori ed i silenti. Quali siano codesti affanni genuini, possiamo talvolta sapere dai rapporti, dai contro – rapporti e dalle memorie nelle quali uomini vissuti in mezzo ad affari di momento raccontano quel che fecero od avrebbero voluto fare.

 

 

RAPPORTI:

 

 

1)    POMPEO NERI. Relazione dello stato in cui si trova l’opera del censimento universale del ducato di Milano nel mese di maggio dell’anno 1750, Milano, 1750, per Giuseppe Richino Malatesta, quarto, 31-380, 4 n. n.

 

 

Non esiste al mondo documento che stia a confronto di questo che a torto gli storici non elencano tra i capolavori della letteratura italiana. Leggere in connessione i Saggi di economia rurale di CARLO CATTANEO, Torino, Einaudi, 1939, passim, e principalmente a pp. 34, 85-114 e 133-204.

 

 

2)    Modificazioni alla imposta sulla ricchezza mobile. Progetto di legge presentato dal Presidente del Consiglio, ministro delle finanze (Depretis) nella tornata del 10 marzo 1877. Atti parlamentari, tredicesima legislatura, documenti, n. 75. All. Primo fasc. – Dati statistici, doc. n. 75 bis; Secondo fasc. – Atti, doc. n. 75 ter.

 

3)    ANGELO MESSEDAGLIA. Relazione della Commissione composta dei deputati [si omette il nome dei componenti la Commissione, nessuno di essi avendo a che fare col testo della relazione] sul progetto di legge presentato dal ministro delle finanze interim del tesoro (Magliani) il 21 dicembre 1882: Riordinamento dell’imposta fondiaria. Stampato n. 54 – A degli Atti della Camera dei deputati, quindicesima legislatura , Documenti. La relazione Messedaglia fu ristampata col nome dell’autore e col titolo Il catasto e la perequazione. Relazione parlamentare, nuova edizione a cura di LUIGI MESSEDAGLIA, Bologna, Cappelli, 1936. Un volume in ottavo grande di pp. 19-462.

 

4)    ACHILLE PLEBANO. Storia della finanza italiana dalla costituzione del regno alla fine del diciannovesimo secolo, 3 voll., Torino, 1899 – 1900. Accanto a certi indigesti preziosi volumi di FRANCESCO MANCARDI, Cenni storici sull’amministrazione del debito pubblico del regno d’Italia e sulle amministrazioni annesse (Roma, 1874-875) ed ai due notabili volumi di GIULIO ALESSIO, Saggio sul sistema tributario in Italia e sui suoi effetti economici e sociali (Torino, 1883), la cronistoria del Plebano è assai utile per un primo orientamento sulla storia della finanza italiana. Non ebbe introduzione opportuna per il periodo preparatorio 1848-860 e non fu continuata dopo il 1900. Chi scrive raccontò le vicende delle imposte italiane dal 1914 al 1922 in La guerra ed il sistema tributario italiano, Bari, Laterza, 1927.

 

 

5)    F. A. REPACI. La finanza italiana nel ventennio 1913-1932, Torino, Einaudi, 1934.

 

  • La finanza dei comuni, delle province e degli enti corporativi, Torino, Einaudi, 1936.

 

 

Aveva cominciato Ernesto Rossi ad elaborare sistematicamente i dati contenuti nella immane congerie dei preventivi e consuntivi italiani in tre saggi su Le entrate e le spese effettive, La gestione della tesoreria ed I debiti pubblici dall’1 luglio 1922 al 30 giugno 1928 inseriti nella rivista «La Riforma Sociale», del 1929 e 1930; ma non poté continuare nell’impresa. Il Repaci la riprese su altro piano, dandoci un quadro, criticamente elaborato, dalla gestione del bilancio (entrate e spese effettive), del patrimonio e della tesoreria nel periodo 1913-932. Nel secondo volume la meritoria fatica è proseguita per gli enti minori. I volumi del Repaci, che egli va continuando in saggi su riviste, è di consultazione indispensabile per chi voglia conoscere le vicende del bilancio italiano dal 1913 in poi.

 

 

6)    Memoranda chiefly relating to the Classification and Incidence of Imperial and Local Taxes, London, 1899, C. – 9.528. È un documento in cui si contengono risposte provenienti da un vero parterre de rois: Sir Edward Hamilton, Lord Farrer, Leonard Courtney, Sir Robert Giffen, ed i professori Sidgwick, Marshall, Edgeworth, Bastable, Gonner, Cannan, Price, ecc.

 

 

7)    Sir STAFFORD H. NORTHCOTE (poi Lord IDDESLEIGH). Twenty Years of Financial Policy, 1842-1861, London, 1862.

 

 

8)    Sir SIDNEY BUXTON. Finance and Politics, an historical Study, 1783-1885, 2 voll., London, 1888.

 

 

9)    Sir BERNARD MALLET. British Budgets, 1887-1913, London, 1913.

 

  • and C. OSWALD GEORGE, id., Second Series, 1913-1914 to 1920-921, London, 1929.

 

  • id., Third Series, 1921-922 to 1932-933, London, 1933.

 

 

Si sono elencate le cronistorie del Northcote e del Mallet perché scritte da uomini i quali ebbero mano, come cancelliere dello Scacchiere il primo e commissario alle imposte il secondo, nelle pubbliche faccende di cui poi scrissero.

 

 

10) Report of the Committee on National Debt and Taxation, London, 1927, cmd. 2.800; Appendix, and Minutes of evidence. È il cosiddetto rapporto Colwyn, dal nome del presidente. Ne facevano parte, fra gli altri, Arthur Balfour, Lord (allora Sir Josiah) Stamp, che sottoscrissero il rapporto di maggioranza, Fred Hall, Barbara Wootton, H. B. Lees – Smith che sottoscrissero, l’Hall con riserva, quello di minoranza. Tra le appendici è noto il memorandum di W. H. Coate su The Incidence of the Income Tax. Fra le testimonianze, notabili quelle di Edwin Cannan, di J. A. Hobson, di J. M. Keynes, di A. C. Pigou, di W. R. Scott, alle quali devono confrontarsi quelle non meno notabili dei pratici, dei quali qui non si ricorda il nome, meno noto nella confraternita nostra. Prima di questo si dovrebbero leggere, con le testimonianze, i due rapporti citati sopra al n. 3 del par. 6 a proposito di J. S. Mill.

 

 

CONTRO-RAPPORTI:

 

 

1)    FRANCESCO GUICCIARDINI. Dialoghi e discorsi del reggimento di Firenze Terzo e quarto discorso su la decima scalata, Bari, Laterza, 1932. Il grande storico riassunse in sintesi magnifica i dibattiti che ebbero luogo nei consigli fiorentini intorno all’imposta progressiva.

 

2)    Le secret des finances de France descourt et departi en trois livres par N. FROUMENTEAU et maintenant publié, pour ouvrir les moyens légitimes et nécessaires de payer les dettes du Roy, descharger ses sujets des subsides imposés depuis trente un ans, et recouvrer tous les deniers pris à sa Majesté, 1581.

 

3)    BOISGUILLEBERT (PIERRE LE PESANT DE). Le détail de la France ou La France ruinée sous le règne de Luois quatorzieme, par qui et comment, Cologne, 1696.

 

4)    VAUBAN (SÉBASTIEN LE PRESTRE, maréchal de France). Projet d’une Dixme royale, 1707, ed ora a cura di E. COORNAERT, Paris, Alcan, 1933.

 

5)    Bowles v. The Bank of England, The proceedings in Court (from the shorthand writer’s notes) and official Court documents, with an introduction by T. GIBSON BOWLES, London, 1914.

 

 

Verbali stenografici del processo intentato nel 1912 dal contribuente Thomas Gibson Bowles per ottenere il rimborso di L.st. 52.14s.1d. pagate a titolo di imposta sul reddito. Naturalmente il contribuente dovette, pur avendo, con grave dispendio, ottenuto il rimborso, versare a suo tempo la identica somma d’imposta, ma vinse il punto che il governo non potesse, se non dopo il consenso del parlamento, riscuotere l’imposta.

 

 

6)    Relazione della Commissione parlamentare consultiva per l’applicazione della legge 24 settembre 1920, n. 1.298, sull’avocazione dei profitti di guerra allo stato (senatori EMILIO BENSA, RICCARDO BIANCHI e LUIGI EINAUDI, relatore; deputati GIOVANNI CAMERA, VINCENZO GIUFFRIDA e SALVATORE RENDA), Roma, Tip. della Camera dei deputati, 1921, in quarto, p. 136.

 

 

Si ricorda questa relazione tra i contro-rapporti per l’indole sua critica di un provvedimento a sfondo demagogico, e la si ricorda non perché lo scrivente ne sia stato l’estensore, ma perché in essa sono registrate le reazioni che interrogatori e memorie varie dimostrarono essersi verificate tra contribuenti grossi e piccoli a proposito della cosiddetta avocazione allo stato dei profitti di guerra. La sostanza della relazione si legge riassunta nel quarto cap. del sovracitato La guerra e il sistema tributario italiano.

 

 

7)    FEDERICO RICCI. Discorsi in Senato. Estratti dagli Atti del Senato del Regno, Roma, 1925-939.

 

 

I discorsi del senatore Ricci sono assai vantaggiosi, insieme con i nn. 4 a 6 dei rapporti, a seguire le vicende della finanza italiana dal 1925 in poi.

 

 

MEMORIE:

 

 

1)    SULLY, MAXIMILIEN DE BÉTHUNE (baron de Rony, duc de). Mémoires des sages et royales economies d’estat, domestiques, politiques et militaires de Henry le Grand et des servitudes utiles, obéissances convenables, et administrations loyales de Maximilien de Béthune …..Ier et IIer tomes, Amsterdam, 1638, III et IV, à Paris, 1662.

 

 

Invece dei quattro volumi in – folio, scritti curiosamente come ricordi dei segretari a Sua Grandezza il Duca, si può leggere con vantaggio, non il rimaneggiamento assai divulgato nel diciottesimo secolo e corrente nei cataloghi di antiquariato, dell’abate de l’Ecluse, bensì la succinta antologia di brani raccolti da J. Challey per la «Petite Bibliothèque economique» di Guillaumin – Alcan col titolo SULLY, Economies royales. I brevi capitoletti «touchant la descharge que vous jugiez de devoir faire à mon peuple» – «la revocation (d’une imposition), fondee sur la seule prompte obeyssance que les peuples avoient tesmoigné de vouloir rendre à tout ses commandemens» – su una certa imposta che «bien establie par tout le royaume, vaudroit pres de trois cens mille escus tous les ans; mais qu’aussi altereroit – elle grandement le commerce, et causeroit en fin la ruine des provinces de…» – «su la recherche de tous les divertissements [storni] faits dans les estats et comptes rendus» a pro di privati… ben sapendo che gli interessati non lascieranno «en arrière aucune ruse ny advis à vous donner pour vous faire mal recevoir dans les grandes villes, y susciter des emotions populaires, et faire trouver tous les officiers bandéz contre vous et formellement opposez à tout ce que vous voudriez entreprendre» – sulle lotte sostenute per rimettere «en valeur ce qu’avoir esté comme dissipé durant nos miseres» – sulla sorveglianza dei contabili e sulla separazione degli ufficiali ordinatori da quelli pagatori delle spese pubbliche – sulla verificazione dei «non valeurs que les comptables disent estre et se trouver par chacun an en la recepte des leurs charges, car ordinairement ils s’en servent pour s’excuser d’acquitter les despences qui leur sont commandées» – sulla persuasione del re «que des capitaines mal payez, des soldats negligez, levez à coups de baston, et retenus au camp et en devoir par la crainte des prevots, des prisons et des potences, portassent jamais grande amitié à ceux qui les employeroient, ny combatissent de coeur et du courage, comme il appartient, et supportassent gayement les peines, perils et fatigues de la guerre» – sul dialogo fra il gran re e il gran tesoriere: «Mais encore, dit le Roy, combien ay – je bien d’argent? car je ne l’ay jamais ben sceu – Or, devinez, Sire, lui dites – vous, que pensez vous bien avoir? – Ay – je bien douze millions comptant? vous dit – il. – Un peu davantage, lui respondistes – vous. – Combien, quatorze?». Et ainsi, de deux millions en deux millions, il alloit en augmentant à mesure que vous disiez un peu davantage; et comme vous vinstes à trente, il vous alla embrasser, disant: «Oh! je ne vous en demande plus». – Or, Sire, respondistes – vous, j’ay dressé un estat pour vous faire voir un nouveau fonds asseuré de quarante millions d’extraordinarie en trois ans, pourveu que mon ménage ne soit point traversé, non compris le courant, pour les depences ordinaires de votre maison, et du royaume, à quoy je ne touche point» – questi brevi capitoletti dell’antologia challeyana mostrano come sia possibile, coll’uso delle virtù modeste dell’economia, dell’onestà, del buon uso del denaro pubblico, della resistenza alla bontà del re verso familiari, condonare imposte, e far ricco e potente il sovrano.

 

 

2)    Comte MOLLIEN. Mémoires d’un ministre du trésor public, Paris, 1845, ottavo, premier tome, pp. 4 s. n., 480; deuxieme, pp. 411; troisieme, pp. 516; quatrieme, pp. 514

 

3)    DUC de GAËTE. Mémoires, Souvenirs, opinions et écrits. Réimpression, Paris, Librairie A. Colin, 1926, ottavo, primo tomo, pp. ottava-terza-336; secondo, pp. quarta – 599; terzo, pp. quarta-383.

 

 

Sono le memorie, vive ed ammonitrici come quelle del Sully, dei due ministri di Napoleone primo. Che ne ebbe sempre due, l’uno, il Gaudin, duca di Gaeta, preposto alle finanze e l’altro, il Mollien, al tesoro. Ambi fedeli nel consigliare, epperciò anche nello sconsigliare e da lui tenuti a capo dei rispettivi ministeri, il Gaudin dal 10 novembre 1799 all’1 aprile 1814 e di nuovo durante i Cento Giorni, il secondo dal 1806 alla caduta dell’impero. Il Mollien era succeduto al Barbé-Marbois, onesto uomo, il quale si era fatto imbrogliare dall’Ouvrard nell’affare dei valori spagnuoli. Presentandosi a Napoleone, il Barbé-Marbois esclamava: «Sire, prenez ma tête»; al che l’imperatore: «Eh que diable voulez-vous que j’en fasse?» Infatti non gliela tolse, assegnandolo invece ad un’alta carica decorativa.

 

 

4)    D’AUDIFFRET (le marquis). Système financier de la France, troisieme éd., Paris, 1863. 6 volumi, ai quali fece seguito l’Introduction, Souvenirs de ma carrière, Paris, 1876.

 

 

Sebbene i sei volumi non abbiano titolo di ricordi riservato all’appendice, pubblicata ultima come fosse un’introduzione agli altri, essi sono in verità la raccolta dei rapporti, memorandum, opuscoli d’occasione scritti da questo insigne tra i tanti funzionari di prim’ordine che la Francia può vantare nel campo delle finanze.

 

 

9. – L’elenco dei dubbi e quesiti che segue non vuole emulare i due saggi italiani che io conosco in materia:

 

 

MAFFEO PANTALEONI e conte ROMOLO BROGLIO D’AJANO. Temi, tesi, problemi e quesiti di economia politica teorica ed applicata, Bari, Laterza, 1923. Un vol. in sedicesimo, di pp. 23-351.

 

 

RICCARDO BACHI. Quesiti di scienza economica, Torino, G. Einaudi, 1937. Un vol. in ottavo, di pp. 78 (estratto dal primo vol. dei Principi di scienza economica).

 

 

Il volume del Pantaleoni enumera 1.018 quesiti, ognuno dei quali abbraccia parecchie interrogazioni. Egli dice le ragioni dalle quali fu indotto a compilarlo, in collaborazione col Broglio d’Ajano:

 

 

«Nella mia carriera d’insegnante, mi sono trovato, come ogni altro mio collega, sottoposto alla orribile tortura di esami da far fare agli altri. Ogni insegnante sa che egli esce abbrutito dalla “sessione degli esami” in cui ha dovuto fare per ore e ore di seguito e per settimane di seguito, delle domande e ascoltare risposte delle quali la grande maggioranza gli procurano un dolore altrettanto vivo e penetrante quanto ad un musicista l’udizione di una stonatura. La tortura è indicibile. È l’esame la visione di una bruttura, di una cosa orrenda. È la tortura cinese del disgraziato sottoposto alla caduta di una goccia d’acqua, sul medesimo punto del cranio, sia pure da piccola altezza, per ore e ore di seguito. Gli esami pongono gli esaminatori in uno stato di esasperazione non giovevole al loro obbligo morale di equanimità, e la consapevolezza di questo stato in cui si sentono ridotti aggrava la loro agitazione. Personalmente prendo moralmente la fuga, invitando un collega di assumere il compito di fare domande e di suggerire il «punto», appena sento che diventerei ingiusto, se continuassi io stesso a esaminare. Ed è vero anche questo, che è cosa difficilissima fare un’interrogazione. Essa deve essere tale da essere capita dallo esaminando in quel modo preciso come la intende l’esaminatore. Ora, l’esaminando fa della schermaglia. Ti risponde con una mutatio elenchi. Se lo segui sul tema che è implicito nella risposta datati, hai perso la battaglia, perché non hai avuto la risposta alla tua domanda. È egli che se la è fatta e che vi ha risposto. Lo segui spesso nel tema suo con un’altra domanda, e di nuovo egli te la muta implicitamente con la risposta. E ti trovi di fronte al problema originario: seguirlo da capo, o metterlo in “carreggiata”? Ma, se occorre metterlo in carreggiata, è ovvio che la domanda così come era stata posta, non era stata talmente aguzzata e così precisa da non acconsentire l’ombra di un pretesto per sfuggirle parzialmente, o totalmente, sia fermandosi soltanto su di una parte del suo contenuto, sia addirittura equivocando! Ora, lo sforzo di fare domande perfettamente precise non è sostenibile per molte ore, sovrattutto dopo lunga irritazione provocata da colmi di sciocchezze udite in lunga successione. Tutto ciò è perfettamente noto agli studenti di cui perciò quelli più scadenti si riservano di venire agli esami verso la fine della serie degli esaminandi.

 

 

È talmente facile “imbrogliare” l’esaminatore in esami orali che, verso la fine della mia carriera di studente, per aiutare quei compagni per i quali specialmente un certo esame era allora terrificante, in unione a colui che ora è uno dei più illustri professori dell’Università di Genova e un avvocato principe di quel foro, il prof. Piero Cogliolo, preparammo uno scrittarello che venne chiamato “la polpetta” e che era tale che, qualunque fosse stata la domanda fatta dal professore, “la polpetta” serviva a rispondervi, cioè, a svisarla, portarla su altro terreno, e su questo altro terreno épater le bourgeois con cose che dovevano sembrargli delle genialità in bocca ad uno studente e quindi a procurargli indulgenza. Passando 15 anni più tardi casualmente per l’atrio dell’Università in epoca di esami, trovai che circolava tra gli studenti ancora “la polpetta” di ignota origine, utile stampella per gli zoppi. Naturalmente, ad un bestione nemmeno essa avrebbe potuto servire; ma salvava chi non avesse studiato, o non avesse capito, ma fosse svelto. Bisognava impararla a memoria, e, poi, essere svelti e sfacciati. Certo, contro esaminatore non stanco, non irritato dal disgusto, e che formulasse in modo secco e preciso le sue domande, e tornasse fermo e implacabile al suo punto, non avrebbe servito; ma, anche allora, avrebbe giovato a mostrare che “qualche cosa d’altro” pur si fingeva di sapere.

 

 

Le domande dell’esaminatore stanco e demoralizzato, sono troppo generiche: “mi dica qualche cosa sulla rendita ricardiana”; “mi dica qualche cosa del corso forzoso”; “mi parli delle banche di credito mobiliare”. “Qualche cosa?” Hai voglia! “Mi parli di questo o quello”. Ti servo subito! E la sentenza degli uomini buoni e esauriti e scoraggiati è poi questa: “dopo tutto, qualche cosa ha detto; diamogli il minimum, 18-30, e presto avanti!”. Chi negherà che così vadano le cose? Ma è ciò serio e utile?» (pp. nona-dodicesima).

 

 

Oltrecchè alla preparazione agli esami il volume di P. intendeva offrire spunti a laureandi in cerca di argomenti di dissertazione: «Gli studenti chiedono spesso delle tesi per la laurea. Non ho mai capito come potessero risentire questo imbarazzo. Ma, è un fatto che per loro esiste. La richiesta di una tesi per la laurea mi irrita sempre. È come se un individuo fosse talmente indifferente nella scelta di una moglie da dire ad un amico: indicami una donna qualunque tra quelle che passano! La tesi di laurea va fatta in materia prediletta; in materia che suscita curiosità scientifica; in materia di cui lo studio vuole essere continuato anche dopo la laurea; in materia con la quale si ha già maggiore dimestichezza che con altre. E allora come può chiedersi l’indicazione di una tesi? Ebbene, anche da questo fastidio, dispenserà, credo, questo libriccino» (p. quattordicesima).

 

 

Il Pantaleoni ricercò temi e quesiti nelle raccolte di riviste scientifiche e nei verbali di società economiche, li modificò per adattarli al linguaggio scientifico presente, munì il volume di un’appendice nella quale sono riprodotti gli indici del Trattato di G. B. Say, degli Elementi di Luigi Cossa, del Manuale di Vilfredo Pareto, e di Principi di Irving Fisher, con l’indicazione del numero proprio dei quesiti del suo libro che in ogni capitolo delle quattro opere possono trovare illustrazione. I quesiti di Bachi sono anch’essi molti: 1.064, ognuno dei quali provvisto spesso di parecchie interrogazioni. Essi si riferiscono sovrattutto agli ottimi Principi di scienza economica pubblicati dal medesimo autore; ma non mancano riferimenti a scritti di altri autori, dai quali si può trarre lume a risolvere i quesiti proposti.

 

 

10. – I dubbi e quesiti che seguono non hanno contenuto così ampio come quelli delle ora ricordate sillogi. Nel volume di Pantaleoni si legge invero l’elenco di tutti quelli tra i problemi discussi e posti dagli economisti nei cento anni che precedettero la sua pubblicazione, i quali conservassero agli occhi dei raccoglitori e formulatori dei quesiti rilevanza teorica o pratica. In quello di Bachi sono enunciate quasi tutte le domande che la meditazione di un trattato moderno di economia può far germogliare nella testa di un lettore attento.

 

 

Qui si perseguono due intenti più ristretti.

 

 

Il primo è attinente alla logica del discorso «finanziario» in particolare ed in generale economico. È inesprimibile il fastidio risentito dagli esaminatori a cagione non del contenuto delle risposte ma della veste illogica nella quale quel contenuto si avvolge. Candidamente lo studente obietta: «Io l’ho detto!»; e non avverte che cento volte meglio sarebbe stato non aprir bocca. I dubbi e quesiti vogliono pertanto dire: non ha nessuna importanza conoscere i principi della scienza finanziaria, se non ci si è posto il quesito del loro perché, delle ragioni per cui essi sono formulati in un certo modo, dei limiti della loro validità, del valore formale delle classificazioni e delle definizioni dei fatti e degli istituti studiati. Le scienze economiche sono una branca della logica; e servono a qualcosa soltanto se giovano a far ragionare. Chi, senza ragionare colla sua testa, pretenda di applicare i principi letti nei libri, certissimamente e giustamente si procaccia taccia di dottrinario privo di senso comune. I quesiti vorrebbero persuadere i lettori della nessuna importanza dell’imparare le nozioni esposte nel testo del libro e della grande e direi esclusiva necessità di imparare a ragionare intorno ad esse.

 

 

Il secondo intento che i «dubbi e quesiti» si propongono attiene alla dichiarazione fatta sopra che il presente volume di principi vuole essere un riassunto sistematico del pensiero informatore della moderna legislazione finanziaria in generale e di quella italiana in particolare. Ma quel pensiero può essere ed è oggetto di critica; e la critica forse è atta a condurre col tempo ad ulteriori elaborazioni legislative. Parecchi tra i quesiti che seguono si riferiscono a codesto lavorio di critica, che è il compito proprio degli studiosi. Che cosa starebbero a fare a questo mondo costoro se non esercitassero la mente a rivedere e saggiare di continuo al lume del ragionamento e dell’osservazione i principi sinora ricevuti ed accettati? È ovvio che a risolvere dubbi e quesiti di questo tipo non giovano né i presenti principi né i trattati in genere; i quali debbono mettere i lettori sul terreno saldo della dottrina dominante, astenendosi dal lanciarli nel mare in tempesta delle polemiche. Nel par. 6 della presente «Nota» i lettori trovano qualche indicazione bibliografica preliminare atta a permettere loro di compiere qualche perlustrazione in quel mare agitato. Chi scrive nel libro indicato nel n. 9 del par. 4 ha cercato di menare qualche colpo maleducato di sciabola su taluno dei più noiosi scatoloni vuoti finanziari.

 

 

La classificazione dei «dubbi e quesiti» in a) pedagogici, b) metodologici, c) teorici, d) sul debito pubblico, e) su problemi particolari ha valore di mero orientamento. Le interferenze tra i diversi gruppi sono molte ed inevitabili.

 

 

Dubbi e quesiti

 

 

a)    Pedagogici.

 

 

Impiego nel testo del libro di due caratteri di stampa. – Quale o quali delle seguenti spiegazioni dell’impiego saltuario nel testo di caratteri di stampa più piccoli di quello normalmente usato devono escludersi?

 

 

1)    Si tratta di concetti di secondaria importanza, la cui lettura può essere saltata di piè pari;

 

2)    Si tratta di esempi, sul cui valore vedi sub voce;

 

3)    Si tratta di argomentazioni, su cui importa soffermarsi solo dopo aver fatto proprie quelle esposte nella stampa in caratteri normali;

 

4)    Si tratta di trattazioni d’indole non propriamente tributaria o finanziaria, sibbene utili, per il loro contenuto economico, alla migliore intelligenza del problema. Esempio. – Perché è di cattivo gusto rispondere alla domanda relativa ad un concetto o ad una definizione o ad una dimostrazione con un esempio?

 

 

Vedi Esemplificazione.

 

 

Esemplificazione. – Perché la ripetizione, fatta ad un esame, dei medesimi esempi usati nel testo, è indizio che lo studente non ha compiuto la fatica di intendere bene il concetto o la dimostrazione che l’esempio voleva illustrare?

 

 

Una prova eccellente di attitudine mnemonica coincide con la prova di intelligenza del concetto?

 

 

L’esempio equivale a definizione, a norma, od a dimostrazione? Che differenza v’ha fra l’esempio copiato o ripetuto e l’esempio cercato ex novo o rinnovato?

 

 

Utente, contribuente, risparmiatore, capitalista. – Non sono parole intercambiabili. La parola utente è, in genere, propria della materia trattata nel libro primo, quella contribuente di quella del libro secondo, laddove risparmiatore (o capitalista) è personaggio del libro terzo. Perché dunque non dovrebbe dare ai nervi sentire queste parole tanto spesso usate a sproposito?

 

 

Esercitazioni. – Si possono in materia finanziaria compiere esercizi in due maniere:

 

 

I.        ponendo ad arbitrio, sia pure senza allontanarsi troppo dalle norme legislative vigenti o dalla esperienza corrente, i dati del problema: aliquote delle imposte, base imponibile, soggetto dell’imposta, saggi di interesse ecc. ecc. e ragionando su di essi. È il metodo più agevole ed è bastevole alla dimostrazione dell’intelligenza del problema;

 

II.        accertando prima i dati che effettivamente in un dato paese, in un dato momento, per un determinato istituto tributario o finanziario devono essere posti a fondamento della discussione. I dati del problema non sono qui scelti ad arbitrio. Si impone un preliminare studio della legislazione vigente, delle circostanze di fatto esistenti. L’esercizio, che col primo metodo è meramente scolastico, diventa indagine scientifica. All’utile esercizio logico che ne è il coronamento precede lo studio critico di dati di fatto che occorre interpretare e chiarire rigorosamente innanzi di ragionarvi sopra.

 

 

b)    Metodologici.

 

 

Scienza delle finanze e diritto finanziario o viceversa. – Quale è il

criterio di distinzione fra le due discipline? Perché il giurista non può

costruire se non sulla base delle norme legislative vigenti in un dato

momento in un dato paese? Il suo ufficio è di mera interpretazione e

sistemazione delle norme vigenti? Entro che limiti e partendo da quali

premesse egli può criticare queste norme?

 

 

Quali sono invece le premesse della scienza delle finanze? È logicamente necessario che i trattatisti della scienza delle finanze partano dalle medesime premesse? Costrurre un sistema di dottrine partendo dalla premessa dei criteri di giustizia tributaria, di ripartizione delle imposte, di scelta nelle spese pubbliche generalmente adottati o tendenti ad essere adottati nel clima politico e sociale di un dato momento storico, ad esempio il presente momento storico, esclude logicamente la costruzione di un sistema di dottrine il quale parta da premesse diverse da quelle generalmente accolte o di un altro sistema ancora il quale intenda a scoprire le leggi storiche del prevalere successivo di premesse e quindi di ordinamenti finanziari e tributari differenti?

 

 

Quali pericoli si corrono quando non si pongon chiaramente le premesse della indagine e si voglia contemporaneamente compiere la costruzione dogmatico-giuridica, quella dottrinaria informata ai criteri dominanti di giustizia, quella logica di esame critico dei medesimi criteri e di elaborazione di criteri diversi ed opposti o quella storico-sociologica di spiegazione causale del sorgere e del trasformarsi degli istituti tributari?

 

 

A quale dei diversi tipi di trattazione appartiene quella contenuta nel testo presente? Dato il tipo scelto, l’autore vi si è mantenuto fedele ovvero non ha ceduto alla tentazione di deviare dal tipo? In quali punti la contaminazione fra i diversi punti di vista è più evidente? È sempre chiaramente sottinteso, come si dovrebbe, trattarsi di contaminazione? Perché nel titoletto del presente talloncino è scritto o viceversa? È indifferente mettere prima le parole scienza delle finanze, e poi quelle diritto finanziario, ovvero fare il viceversa? L’uso del viceversa aveva contenuto sostanziale ovvero era solo la prefazione al tentativo, in parte riuscito, di mettere giuristi al posto di economisti sulle cattedre finanziarie?

 

 

Scienza economica e scienza finanziaria. – Perché l’affermazione che la scienza finanziaria ha contenuto economico vuol semplicemente dire che fa d’uopo non lasciarsi imbrogliare da ragionamenti sbagliati? La determinazione dei compiti dello Stato è sottratta al calcolo economico? (Vedi sub voce). Dati i mezzi limitati di cui dispongono gli uomini, è forse possibile conseguire tutti i fini immaginabili? Scegliere tra i tanti fini possibili e graduare i fini secondo il loro grado di importanza – chiunque decida la graduatoria – non è forse compiere un ragionamento economico?

 

 

Il compito della scienza finanziaria è di dire allo statista: tu devi o non devi compiere quella bonifica, costruire quel porto, dotare quella università di quei laboratori? Ovvero: scegli fra la bonifica o la rinuncia ad istituire una nuova imposta di 1 miliardo a carico dei contribuenti; fra il porto e la rinuncia ad imporre 50 milioni; fra il laboratorio universitario o la rinuncia ad imporre 500 mila lire? Quale significato economico e quale valore morale ha il comando devi fare se non sia accompagnato dal confronto fra il vantaggio sperabile da ciò che si vorrebbe fare e il costo relativo? È serio il fare senza rendersi conto del fare? Quale è la condotta moralmente più alta: quella di colui il quale vuole il fine altissimo (difesa della patria) senza rendersi conto del costo all’uopo necessario; o quella di colui il quale, consapevole del sacrificio economico, ciononostante vuole quel fine?

 

 

È dunque esatta la seguente definizione: la scienza finanziaria è quel capitolo della scienza economica, il quale dà ragione della scelta che gli uomini fanno – dati i mezzi limitati da essi posseduti e data la necessità di conseguire contemporaneamente, secondo una certa graduatoria, anche determinati fini privati – tra i fini pubblici che, in numero indefinito, si presentano alla loro mente come desiderabili?; e, fatta la scelta dei fini pubblici da conseguire, dà ragione delle ulteriori scelte che gli uomini fanno tra le diverse imposte le quali possono essere usate per fornire allo Stato i mezzi necessari a conseguire quei fini?

 

 

Quando il finanziere lascia intendere che non si deve fare una scelta fra diversi fini, senza aver posto mente al costo rispettivo dei diversi mezzi, non chiarisce nel tempo stesso necessariamente la sua predilezione per un certo fine, perché solo quel fine si può ottenere usando mezzi che egli reputa meno costosi e meno dannosi o più vantaggiosi?

 

 

Scuole scientifiche. – Chi (Maffeo Pantaleoni e dove?), discorrendo di scuole nel campo delle scienze economiche, le definì «sindacati di imbecilli»?

 

 

Teoria e pratica. – Perché non ha senso contrapporre, come si fa consuetamente, la pratica alla teoria? Perché il capomastro non contrappone la sua pratica alla teoria dell’ingegnere, eccetto quando sia evidente la inesperienza di quest’ultimo? Perché invece nelle cose economiche e finanziarie i teorici sono quasi sempre messi in un cantone e irrisi come inutili visionari? Quale è la parte di torto che in ciò hanno i teorici? Si tratta di teorici o di dottrinari? Quale è la differenza fra codesti due tipi? Quali sono i limiti della teoria? Una teoria, la quale non tenga conto della realtà, quale valore ha? Le premesse astratte, su cui il teorico ragiona, sono maggiormente feconde se sono mero risultato di spaccamento accademico di capelli ovvero se tentano, semplicemente, di riassumere qualche aspetto della realtà? Perché le azioni ed i pensieri del funzionario delle imposte, del contribuente, dell’imprenditore, dell’agricoltore, del risparmiatore, dell’operaio, ecc. ecc., sono il vero materiale che il teorico è chiamato ad elaborare? Quale fecondità e valore ha una teoria avulsa da qualsiasi applicazione concreta o contraddetta dalla realtà? Si può codesta chiamare teoria?

 

 

La scienza economica ha forse per iscopo di insegnare agli uomini a diventare ricchi; e la scienza delle finanze quello di insegnare ai contribuenti come si devono pagare tali e tali imposte vigenti in un dato paese? Interessa che lo studente conosca perfettamente soggetto ed oggetto, base imponibile, aliquota, modalità di accertamento e di riscossione, procedura di ricorso, sanzioni, ecc. relative ad un’imposta, la quale domani potrà essere diversa da quella che è oggi?

 

 

Se la risposta alle ultime domande è negativa, entro quali limiti è vero che un insegnante è tanto più pratico quanto più è rigidamente teorico? In che senso l’università adempie bene al suo compito astenendosi da ogni applicazione pratica (forense, didattica, industriale ecc.) delle ricerche scientifiche condotte nei suoi istituti, gabinetti e laboratori? È ufficio dell’insegnamento finanziario fornire le ricette pronte al consulente tributario in ogni genere di controversie fra l’amministrazione e il contribuente (cosiddetta pratica)?

 

 

Linguaggio teoretico e linguaggio normativo. – Partendo:

 

 

1)    dalla premessa che il linguaggio proprio delle scienze economiche sia il linguaggio teoretico (che si traduce cioè in proposizioni ipotetiche della forma: se noi supponiamo a se ne deduce b) e non quello normativo (che si traduce in consigli: devi o non devi far a perché b, che ne è la conseguenza, è un bene ovvero un male, è lodevole o è biasimevole);

 

2)    dalla dimostrazione usuale della verità della anzidetta premessa: non è compito dello studioso di scienze economiche dar consigli, perché egli non sa, in quella sua qualità di studioso di cose economiche, se b sia un vantaggio o un danno, un bene o un male e suo compito è esclusivamente di constatare e dimostrare che se esiste a esiste anche b; e facciano poi gli uomini e gli statisti quel che credono e si procaccino, se tale è il loro desiderio, vantaggio o danno;

 

 

compiere i seguenti esercizi:

 

 

1)    cercare quante volte nel testo si contravvenga al comando di usare soltanto linguaggio teoretico;

 

2)    tradurre, se possibile, le proposizioni normative in proposizioni teoretiche;

 

3)    rispondere al quesito: ogni qualvolta la traduzione è impossibile ed è dimostrato perciò che la proposizione non ha significato scientifico nel campo della scienza economica, ha essa un qualche significato a qualche altro punto di vista: ad es. politico o giuridico o sociale? Quale è il contenuto di questo significato?

 

 

Linguaggio storico o sociologico. – Poiché:

 

 

1)    oltre la forma teoretica (se noi supponiamo a, se ne deduce b) e quella normativa (devi o non devi fare a, perché otterrai il vantaggio od andrai incontro all’inconveniente b) del linguaggio, esiste anche la forma storica: «a è il risultato necessario di dati antecedenti storici A, B, C, ecc.» o la forma sociologica: «a è il risultato di date forze politiche e sociali, di dati sentimenti X, Y, Z, e dei metodi propri di argomentare di quelle forze e di quei sentimenti»;

 

2)    e poiché la forma storica si distingue da quella sociologica, poiché la prima si attiene a fatti individui (ad es. l’imposta esistente in un dato paese e in un dato momento storico), laddove la seconda ricerca generalizzazioni, uniformità, leggi;

 

 

tradurre le proposizioni normative o teoretiche del testo (vedi sul Linguaggio teoretico e linguaggio normativo) in proposizioni storiche o sociologiche.

 

 

Valore pedagogico o sostanziale della distinzione tra le diverse specie di linguaggio. – La distinzione sopra raccomandata delle diverse specie di linguaggio quale valore ha? meramente pedagogico nel senso di inculcare la necessità di bene definire i concetti, di chiarire le premesse del ragionamento, di non confondere l’azione con la spiegazione storica o sociologica dell’azione, e con l’analisi delle sue cause e dei suoi effetti? ovvero sostanziale nel senso che debba essere inibito all’economista ed al finanziere, il quale vede che una certa azione è atta a produrre un effetto, che egli considera vantaggioso o dannoso perché egli parte da un certo ideale di vita, di affermare che quell’ideale di vita è la sua premessa, che da quella premessa discende la necessità di una certa azione, diversa da quella propria di colui il quale parte da un certo altro ideale di vita, e che dall’azione da lui scelta derivano effetti che egli reputa vantaggiosi, laddove possono parere dannosi a chi partendo da un opposto ideale di vita deve compiere azione diversa produttiva di effetto che all’avversario pare buono, mentre a lui sembra pessimo?

 

 

Nel campo delle scienze economiche e sociali l’agnosticismo è dunque proprio dello scienziato vero od è un atteggiamento provvisorio meramente pedagogico e metodologico assunto allo scopo di chiarire a se stesso ed agli altri le premesse assunte ed i ragionamenti fatti? Lo scienziato può non essere un partigiano?

 

 

Buono, cattivo, lodevole e biasimevole. – L’uso di siffatte parole è scientificamente scorretto se applicato ad imposte ed istituti tributari e finanziari (vedi Linguaggio teoretico e linguaggio normativo)?

 

 

Ciononostante, l’uso delle parole medesime è forse consigliabile:

 

 

  • a scopo di risparmio delle più numerose parole che occorrerebbe impiegare qualora si volesse usare il corretto linguaggio teoretico;

 

  • al fine di obbligare lettori e studenti a tradurre le parole improprie in quelle che correttamente dovrebbero essere usate; allo scopo di chiarire che le proposizioni teoretiche sono, necessariamente o non, collegate con determinati ideali di vita?

 

 

Esercitazioni consigliate: tradurre prima nel linguaggio teoretico, poi nel linguaggio storico, quindi nel linguaggio sociologico, le seguenti proposizioni normative:

 

 

«il ripudio del debito pubblico è moralmente riprovevole»;

 

 

«la svalutazione della moneta equivale a ripudio del debito pubblico ed è perciò biasimevole»;

 

 

«il testatico (e perciò anche l’imposta sul sale e simili) è metodo ingiusto di imposizione»;

 

 

«il metodo di esigere imposte col tenere banco di giuoco al lotto è immorale – è moralissimo»;

 

 

ed altre simiglianti che si possono costrurre senza troppa difficoltà. Piano storico e piano attuale del discorso. – La necessità nella quale l’estensore di un trattato si trova di distinguere fra istituti che si sono succeduti nel tempo, dando ad essi il dovuto e forse ugual peso storico, equivale a dare agli istituti medesimi ugual peso attuale? Se no, dire perché:

 

 

a)    dell’imposta a decima;

 

b)    del metodo della distribuzione dell’imposta per contingente;

 

c)    dei prestiti pubblici sotto forma di rendite pseudo-perpetue, ossia dette, ossia non denunciabili;

 

d)    dei prestiti a forma di rendite vitalizie o tontinarie,

 

 

si debba parlare come di relitti storici, utili, per contrasto, a spiegare i corrispondenti istituti attuali:

 

I.        dell’imposta sui redditi netti o sul reddito netto;

 

II.        del metodo di distribuzione dell’imposta per quotità;

 

III.        dei prestiti pubblici sotto forma di rendite pseudo-perpetue ossia denunciabili;

 

IV.        dei prestiti ammortizzabili o redimibili.

 

 

Scatoloni vuoti. – Parole usate per indicare teoremi, proposizioni, discussioni, di cui è difficile dire quale sia il valore teoretico o la fecondità concreta, ed il cui scopo principale sembra quello, del resto non futile, della esercitazione scolastica, o l’altro, assai meno interessante scientificamente, della titolografia accademica o della polemica politica.

 

 

Perché sono scatoloni vuoti le discussioni:

 

 

  • sulla traslazione delle imposte nei casi di costi crescenti, costanti o decrescenti;

 

  • sulla preferibilità fiscale dei titoli nominativi in confronto di quelli al portatore;

 

  • sulla definizione del reddito come premessa autonoma di ordinamenti tributari invece che come illazione logica dai risultati tributari che si intende conseguire;

 

  • sulla indole politica, economica, sociologica e giuridica delle indagini finanziarie, compiute a scopo di divertente scomunica di coloro a cui piaccia studiare un problema a punti di vista diversi da quello dei capi delle cosiddette scuole politica, economica, sociologica o giuridica nel campo degli studi finanziari?

 

 

Post hoc, propter hoc. – Il noto sofisma della confusione fra la precedenza cronologica e la precedenza logica si riscontra nelle proposizioni seguenti:

 

 

  • è spesa – s’intende detraibile in sede di accertamento dell’imposta sul reddito – quella sostenuta dopo la consecuzione del reddito?

 

  • il ribasso nel saggio di interesse intervenuto dopo la conversione di un prestito pubblico è dovuto alla conversione medesima?

 

  • l’esistenza di una determinata massa di titoli di debito pubblico (fatto cronologicamente anteriore) induce il nuovo risparmio ad investirsi nei titoli medesimi piuttostoché nelle industrie, nell’agricoltura e nei commerci (fatto cronologicamente posteriore)?

 

 

Parole aventi significazioni diverse. – Se una parola è applicata ad un istituto popolare, la stessa parola, se applicata ad altri istituti, è atta ad estendere ad essi in parte od in tutto la popolarità che dal vecchio istituto si era attaccata alla parola?

 

 

Se sì, spiegare l’estensione delle parole:

 

 

  • buono del tesoro;

 

  • rendita perpetua;

 

  • imposta patrimoniale;

 

 

ad istituti che non sono buoni del tesoro propriamente detti, a rendite che non sono perpetue, ad imposte che non hanno nessuna intenzione di falcidiar patrimoni.

 

 

Linguaggio stenografico improprio. – Perché è improprio usare parole generali od astratte per indicare concetti o fatti particolari o concreti? Perché è improprio l’uso (che si legge ad esempio ai par. 515 e segg.) dell’espressione: «Inghilterra o Francia o Belgio o Svizzera od Olanda o Stati Uniti danno capitali a prestito alla Germania, alla Russia, agli Stati dell’America meridionale, alla Turchia, alla Grecia, all’Egitto ecc. ecc.»? Chi in verità dà e chi riceve capitali? Le collettività nazionali raffigurate con le parole Inghilterra o Francia o Germania? ovvero i corrispondenti stati rappresentati dai loro governi? ovvero singoli privati, sia individui, sia persone giuridiche? Perché deve essere in ogni caso scartata la soluzione che mutuanti e mutuatari siano le collettività nazionali, le nazioni, i paesi? Perché gli stati sono non di rado mutuatari e quasi mai mutuanti? Perché i mutuanti sono quasi sempre persone fisiche o giuridiche individui; e spesso sono tali anche i mutuatari?

 

 

Che errore si compie quando si personifica la gran varietà di risparmiatori singoli, di banche, di istituti di credito, di assicurazione, di gestione di patrimoni privati i quali intervengono su un dato mercato, ad es., quello di Londra, a titolo di offerenti risparmio come se si trattasse di una persona unica detta Inghilterra o Borsa di Londra o City? Che errore si compie quando, correlativamente, si parla di paesi debitori, di nazioni debitrici, quando invece debitrici sono persone singole, ognuna delle quali può trovarsi in situazioni differentissime l’una dall’altra?

 

 

L’errore della personificazione mitica è proprio solo del mercato finanziario?

 

 

Quale significato ha discorrere del commercio dell’Italia con la Francia, della Germania con l’Inghilterra, quando si sa che invece commerciano tra loro italiani, francesi, tedeschi, inglesi ecc. singoli? e quando è noto che, eccetto il caso della Russia, le operazioni di commercio compiute dagli stati sono l’eccezione, per lo più avente carattere temporaneo e limitata a tempi di guerra? e quando i medesimi stati per lo più non comprano o vendono da o ad altri stati, ma da o ad altri individui stranieri e talvolta nazionali residenti all’estero?

 

 

Approssimazioni successive. – Perché i metodi dello sperimento e della osservazione della realtà finanziaria sono, rispettivamente, impossibili e incerti? Perché la realtà finanziaria, al pari di quella economica e sociale, non si lascia dominare immediatamente nel suo complesso dal ragionamento? Perché è necessario astrarre dalla realtà complessa taluni elementi e ragionare su questi; salvo poscia a complicare gradatamente il problema, introducendo, con approssimazioni successive, sempre nuovi fattori, sino ad avvicinarsi, senza giungervi mai, alla realtà concreta? Quali pericoli presenta il metodo delle approssimazioni successive e perché importa non dimenticar mai che le verità dimostrate sono parziali, provvisorie ed ipotetiche? Come si fa la scelta dei fattori da studiare per i primi e da introdurre a poco a poco in seguito? Si passa dai fattori più a quelli meno importanti? Chi è giudice dell’importanza?

 

 

Quale differenza vi è tra il metodo delle approssimazioni successive e quello della contemporanea considerazione dei diversi fattori influenti sul fenomeno studiato? La differenza è sostanziale o metodologica? È più difficile ovviare al danno della irrealtà insito nel metodo delle approssimazioni successive od a quello del confusionismo proprio dell’abbordaggio immediato della realtà intera?

 

 

Ceteris paribus. – Perché l’impiego dell’espediente logico del ceteris paribus è necessario nel ragionamento economico ed in quello finanziario? Perché nel tempo stesso è pericoloso dimenticarsi di averne fatto uso? Entro quali limiti l’impiego di quell’espediente è lecito ed utile? Quale applicazione si fa tradizionalmente dell’espediente nello studio della traslazione dell’imposta? Da quale fattore essenziale si fa astrazione? Quale è il contenuto e il valore del metodo delle approssimazioni successive in proposito? Quali correzioni si debbono apportare alla teoria tradizionale, quando si tenga conto dei fattori prima trascurati?

 

 

Quale applicazione trovano i criteri del ceteris paribus e delle approssimazioni successive nello studio della identità e delle differenze fra debito pubblico ed imposta straordinaria? Quale è il valore logico della identità postulata da Davide Ricardo?

 

 

Rebus sic stantibus. – Trattandosi di espressione sinonima, vedi Ceteris paribus.

 

 

Marginalismo. – Perché. nelle scienze economiche la verità valida per le piccole dosi di un bene diventa errore per la massa totale del medesimo bene? Perché in finanza si può, senza errore apprezzabile, discutere intorno agli effetti di una piccola aggiunta (suppongasi 1.000 milioni) alla massa totale (suppongasi 30.000 milioni) delle imposte già esistenti in dato paese e in un dato momento; ed è invece assurdo discutere intorno agli effetti della introduzione istantanea della medesima massa totale di imposte in un paese nel quale, ad ipotesi, non esistessero tributi?

 

 

Volontà e possibilità – Perché i due concetti non si debbono confondere? Basta al proprietario di casa desiderare o volere trasferire sugli inquilini l’imposta sul reddito dei fabbricati per riuscire ad attuare l’intenzione?

 

 

Il pensionato e l’impiegato, il vecchio ed il giovane si trovano, nonostante l’uguale intensità del loro desiderio, nella medesima situazione strategica per trasferire su altri l’onere dell’imposta che in ugual misura percentuale grava sul loro reddito da lavoro? La scienza delle finanze si occupa dei desideri degli uomini o delle condizioni date le quali siffatti desideri possono essere soddisfatti? Il desiderio è una delle condizioni richieste per la sua attuazione od è la espressione esteriore di qualcuna di esse condizioni?

 

 

Uovo di Colombo. – Perché, nel campo finanziario, ci sono tanti pretesi scopritori di uova di Colombo? Indicare il vizio logico delle sedicenti uova che seguono:

 

 

  • il debito pubblico si ammortizza contraendo il debito per un ammontare maggiore di quello richiesto dalle esigenze del tesoro (Casse di redenzione e di ammortamento);

 

  • idem… destinando al servizio del debito il provento di talune imposte reputato bastevole al pagamento degli interessi e della quota di ammortamento;

 

  • i capitali dei contribuenti sono una materia imponibile diversa dal reddito di essi;

 

  • gli incrementi di capitale sono una materia imponibile diversa dagli incrementi del relativo reddito.

 

 

Scoperte feconde e scoperte sterili. – Perché si può noverare tra le scoperte feconde l’idea del reddito ordinario codificata primamente nel catasto di Maria Teresa; ed altresì, particolarmente sotto il rispetto tecnico, quelle della tassazione all’origine, della rivalsa, della ritenuta, del buono del tesoro, ecc. ecc.? Perché invece sono scatoloni vuoti la più parte dei progetti messi innanzi dai salvatori delle pubbliche finanze: ad es. la riesumazione del contingente, l’auto – tassazione con diritto di prelazione da parte dello stato, la tassazione delle rendite ricardiane, dei sovraredditi o sopraprofitti ecc. ecc.? Perché quasi sempre le scoperte sterili sono altresì perniciose?

 

 

Scoperte e novità nel campo della scienza e della pratica finanziaria. – Perché è raro scoprire nuove leggi scientifiche in finanza? Ma assai più raro e quasi impossibile scoprire qualche istituto tributario veramente nuovo? Perché, quasi tutte, per non dire tutte le cosiddette novità tributarie sono vecchie conoscenze travestite? Come si distingue una fonte tributaria veramente nuova e non prima tassata da quelle che paiono nuove fonti di imposta e non sono altro che aspetti vari della fonte già nota? (vedi Fonte della imposta).

 

 

c)    Teorici.

 

 

Calcolo economico. – Per calcolo economico si intende quello per mezzo del quale l’uomo vuole ottenere il massimo vantaggio proprio? o della famiglia? o del gruppo sociale? o della nazione? o dell’umanità?

 

 

Quando nel testo del libro (e, ad es., nella presente nota, in coda alla prefazione a La finanza della guerra e delle opere pubbliche riprodotta al n. 5 del par. 1) si parla di azioni utili o dannose dei governanti non è implicita la petizione di principio: chi definisce l’utile o il dannoso? Esiste un metro oggettivo per la misurazione dei vantaggi o dei danni di un gruppo di individui superiore all’unità? Non è implicito il riferimento a criteri di giudizio estranei a quelli usati dagli economisti? L’essere estranei a costoro e propri dell’uomo religioso, politico, padre di famiglia, meditante sui fini della vita li esclude dal campo della indagine scientifica?

 

 

Qualunque sia la definizione accolta, che cosa si intende per vantaggio? Il procacciamento di beni e di servizi aventi valore mercantile, negoziabili, anche se non effettivamente negoziati, contro una data massa di moneta? Ovvero, insieme ed oltre a questi, il procacciamento di beni ideali, morali, religiosi, intellettuali, politici?

 

 

Se i beni, a cui l’uomo intende, non sono solo economici, ma anche ideali, in che cosa consiste il calcolo economico? Il calcolo economico è identico nel paese di Bengodi e in quello reale nel quale contrastano la limitazione dei mezzi disponibili e la illimitatezza delle aspirazioni umane? (disse il Signore quando cacciò il primo uomo dal paradiso terrestre: «Va’ e lavora col sudore della tua fronte»).

 

 

Condotta irrazionale. – Perché è irrazionale:

 

 

  • quando si voglia collocare un prestito pubblico fra i piccoli e medi risparmiatori, emettere il prestito a prezzo uguale per tutti, con preferenza alle piccole e medie sottoscrizioni, piuttostochè, a prezzi variabili, ai più alti offerenti;

 

  • quando si voglia ridurre al minimo l’onere del debito pubblico, svalutare l’unità monetaria nella quale sono espressi capitali ed interessi dei titoli di debito (ricorrere a ripudi palesi o larvati sul capitale e sull’interesse dei prestiti) piuttostochè, a qualunque costo, rimborsare capitale e pagare interessi nella medesima unità nella quale essi sono stati convenuti (fare il servizio integrale del prestito, senza alcuna riduzione palese o larvata);

 

  • quando si voglia ridurre al minimo l’onere del servizio estero del debito pubblico, limitare i pagamenti all’estero degli interessi e delle quote di rimborso, con formalità di affidavit, con sospensioni di rimesse, con ripudi, ecc.;

 

  • quando si voglia ridurre al minimo l’onere gravante sul tesoro, emettere un prestito 3 per cento sotto la pari, piuttostochè un 5 per cento alla pari;

 

  • quando si voglia ridurre medesimamente al minimo l’onere gravante sul tesoro, ossia sui contribuenti, istituire casse di ammortamento su piani prestabiliti e invariabili?

 

 

I motivi della condotta umana sono sempre razionali; o non hanno peso nel determinare la condotta medesima sentimenti di invidia, di sopraffazione, di inettitudine degli uomini al ragionamento economico? Se si risponde positivamente alla seconda parte della precedente domanda, la condotta irrazionale tenuta non di rado dagli stati non deve essere considerata vantaggiosa alla cosa pubblica? In che senso e entro che limiti si parlò dunque sopra di condotta razionale? Quali sono le premesse della razionalità? Danno altrui, massimo contentamento. – Piace più agli uomini il proprio vantaggio grande quando sia condizionato al vantaggio minore o maggiore altrui; ovvero il proprio danno purché condizionato a maggiore e persino minor danno altrui? Spiegare, nei casi e nei limiti in cui sia vera la seconda alternativa, gli istituti dell’anno sabbatico nei debiti privati e pubblici, le svalutazioni monetarie, le progressività confiscatrici, ecc. Ignoranza ed errore di valutazione. – L’anno sabbatico può anche essere spiegato dall’ignoranza in che la maggioranza degli uomini si trova intorno al modo da osservare per ottenere il massimo vantaggio proprio? Vi è coincidenza di persona fra il connotato dell’ignoranza e quello della debolezza economica, fra questo e quello dell’invidia? In quali ceti sociali si notano più numerosi i forti e i deboli, gli ignoranti e gli invidiosi? Chi sono i forti e chi i deboli?

 

 

Onere, peso, sacrificio delle imposte. – Quale è l’ipotesi che importa assumere come premessa del discorso quando si parla di oneri, gravami, pesi, sacrifici cagionati dalla imposta? Alla esistenza di quale ambiente politico e giuridico è correlata siffatta ipotesi? Quale ipotesi deve essere assunta dal teorico il quale intenda esporre le leggi regolatrici delle imposte in uno stato la cui azione sia rivolta al vantaggio della collettività? Se al punto di partenza si suppongono effettivamente coincidenti il vantaggio massimo dello stato ed il vantaggio della collettività, quali altre parole e quali altri concetti fa d’uopo sostituire alle parole onere, peso, gravame, sacrificio in materia di imposte? Quali correzioni importa recare in questo caso alle teorie tradizionalmente correnti in materia di imposta? Quale contenuto diverso si deve attribuire al concetto di uguaglianza a seconda che si parta o non si parta dalla raffigurazione dell’imposta come onere?

 

 

Terminologia definitoria. – Quando noi definiamo:

 

 

  • i prezzi privati,

 

  • i prezzi quasi privati,

 

  • i prezzi pubblici,

 

  • i prezzi politici,

 

  • i contributi,

 

  • le imposte,

 

  • i servigi pubblici propri,

 

  • i servigi pubblici economici,

 

  • i servigi pubblici politici,

 

 

così come sono stati definiti nel testo, quale operazione intellettuale abbiamo compiuta? Abbiamo compiuta una mera classificazione di concetti e dei fatti corrispondenti, a scopo di orientamento nella giungla dei fatti reali? Ovvero, dalla classificazione di un dato fatto in una delle sovraddette caselle possiamo trarre la conseguenza che quel fatto deve necessariamente essere interpretato e regolato così come comporta la definizione? Quando abbiamo definito il reddito come la differenza fra la ricchezza (o fortuna o patrimonio) dell’uomo all’inizio dell’anno tributario (ad es. 1 gennaio) e la ricchezza sua alla fine dell’anno medesimo (ad es. 31 dicembre), supposto che egli nulla abbia consumato della ricchezza acquistata nel frattempo, abbiamo con ciò ragione di escludere altre definizioni del reddito medesimo? Per es.: reddito è la quantità di frutti netti ottenuti dall’uomo per mezzo dei suoi capitali reali e personali durante l’anno, intendendo per frutti le cose che si distaccano dalla sorte capitale? Ovvero reddito è la quantità dei beni e servizi consumati dall’uomo durante l’anno? Qual è la ragione della scelta fra le diverse definizioni? Esiste l’uomo in generale, od esistono invece l’uomo contribuente, l’uomo padre di famiglia, l’uomo azionista, l’uomo amministratore di imprese industriali o societarie, ecc. ecc.? La definizione del reddito è identica per ognuna di queste specie di uomini e per ognuna delle posizioni (di inizio di gestione, di gestione a regime normale, di liquidazione, di giovinezza, di maturità, di vecchiaia, di celibato, di matrimonio con o senza figliuolanza, ecc. ecc.) in cui l’uomo può trovarsi?

 

 

Quando abbiamo distinto e diversamente definito:

 

 

a)    la sovraimposizione da parte di diversi enti tributari;

 

b)    la molteplice imposizione da parte dello stesso ente tributario;

 

c)    la tassazione eccessiva;

 

d)    la doppia tassazione;

 

 

si è escluso che altri possa applicare la parola d anche ai fatti sotto a o b o c?; o si è voluto soltanto affermare che, qualunque siano le parole adottate, i fatti a b c d sono differenti gli uni dagli altri?

 

 

Doppia tassazione. Vedi Terminologia definitoria. – Inoltre: perché è opportuno restringere l’uso della espressione doppia tassazione ai casi di eccesso di tassazione dovuti ad errore del legislatore? Che cosa s’intende per errore del legislatore? Un errore di fatto o di stampa o di formulazione tecnica dei testi legislativi, al quale potrebbe ovviare un ufficio di revisione preliminare alla approvazione finale del testo medesimo da parte dei corpi legislativi? Ovvero una contraddizione fra due espressioni di volontà del legislatore ugualmente dichiarate e chiare? Vi ha errore di doppia tassazione sempre quando le due espressioni di volontà contrastano, ovvero solo quando logicamente l’una delle due espressioni di volontà (quella che esclude la seconda tassazione) deve essere giudicata di peso maggiore dell’altra (quella che la ammette)? Quale è il criterio per distinguere il peso maggiore da quello minore?

 

 

Esenzione del risparmio dall’imposta. – Perché codesta terminologia è impropria anzi erronea? Quale è il fondamento della teoria che vuole escludere dall’imposta la somma risparmiata oggi ovvero il reddito perpetuo o temporaneo ricavato dall’investimento del risparmio? Le 5 lire di reddito ricavate ogni anno in avvenire dalle 100 lire del reddito oggi risparmiate ed investite sono una aggiunta ovvero una alternativa alle 100 lire? Chi investe 100 lire in un titolo consolidato 5 per cento, possiede ancora le 100 lire? Se la risposta è negativa, che cosa egli possiede? Un titolo che vale 100 lire ed una serie indefinita di cedolette annualmente esigibili in 5 lire? Ovvero soltanto questa serie, il cui valore attuale è 100 lire? La tesi la quale dice che a tassare le 100 lire oggi e le 5 lire ogni anno in avvenire si tassa due volte il medesimo oggetto, conclude necessariamente che il legislatore non debba far ciò (linguaggio normativo, vedi sub voce), ovvero soltanto che, se il legislatore, come può, fa ciò, dalla sua azione si deducono certe conseguenze (linguaggio teoretico, vedi sub voce) di doppia tassazione, di incoraggiamento al consumo, di scoraggiamento del risparmio, di premio ai contribuenti dilapidatori e di multa a quelli costruttori, di rialzo nel saggio dell’interesse, ecc. ecc.?

 

 

Se in un dato paese prevalgono correnti dottrinali e politiche favorevoli ad incoraggiare la tendenza al consumo (cosiddetta di J. M. Keynes propensity to consume) ed a scoraggiare la tendenza al risparmio (propensity to save), considerata come il deus ex machina delle crisi e della disoccupazione, quale sarà la norma seguita rispetto alla tassazione del reddito: tassazione di tutto il reddito guadagnato o del solo reddito consumato? Quale norma si seguirà invece se le correnti dottrinali e politiche non vogliono interferire nelle decisioni degli uomini rispetto alla distribuzione del reddito fra consumi presenti e consumi futuri? Quali se si intende incoraggiare la tendenza al risparmio? L’incoraggiamento al risparmio può prendere una forma diversa e più accentuata di quella dalla sua esclusione dall’imposta? Se no, l’incoraggiamento non si identifica coll’ossequio alla regola dell’uguaglianza di trattamento tributario? È necessario, se si vuole tassare tutto il reddito guadagnato, negare la verità della tesi che la tassazione del reddito risparmiato equivale a doppia tassazione? O trattasi invece di tesi l’una indipendente dall’altra e logicamente compatibili?

 

 

Tabelle benthamiana e mengeriana. – Quale è il contenuto delle due tabelle? In che cosa differiscono? Come si deducono i principi del sacrificio (uguale, minimo, e proporzionale) dalla tabella benthamiana? Quali sono i vizi logici particolari ai principi del sacrificio uguale e di quello minimo? I sacrifici di persone diverse sono paragonabili e sommabili? La distribuzione dell’imposta secondo il criterio del sacrificio proporzionale conduce all’imposta coattiva od al donativo libero? A che punto si arresta l’applicabilità della tabella mengeriana alla pubblica finanza? Schema teorico di distribuzione della ricchezza fra i diversi fini pubblici e privati e schemi concreti. Schemi della finanza monopolistica e cooperativa (De Viti e Ferrara), costituzionale – parlamentare (Pantaleoni), wickselliano; borbonico (Magliani) e cavourriano (Scialoja); schemi della finanza antica tirannica e periclea.

 

 

Generalità dell’imposta. – Perché il concetto di generalità, inteso in senso comprensivo anche di quello di uguaglianza, dell’imposta è difficile a definire con precisione? Un’imposta uniforme del 10 per cento su tutti i singoli redditi è senz’altro definibile come generale? Quid se la origine o la destinazione od il grado di rischio o quello di godimento è differente da caso a caso? L’imposta unica fondiaria sul reddito dominicale dei terreni è speciale? Quid se accompagnata da altre imposte sugli altri redditi? È generale l’imposta ad aliquota costante qualunque sia l’ammontare del reddito? e quella ad aliquota crescente col crescere del reddito? È generale l’imposta che grava uniformemente sul reddito dei contribuenti qualunque sia la loro residenza, ovvero quella che varia da provincia a provincia? da comune a comune? da categoria a categoria? È generale l’imposta che colpisce tutto il reddito che entra nell’economia del contribuente durante un certo periodo di tempo (anno), ovvero quella che, esentando la quota risparmiata, colpisce solo la quota goduta? È generale l’imposta che colpisce solo i frutti annui ovvero quella che colpisce anche gli incrementi, accertati ovvero realizzati, di valore della fonte dalla quale derivano i frutti medesimi? È generale quella la quale colpisce i redditi presunti normali ovvero quelli effettivi variabili? È generale l’imposta la quale colpisce solo o particolarmente le eccedenze nei redditi, le rendite nei redditi? È generale l’imposta la quale colpisce, oltre le eccedenze di reddito sul reddito normale, gli incrementi nei valori capitali oltre un dato livello detto normale?

 

 

Il concetto di generalità si riferisce alle cose (tutti i redditi di tutte le cose produttive di reddito debbono essere ugualmente tassati) ovvero alle persone (tutte le persone debbono essere assoggettate ad ugual peso tributario)? Come si definiscono le due specie di uguaglianza, oggettiva e soggettiva, sopra enunciate?

 

 

Uguaglianza. – Perché è impossibile partire nello studio della ripartizione dell’imposta da una premessa diversa da quella dell’uguaglianza di tutti gli uomini di fronte alla legge tributaria? Perché, ciononostante, la nozione dell’uguaglianza tributaria è così controversa? Perché i concetti di uguaglianza per capite, o di uguaglianza proporzionale monetaria e quelli, vari, in ragione di sacrificio, ad uno ad uno si rivelano inconsistenti? Se è vero che sinora il concetto di uguaglianza fu sempre connesso con quello di peso, non è vero altresì che ogni discussione in proposito era un tipico scatolone vuoto? (vedi sub voce). Perché i concetti di uguaglianza e di onere dell’imposta si escludono a vicenda?

 

 

Unità monetaria stabile o mutevole. – Quali problemi tributari si pongono in tempi di mutazioni nel contenuto aureo e nella potenza d’acquisto dell’unità monetaria? Se l’imposta è periodica (annua) e colpisce i frutti annui del capitale e del lavoro esiste un problema? È esso di natura sostanziale ovvero meramente tecnica? Quid se l’imposta è del tipo imposta sulle successioni o sui trasferimenti a titolo oneroso o sulla negoziazione dei titoli e colpisce valori stimati in un dato istante di tempo? Quid se invece l’imposta richiede la comparazione di valori in tempi diversi? Perché e quando in questo caso l’instabilità monetaria può fare apparire reddito quel che è capitale o capitale quel che è reddito?

 

 

Se l’imposta colpisce merci o derrate, quali gli effetti delle mutazioni monetarie distintamente nei casi che l’imposta sia specifica ovvero ad valorem?

 

 

Quale l’influenza delle mutazioni monetarie sul peso del debito pubblico, delle pensioni, degli stipendi, delle pubbliche forniture?

 

 

Fonte dell’imposta. – Esiste qualche altra fonte di imposta diversa dal reddito lordo nazionale? Entro quali limiti il capitale può essere fonte di imposta? Dati questi limiti – quote di deperimento – si può affermare trattarsi di cosa diversa dal reddito lordo anzidetto? (vedi Base dell’imposta).

 

 

Base dell’imposta. – Quale differenza vi è tra fonte e base dell’imposta? Quale è la fonte di un’imposta la cui base imponibile è il capitale o il patrimonio del contribuente? Come si può affermare che la tipica e antica imposta patrimoniale detta imposta successoria, pur avendo la sua base nel patrimonio, trova la sua fonte nel reddito?

 

 

Capitale e reddito. – Trattasi di due oggetti distinti, ovvero di due aspetti diversi del medesimo oggetto? Che differenza vi è tra il possesso di 100 lire oggi e il diritto a ricevere indefinitamente 5 lire all’anno alla scadenza di ogni anno a partire da oggi?

 

 

Vedi: Doppia tassazione – Terminologia definitoria – Incrementi di reddito – Incrementi di capitale – Esenzione del risparmio dall’imposta – Fonte dell’imposta – Base dell’imposta.

 

 

Sovraredditi. – Perché il concetto di sovrareddito suppone il concetto di reddito normale? Come si definisce il reddito normale? Sulla base di quel reddito che è ottenuto dal buon padre di famiglia, dall’imprenditore medio o da quello marginale? ovvero di quel qualunque reddito, normale o ultranormale, che è ottenuto in un periodo di tempo definito normale? Il reddito normale esclude necessariamente quote di redditi che, nel linguaggio economico, diconsi rendite ricardiane o quasi-ricardiane?

 

 

Il normale è una quantità assoluta ovvero relativa? Se è relativa ad una entità detta capitale investito, siffatta entità è un dato di fatto relativo ad un istante di tempo, quindi tempo passato, ovvero un dato presunto relativo all’istante che passa e che sta diventando futuro? Il dato di fatto passato si identifica col cosiddetto costo di produzione o di costruzione? di chi? del contribuente singolo considerato? con premio per i contribuenti peggiori? Il dato presunto futuro si identifica col ferrariano costo di riproduzione o di ricostruzione? di chi? di ogni contribuente singolo o di un ipotetico contribuente medio o marginale? Se il contribuente tipico assunto è quello medio, il concetto economico del costo di riproduzione non tende ad identificarsi col concetto politico o pseudo – giuridico o morale del costo ragionevole in rapporto ad un investimento ragionevole di capitale e lavoro? Chi è giudice della ragionevolezza o della marginalità? Basta ad accertare la marginalità, il fatto della sopravvivenza dell’impresa produttrice del reddito?

 

 

Se per soprareddito si intende l’eccedenza di reddito ottenuta in tempi successivi in confronto al reddito detto normale ottenuto in un tempo precedente, come è ragionata la proposta di tassare le eccedenze (incrementi) di reddito maggiormente del reddito-base? Se le prime 8 lire di reddito ottenute da un capitale investito di 100 sono tassate coll’aliquota del 10 per cento, perché le successive lire dovrebbero essere tassate con aliquote crescenti col crescere della proporzione percentuale del reddito al capitale investito? Forse perché sono ottenute più agevolmente? o perché sono immeritate? o perché sono male guadagnate?

 

 

Casistica relativa.

 

 

È agevole la sostituzione del concetto del costo di riproduzione (ricostruzione dei bilanci dei contribuenti ad opera di periti sulla base di uno dei criteri di marginalità o di ragionevolezza o di medietà indicati sopra) al concetto del costo di produzione (accertamento dei capitali investiti sulla base dei bilanci di fatto)? Quali conseguenze derivano dalla tassazione progressiva delle eccedenze percentuali di reddito oltre la percentuale definita normale dal legislatore? economiche sulla convenienza degli investimenti di capitale? sociali sul livello delle remunerazioni nelle imprese in eccedenza?

 

 

Incrementi di capitale. – La imposizione degli incrementi dei valori capitali oltre una certa base è concetto diverso da quello di imposizione degli incrementi del reddito ricavato dalla fonte capitale? Una imposta del 20 per cento sull’eccedenza di reddito oltre 5 sino a 10, non riduce forse l’eccedenza di 5 da 5 a 4 e, al saggio di capitalizzazione del 5 per cento, l’incremento di capitale relativo da 100 ad 80? Una imposta del 20 per cento sull’incremento di capitale da 100 a 200, non riduce l’eventuale incremento di 100 da 100 ad 80 e l’eccedenza relativa di reddito da 5 a 4? Una imposta la quale tassi col 20 per cento l’incremento di capitale residuo 80 come si spiega? Esistono incrementi di capitale, i quali non siano correlativi ad incrementi di reddito? Se esistono, non dovrebbero forse, in ossequio al principio della uguaglianza tributaria, essere colpiti da imposta uguale a quella che colpisce ogni altro reddito? Gli incrementi di valore delle aree fabbricabili, prive, in quanto e finché tali, di reddito, sono una specie del genere «incrementi di capitale indipendenti da correlativi aumenti di reddito»? O sono tali limitatamente alla parte di essi incrementi la quale non sia preveduta al momento della tassazione? Quali i criteri, e esistono criteri apprezzabili di distinzione fra l’incremento preveduto e quello impreveduto?

 

 

Taluni incrementi di capitale sono tali soltanto in apparenza ed invece sono il frutto normale di investimenti speculativi rivolti ad ottenerli? (vedi Incrementi di valori capitali derivanti da speculazione o da investimento patrimoniale).

 

 

Incrementi di valori capitali derivanti da speculazione (a) o da investimento patrimoniale (b). – Perché secondo la giurisprudenza finora (1940) invalsa in Italia l’incremento b non è, laddove l’incremento a è tassabile? La diversità di conclusione non appare paradossale? Perché l’incremento b, ottenuto senza attività all’uopo preordinata, deve essere escluso dall’imposta, la quale colpisce invece l’incremento a, frutto di attività speculativa, implicante impiego di lavoro e di capitale? Perché il rimprovero di doppia tassazione è logico rispetto alla tassazione di b, e non può moversi alla tassazione di a?

 

 

Avviamento, imposta sul…. – Quale è il fondamento della dottrina corrente favorevole all’imponibilità dell’avviamento? Fino a che punto l’avviamento rientra nel concetto dell’incremento di valore capitale derivante da speculazione ed è logicamente imponibile ed in quali casi deriva invece da investimento patrimoniale e perciò non è imponibile, senza reato di doppia tassazione?

 

 

Plusvalenza degli immobili, delle azioni, ecc., imposta sulla… – È questo una specie del genere discusso sub voce: incrementi di valori capitali derivanti da speculazione o da incrementi patrimoniali?

 

 

Sopraprezzo delle azioni, imposta sul….. – È questa una specie dell’errore di doppia tassazione degli incrementi di valori capitali da investimento patrimoniale?

 

 

Ovvero una applicazione corretta del principio di tassazione degli incrementi di valori capitali derivanti da speculazione? Ovvero ancora è un errore volgare di logica?

 

 

d)    Sul debito pubblico.

 

 

Passaggio dalla mano destra alla sinistra. – Perché la proposizione: «il denaro che passa dalla mano (o tasca) destra alla mano (o tasca) sinistra del medesimo individuo non è per lui perduto», non può invertirsi, ad imitazione di Voltaire, come segue: gli interessi pagati dallo stato nazionale debitore al creditore estero possessore del titolo di prestito pubblico sono una perdita per la nazione?

 

 

Generazioni future. – Perché non ha senso affermare che il debito pubblico è un modo di trasferire sulle generazioni venture l’onere delle spese presenti?

 

 

Quale è il vero significato del contrasto fra imposta straordinaria e debito pubblico? Trattasi di contrasto fra generazione presente e generazioni future ovvero fra gruppi sociali, gruppi di età, gruppi di uomini aventi attitudini diverse appartenenti tutti alla generazione presente rispetto alla scelta delle imposte con le quali far fronte alla spesa presente?

 

 

Ammortamento privato del debito pubblico. – In che senso l’ammortamento privato del debito pubblico è fatto storicamente più importante dell’ammortamento ad opera dello stato? Che cosa si intende per ammortamento privato? Perché questo è meglio adattabile alle esigenze delle economie private? Che cosa erano le alienazioni del tasso nel Piemonte del 1700? Schiavitù e debito pubblico. – In che modo si può sostenere che talune delle conseguenze della schiavitù (uomo=cosa, e perciò negoziabile, fornita di prezzo di mercato, riscattabile, capace di essere data in garanzia o pegno di mutuo) risorgono, senza alcuna delle caratteristiche offensive della personalità umana proprie della schiavitù, attraverso i titoli di debito pubblico? In che senso si può dire che una quota dei titoli di debito pubblico esistenti in ogni paese sia equivalente all’ipotetico valore capitalizzato degli uomini forniti di reddito di lavoro?

 

 

Conversione del debito pubblico. – È la conversione un istituto giuridicamente autonomo? Si può parlare di diritto dello stato a convertire i prestiti pubblici? Che significato avrebbe il diritto dello stato a convertire un proprio prestito dal saggio di interesse del 5 a quello del 4 per cento? Quale è il diritto dello stato, dall’esercizio del quale discende il fatto della conversione?

 

 

Nominale, pari, prezzo di emissione, valore di parità, valore di indifferenza, premio di indifferenza. – Quali i significati di queste espressioni? Quando sono convenienti allo stato le emissioni al disotto della pari? Quali premesse intorno al prezzo di emissione od alle modalità connesse occorre premettere alla discussione sulla convenienza anzidetta?

 

 

Emissione al disopra della pari. Quale ne è il significato? Quando, ad esempio, lo stato può avere convenienza ad emettere od il sottoscrittore ad acquistare una rendita 5 per cento al prezzo di emissione di 125? Se il saggio di interesse corrente è del 4 per cento, qual è il prezzo di parità? In che senso il prezzo di emissione si discosta dal prezzo di parità?

 

 

Conversione da saggio basso a saggio alto di interesse. – Quale ne è il contenuto? Perché il capitale nominale si suppone invariato? Quali sono i dati sui quali importa ragionare per calcolare i limiti di convenienza delle due parti a cosiffatto tipo di conversione?

 

 

Esenzione dei titoli di debito pubblico dall’imposta. – Che cosa si intende per esenzione dei titoli di debito pubblico dalle imposte speciali? Che cosa si intende per esenzione da tutte le imposte presenti e future, gravanti sul capitale o sul reddito, o in qualunque altro modo enunciate? Perché codesta esenzione generalissima logicamente non comprende la esenzione dalle imposte personali (complementare, sul reddito, sul patrimonio complessivo, successoria)? Esiste contrasto fra l’interpretazione logica e quella dell’uomo della strada?

 

 

Perché i risparmiatori ordinariamente ritengono di avere interesse, a parità di frutto netto attuale, ad acquistare titoli esenti piuttostochè titoli soggetti ad imposta? Quando essi invece preferiscono il titolo tassato?

 

 

La convenienza dei risparmiatori a scegliere l’un tipo di titolo piuttostochè l’altro varia in funzione dell’ammontare del reddito o del patrimonio totale di essi? Si risponda supponendo prima che l’imposta di cui si tratta sia a tipo reale e poi che essa sia a tipo personale, con aliquota variabile crescente.

 

 

Garanzie speciali offerte ai sottoscrittori dei pubblici prestiti. -Esistono siffatte garanzie speciali rispetto ad uno stato fornito di piena sovranità? ad uno stato od ente pubblico dotato di sovranità od autarchia limitata da un ente statale di grado superiore? Quale è l’unica garanzia per i creditori pubblici rispetto allo stato fornito di piena sovranità? Obbligazioni, cartelle, azioni. – Perché, in materia di debito pubblico, è errore dire azioni invece di obbligazioni o cartelle?

 

 

Valore attuale – Rendita o reddito – Saggio di interesse – Saggio di capitalizzazione – Moltiplicatore. – Se la rendita o reddito annuo di un titolo di debito pubblico perpetuo (rendita perpetua denunciabile) è di 5 lire, trovare i diversi valori attuali (valori capitali correnti di mercato) del titolo medesimo, fatta l’ipotesi che il saggio di capitalizzazione (uguale al saggio di interesse corrente sul mercato per investimenti di quel tipo) sia del 2,50, del 3, del 4, del 5, del 6, del 7 ecc. per cento.

 

 

Trovare i moltiplicatori (capitali attuali correnti sul mercato per ogni lira di reddito) corrispondenti ai saggi di capitalizzazione sopra indicati. Perché, se, in seguito al calcolo anzidetto, il valore attuale risulta teoricamente superiore alla pari (100 lire), di fatto il valore effettivo corrente rimane di solito inferiore al valore teorico e di poco superiore alla pari medesima? Perché, inversamente, se, in seguito al calcolo, il valore attuale risulta teoricamente inferiore alla pari (100 lire), di fatto il valore effettivo corrente tende ad essere alquanto superiore al valore teorico, ma non di quanto dovrebbe, se gli investitori in titoli di debito pubblico agissero razionalmente?

 

 

e)    Su problemi particolari

 

 

Diversificazione. – Istituto noto, nella lingua inglese con desinenza italiana usata talvolta nei trattati italiani, col nome di discriminazione. Perché i redditi di lavoro sono tassati meno dei redditi di capitale? Perché non è valida la ragione della diversa durata? Differenze e somiglianze tra le diversificazioni operate a mezzo dell’aliquota, dell’imponibile, della sovrapposizione di imposte sul capitale a quelle sul reddito. La diversificazione, col suo moltiplicarsi e raffinarsi, non tende a diventare eccesso di tassazione contro una specie di reddito a favore dell’altra specie? Se il reddito ultratassato è quello di capitale, come la diversificazione in eccesso si concilia con i crescenti patemi d’animo dei risparmiatori e degli imprenditori e la protezione ed i sussidi di varia specie largiti ai redditi di lavoro? Esiste una spiegazione logica della frequente non estensione del criterio della diversificazione dal campo delle imposte reali sui redditi singoli delle cose al campo delle imposte personali sul reddito complessivo del contribuente?

 

 

Esercizio sulla diversificazione. – L’aliquota dell’8 per cento sui redditi di ricchezza mobile delle categorie C2 e D (impiegati privati e pubblici) è maggiore, minore od uguale a quella del 12 per cento sui redditi della categoria C1 (professionisti)? Perché gli impiegati, specialmente pubblici, sono persuasi che 8 è maggiore di 12? Quali argomenti possono essere addotti a dimostrare che, probabilmente, per essere uguale all’8 delle C2 e D, l’aliquota della C1 dovrebbe essere ridotta dal 12 al 4%? Quale il fondamento della differenza residua?

 

 

Forma e sostanza. – Esiste differenza tra l’espressione: «imposta del 5 per cento su 100 lire di reddito» e quella: «imposta del 10 per cento sui cinque decimi di 100 lire di reddito»? Perché può dirsi più corretta la seconda espressione? Perché quest’ultima rende più agevole la estensione del criterio della diversificazione dei redditi dal campo delle imposte reali sui redditi singoli delle cose al campo delle imposte personali sul reddito complessivo del contribuente?

 

 

Produzione ed erogazione. – A che fini la giurisprudenza e la dottrina hanno elaborato questi due concetti? In che la distinzione è affine a quella fra reddito guadagnato e reddito consumato? Il concetto di spesa di produzione si limita a quel che legalmente si deve o che economicamente è necessario spendere o si estende a quel che conviene spendere? Chi è il giudice della convenienza di spendere per ottenere il fine del massimo reddito?

 

 

Errore del salto. – Perché una tariffa ferroviaria espressa così: «per i percorsi fino a 100 chilometri, ogni tonnellata – chilometro o viaggiatore – chilometro paga 50 centesimi di lira per chilometro; per i percorsi da 101 a 300 chilometri, ogni tonn. – Km. o viagg. – Km. paga 40 centesimi; per i percorsi da 301 a 600 ogni tonn. – Km. o viagg. – Km. paga 30 centesimi e così via diminuendo» dà luogo ad un errore detto del salto? Perché una scala di imposta ad aliquota crescente (progressiva) espressa così: «i redditi fino a 6.000 lire sono esenti; quelli da 6.001 a 10.000 lire pagano l’1 per cento, quelli da 10.001 a 20.000 pagano il 2 per cento; e così via crescendo» dà luogo al medesima errore del salto? In che punti l’errore ha luogo? Quali sono i diversi espedienti con i quali si evita l’errore o se ne riduce il danno al minimo?

 

 

Imposta reale progressiva. – Se si suppone che l’imposta abbia esclusivamente per ufficio di fornire entrata all’erario, perché i due aggettivi reale e progressiva fanno a pugni? Quali scopi non finanziari può proporsi un’imposta reale la quale sia progressiva?

 

 

Imposta su imposta. – Perché il legislatore ha voluto che il contribuente potesse, in sede di accertamento del reddito netto totale o complessivo (o, in lingua francese con desinenza italiana, globale), dedurre le imposte reali (sui terreni, sui fabbricati, di ricchezza mobile, ecc. ecc.) già pagate sulle singole parti del medesimo reddito complessivo? Entro che limiti si tratta di ossequio alla regola della uguaglianza effettiva di trattamento fiscale di tutte le specie di reddito? Se le imposte singole o reali fossero tutte, compresi i loro accessori (sovrimposte ed addizionali e contributi diversi), del medesimo peso, la deduzione avrebbe ancora valore sostanziale? L’imposta del 10 per cento su 70 lire di reddito complessivo netto da imposte (100 lire reddito meno 30 lire somma delle imposte reali già pagate sulle quote singole del reddito) è diversa da una imposta del 7 per cento sulle 100 lire lorde delle stesse imposte? Quid, se invece di pagar tutti 30 lire, gli uni pagassero 20 e gli altri 40 lire? Quid, se chi ha pagato 40 lire ha ricevuto il doppio di servizi pubblici, statali e locali, di chi ha pagato 20 lire?

 

 

Quid, se le lire d’imposta si suppongono tutte pagate sulla sola quota imponibile dei diversi redditi che si sommano poi, detratta l’imposta relativa, con le quote non imponibili in sede di imposta reale? La somma è composta di addendi omogenei od eterogenei? Se eterogenei, all’errore rimedia un’imposta patrimoniale annua ad aliquota costante?

 

 

Rivalsa. – Perché obbligatoria nell’imposta di ricchezza mobile per i redditi di categoria C2 e D e facoltativa per quelli di A?

 

 

L’obbligatorietà ha significato economico ovvero politico educativo? Esisterebbe un significato economico se il rimborso da parte dell’impiegato delle 8 lire anticipate a titolo di imposta dal datore di lavoro per ogni 100 lire di stipendio o salario non esercitasse influenza veruna sull’ammontare del medesimo stipendio o salario? È presumibile che ciò accada? L’imposta è fattore di diminuzione ovvero di incremento dello stipendio o salario? Perché i debitori, contraendo i prestiti od emettendo obbligazioni, usano accollarsi l’onere del rimborso al creditore dell’imposta di ricchezza mobile da questi assolta in categoria A o rinunciare al diritto di rivalsa quando l’imposta medesima è accertata a loro carico? Quali sono le due ragioni, l’una fiscale, di aumento dell’onere di imposta, e l’altra economica, di aumento nel saggio dell’interesse, per cui i debitori riterrebbero se stessi danneggiati se il rimborso fosse vietato o la rivalsa resa obbligatoria?

 

 

Imposta (dazio) specifica o ad valorem – Che cosa si intende per l’una e per l’altra? Perché la prima è di applicazione più semplice e la seconda, dicesi, è più giusta? È prevalente il peso della semplicità o della giustizia? Se il dazio è sul valore delle merci e questo viene stabilito con ordinanze amministrative ad ogni anno o semestre, la differenza tra i due tipi a che cosa si riduce?

 

 

Annualità – Perché la legge italiana di imposta di ricchezza mobile dichiarando deducibili dal prodotto lordo dell’impresa le annualità passive, si è espressa in modo improprio? Che cosa in verità si voleva dichiarare deducibile? Se il concetto si applica al servizio di un debito pubblico, l’annualità di quali parti si compone? Quando l’annualità è costante nel tempo, come si comportano nello stesso tempo le due parti: rata di ammortamento e quota di interessi? Quando la rata di ammortamento è costante nel tempo, in che senso varia la annualità?

 

 

Tariffa ferroviaria. – Quali sono i rapporti fra il vantaggio del trasporto (differenza fra il prezzo della merce sulla piazza di vendita e quello sulla piazza di origine), il costo del trasporto e la tariffa o prezzo del trasporto? Dovendo scegliere fra questi tre dati quello dal quale gli altri dipendono, quale dovrebbe essere considerato primo e quali derivati? Esiste un dato primo o non sono tutti e tre interdipendenti?

 

 

Imposta di negoziazione. – In che senso può essere riguardata come una trasformazione della normale imposta di registro sui trasferimenti a titolo oneroso? Perché, potendo questa a sua volta essere detta una trasformazione di una ipotetica imposta annua periodica sui capitali e sui patrimoni, l’imposta di negoziazione surrogatrice deve reputarsi meglio perequata della surrogata imposta di registro?

 

 

Quale fondamento razionale ha la diversa altezza dell’aliquota della imposta di negoziazione sui titoli al portatore (aliquota maggiore) e su quelli nominativi (aliquota minore)? Se lo scopo è solo quello di persuadere i possessori ad iscrivere i titoli al nome perché lo scopo non è, allo stato attuale della legislazione, raggiungibile? Se fondamento è la maggior frequenza dei trasferimenti dei titoli al portatore in confronto ai titoli nominativi, quale è il contenuto logico del carico differenziale sull’attributo della trasferibilità? Maggiore trasferibilità in che senso indica maggior capacità contributiva? Se assumiamo che l’imposta di negoziazione sia un surrogato del surrogato di un’ipotetica imposta patrimoniale, quale delle due aliquote (sui titoli nominativi e su quelli al portatore) deve logicamente essere più alta?

 

 

Imposta di successione. – Quale il fondamento psicologico-sentimentale di essa? Se noi facciamo l’ipotesi che l’imposta di successione sia un surrogato di un’ipotetica imposta patrimoniale e se facciamo la ulteriore ipotesi che l’imposta patrimoniale sia un mero strumento di diversificazione dall’imposta sul reddito, in che senso e sotto quanti rispetti si deve concludere che l’imposta di successione è mezzo grossolano e sperequato per raggiungere l’intento voluto?

 

 

Imposte sale e tabacchi. – Perché si possono chiamare imposte, sebbene siano pagate in seguito ad un atto di volontà del contribuente? In che cosa sta qui la coazione tributaria? La quota imposta (I) nel prezzo totale pagato dal contribuente (P) è uguale al reddito netto totale della gestione (prodotto lordo meno spese: )? ovvero all’eccedenza (E) di reddito che il tesoro avrebbe ottenuto se prodotti e spese fossero stati uguali a quelli che si sarebbero riscontrati ove l’industria fosse stata esercitata in condizioni di concorrenza perfetta? In queste condizioni se, come si deve, si includono nelle spese (S) gli interessi e le quote di ammortamento del capitale investito e la rimunerazione dell’imprenditore, non è , ossia non è esclusa la esistenza di un profitto, almeno per l’imprenditore marginale? Se, in caso di monopolio statale,  e quindi , questa differenza positiva D quale indole ha e da quale causa trae origine? Se, nello stesso caso,  e quindi , questa differenza negativa D quale indole ha e da quale causa trae origine? Ossia, se I = E, e, nei due casi sopraddetti si hanno rispettivamente , quale è il significato dei due casi? Lotto. – Il monopolio statale della vendita delle speranze di vincita al gioco del lotto in che senso da origine ad un’imposta? Se diciamo equo il gioco nel quale il tenitore del banco riparte tra i giocatori l’intero ricavo delle loro messe, dedotto il rimborso delle pure spese di gestione, l’imposta a che cosa è uguale? L’imposta, sia che si dica sul consumo delle speranze di vincere al gioco, ovvero sul reddito delle vincite, incoraggia o scoraggia la propensione a giocare? Il metodo scelto nel prelevare l’imposta (pagamento delle vincite al netto od al lordo dell’imposta) ha influenza nell’incoraggiare o scoraggiare?

 

 

Permutazioni tributarie. – Compiere i seguenti esercizi: Trasformare un’imposta del 10 per cento sul reddito nella corrispondente (di ugual peso) imposta sul patrimonio. Quali premesse occorre porre rispetto al saggio od ai saggi di capitalizzazione del reddito? La fonte delle due imposte coincide in tutto od in parte? Quali le differenze?

 

 

Trasformare un’imposta annua del 0,50% sul patrimonio nella corrispondente imposta straordinaria patrimoniale una tantum. Premesse ed osservazioni come sopra.

 

 

Trasformare una imposta straordinaria patrimoniale una tantum del 10% nella corrispondente imposta patrimoniale ventennale. Quale analogia vi è tra questa operazione e l’altra del calcolare l’annualità necessaria ad estinguere, ad un dato saggio di interesse, un dato ammontare di debito pubblico?

 

 

Trasformare un’imposta annua sul patrimonio del 0,50 per cento nella corrispondente imposta successoria. Quali ipotesi, oltrecché rispetto al saggio di interesse, occorre fare in questo caso? Che cosa è l’intervallo devolutivo? Differenze tra le due imposte (patrimoniale annua e successoria) rispetto:

 

 

  • alla scala delle aliquote;

 

  • ai rapporti di parentela fra il contribuente e gli eredi o legatari;

 

  • ai rapporti fra i patrimoni rispettivi dei due gruppi;

 

  • alla base imponibile.

 

 

Trasformare un’imposta sul valor locativo del 10 per cento nella corrispondente imposta sul reddito consumato. Id. nella corrispondente imposta sul reddito guadagnato.

 

 

Trasformare l’imposta sul sale nella corrispondente imposta sul reddito consumato. E poi sul reddito guadagnato. Quali le ipotesi più probabili rispetto:

 

 

  • alla quantità di sale consumato da contribuenti posti in diversi gradini della scala sociale;

 

 

  • al tipo di sale consumato ed alle corrispondenti quantità di imposta pagata?

 

 

  • Compiere lo stesso esercizio per le imposte sul tabacco, sullo zucchero, sul caffè, ecc.

 

 

  • Trasformare una imposta annua sul patrimonio del 0,50 per cento nella corrispondente imposta sui trasferimenti a titolo oneroso (cosiddetta tassa di registro). Quali le premesse?

 

 

  • Trasformare una data imposta successoria nella corrispondente imposta di manomorta. La differenza fra i soggetti delle due imposte quali ipotesi consiglia di fare rispetto a quella che è «la data imposta successoria» da trasformare? Le basi imponibili delle due imposte possono essere identiche? Trasformare una data imposta sui trasferimenti a titolo oneroso nella corrispondente imposta di negoziazione sui titoli. In che senso questa è una imposta patrimoniale annua?

 

 

  • Rifare il cammino all’indietro da ognuna di queste imposte alla originaria imposta sul reddito.

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